Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32985 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32985 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
Oggetto: reverse charge
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 8033/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma, INDIRIZZO (PEC:
);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dall’avv. prof. NOME COGNOMEcon indirizzo PEC ) con domicilio eletto presso l’avv. NOME COGNOME con indirizzo PEC:
4;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 8155/34/2014 depositata in data 26/09/2014;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 26/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-la società contribuente impugnava l’atto di contestazione notificatole a seguito della verifica fiscale subita con il quale era contestato l’irregolare adempimento iva per importazioni nel corso dell’anno 2008 di energia elettrica dall’estero, con applicazione di sanzioni per omessa auto fatturazione di cui all’art. 17 comma 3 del d.P.R. n. 633 del 1972 riguardante il meccanismo del ‘reverse charge’;
-la CTP accoglieva il ricorso annullando l’atto impugnato;
-appellava l’Ufficio;
-con la pronuncia impugnata il giudice dell’impugnazione ha confermato la statuizione di primo grado poiché ha ritenuto che il deficit formale dei documenti non impedisca la corretta ricostruzione dei rapporti economici e dei comportamenti posti in essere dei contribuenti; in particolare il fatto che il meccanismo del ‘reverse charge’ dia luogo con la contemporanea registrazione l’autofattura nel registro delle vendite nel registro degli acquisti alla neutralizzazione del debito iva scongiura in re ipsa il comportamento fraudolento; inoltre il tributo in questo caso risulta secondo la correttamente integralmente addebitato nella successiva operazione di rivendita quindi il gettito dell’operazione non è stato vulnerato;
-alla luce di ciò il giudice del merito ha quindi ritenuto -in sostanza -meramente formale la violazione commessa;
-ricorre a questa Corte l’Agenzia delle entrate con atto affidato a un solo motivo di ricorso; resiste la società contribuente con controricorso;
Considerato che:
-vanno preliminarmente disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso; le stesse sono infondate in quanto il motivo proposto pone in realtà una questione di diritto e ne risulta quindi possibile lo scrutinio;
-venendo quindi all’esame della sola censura dedotta dall’Amministrazione finanziaria, la stessa si incentra sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 7 c. 2 e c. 3, 17, c. 3 del d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 6 del d. Lgs. n. 471 del 1997, nonché dell’art. 10 L. 12 del 2000, e 6 c. 5 bis del d. Lgs. n. 472 del 1997 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere erroneamente ritenuto il giudice dell’appello che la condotta concretamente attuata dalla contribuente non fosse sanzionabile in quanto costituente mera violazione formale, non comportante quindi alcuna evasione di imposta;
-il motivo è fondato;
-va premesso che anche secondo la giurisprudenza unionale, in caso di inosservanza degli obblighi contabili nel sistema di ‘reverse charge’, debbano essere comunque irrogate le sanzioni, trattandosi di violazioni non aventi natura meramente formale, in quanto possono alterare i risultati della dichiarazione e pregiudicare un’efficace azione di controllo;
-occorre evidenziare che anche la Corte di Giustizia ha ritenuto che il regime di ‘autoliquidazione’ (istituito già con l’art. 21, par. 1, lett. d), direttiva n. 77/388/CEE) fosse idoneo ad assicurare la neutralità dell’imposizione, senza perdita del diritto di detrazione, sempreché gli obblighi sostanziali siano soddisfatti, e ciò anche se taluni obblighi formali sono stati invece omessi dai soggetti passivi (Corte di Giustizia, sentenza
11 dicembre 2014, in C-590/13, RAGIONE_SOCIALE, sentenza 17 luglio 2014, in C-272/13, Equoland; da ultimo, sentenza 18 marzo 2021, in C-895/19, RAGIONE_SOCIALE Skarbowej), restando però salva la possibilità per il legislatore nazionale di «corredare gli obblighi formali dei soggetti passivi di sanzioni tali da incoraggiare questi ultimi a rispettare detti obblighi al fine di assicurare il corretto funzionamento del sistema dell’IVA», ferma la necessaria osservanza di criteri di proporzionalità (Corte di Giustizia, sentenza 26 aprile 2017, in C-564/15, NOME Farkas, par. 59 e ss.; sentenza 2 luglio 2020, in C-835/18, RAGIONE_SOCIALE;
-come si evince poi dagli svariati interventi di questa Corte sul tema ( ex multis Cass. n. 16450 del 10/06/2021; più di recente Cass. 27278/2023) le violazioni sono sostanziali se incidono sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento, sono formali se pregiudicano l’esercizio delle azioni di controllo, pur non incidendo sulla base imponibile, sull’imposta o sul versamento, e sono meramente formali se non influiscono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, né arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo;
