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Reverse charge oro: la purezza è il requisito chiave

Una società ‘compro oro’ si è vista contestare l’uso del reverse charge oro dall’Agenzia delle Entrate. La Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che per l’applicazione del regime non è decisiva l’attività di trasformazione svolta dal compratore, ma la purezza del materiale (superiore a 325 millesimi) e la sua destinazione a un nuovo ciclo produttivo, non al consumo immediato. La causa è stata rinviata al giudice di merito per una nuova valutazione basata su questi principi.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Reverse charge oro: purezza e destinazione sono decisive, non l’attività del compratore

Con la sentenza n. 1837 del 2024, la Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale per gli operatori del settore aurifero, chiarendo i presupposti per la corretta applicazione del reverse charge oro. La decisione sottolinea che, ai fini dell’inversione contabile, sono determinanti le caratteristiche oggettive del bene ceduto, ovvero la sua purezza e la sua destinazione a un nuovo ciclo produttivo, e non l’attività di trasformazione svolta dall’acquirente. Questa pronuncia offre un’importante guida per le imprese di ‘compro oro’ e per tutta la filiera.

I fatti di causa

Una contribuente, titolare di un’attività di ‘compro oro’, aveva applicato il regime del reverse charge alle cessioni di materiale d’oro a società del settore orafo. L’attività consisteva nell’acquistare oggetti d’oro usati da privati e rivenderli senza sottoporli ad alcuna trasformazione. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di un Processo Verbale di Constatazione (PVC), contestava l’applicazione di tale regime, ritenendolo illegittimo. Secondo l’amministrazione finanziaria, l’inversione contabile sarebbe applicabile solo se il cessionario svolgesse direttamente un’attività di fusione e trasformazione industriale. Di conseguenza, l’Agenzia emetteva avvisi di accertamento per recuperare la maggiore IVA dovuta per tre annualità d’imposta.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale davano ragione al Fisco, confermando l’illegittimità del comportamento della contribuente. La questione giungeva così dinanzi alla Corte di Cassazione.

La corretta applicazione del reverse charge oro

La Corte di Cassazione ha ribaltato le decisioni dei giudici di merito, accogliendo il ricorso della contribuente. Il punto centrale della controversia era l’interpretazione dell’art. 17, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972, che disciplina il reverse charge oro.

I giudici di merito avevano erroneamente ritenuto che l’applicazione dell’inversione contabile fosse subordinata alla circostanza che l’acquirente (cessionario) trasformasse direttamente il materiale acquistato. La Suprema Corte ha invece chiarito che il quadro normativo, sia nazionale che unionale (Direttiva IVA), non pone affatto questa condizione.

Le motivazioni della Corte

La Cassazione ha ricostruito in modo dettagliato la ratio della normativa sul reverse charge oro. Questo regime speciale è stato introdotto per prevenire le frodi fiscali in un settore, quello dei metalli preziosi, considerato ad alto rischio a causa dell’elevato valore e della facile trasportabilità dei beni. L’obiettivo è spostare l’onere del versamento dell’IVA sul soggetto acquirente, considerato più affidabile e più facile da controllare.

Sulla base di questo obiettivo, la Corte ha individuato due requisiti oggettivi e fondamentali per l’applicazione del regime:

1. La purezza del materiale: Il meccanismo si applica alle cessioni di oro da investimento o di materiale d’oro e prodotti semilavorati con una purezza pari o superiore a 325 millesimi. È il ‘tenore’ d’oro a essere decisivo, non la forma del bene.
2. La destinazione del bene: Il prodotto non deve essere destinato al consumo immediato e finale (come un gioiello finito), ma deve essere destinato a rientrare in un nuovo ciclo produttivo attraverso una successiva trasformazione. Questo esclude i beni che hanno esaurito la loro funzione economica e sono pronti per il consumo.

La Corte ha specificato che è del tutto irrilevante chi, all’interno della catena commerciale, effettui materialmente la trasformazione. L’importante è che il bene, per le sue caratteristiche, sia deputato a essere trasformato. Limitare l’applicazione del reverse charge solo ai casi in cui l’acquirente diretto è anche il trasformatore finale vanificherebbe la finalità anti-frode della norma.

I giudici di merito hanno quindi errato nel non accertare queste due caratteristiche fondamentali (purezza e destinazione), concentrandosi invece sull’attività svolta dall’acquirente, un elemento non richiesto dalla legge.

Conclusioni: implicazioni pratiche

La sentenza rappresenta un punto di riferimento fondamentale per tutti gli operatori del settore ‘compro oro’ e per la filiera dei metalli preziosi. Il principio affermato è chiaro: per applicare legittimamente il reverse charge oro, l’impresa venditrice deve verificare e poter documentare la purezza del materiale ceduto e la sua natura di bene non destinato al consumo finale, bensì a una fase successiva di lavorazione. La qualifica o l’attività specifica del proprio cliente diretto non è, di per sé, un elemento né necessario né sufficiente per escludere o ammettere il regime di inversione contabile. La Corte ha quindi cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte di Giustizia Tributaria della Puglia per un nuovo esame che tenga conto di questi principi.

Per applicare il reverse charge oro, è necessario che l’acquirente sia un’azienda che trasforma materialmente l’oro?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non è rilevante se l’acquirente si occupi direttamente del processo di lavorazione, essendo sufficiente che il bene sia destinato a un futuro ciclo di trasformazione.

Quali sono i requisiti fondamentali per l’applicazione del reverse charge sulle cessioni di oro?
I requisiti fondamentali sono due: la purezza del materiale (pari o superiore a 325 millesimi) e la sua destinazione non al consumo immediato, ma a un nuovo ciclo economico attraverso una successiva trasformazione.

Un’attività di ‘compro oro’ che acquista da privati e rivende a grossisti senza trasformare il bene può applicare il reverse charge?
Sì, può applicarlo a condizione che i beni ceduti rispettino i requisiti di purezza stabiliti dalla legge e siano oggettivamente destinati a essere trasformati, anche da un soggetto terzo nella catena commerciale, e non al consumo finale. La sola attività di intermediazione non esclude l’applicazione del regime.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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