Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22483 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22483 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
Oggetto: Tributi
–
Accertamento -Cessione di oro usato – IVA -reverse charge
ordinanza
all’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO sul ricorso iscritto al n. 29948/2019 R.G. proposto da Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa d Portoghesi n. 12;
-ricorrente –
Contro
NOME COGNOME
-intimato – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, n. 322/06/2018, depositata il 7.06.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Ancona accoglieva il ricorso proposto da NOME COGNOME titolare dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME‘, avverso l’avviso di accertamento , in relazione all’anno 2010 , con il quale era stata recuperata l’IVA, a seguito del rilievo con
il quale era stata contestata l’illegittima applicazione del reverse charge ex art. 17, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione Tributaria Regionale delle Marche rigettava l’appello principale dell’Agenzia delle Entrate e dichiarava assorbito l’appello incidentale del contribuente osservando, per quanto qui rileva, che:
il meccanismo del reverse charge era applicabile nel caso in esame, atteso che il contribuente acquistava monili in oro usato e avariato per poi rivenderli ad imprese che svolgevano attività di lavorazione industriale o a società detentrici di marchi che utilizzano tali beni per formarne nuovi da immettere sul mercato con il proprio marchio;
l ‘Agenzia delle Entrate, sulla quale ricadeva il relativo onere, non aveva dimostrato che la cessionaria del COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE, svolgesse un’attività non solo di lavorazione industriale ma anche di commercio al minuto di preziosi, elemento questo che avrebbe escluso l’applicazione del meccanismo del reverse change , essendosi limitata a produrre solo una visura camerale;
se la autodichiarazione del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE (prodotta dal COGNOME), che escludeva l’esercizio di rivendita al minuto, di cui la predetta società non aveva nemmeno la licenza, non poteva costituire indizio in favore dell’appellato, neppure la visura camerale aveva valenza probatoria circa l’attività in concreto svolta dalla cessionaria, considerato anche l’ampio oggetto sociale in cui l’attività di rivendita al minuto risultava inserita ;
l ‘Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo;
NOME COGNOME rimaneva intimato.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo l’Agenzia ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ.,
7 d.lgs. n. 546/1992 e 17, commi 1 e 5, d.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per avere la CTR ritenuto che l’Ufficio non a vesse fornito la prova dell’insussistenza del diritto all’ applicazione del reverse charge , senza considerare che, trattandosi di un regime speciale, derogatorio rispetto a quello ordinario di determinazione dell’IVA ovvero quello del margine, gravava sul contribuente dimostrare la sussistenza dei presupposti per la sua adozione e, segnatamente, che gli oggetti d’oro acquistati da privati erano stati ceduti alla RAGIONE_SOCIALE per essere da questa effettivamente fusi; rileva come la CTR ha, invece, sovvertito le regole di ripartizione dell’onere probatorio affermando che l’Ufficio non aveva provato la concreta attività svolta dalla società cessionaria, sminuendo, peraltro, la valenza probatoria della visura camerale prodotta dall’Ufficio , che dimostrava, data l’ampiezza dell’oggetto sociale, la non esclusività dell’attività di fusione e di trasformazione industriale dell’oro d a parte della cessionaria, e dando rilievo probatorio ad una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, che non poteva costituire prova idonea del reale percorso dei beni ceduti fino alla loro fusione;
il motivo è fondato nei termini di seguito indicati;
-occorre premettere che l’art. 17, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo ratione temporis applicabile, stabilisce che « in deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all’art. 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d’oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l’indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal
cessionario con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all’articolo 25 ».
l’art. 1 della l. n. 7 del 2000, nel testo applicabile ratione temporis , prevede, inoltre, che « ai fini della presente legge con il termine “oro” si intende: a) l’oro da investimento, intendendo per tale l’oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell’oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli; le monete d’oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell’80 per cento il valore sul mercato libero dell’oro in esse contenuto, incluse nell’elenco predisposto dalla Commissione delle Comunità europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, serie C, nonché le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non ricomprese nel suddetto elenco; con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono stabilite le modalità di trasmissione alla Commissione delle Comunità europee delle informazioni in 5 merito alle monete negoziate nello Stato italiano che soddisfano i suddetti criteri; b) il materiale d’oro diverso da quello di cui alla lettera a), ad uso prevalentemente industriale, sia in forma di semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, sia in qualunque altra forma e purezza. »;
le richiamate disposizione normative interne sono conformi ed attuano le previsioni del diritto unionale e, in particolare, l’art. 198,
paragrafo 2, della direttiva 2006/112/CE, secondo il quale, « quando una cessione di materiale d’oro o di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi o una cessione di oro da investimento (…) è effettuata da un soggetto passivo (…), gli Stati membri possono designare l’acquirente come debitore dell’imposta»; e l’art. 199, paragrafo 1, secondo cui «Gli Stati membri possono stabilire che il debitore dell’imposta sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate le seguenti operazioni: (…) d) cessioni di materiali di recupero, di materiali di recupero non riutilizzabili in quanto tali, di materiali di scarto industriali e non industriali, di materiali di scarto riciclabili, di materiali di scarto parzialmente lavorati, di avanzi e determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi figuranti nell’allegato VI;… », il quale ultimo individua le « cessioni di rottami ferrosi e non ferrosi, avanzi e materiali di recupero, comprese le cessioni di semiprodotti ottenuti dalla trasformazione, dalla lavorazione o dalla fusione di metalli ferrosi non ferrosi e di loro leghe ».
