Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21959 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21959 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36023/2018 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della RAGIONE_SOCIALE tributaria regionale della Calabria n. 1502/6/18 depositata il 11.06.2018;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 17 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Emerge dalla sentenza impugnata oltre che dagli atti di parte (ricorsi, controricorsi) che, a seguito di attività ispettiva svolta dalla RAGIONE_SOCIALE, l’agenzia delle entrate notificò a NOME COGNOME due
avvisi di accertamento (relativi agli anni di imposta 2002 e 2004). Con tale atto venne contestata per l’anno 2002 l’omessa dichiarazione IVA per importo pari ad Euro 16.693, 67, con Iva evasa per Euro 3338,71 e per l’anno 2004 l’omessa dichiarazione IVA per Euro 121.902,03 con IVA evasa pari ad Euro 24.380,40.
2.Con tale avviso l’agenzia delle entrate, sulla base di un P.V.C. della RAGIONE_SOCIALE di finanza, considerato che dall’interrogazione alla Anagrafe tributaria era risultato che il contribuente esercitava attività di commercio all’ingrosso di rottami aurei mentre dalla visura camerale era emerso che esercitasse l’attività di commercio all’ingrosso di oreficeria usata, contestò l’omessa dichiarazione IVA determinando la relativa imposta e sanzioni.
3.Il contribuente impugnò i predetti avvisi contestando l’operato dell’agenzia e producendo documentazione contrattuale volta a provare l’esercizio non professionale dell’attività svolta di cessione di rottami aurei. La RAGIONE_SOCIALET.P. di Reggio Calabria accolse il ricorso, ritenendo che NOME COGNOME svolgesse, come da lui rappresentato, l’attività di commercio all’ingrosso di rottami aurei, e non di oggetti preziosi usati, alla quale era diversamente applicabile il regime di esonero dall’IVA con meccanismo del c.d. reverse charge ex art. 17, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972. La decisione venne appellata dall’RAGIONE_SOCIALE ed il giudice di seconde cure accolse l’appello, aderendo agli esiti del PVC redatto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, escludendo che il contribuente avesse allegato prove documentali idonee a sostegno delle proprie ragioni. In particolare, la RAGIONE_SOCIALE.T.R. ritenne provata dall’agenzia la natura dell’attività svolta dal contribuente sulla base del PVC che in quanto redatto da pubblico ufficiale faceva fede fino a querela di falso ed affermò che nessuna prova fosse stata fornita da NOME COGNOME (anzi si sarebbe trattato di mere asserzioni) che potesse scalfire le prove offerte dall’RAGIONE_SOCIALE. Si evidenziò, in particolare,
come il contratto prodotto dal contribuente, relativo all’affiliazione al RAGIONE_SOCIALE, limitasse l’attività al solo comune di La Spezia atteso che nell’allegato al contratto fosse rimarcato ‘l’Affiliato e l’Affiliante sono imprenditori autonomi e distinti pertanto ciascuno con la propria autonomia contrattuale e imprenditoriale’. Il giudice di merito, inoltre, affermò che dalla documentazione prodotta dall’RAGIONE_SOCIALE risultava che il commercio avesse ad oggetto per lo più ‘prodotti di oreficeria’. Ricorre avverso la prefata decisione NOME COGNOME con tre motivi, resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo del ricorso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 51 del d.lgs. n. 546 del 1992 e art. 327 comma 1, c.p.c. per aver il giudice di seconde cure omesso di pronunciarsi sull’eccezione preliminare di intempestività dell’appello formulata dal ricorrente. Nel dettaglio, secondo il ricorrente l’appello sarebbe stato notificato tardivamente perché oltre il termine semestrale previsto.
1.2. Il motivo è inammissibile.
Il vizio di omessa pronunzia è, infatti, configurabile, come costantemente affermato da questa Corte, solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito, come appunto l’eccezione preliminare di tardività dell’appello (Cass. n. 1876 del 2018; 25154 del 2018; Cass. n. 10422 del 2019; Cass. n. 22083 del 2013; Cass. n. 1701 del 2009; Cass. n. 3667 del 2006; Cass. n. 10073 2003).
2.Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 1 comma 3 della l. n. 7 del 2000 e dell’art. 17 comma 5 del d.p.r. n. 633 del 1972.
Nella specie secondo il ricorrente il giudice di seconde cure avrebbe errato nella applicazione delle norme innanzi citate perché avrebbe mal ricostruito la fattispecie giuridica al suo vaglio. In particolare, il giudice avrebbe dimostrato di non aver correttamente inquadrato la controversia ‘centrando la propria attenzione sulla natura professionale/non professionale -commerciale/non commerciale esercitata dal contribuente’ laddove la controversia verte sulla ‘legittima applicazione del meccanismo dell’inversione contabile ai fini IVA di cui all’art. 17 co. 5 DPR 633/72 così come modificato -in recepimento della Direttiva 98/89/CE -dall’art. 3 L. 17 gennaio 2000 n. 7 -alle attività dei c.d. RAGIONE_SOCIALE Oro’ quale quella esercitata da NOME COGNOME.
3.Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 c.c. e 2729 c.c. nonché omessa e/o insufficiente motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
4.Il secondo motivo del ricorso è fondato.
Il giudice di merito ha ritenuto non sussistere i presupposti per l’applicazione del regime agevolato senza tuttavia accertarne la relativa sussistenza sia con riguardo all’oggetto lavorato che con riguardo all’attività svolta dal terzo concentrandosi, esclusivamente, sulla natura professionale o meno dell’attività svolta dal contribuente.
5.Al riguardo giova osservare quanto segue.