-in particolare, ai fini della distinzione tra violazioni formali e violazioni meramente formali, è stato affermato che la valutazione «deve essere eseguita alla stregua dell’idoneità ex ante della condotta a recare il detto pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, previo inquadramento della condotta stessa nel paradigma normativo di riferimento» (Cass. n. 28938 del 17/12/2020; Cass. n. 16450 del 10/06/2021) e, dunque, deve essere operato un giudizio in astratto che pone in relazione il bene giuridico tutelato e la fattispecie giuridica alla quale va ricondotta la specifica trasgressione;
-per quanto riguarda la disciplina sanzionatoria in materia di autofatturazione e ‘reverse charge’ (regolato dall’art. 17 del d.P.R. n. 633 del 1972 e previsto anche per le operazioni come quella in esame), occorre ricordare che si tratta di un regime contabile che addossa ai destinatari della fattura, ossia ai committenti/cessionari (che diventano soggetti passivi dell’imposta) l’obbligo di assolvere l’IVA sull’operazione e, attraverso un meccanismo contabile (di doppia registrazione della fattura nel registro delle vendite e in quello degli acquisiti), riconosce loro il diritto di detrazione per un pari importo, per cui nessun pagamento è in concreto dovuto all’erario e, dunque, non si verifica, in linea di principio, alcun omesso versamento dell’imposta;
-è quindi ben vero che l’applicazione dell’iva non ha avuto luogo né doveva avere luogo; nondimeno tale tema è del tutto inconferente l’argomento del decidere, dal momento che non si discute del tributo ma del corretto adempimento da parte della società contribuente agli obblighi di corretta tenuta delle scritture contabili e di emissione dei documenti;
-la violazione degli obblighi inerenti al regime d’inversione contabile (o ‘reverse charge’) era regolata, fino al 31 dicembre 2007, dalla disposizione generale di cui all’art. 6, comma 1, del d. Lgs. n. 471 del 1997, per la quale «chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il cento e il duecento per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio». A questa disposizione si giustapponeva quella contenuta nel comma 5 bis dell’art. 6 del d. Lgs. n. 472 del 1997 secondo la quale «non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio
all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile’ dell’imposta e sul versamento del tributo». L’art. 1, comma 155, I. n. 244 del 2007, ha poi introdotto, con vigenza dal 10 gennaio 2008, il comma 9 -bis all’art. 6 del d. Lgs. n. 471 del 1997, che, nella sua formulazione originaria, irrogava la medesima sanzione prevista dal comma 1 al cessionario o committente che «non assolve l’imposta relativa agli acquisti di beni o servizi mediante il meccanismo dell’inversione contabile», e introduceva una sanzione. meno gravosa (pari al 3%) ove l’imposta fosse stata assolta ancorché irregolarmente;
-l’individuazione della norma applicabile esige la qualificazione della violazione, per accertarne la natura sostanziale, formale, o meramente formale, al fine di verificarne la sanzionabilità, e la commisurazione della relativa sanzione. In base alla combinazione degli artt. 10, comma 3, della L. 212 del 2000 e 6, comma 5 -bis, del d. Lgs. n. 472 del 1997, le violazioni tributarie possono essere sostanziali, se incidono sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento, formali, se pregiudicano l’esercizio delle azioni di controllo pur non incidendo sulla base imponibile, sull’imposta o sul versamento, oppure meramente formali, perché non influenti sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo e non arrecanti pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo; solo tali ultime violazioni non sono punibili per inoffensività, dovendo la valutazione concreta circa la natura formale o meramente formale della violazione compiersi in base all’idoneità ex ante della condotta a recare detto pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo. (Cass. 17 dicembre 2020, n. 28938). Sicché, si è specificato (Cass. 10 giugno 2021, n. 16450), la distinzione tra violazioni formali e violazioni meramente formali va calibrata sulla relazione tra il
bene giuridico tutelato e la fattispecie giuridica alla quale va ricondotta la specifica trasgressione, dunque con valutazione ex ante; laddove quella tra violazioni formali e violazioni sostanziali risente dell’accertamento in concreto della produzione di un danno erariale, scaturente dal fatto che la condotta abbia inciso sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o del versamento del tributo;
-tale conclusione trova riscontro anche nella previsione di una procedura di regolarizzazione in caso di fatturazione omessa od irregolare, la cui effettività è strettamente correlata alla possibilità per l’Amministrazione finanziaria di un immediato controllo delle operazioni;