-come ha chiarito anche la Corte di giustizia dell’UE, l’art. 198, paragrafo 2, della Direttiva Iva, nel consentire agli Stati membri di prevedere, nelle situazioni cui si riferisce, un meccanismo di inversione contabile in base al quale il debitore IVA è il soggetto passivo destinatario dell’operazione assoggettata a detta imposta, introduce un’eccezione al principio espresso dall’art. 193, secondo cui l’IVA è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni e una prestazione di servizi imponibile, sicché esso va interpretato in senso stretto, senza tuttavia essere privato di effetto (in tal senso Corte Giust., sentenze 13/6/2013, in causa C- 125/12, RAGIONE_SOCIALE, punti 23 e 31, e del 26/4/2017, in causa C564/15, Farkas ; Cass. n. 14999 del 2020);
– in considerazione del complessivo quadro normativo sopra citato, questa Corte ha avuto modo di affermare che, ai fini dell’applicazione del regime d’inversione contabile, la questione fondamentale non sta tanto nel fatto che il bene ceduto sia un prodotto semilavorato, quanto piuttosto che si tratti di un prodotto d’oro, rilevando il suo “tenore”, con la conseguenza che « è il livello di purezza dell’oro contenuto nel bene ad essere decisivo per determinare se una cessione d materiale d’oro o di prodotti semilavorati, come sopra intesi, rientri o no nell’ambito di applicazione dell’art. 198, paragrafo 2, della direttiva IVA» , come affermato dalla Corte giust., sentenza del 26 maggio 2016, C-550/14, Envirotec Denmark ApS, punto 42; ai fini dell’applicazione dell’art. 17, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, quindi, è necessario e sufficiente « che si tratti di prodotti non immediatamente destinati al consumo e che rispondano ai requisiti di purezza stabiliti dalla norma medesima » (Cass. n. 11109 del 2022); – ai fini del reverse charge non rileva, dunque, che l’attività di trasformazione del materiale d’oro o del semilavorato sia eseguita direttamente dal cessionario dell’operazione, costituendo requisiti fondamentali per la sua applicazione sia la purezza del prodotto d’oro – quale condizione prioritaria emergente, con tutta evidenza, dalla nozione di “materiale d’oro” e di “prodotto semilavorato” (la quale si presta di per sé soltanto ad escludere dal proprio ambito i prodotti finiti e i prodotti che non siano mai stati oggetto di lavorazione o di trasformazione), sia la non immediata destinazione al consumo del bene ceduto, in quanto deputato ad essere trasformato in un altro oggetto e a conoscere un nuovo ciclo economico (Cass. n. 11109/2022 cit.), a differenza di quanto previsto per il diverso regime del margine ex art. 311 della Direttiva Iva, riferito, viceversa, a prodotti di occasione e, dunque, a beni suscettibili di reimpiego (Cass. n. 11927 del 2021);
la CTR non ha fatto corretta applicazione dei suindicati principi, essendosi concentrata solo sulla questione della destinazione dei beni ceduti al processo di lavorazione e di trasformazione, facendo malgoverno anche delle regole di distribuzione dell’onere della prova, posto che, rappresentando il meccanismo di reverse charge un’eccezione al regime ordinario di applicazione dell’IVA, incombe sul contribuente che ne beneficia dimostrare la sussistenza dei relativi presupposti, non potendosi ritenere sufficiente a tal fine la dichiarazione di un terzo, sostitutiva di atto notorio, che ha il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, ma che deve essere valutata rigorosamente e unitamente ad altri elementi eventualmente acquisiti ( ex plurimis , Cass. n. 28022 del 2024);
in conclusione, il ricorso va accolto nei termini di cui in motivazione e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 28 maggio 2025.