Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15902 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15902 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9396/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE COGNOME ( -) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende; -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 21376/2020 depositata il 06/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La RAGIONE_SOCIALE (di seguito la società) impugnava l’avviso di pagamento n. 2014/A/6221 dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM), proveniente dall’Ufficio delle Dogane di Napoli (di seguito, l’ufficio) affermando la spettanza, per gli anni 2011 e 2012, del credito d’imposta riservato agli autotrasportatori e maturato sul consumo di gasolio ai sensi dell’art. 1 d.P.R. n. 277/2000.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Napoli, con sentenza 9700/16/15, accoglieva il ricorso.
L’ADM appellava dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Campania che, con sentenza 10676/50/2016, accoglieva il gravame in quanto la società non risultava essere iscritta nell’albo speciale degli autotrasportatori e non esercitava attività di autotrasporto neanche di fatto.
La società proponeva ricorso per cassazione e questa Corte, con sentenza 21376/2020, depositata il 6.10.2020, rigettava il ricorso.
La società ha proposto ricorso per la revocazione della sentenza suddetta.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Entrambe le parti depositano memoria.
CONSIDERATO CHE
La ricorrente, a fondamento del ricorso per revocazione propone i seguenti motivi: con il primo deduce la mancata percezione della formazione di precedente giudicato che aveva accertato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della negata agevolazione; con il secondo lamenta « omessa pronuncia sulla denunciata violazione dell’art. 53, comma 1, D.lgs.
546/1992» , in quanto la Corte aveva dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, sul rilievo che si sarebbe denunciata l’omessa pronuncia su una questione pregiudiziale di rito (eccezione di mancata specificità dei motivi d’appello), quando, invece, si era censurata anche la violazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546/1992; con il terzo denuncia un errore di fatto nell’esame del quarto motivo di ricorso relativo all’omesso contraddittorio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 391 bis, comma 1, e 395 n.4 c.p.c., rigettato sul rilievo che la contribuente avrebbe offerto una prova di resistenza del tutto generica cosicché « è sfuggito il fatto materiale che nella specie si tratta di accise, per le quali il tema della ‘prova di resistenza’ non si pone per nulla» ; in via subordinata, poi, deduce un quarto motivo, rubricato « Contrasto di giudicati, incostituzionalità ed incompatibilità con la normativa UE, riferita alla effettività della tutela giurisdizionale in materia di tributi armonizzati, dell’art. 391 bis c.p.c., nella parte in cui non richiama il n. 5 dell’art. 391 c.p.c. », con cui chiede, in sostanza, la disapplicazione dell’art. 391 bis c.p.c., che limita, con riguardo ai provvedimenti della Corte, la revocazione all’ipotesi di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c., e ciò al fine di ammettere la revocazione per contrasto di giudicati di cui all’art. 395 n. 5 c.p.c., in nome del principio unionale di effettività nella materia dei tributi armonizzati, come le accise, sollecitando, altrimenti, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ex art. 267 TFUE ovvero la proposizione di questione di legittimità costituzionale dell’art. 391 bis c.p.c. nella parte in cui non richiama l’art. 395 n. 5 c.p.c.
Il primo motivo di revocazione è inammissibile e comunque infondato.
3.1. Va osservato, in fatto, che la società aveva impugnato anche l’atto 281100 -452/2014 recante le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione di cui all’avviso di pagamento n. 2014/A/6221. La CTP di Napoli, con sentenza n. 642/2/2016,
aveva accolto questo ricorso della contribuente mentre la CTR della Campania, con sentenza n. 763/15/2017, aveva accolto il gravame dell’Ufficio. Anche contro questa sentenza è stato proposto ricorso per cassazione, deciso con sentenza 21377/2020 deliberata contestualmente alla sentenza n. 21376/2020 alla medesima udienza del 4.10.2019: con la sentenza n. 21377/2020 la Corte, preso atto che l’appello erariale contro la sentenza n. 642/2/20156 della CTP di Napoli, notificata all’Agenzia il 16 marzo 2016, era tardivo, aveva accolto il primo motivo di ricorso cassando senza rinvio la sentenza impugnata. La ricorrente osserva che con la sentenza n. 21376/2020, contestuale alla n. 21377/2020, il medesimo Collegio aveva confermato la sentenza n. 10676/50/2016 della CTR, pronunciata il 30 maggio 2016, cioè quando era già passata in giudicato la sentenza n. 642/2/2016 della CTP la quale aveva accertato che la società, per il periodo in questione, aveva i requisiti in fatto per beneficiare del credito di imposta e aveva rispettato la procedura formale prevista per utilizzare il beneficio.