L’art. 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile ratione temporis , dispone «in deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all’articolo 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d’oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente
senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l’indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all’articolo 25». L’art. 1, legge 17 gennaio 2000, n. 7, nel testo ratione temporis vigente, prevede «1. Ai fini della presente legge con il termine “oro” si intende: a) l’oro da investimento, intendendo per tale l’oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell’oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli; le monete d’oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell’80 per cento il valore sul mercato libero dell’oro in esse contenuto, incluse nell’elenco predisposto dalla RAGIONE_SOCIALE delle Comunità europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, serie C, nonché le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non ricomprese nel suddetto elenco; con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono stabilite le modalità di trasmissione alla RAGIONE_SOCIALE delle Comunità europee delle informazioni in merito alle monete negoziate nello Stato italiano che soddisfano i suddetti criteri; b) il materiale d’oro diverso da quello di cui alla lettera a), ad uso prevalentemente industriale, sia in forma di semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, sia in qualunque altra forma e purezza». Tali disposizioni legislative interne sono conformi e attuano
le correlative previsioni del diritto dell’UE ed in particolare dell’art. 198, paragrafo 2, della direttiva 2006/112/CE, secondo cui «Quando una cessione di materiale d’oro o di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi o una cessione di oro da investimento (…) è effettuata da un soggetto passivo (…), gli Stati membri possono designare l’acquirente come debitore dell’imposta»; e dell’art. 199, paragrafo 1, secondo cui «Gli Stati membri possono stabilire che il debitore dell’imposta sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate le seguenti operazioni: (…) d) cessioni di materiali di recupero, di materiali di recupero non riutilizzabili in quanto tali, di materiali di scarto industriali e non industriali, di materiali di scarto riciclabili, di materiali di scarto parzialmente lavorati, di avanzi e determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi figuranti nell’allegato VI;…», il quale ultimo individua le «Cessioni di rottami ferrosi e non ferrosi, avanzi e materiali di recupero, comprese le cessioni di semiprodotti ottenuti dalla trasformazione, dalla lavorazione o dalla fusione di metalli ferrosi non ferrosi e di loro leghe». Come chiarito anche dalla Corte di giustizia, l’art. 198, paragrafo 2, della Direttiva Iva, nel consentire agli Stati di prevedere, nelle situazioni cui si riferisce, un meccanismo di inversione contabile in base al quale il debitore Iva è il soggetto passivo destinatario dell’operazione assoggettata a detta imposta, introduce un’eccezione al principio espresso dall’art. 193, secondo cui l’Iva è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni e una prestazione di servizi imponibile, sicché esso va interpretato in senso stretto, senza tuttavia essere privato di effetto (in tal senso Corte Giust., sentenze 13/6/2013, in causa C-125/12, RAGIONE_SOCIALE, punti 23 e 31, 26/4/2017, in causa C-564/15, Farkas; Cass., 15/07/2020, n. 14999).
Tenendo conto del complesso delle norme citate, questa Corte ha avuto modo di affermare che, ai fini dell’applicazione del regime d’inversione contabile, la questione fondamentale non sta tanto nel fatto che il bene ceduto sia un prodotto semilavorato, quanto piuttosto che si tratti di un prodotto d’oro ed il suo “tenore”, con la conseguenza che «è il livello di purezza dell’oro contenuto nel bene ad essere decisivo per determinare se una cessione d materiale d’oro o di prodotti semilavorati, come sopra intesi, rientri o no nell’ambito di applicazione dell’art. 198, paragrafo 2, della direttiva IVA», come affermato dalla Corte giust. in causa C-550/14, cit., punto 42, citata nella pronuncia, e che ai fini dell’applicazione dell’art. 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, è necessario e sufficiente «che si tratti di prodotti non immediatamente destinati al consumo e che rispondano ai requisiti di purezza stabiliti dalla norma medesima» (vedi Cass., Sez. 5, 6/4/2022, n. 11109). Ai fini del reverse charge , non rileva, dunque, che l’attività di trasformazione del materiale d’oro o del semilavorato sia eseguita direttamente dal cessionario dell’operazione, costituendo requisiti fondamentali per la sua applicazione sia la purezza del prodotto d’oro – quale condizione prioritaria emergente, con tutta evidenza, dalla nozione di “materiale d’oro” e di “prodotto semilavorato”, la quale si presta di per sé soltanto ad escludere dal proprio ambito i prodotti finiti e i prodotti che non siano mai stati oggetto di lavorazione o di trasformazione -, sia la non immediata destinazione al consumo del bene ceduto, in quanto deputato ad essere trasformato in un altro oggetto e a conoscere un nuovo ciclo economico (vedi Cass., Sez. 5, 6/4/2022, n. 11109), a differenza di quanto previsto per il diverso regime del margine ex art. 311 della Direttiva Iva, riferito, viceversa, a prodotti di occasione e, dunque, a beni suscettibili di reimpiego (Cass., Sez. 5, 06/05/2021, n. 11927).
Nella specie, il giudice di merito non ha verificato la sussistenza degli indicati presupposti necessari per la applicazione del reverse charge , essendosi limitato a circoscrivere la questione sottoposta al suo vaglio alla mera ‘natura commerciale dell’attività esercitata dal contribuente’ accogliendo poi l’appello in forza della sola circostanza secondo cui ‘negli elenchi riepilogativi di tali documenti (all. n. 5 al p.v.c.) si fa riferimento per lo più a prodotti di oreficeria’. Ne consegue l’accoglimento del secondo motivo con assorbimento del terzo.
In conclusione, deve essere rigettato il primo motivo, accolto il secondo ed assorbito il terzo, la decisione cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, che si atterrà ai principi innanzi specificati e regolerà altresì le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo, assorbito il terzo e, per l’effetto, cassa la decisione impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, che regolerà altresì le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 17 maggio 2024