Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13109 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13109 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7098/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende ope legis
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
avverso SENTENZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 15314/2015 depositata il 21/07/2015; Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/03/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE
la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, con la sentenza n. 166/39/09, depositata in data 2 marzo 2009 e non notificata, respingeva l’appello dell’Ufficio confermando la decisione n. 59/03/06 della Commissione Tributaria Provinciale di Latina che aveva accolto il ricorso proposto da COGNOME NOME avverso la cartella esattoriale n. 097200502026857; cartella con cui l’RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto il pagamento dell’imposta di registro in relazione alla vendita di un terreno in Formia (LT) fatta in vita dalla madre NOME, con rogito in data 18 settembre 1991;
1.1. la C.T.R. rigettava l’eccezione sollevata dall’Ufficio secondo cui il ricorso del contribuente avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile perché la cartella non sarebbe stata impugnata per vizi propri, osservando, in senso contrario, che il riferimento alla sentenza passata in autorità di giudicato n. 492/02/97 contenuto nell’impugnata cartella doveva ritenersi «non conferente» perché la detta sentenza riguardava il valore del terreno ai fini INVIM, con la conseguente «erronea indicazione dell’atto presupposto»;
contro la sentenza della C.T.R. l’Ufficio proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resistevano NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME frattanto deceduto, ricorso rigettato da questa Corte con sentenza n. 15314/2015;
2.1. con il primo motivo l’Ufficio aveva censurato la sentenza denunciando in rubrica insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., nella sostanza lamentando che la C.T.R.
avesse ritenuto ‘apoditticamente’ che in merito “all’indicazione della sentenza n. 492 andava rilevato che tale sentenza riguardava il valore del terreno ai fini INVIM” mentre secondo l’Ufficio la C.T.R. «avrebbe invece dovuto spiegare l’iter logico attraverso il quale era giunta a ritenere che la prima sentenza resa inter partes , sentenza della C.T.P. n. 492/02/97, passata in giudicato, avesse riguardato l’accertamento di valore ai soli fini INVIM;
2.2. con il secondo motivo l’RAGIONE_SOCIALE aveva denunciato la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma n. 4 cod. proc. civ., deducendo che la C.T.R., laddove aveva affermato che «mentre per quanto riguardava l’imposta di registro, dovuta dalla parte acquirente, nulla era dovuto essendo stato ritenuto congruo il valore in secondo grado e tale sentenza è passata in giudicato», aveva operato un’indebita «estensione alla controparte, erede della venditrice del fondo in tassazione, del favorevole giudicato ottenuto dai coobbligati acquirenti all’esito di un diverso giudizio proposto avverso l’accertamento di valore». Secondo l’Ufficio, difatti, il contribuente «non aveva riproposto (né peraltro aveva mai proposto nel giudizio di primo grado) alcuna eccezione avente ad oggetto l’opposizione ex art. 1306 cod.civ. del giudicato ottenuto dai coobbligati. Un più favorevole giudicato che, continuava l’Ufficio, la C.T.R. in mancanza di apposite domanda ed allegazione aveva anche attinto da scienza propria, in patente violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.»;
3. in ordine al primo motivo la Suprema Corte, con la richiamata sentenza, osservava testualmente che: «la mancanza di trascrizione della motivazione della sentenza n. 492/02/07 non permette a questa Corte la preliminare verifica del contenuto della stessa e, in particolare, se la statuizione corrisponde a quanto asserito dall’Ufficio. Trattasi invero di un difetto di autosufficienza che non permette alla Corte alcun esercizio nomofilattico, perché il fatto
indicato dall’RAGIONE_SOCIALE non è riscontrabile e quindi non accertabile la sua decisività ….»;
3.1. in relazione al secondo motivo di ricorso, precisava che lo stesso non coglieva la ratio decidendi dell’impugnata sentenza, che non era stata affatto quella di estendere il più favorevole giudicato ottenuto dagli acquirenti, bensì quella di affermare l’inesistenza nei confronti del contribuente di un prodromico avviso di accertamento che avesse determinato il valore dell’imponibile ai fini dell’imposta di registro; la quale imposta di registro, secondo i giudici di appello, sarebbe stata invece accertata nei confronti dei compratori, che peraltro l’avrebbero anche pagata per intero, sicché nulla era più dovuto dagli eredi della venditrice;
contro detta sentenza ha proposto ricorso per revocazione, affidato ad un unico motivo, l’RAGIONE_SOCIALE;
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, hanno resistito con controricorso, depositando successiva memoria;
CONSIDERATO CHE
con il proposto ricorso parte ricorrente deduce errore di fatto rilevante ex art. 395, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., consistito nella circostanza che la Suprema Corte aveva erroneamente presupposto che il contenuto della sentenza n. 492/02/97, non fosse stato riportato nel ricorso per cassazione mentre tale contenuto, per come desumibile dagli atti, era invece stato riportato;