3.2. Tanto premesso, ostano all’accoglimento una serie di ragioni.
3.2.1. Come noto, secondo costante orientamento di questa Corte, in tema di revocazione delle pronunce della Corte di cassazione, l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni
al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte (tra le ultime, Cass. n. 20013 del 2024; Cass. n. 13109 del 2024; Cass. n. 4678 del 2022).
3.2.2. In questo caso l’errore è dedotto su un fatto (passaggio in giudicato della sentenza della CTP di Napoli, che aveva accertato la sussistenza dei requisiti dell’agevolazione, anteriormente alla pronuncia della sentenza della CTR della Campania, confermata dalla Corte, che ne aveva, invece, escluso la ricorrenza) che non era rilevabile dagli atti di causa, riguardando un altro giudizio.
3.2.3. Va rilevato, inoltre, che la sentenza di questa Corte che ha accertato la tardività dell’appello erariale, determinando la definitività della invocata sentenza della CTP, è successiva a quella oggetto di revocazione, perché pubblicata dopo ed è irrilevante che siano state deliberate in esito alla medesima udienza, perché ciò che conta è la pubblicazione, che determina l’esistenza del giudicato (Cass. n. 3752 del 2024).
3.2.4. Anche a voler dar rilievo decisivo alla trattazione dei due processi alla medesima udienza da parte dello stesso Collegio, va rilevato che non sono suscettibili di revocazione le sentenze della Corte di Cassazione per le quali si deduca come errore di fatto un errore che attiene alla valutazione di atti sottoposti al controllo della Corte stessa (come nella specie, in cui l’errore prospettato consisteva nell’omesso rilievo di un vincolo da giudicato esterno) -atti che, come tali, essa abbia dovuto necessariamente percepire nel loro significato e nella loro consistenza -poiché un tale errore può risolversi al più in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, in ogni caso qualificabile come errore di giudizio (Cass. n. 5326 del 2023). Infatti, il giudicato è assimilato agli elementi normativi (cfr. Cass. sez. un. n. 13916 del 2006; Cass. n. 21200 del 2009; Cass. n. 15339 del 2018). Il suo apprezzamento e la sua interpretazione sono effettuati (e devono essere effettuati) alla
stregua dell’esegesi delle norme. Gli eventuali errori a esso riferibili appartengono al novero della violazione di legge. Non sono suscettibili di revocazione le sentenze della Corte di cassazione per le quali si deduca come errore di fatto un errore che attiene alla valutazione di atti sottoposti al controllo della Corte stessa -atti che come tali essa abbia dovuto necessariamente percepire nel loro significato e nella loro consistenza -, poiché un tale errore può risolversi al più in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, in ogni caso qualificabile come errore di giudizio (v. già Cass. n. 4859 del 1998; Cass. n. 4145 del 1999; Cass. n. 4196 1999).
Il secondo motivo è inammissibile perché « In tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio di cui all’art. 391 bis c.p.c. presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione » (Cass. n. 10040 del 2022). In questo caso si tratta, al più, di erronea valutazione degli atti processuali laddove la Corte non ha colto « l’evidente intenzione » del ricorrente di denunciare sia l’omessa pronunzia sia l’inammissibilità dell’appello erariale, avendo espressamente manifestato l’« intenzione…di riproporre la censura…già operata nel precedente grado di giudizio ».
Il terzo motivo, invece, è inammissibile perché denuncia, in termini di errore di fatto, quel che, in realtà, sarebbe un errore di diritto: secondo la stessa ricorrente, infatti, il Collegio giudicante si sarebbe « incamminato su un percorso normativo sbagliato » e avrebbe ritenuto che « si stesse discutendo di tributi diversi dalle
accise». Si tratta, evidentemente, non di un errore percettivo sul fatto ma di una erronea interpretazione e valutazione riguardante istituti giuridici.