-nessuna distonia sussiste, d’altronde, tra l’art. 10, comma 3, della L. n. 212 del 2000 e l’art. 6, comma 5 -bis, del d. Lgs. n. 472 del 1997. Seppure la prima definizione di violazione formale risalga all’art. 10, comma 3, della L. n. 212 del 2000, che l’ha qualificata come «…mera violazione formale senza alcun debito d’imposta», proprio la portata eccessivamente ampia della norma, capace d’includere nel proprio ambito anche violazioni idonee a ostacolare o addirittura ad impedire l’esercizio delle attività di controllo del fisco, ha indotto il legislatore a precisarne la portata, profittando dell’art. 16 dello stesso statuto dei diritti del contribuente, che gli consentiva di emanare disposizioni correttive, operazione compiuta col d. Lgs. n. 32 del 2001, che, nel secondo periodo della premessa, richiama esplicitamente l’art. 16 cit. (così, in motivazione, Cass. 15 luglio 2015, n. 14767);
-l’art. 7, comma 1, lett. a), del d. Lgs. 32 cit. ha, quindi, precisato e circoscritto la portata della norma dello statuto del contribuente là dove, introducendo il comma 5-bis dell’art. 6 del d. Lgs. n. 472 del 1997, ha stabilito che l’esclusione della punibilità sia limitata alle violazioni che non arrecano
pregiudizio all’esercizio dell’attività di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo. Ne deriva, dunque, l’unicità e l’univocità della disciplina per la individuazione delle violazioni meramente formali in quelle carenti di entrambi i requisiti (lesione alle azioni di controllo; non influenza sulla determinazione dell’imponibile);
-è allora, indubitabile che la violazione commessa nel caso in esame non abbia natura meramente formale. Il sistema dell’inversione contabile è sistema di assolvimento dell’iva, che non incide sulla struttura del tributo, sicché l’operazione soggetta a inversione contabile è imponibile (in termini, tra le più recenti, Cass. 14 gennaio 2020, nn. 529 e 530, punto 4.1.), con l’osservanza delle formalità e dei tempi stabiliti dallo Stato membro (tra varie, Corte di giustizia, sentenza 11 aprile 2019, causa C-691/17, Építési Kft., punto 33). In base a queste formalità, dettate dall’art. 17 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, la fattura è emessa dal cedente senza addebito d’imposta, secondo le disposizioni degli artt. 21 e seg. del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dunque «…al momento di effettuazione dell’operazione determinata a norma dell’art. 6», e con l’indicazione che si tratta di operazione con iva non addebitata in via di rivalsa ed è integrata dal cessionario, che diviene soggetto passivo, con l’indicazione dell’aliquota e dell’imposta, per essere, poi, rapidamente registrata – sempre a norma del richiamato art. 17 – nel registro delle vendite dal cessionario, il quale in tal modo assolve l’obbligo di pagamento del tributo, detratto con la parallela annotazione nel registro degli acquisti;
-nel caso in esame, allora, anzitutto v’è stato un vulnus all’azione di controllo, giacché il ritardo degli adempimenti non ha consentito all’Amministrazione Finanziaria, finché esso è durato, di controllare l’applicazione del regime determinando di
per sé un rischio di perdita fiscale dell’erario (per analogia, Corte di giustizia, sentenza 6 febbraio 2014, causa C-424/12, Fatorie, punto 38; ancora Corte di giustizia, sentenza 26 aprile 2017, causa C-564/15, Farkas, punto 46). Proprio con riguardo all’inosservanza di obblighi dichiarativi, si è reputata adeguata una sanzione d’importo elevato, in quanto volta a evitare che lo Stato membro di imposizione sia privato della possibilità di controllare efficacemente le condizioni di applicazione dell’imposta (Corte di Giustizia, grande sezione, 3 marzo 2020, causa C- 482/18, Google, punto 48);
-a conferma del fatto che le violazioni commesse in materia di adempimenti contabili connessi con il sistema di ‘reverse charge’ non possono ritenersi meramente formali, come sostiene la Commissione regionale, e, quindi, vanno sanzionate, occorre richiamare, anche ai fini dell’eventuale applicazione del principio del favor rei da parte del giudice del l’ultima modifica normativa della disciplina sanzionatoria in materia, introdotta dal d. Lgs. n. 158 del 2015, che ha previsto una ipotesi di carattere generale (art. 6, comma 9-bis riformulato e con un trattamento sanzionatorio più mite), a sua volta distinta in tre fattispecie distinte e autonome, e alcuni regimi speciali (in particolare, i commi 9 bis .1, 9 bis .2 e 9 bis.3, non rilevanti ai fini del presente giudizio), ‘con una sempre più chiara traslazione sul piano sanzionatorio della reazione dell’ordinamento all’illiceità della condotta e con il contestuale riconoscimento della possibilità di detrazione dell’imposta’ (Cass. n. 24561/2022);
-in applicazione dei principi sopra richiamati, il motivo di ricorso va, dunque, accolto;
-la sentenza impugnata è cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado
territorialmente competente in diversa composizione per nuovo esame;
p.q.m.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2024.