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Reverse charge sanzioni: onere della prova sul cedente

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18418/2024, ha stabilito che in caso di contestazioni sulle sanzioni per l’errata applicazione del reverse charge, spetta al contribuente che ha emesso la fattura dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione di tale regime speciale. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva erroneamente addossato l’onere della prova all’Agenzia delle Entrate, ribadendo che l’inversione contabile è una deroga al principio generale IVA e chi se ne avvale deve provarne la legittimità.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Reverse Charge e Sanzioni: la Cassazione stabilisce l’onere della prova a carico del contribuente

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione è intervenuta su un tema cruciale in materia di IVA: l’applicazione del reverse charge e le sanzioni connesse. La decisione chiarisce in modo definitivo a chi spetti l’onere di provare la legittimità del ricorso a tale regime speciale. Secondo i giudici, questo compito ricade interamente sul contribuente che emette la fattura, e non sull’Amministrazione finanziaria che contesta l’operazione. Analizziamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una ditta edile. L’Amministrazione contestava l’indebita applicazione del regime del reverse charge per prestazioni rese nell’ambito di contratti di global service. Secondo l’Agenzia, tali operazioni non rientravano tra quelle edili soggette a inversione contabile, ma costituivano prestazioni di servizi da assoggettare al regime IVA ordinario. Di conseguenza, veniva richiesto il versamento della maggiore IVA dovuta per l’anno 2013, oltre a pesanti sanzioni.

Nei primi due gradi di giudizio, le Commissioni Tributarie avevano dato ragione al contribuente, annullando la pretesa fiscale. I giudici di merito avevano ritenuto che l’onere di dimostrare il mancato versamento dell’IVA da parte del committente (soggetto su cui ricade l’obbligo nel reverse charge) spettasse all’Agenzia delle Entrate. Poiché tale prova non era stata fornita, la ripresa fiscale era stata annullata e le sanzioni ridotte al minimo.

La Decisione della Cassazione e le sanzioni per il reverse charge

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ribaltando completamente le decisioni precedenti. Il ragionamento della Suprema Corte si fonda su principi cardine del diritto tributario, con particolare riferimento alla natura del meccanismo del reverse charge.

L’Onere della Prova nel Reverse Charge

Il punto centrale della sentenza è l’affermazione secondo cui il reverse charge costituisce una deroga al principio generale secondo cui è il cedente o prestatore a essere debitore d’imposta. Essendo un regime eccezionale, la cui ratio è contrastare le frodi IVA in settori specifici, chi decide di avvalersene deve essere in grado di dimostrare in modo inequivocabile la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi richiesti dalla legge.

La Corte applica il cosiddetto principio di vicinanza della prova: è il contribuente, e non l’Agenzia, ad avere la disponibilità materiale di tutta la documentazione (contratti, capitolati, etc.) necessaria a dimostrare la natura dell’operazione e, quindi, la correttezza della scelta fiscale. Pertanto, in caso di contestazione, l’onere probatorio non può che gravare su di lui.

Le Sanzioni per Errata Applicazione

La sentenza interviene anche sulla corretta applicazione delle sanzioni. I giudici di merito avevano ridotto la sanzione al minimo edittale previsto per le ipotesi di “concorde errore” (art. 6, comma 9-bis.2, D.Lgs. 471/1997). Tuttavia, la Cassazione ha evidenziato una palese contraddizione: tale norma presuppone che l’imposta, sebbene in modo errato, sia stata comunque assolta dal cessionario/committente. Nel caso di specie, non solo mancava la prova di tale assolvimento, ma i giudici stessi ne avevano definito l’esistenza come “sostanzialmente incerta”. Di conseguenza, non era possibile applicare quel regime sanzionatorio di favore.

Le Motivazioni

La Suprema Corte motiva la propria decisione sottolineando come il meccanismo del reverse charge sia uno strumento di natura eccezionale, introdotto per finalità antifrode. Tale eccezionalità impone un’interpretazione rigorosa e un onere probatorio a carico di chi ne beneficia. Affermare il contrario, ovvero addossare l’onere della prova all’Amministrazione finanziaria, significherebbe vanificare la ratio della norma e creare un’ingiustificata inversione dei principi generali del processo tributario. La Corte ha ritenuto illogica e giuridicamente errata la sentenza impugnata, la quale, pur riconoscendo l’incertezza sull’avvenuto versamento dell’imposta da parte del committente, aveva concluso per l’illegittimità della pretesa erariale. Questa contraddizione, unita alla violazione delle regole sull’onere della prova, ha portato alla cassazione della decisione con rinvio al giudice di secondo grado per un nuovo esame della controversia.

Le Conclusioni

La sentenza 18418/2024 della Corte di Cassazione rappresenta un monito fondamentale per tutti gli operatori economici, specialmente nel settore edile. Chi applica il regime del reverse charge deve agire con la massima diligenza e dotarsi di tutti gli elementi probatori idonei a dimostrare, senza ombra di dubbio, la correttezza del proprio operato. In caso di accertamento fiscale, non sarà sufficiente invocare la buona fede o l’incertezza normativa: sarà necessario provare concretamente che la natura dell’operazione rientrava a pieno titolo tra quelle soggette a inversione contabile. In assenza di tale prova, il rischio è quello di subire il recupero dell’imposta e l’applicazione di significative reverse charge sanzioni.

A chi spetta l’onere della prova in caso di contestazione sull’applicazione del reverse charge?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di provare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione del regime del reverse charge spetta al contribuente (cedente/prestatore) che ha emesso la fattura con tale modalità, in base al principio di vicinanza della prova.

Perché il meccanismo del reverse charge è considerato un regime eccezionale?
È considerato un’eccezione perché deroga alla regola generale dell’IVA, secondo cui il debitore d’imposta è chi effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi. La sua funzione è quella di prevenire le frodi fiscali in settori considerati a rischio, trasferendo l’obbligo del versamento dell’imposta sul cliente.

Quando si applica la sanzione fissa ridotta in caso di errore sull’applicazione del reverse charge?
La sanzione in misura fissa per “concorde errore” (prevista dall’art. 6, comma 9-bis.2, del D.Lgs. n. 471/1997), si applica quando l’IVA è stata erroneamente assolta dal cessionario/committente anziché dal cedente/prestatore, ma a condizione che sia data la prova che l’imposta sia stata effettivamente versata all’erario. In assenza di tale prova, questa sanzione più mite non è applicabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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