Infine, va disattesa la quarta questione.
6.1. In tema di revocazione delle pronunce della Corte di cassazione, l’omesso esame di sentenze, allegate nel giudizio di merito ed invocate quale giudicato esterno tra le parti su un punto decisivo della controversia, non è deducibile ai sensi dell’art. 395, n. 5), c.p.c., poiché l’art. 391 bis c.p.c. consente la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, entro il termine di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento, solo per errore materiale o di calcolo o per errore di fatto, ai sensi del n. 4) dell’art. 395 c.p.c. e non ai sensi del n. 5) del medesimo articolo (Cass. n. 23355 del 2023).
6.2. Quanto alla compatibilità di questa disciplina con il diritto unionale, va premesso che, come correttamente rilevato da Cass. n. 28528 del 2023, questa Corte ha valorizzato a più riprese l’esigenza di salvaguardare, proprio attraverso l’intangibilità del giudicato, la certezza dei rapporti ormai esauriti (Cass. n. 6486 del 2000; Cass. n. 3745 del 2002; Cass., sez. un., n. 3046 del 2007; Cass. n. 19495 del 2008). L’esigenza di stabilità dei rapporti è stata sottolineata anche dalla Corte Costituzionale (v. tra le altre Corte Cost. n. 330 del 1995), nonché più volte ribadita dal Giudice sovranazionale che, in materia fiscale, ha ritenuto pienamente compatibili con l’ordinamento comunitario la fissazione, da parte degli Stati membri, di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto, a tutela sia del contribuente sia dell’amministrazione interessata (CGUE, 16 dicembre 1976, C-33/76, Rewe, punto 5; CGUE, 1 luglio 1997, C261/95, COGNOME, punto 28; CGUE, 17 luglio 1997, C-90/94,
RAGIONE_SOCIALE; CGUE, 17 novembre 1998, C228/96, Aprile s.r.l.; CGUE, 21 gennaio 2010, C 472/08, RAGIONE_SOCIALE.
6.3. La stessa Corte di giustizia ha osservato che il carattere fondamentale del ‘principio della autorità della cosa giudicata’ anche nell’ordinamento comunitario, tale per cui deve essere salvaguardata l’esigenza di garanzia della stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, comporta che « le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili, o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi, non possano più essere rimesse in discussione » (CGUE, 30 settembre 2003, C224/01, COGNOME; CGUE, 16 marzo 2006, C-234/04, COGNOME; Corte Giust., 3 settembre 2009, C-2/08, Olimpiclub), essendo stato in proposito perentoriamente puntualizzato che « Il diritto comunitario non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione » (cfr. CGUE, COGNOME, cit., punto 22; Corte Giust., RAGIONE_SOCIALE, cit., punto 23)» (e da ultimo anche CGUE, 4 marzo 2020, C-34/19, Telecom Italia s.p.a.), « rimanendo solamente escluso, con specifico riferimento ai giudizi tributari, che il vincolo di tale giudicato (violativo del diritto comunitario) possa esplicare effetto oltre la causa decisa, estendendosi anche ad altri giudizi in cui si controverta delle medesime questioni di diritto ma in relazione a differenti anni d’imposta » (cfr. CGUE, RAGIONE_SOCIALE, cit., punti 29-32). In buona sostanza, per il diritto unionale, il ‘ principio della autorità della cosa giudicata ‘ e, quindi, l’intangibilità del giudicato opera soltanto con riferimento alla decisione non più impugnabile ma non può estendersi ad altri giudizi allorquando il giudicato si ponga in contrasto con il diritto unionale o con le sentenze della CGUE, come da questa reiteratamente affermato (cfr. CGUE, 13 gennaio 2004, C-453/00, Kuhne & Heitz; 16 marzo 2006, C-234/04, Kapferer;
CGUE, 12 febbraio 2008, C-2/06, Kempter; CGUE, 3 settembre 2009, C-2/08, Fall. Olimpiclub; CGUE, 6 ottobre 2009, C40/08, Asturcom Telecomunicaciones; CGUE, 13 marzo 2008, RAGIONE_SOCIALE e a.; CGUE, 16 luglio 2020, C-424/19, Cabinet de avocat UR).
