Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 665 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 665 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
Oggetto: iva –
reverse charge –
rottami di oro
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29613/2017 R.G. proposto da
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAIL;
-ricorrente –
Contro
COGNOME, titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE DI COGNOME;
– intimato – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia n. 1826/14/17 depositata in data 17/05/2017, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 24/02/2022 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-la ditta individuale di COGNOME in epigrafe indicata impugnava gli avvisi di accertamento notificati per le annualità 2008 e 2009 con i quali era contestata da parte dell’Ufficio l’indebita applicazione del regime di inversione contabile (c.d. ‘reverse charge’) ai fini iva e l ‘o messa regolarizzazione di fatture ricevute senza l’indicazione di imposta per operazioni imponibili oltre alla regolare tenuta dei registri iva e all’invio di comunicazione attuale dati iva incompleta;
-la CTP accoglieva le impugnazioni del contribuente;
-appellava l’Ufficio;
-con la pronuncia gravata la CTR ha rigettato l’impugnazione dell’Amministrazione finanziaria ritenendo che dalla ricostruzione operata dalla Guardia di finanza, alla stregua della quale risultava esservi totale corrispondenza tra la quantità di rottami di oro acquistata dalla ditta appellata e la quantità ceduta alla fonderia, derivava come conseguenza la credibilità della circostanza che il materiale di oro venduto dalla ricorrente era quello costituito dai rottami acquistati dai privati;
-ricorre a questa Corte l’Agenzia delle entrate con atto affidato a due motivi; la ditta individuale contribuente è rimasta intimata nel presente giudizio di legittimità.
Considerato che:
-il primo motivo di impugnazione deduce la falsa applicazione dell’art. 17 c. 5 del d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere il giudice dell’appello erroneamente ritenuto applicabile il meccanismo di inversione contabile di cui alla norma citata alla fattispecie oggetto di giudizio, in assenza del requisito soggettivo in capo alla ditta ricorrente emittente le fatture in contestazione, oltre che in assenza del requisito oggettivo con riferimento alla natura e sussumibilità della fattispecie in quella legittimante l’uso del regime agevolativo dei beni oggetto di cessione da parte della ricorrente;
-il secondo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1973, nonché dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per avere il giudice dell’appello mancato di escludere l’univocità e certezza della destinazione industriale dato che -potenzialmente – i beni oggetto delle operazioni contestate avrebbero potuto rientrare nel circuito commerciale, poiché dal controllo effettuato non è risultata né certa né univoca la destinazione industriale, svolgendo la cessionaria anche attività di commercializzazione;
-i motivi ridetti sono suscettibili di trattazione congiunta in quanto costituenti frammentazione di una medesima censura;
-gli stessi si rivelano infondati;
-va ricordato che l’art. 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile temporalmente, dispone «in deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all’articolo 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d’oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l’indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all’articolo 25»;
-inoltre, l’art. 1, legge 17 gennaio 2000, n. 7, nel testo applicabile temporalmente, prevede «ai fini della presente legge con il termine “oro” si intende: a) l’oro da investimento, intendendo per tale l’oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal
mercato dell’oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli; le monete d’oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell’80 per cento il valore sul mercato libero dell’oro in esse contenuto, incluse nell’elenco predisposto dalla Commissione delle Comunità europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, serie C, nonché le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non ricomprese nel suddetto elenco; con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono stabilite le modalità di trasmissione alla Commissione delle Comunità europee delle informazioni in 5 merito alle monete negoziate nello Stato italiano che soddisfano i suddetti criteri; b) il materiale d’oro diverso da quello di cui alla lettera a), ad uso prevalentemente industriale, sia in forma di semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, sia in qualunque altra forma e purezza»;