il ricorso è da ritenere inammissibile per le ragioni appresso specificate;
2.1. invero l’ammissibilità dell’istanza di revocazione di una pronuncia di questa Corte presuppone un errore di fatto riconducibile all’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. e, dunque, un errore di percezione, o una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti invece incontestabilmente escluso (o accertato) in base agli atti e ai
documenti di causa ( ex multis , Cass. sez. V, 11 gennaio 2018, n. 442). L’errore revocatorio postula il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, l’una desumibile dalla sentenza e l’altra dagli atti e dai documenti processuali, e non concerne un fatto che sia stato discusso dalle parti e quindi trattato nella pronuncia del giudice. Il discrimine tra l’errore revocatorio e l’errore di diritto risiede nel carattere meramente percettivo del primo e nell’assenza di quell’attività di valutazione che rappresenta, per contro, l’indefettibile tratto distintivo del secondo (Cass., S.U., 27 novembre 2019, n. 31032). Ne consegue che l’errore revocatorio «non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, deve consistere in un errore di percezione e deve avere rilevanza decisiva, oltre a rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi» (Cass., sez. VI-1, 26 gennaio 2022, n. 2236, punto 3);
2.2. posto che l’ ufficio lamenta un asserito ‘errore’ in ordine al ritenuto difetto di autosufficienza del ricorso in ragione della circostanza che la Corte non avrebbe considerato che il contenuto della sentenza n. 492/02/97, ‘per come desumibile dagli atti’ era stato riportato, appare evidente che la lamentata errata valutazione di cui alla motivazione della sentenza impugnata, quanto al contenuto degli atti di parte, si risolverebbe a tutto concedere in un errore di giudizio, che non può essere dedotto come vizio revocatorio; ciò sulla scorta del condivisibile orientamento secondo cui non può essere motivo di revocazione l’errata valutazione espressa in ordine alla cosiddetta autosufficienza del ricorso, perché in tal caso l’errore che si prospetta non è di fatto bensì, eventualmente, di diritto in quanto strettamente collegato
all’interpretazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., nella parte in cui prescrive che nel ricorso sia contenuta la «specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda» (cfr. Cass. n. 20635/2017, n. 29750/2022 n. 14950/2022);
2.3 dal tenore sostanziale della motivazione posta a base della pronuncia di cui si chiede la revocazione, si evince come la Corte abbia ritenuto che la motivazione della sentenza Commissione Tributaria Provinciale non fosse stata trascritta nella sua integrità e completezza; requisiti, questi ultimi, funzionalmente dalla Corte ‘valutati’ in rapporto all’idoneità (inidoneità) dello st ralcio a consentire, con i caratteri di immediatezza e concentrazione propri del giudizio di legittimità, la risoluzione del punto controverso, costituito dalla riferibilità della pronuncia all’I nvim ovvero all’imposta di registro;
2.4. la doglianza come prospettata non può, dunque, trovare ingresso in questa sede, deputata a porre rimedio ai soli errori di fatto. Con riferimento al caso in esame appaiono pertinenti le considerazioni che questa Corte ha svolto, nel dichiarare inammissibile un ricorso per revocazione che «non denuncia un preteso errore di fatto che abbia determinato l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, ma censura l’interpretazione di quest’ultimo e la declinazione che ne ha fatto l’impugnata ordinanza di legittimità nell’applicarlo al caso di specie, in particolare per aver ritenuto indispensabile, a pena d’inammissibilità, anche la “trascrizione”, nei motivi del ricorso per cassazione, del “contenuto della perizia di parte”, senza mettere in dubbio che tale trascrizione non sia effettivamente avvenuta» (Cass., sez. V, 3 maggio 2022, n. 13989, punto 5.1.);
2.5. il motivo, in ultima analisi, dev’essere dichiarato inammissibile alla stregua del seguente principio di diritto: «È inammissibile il ricorso per revocazione che, dietro la asserita allegazione di un
errore di fatto rilevabile all’ evidenza e in maniera incontrovertibile alla luce RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa (nella specie, l’erronea supposizione della mancata riproduzione del contenuto di una sentenza), censuri, ai sensi degli artt. 391bis , primo comma, e 395, n. 4, cod. proc. civ., l’interpretazione che il provvedimento impugnato, sulla scorta di un’esatta percezione dei fatti, abbia dato del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che è corollario del principio di specificità sancito dall’art. 366, primo comma, n. 6, del codice di rito, dovendosi, viceversa, ritenere ammissibile il rimedio ex art. 391-bis cod. proc. civ. nella diversa ipotesi in cui l’errore di fatto circa la non autosufficienza del ricorso emerga ictu oculi e in maniera incontrovertibile, come nell’ ipotesi in cui il Collegio non abbia preso contezza della integrale trascrizione dell’ atto risultante dal ricorso o della sua effettiva allegazione»;
va dichiarata, in conclusione, l’ inammissibilità del ricorso;
3.1. le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di questo giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, se dovuti;
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data