6.4. In particolare, in tale ultima pronuncia, la Corte di giustizia unionale ha affermato: « In assenza di una normativa dell’Unione in materia, le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi. Esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né essere strutturate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenze del 3 settembre 2009, RAGIONE_SOCIALE, C-2/08, EU:C:2009:506, punto 24; del 10 luglio 2014, RAGIONE_SOCIALE, C-213/13, EU:C:2014:2067, punto 54, e del 4 marzo 2020, Telecom Italia, C-34/19, EU:C:2020:148, punto 58) » (punto 25); – per « l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali al fine di garantire tanto la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici quanto una buona amministrazione della giustizia », « le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possno più essere rimesse in discussione» (punto 22), salvo che «le norme procedurali interne applicabili prevedano la possibilità, a determinate condizioni, per il giudice nazionale di ritornare su una decisione munita di autorità di giudicato, per rendere la situazione compatibile con il diritto nazionale », perché in tal caso « tale possibilità deve essere esercitata, conformemente ai
principi di equivalenza e di effettività, e sempre che dette condizioni siano soddisfatte, per ripristinare la conformità della situazione controversa al diritto dell’Unione (sentenza dell’11 settembre 2019, Călin, C -676/17, EU:C:2019:700, punto 29 e giurisprudenza citata) » (punto 26).
6.5. L’efficacia espansiva del giudicato trova un limite insuperabile nell’interpretazione erronea del diritto dell’Unione contenuta nella statuizione che la contenga e che abbia autorità di giudicato; invero, « laddove la decisione giurisdizionale divenuta definitiva sia fondata su un’interpretazione erronea delle norme dell’Unione » (nel caso esaminato dalla sentenza citata, in materia di IVA), « la non corretta applicazione di tali norme si riprodurrebbe per ciascun nuovo esercizio fiscale, senza che sia possibile correggere tale erronea interpretazione (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2009, RAGIONE_SOCIALE, C-2/08, EU:C:2009:506, punto 30) » (punto 32), sicché « ostacoli di tale portata all’applicazione effettiva delle norme del diritto dell’Unione non possono essere ragionevolmente giustificati dal principio della certezza del diritto e devono essere dunque considerati contrari al principio di effettività (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2009, RAGIONE_SOCIALE, C-2/08, EU:C:2009:506, punto 31) » (punto 33).
6.6. Traendo le fila di questo discorso, con riferimento al diritto unionale il principio di effettività limita l’autorità del giudicato al fine di evitare che si riproduca « un’interpretazione erronea delle norme dell’Unione» per diversi esercizi fiscali, ma nel caso in esame non si tratta tanto di non corretta interpretazione di norme unionali quanto di accertamenti di fatto contrastanti in relazione alla medesima vicenda. Il caso va risolto, in ossequio al principio di equivalenza, secondo le « norme procedurali interne applicabili» e questa Corte ha già affermato che « L’inammissibilità della revocazione delle decisioni della Corte di cassazione ai sensi
dell’art. 395 n. 5 c.p.c. non si pone in contrasto – oltre che con i principi di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost. – con il diritto dell’Unione europea, non recando alcun “vulnus” al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, atteso che la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia riconosce l’importanza del principio della cosa giudicata, rimettendone la concreta attuazione all’autonomia processuale dei singoli Stati membri» (Cass. n. 8630 del 2019; v. anche Cass. sez. un. n. 30994 del 2017; Cass. sez. un. n. 23833 del 2015; Cass. n. 13117 del 2025).
6.7. Il consolidato e convincente quadro giurisprudenziale esclude la necessità di ricorrere al rinvio pregiudiziale in relazione a ll’art. 395 n. 5 c.p.c. evocata in ricorso e ribadita in memoria ed esclude altresì i presupposti per sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 391 bis c.p.c. per contrasto con l’art. 6 della CEDU, pure evocata in ricorso e ribadita in memor ia. A quest’ultimo riguardo, si è anche di recente sottolineato (Cass. n. 7581 del 2025), la «non ulteriore impugnabilità in generale» risponde all’esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme della Carta fondamentale e della CEDU, di conseguire l’immutabilità e definitività della pronuncia all’esito di un sistema variamente strutturato.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 25/02/2025.