-tali disposizioni legislative interne sono conformi e attuano le correlative previsioni del diritto dell’UE ed in particolare dell’art. 198, paragrafo 2, della direttiva 2006/112/CE, secondo cui «quando una cessione di materiale d’oro o di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi o una cessione di oro da investimento (…) è effettuata da un soggetto passivo (…), gli Stati membri possono designare l’acquirente come debitore dell’imposta»; e dell’art. 199, paragrafo 1, secondo cui «gli Stati membri possono stabilire che il debitore dell’imposta sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate le seguenti operazioni: (…) d) cessioni di materiali di recupero, di materiali di recupero non riutilizzabili in quanto tali, di materiali di scarto industriali e non industriali, di materiali di scarto riciclabili, di materiali di scarto parzialmente lavorati, di avanzi e determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi figuranti nell’allegato
VI;…», il quale ultimo individua le «Cessioni di rottami ferrosi e non ferrosi, avanzi e materiali di recupero, comprese le cessioni di semiprodotti ottenuti dalla trasformazione, dalla lavorazione o dalla fusione di metalli ferrosi non ferrosi e di loro leghe»;
-come chiarito anche dalla Corte di giustizia, l’art. 198, paragrafo 2, della Direttiva Iva, nel consentire agli Stati di prevedere, nelle situazioni cui si riferisce, un meccanismo di inversione contabile in base al quale il debitore Iva è il soggetto passivo destinatario dell’operazione assoggettata a detta imposta, introduce un’eccezione al principio espresso dall’art. 193, secondo cui l’Iva è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni e una prestazione di servizi imponibile, sicché esso va interpretato in senso stretto, senza tuttavia essere privato di effetto (in tal senso Corte Giust., sentenze 13/6/2013, in causa C-125/12, RAGIONE_SOCIALE, punti 23 e 31, 26/4/2017, in causa C-564/15, COGNOME; Cass., 15/07/2020, n. 14999). Orbene, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui è parte (in tal senso Corte Giust., sentenze del 26/1/2011, in causa C218/10, ADV Allround , punto 26, e del 19/7/2012, A , in causa C33/11, punto 27), mentre la determinazione del significato e della portata dei termini per i quali il diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione deve essere ricavata conformemente al loro senso abituale nel linguaggio comune, tenendo conto, al contempo, del contesto in cui essi sono utilizzati e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi (vedi, in tal senso, Corte di Giust., sentenza del 13 dicembre 2012, in causa C-395/11, RAGIONE_SOCIALE , punto 25) e, in caso di divergenze linguistiche, in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui è parte (v., in tal senso, Corte di Giust. sentenze del 3/3/2005, in C-428/02, Fonden Marselisborg LystÚdehavn , punto
42, e del 13/6/2013, in causa C-125/12, RAGIONE_SOCIALE 200 , punto 22);
-pertanto, il riferimento contenuto nell’art. 198, paragrafo 2, della Direttiva Iva, alle «cessioni di materiali …», ribadito nell’allegato VI, va inteso nei termini espressi dall’art. 14, paragrafo 1, della medesima Direttiva, il quale stabilisce che «costituisce “cessione di beni” il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario» (vedi tra le tante, Corte di Giust. sentenza del 26/5/2016, in causa C-550/14, Ostre Landsret ), mentre, con riguardo all’oggetto della cessione, l’allegato VI della direttiva elenca, al punto 1, le «cessioni di rottami ferrosi e non ferrosi, avanzi e materiali di recupero», al punto 2, le «cessioni di prodotti semilavorati ferrosi e non ferrosi», al punto 3, le «cessioni di residui ed altri materiali riciclabili costituiti da metalli ferrosi e non ferrosi loro leghe» e, al punto 4, le «cessioni di rottami ferrosi e metalli di recupero nonché di ritagli, avanzi cascami»;
-tenendo conto del complesso delle norme citate, questa Corte ha avuto modo di affermare che, ai fini dell’applicazione del regime d’inversione contabile, la questione fondamentale non sta tanto nel fatto che il bene ceduto sia un prodotto semilavorato, quanto piuttosto che si tratti di un prodotto d’oro ed il suo “tenore”, con la conseguenza che «è il livello di purezza dell’oro contenuto nel bene ad essere decisivo per determinare se una cessione di materiale d’oro o di prodotti semilavorati, come sopra intesi, rientri o no nell’ambito di applicazione dell’art. 198, paragrafo 2, della direttiva IVA », come affermato dalla Corte giust. sent. RAGIONE_SOCIALE ApS, in causa C-550/14, cit., punto 42, citata nella pronuncia, e che ai fini dell’applicazione dell’art. 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, è necessario e sufficiente -elemento qui essenziale alla soluzione del caso che ci occupa «che si tratti di prodotti non immediatamente destinati al consumo e che rispondano ai requisiti di purezza stabiliti dalla norma medesima» (vedi Cass., Sez. 5, 6/4/2022, n. 11109);
-ai fini del ‘reverse charge’, non rileva, dunque, che l’attività di trasformazione del materiale d’oro o del semilavorato sia eseguita direttamente dal cessionario dell’operazione, costituendo requisiti fondamentali per la sua applicazione sia la purezza del prodotto d’oro – quale condizione prioritaria emergente, con tutta evidenza, dalla nozione di “materiale d’oro” e di “prodotto semilavorato”, la quale si presta di per sé soltanto ad escludere dal proprio ambito i prodotti finiti e i prodotti che non siano mai stati oggetto di lavorazione o di trasformazione -sia la non immediata destinazione al consumo del bene ceduto, in quanto deputato ad essere trasformato in un altro oggetto e a conoscere un nuovo ciclo economico (vedi Cass., Sez. 5, 6/4/2022, n. 11109 e Cass. Sez. 5, 12/09/2022, n. 26760);
-e ciò a differenza di quanto previsto per il diverso regime del margine ex art. 311 della Direttiva Iva, riferito, viceversa, a prodotti di occasione e, dunque, a beni suscettibili di reimpiego (Cass., Sez. 5, 06/05/2021, n. 11927). Tale interpretazione non solo è in linea con la lettera delle norme sopra riportate (art. 198, paragrafo 2, della direttiva 2006/112/CE, e 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972), ma è altresì coerente con l’obiettivo di prevenire frodi fiscali, perseguito dal legislatore unionale con il regime in esame (Cass., Sez. 5, 6/5/2021, n. 11927, che richiama Corte giust. 26 maggio 2016, causa C-550/14, Envirotec Denmark ApS , punto 30), il quale, come si è visto, costituisce, a sua volta, criterio utilizzabile a fini ermeneutici. Infatti, ciò che aumenta il rischio di frodi fiscali e giustifica, pertanto, l’applicazione del meccanismo di inversione contabile per la cessione di determinati beni, fra cui l’oro, è l’elevato valore di mercato degli stessi rispetto alle dimensioni, che li rendono facilmente trasportabili e che nel commercio dell’oro, quando non si tratta di un prodotto finito, come un gioiello, è il tenore d’oro del bene in questione a determinarne il valore, con la conseguenza che il rischio di frodi fiscali è tanto maggiore quanto più elevato è il tenore d’oro di tale
Cons. Est. NOME COGNOME – 7
bene (in tal senso, Corte Giust. sent. Envirotec Denmark ApS, 26/5/2016, in causa C-550/14, punto 41), sicché limitare l’applicazione di questo regime derogatorio ai soli casi in cui il bene viene trasformato dal cessionario, benché rispondente alle caratteristiche richieste, vanificherebbe la finalità con esso perseguita. Alla stregua di quanto detto, deve dunque ritenersi che il regime dell’inversione contabile di cui all’art. 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, allorché prevede che le cessioni abbiano ad oggetto imponibili d’oro da investimento oppure materiale d’oro oppure prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, postula che il metallo ceduto si caratterizzi per il suo “tenore” e sia destinato non all’immediato consumo, ma alla sua trasformazione in un altro oggetto che avvii un nuovo ciclo economico, senza che assuma invece rilevanza il fatto che il cessionario debba egli stesso occuparsi direttamente del processo intermedio di lavorazione, stante la funzione da esso assolta di snellire il processo di riscossione al fine di prevenire le condotte di evasione per quei beni e quelle prestazioni che, per le loro caratteristiche, sono a rischio frodi;
-nella specie, i giudici di merito si sono ben attenuti a tale principio, avendo evidenziato come nel caso di specie dalla ricostruzione operata dalla Gdf si evince che ‘ risulta esservi totale corrispondenza tra la quantità di rottami di oro acquistata dalla ditta appellata e la quantità ceduta alla fonderia”, il che secondo la CTR, che sul punto ha operato un accertamento di fatto non più suscettibile di contestazione ‘ rende credibile la circostanza che il materiale di oro venduto dalla ricorrente era quello costituito dai rottami acquistati dai privati ‘;
-pertanto, la CTR si è allineata ai sopra illustrati principi, nel ritenere che il regime dell’inversione contabile (c.d. “reverse charge”), previsto dall’art. 17, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, che, in deroga a quanto previsto dal comma 1, pone in capo al cessionario, anziché al cedente, l’obbligo di assolvere
l’imposta, non richieda che il cessionario esegua direttamente l’attività di trasformazione del materiale aurifero ceduto o del semilavorato, costituendo requisiti fondamentali per la sua applicazione la purezza dell’oro e la non immediata destinazione al consumo del bene ceduto, in quanto deputato ad essere trasformato in un altro oggetto e a conoscere un nuovo ciclo produttivo;
-conclusivamente, il ricorso va rigettato;
-non vi è luogo a pronuncia sulle spese stante la mancata costituzione del presente giudizio dell’intimato contribuente;
-non sussistono i presupposti per il c.d. ‘raddoppio’ del contributo unificato a carico della ricorrente, in quanto la parte socombente è difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ammessa a prenotazione a debito.
p.q.m.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2023.