Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18335 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18335 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24429/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CALABRIACATANZARO n. 572/2019 depositata il 28/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
COGNOME NOME , esercente l’attività di ‘commercio di oggetti preziosi’ (in concreto, come usa dire, di ‘compro oro’), a seguito di PVC della Guardia di Finanza di Rossano Calabro, era attinto da avviso di accertamento per l’a.i. 2010, mediante il quale gli veniva contestato, in ragione dell’utilizzo del maccanismo del ‘reverse charge’, l’omesso versamento di IVA sul margine per l’importo di euro 51.051 oltre interessi e sanzioni.
La CTP di Cosenza, con sentenza n. 4427/03/15, accoglieva il ricorso.
L’Ufficio proponeva appello, rigettato, con la sentenza in epigrafe, dalla CTR della Calabria.
L’RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione con un motivo; il contribuente resta intimato.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 5, DPR n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
La CTR ha errato nell’applicare la suddetta disposizione di legge e nell’interpretare i documenti di prassi agenziali laddove non ha considerato che occorre fare riferimento, non solo alla destinazione dei materiali preziosi al ricondizionamento industriale proprio dei semilavorati, ma soprattutto alle caratteristiche del soggetto che realizza tale trasformazione. L’applicazione del regime del ‘reverse charge’ postula che la cessione avvenga in favore di un esercente esclusivamente l’attività di lavorazione industriale di metalli preziosi. I cessionari del contribuente svolgevano anche attività commerciale, ragion per cui, dovendosi aver riguardo alle caratteristiche del soggetto che realizza la trasformazione, la CTR avrebbe dovuto trarre la conclusione che, non essendo garantita
l’univocità della destinazione del prodotto, il regime applicabile alle cessioni era quello del margine.
Il motivo – che contiene essenziali riferimento agli atti e documenti del processo, in guisa da mettere questa Suprema Corte nelle fattive condizioni di intendere la censura, a sua volta correttamente svolta solo in diritto -è fondato, ma, come emergerà nel prosieguo, per ragioni ed alla luce di considerazioni diverse da quelle nel medesimo esposte.
Secondo un’ormai assestata elaborazione giurisprudenziale (cfr., di recente, Cass. n. 1787 del 2023; Cass. n. 1837 del 2023; Cass. n. 27225 del 2023), va ricordato che l’art. 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile temporalmente, dispone che, «in deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all’articolo 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d’oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza RAGIONE_SOCIALE disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l’indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all’articolo 25».
Inoltre, l’art. 1, legge 17 gennaio 2000, n. 7, nel testo applicabile temporalmente, prevede che «ai fini della presente legge con il termine “oro” si intende: a) l’oro da investimento,
intendendo per tale l’oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell’oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli; le monete d’oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell’80 per cento il valore sul mercato libero dell’oro in esse contenuto, incluse nell’elenco predisposto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE europee, serie C, nonché le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non ricomprese nel suddetto elenco; con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono stabilite le modalità di trasmissione alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE europee RAGIONE_SOCIALE informazioni in 5 merito alle monete negoziate nello Stato italiano che soddisfano i suddetti criteri; b) il materiale d’oro diverso da quello di cui alla lettera a), ad uso prevalentemente industriale, sia in forma di semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, sia in qualunque altra forma e purezza».
Tali disposizioni legislative interne sono conformi e attuano le correlative previsioni del diritto dell’UE ed in particolare dell’art. 198, paragrafo 2, della direttiva 2006/112/CE, secondo cui, «quando una cessione di materiale d’oro o di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi o una cessione di oro da investimento (…) è effettuata da un soggetto passivo (…), gli Stati membri possono designare l’acquirente come debitore dell’imposta»; e dell’art. 199, paragrafo 1, secondo cui «Gli Stati membri possono stabilire che il debitore dell’imposta sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate le seguenti operazioni: (…) d) cessioni di materiali di recupero, di materiali di recupero
non riutilizzabili in quanto tali, di materiali di scarto industriali e non industriali, di materiali di scarto riciclabili, di materiali di scarto parzialmente lavorati, di avanzi e determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi figuranti nell’allegato VI;…», il quale ultimo individua le «cessioni di rottami ferrosi e non ferrosi, avanzi e materiali di recupero, comprese le cessioni di semiprodotti ottenuti dalla trasformazione, dalla lavorazione o dalla fusione di metalli ferrosi non ferrosi e di loro leghe».
Come chiarito anche dalla Corte di giustizia, l’art. 198, paragrafo 2, della Direttiva Iva, nel consentire agli Stati membri di prevedere, nelle situazioni cui si riferisce, un meccanismo di inversione contabile in base al quale il debitore Iva è il soggetto passivo destinatario dell’operazione assoggettata a detta imposta, introduce un’eccezione al principio espresso dall’art. 193, secondo cui l’Iva è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni e una prestazione di servizi imponibile, sicché esso va interpretato in senso stretto, senza tuttavia essere privato di effetto (in tal senso Corte Giust., sentenze 13/6/2013, in causa C -125/12, RAGIONE_SOCIALE, punti 23 e 31, e del 26/4/2017, in causa C -564/15, Farkas; Cass. n. 14999 del 2020). Orbene, secondo la costante giurisprudenza del Giudice unionale, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui è parte (in tal senso Corte Giust., sentenze del 26/1/2011, in causa C -218/10, ADV Allround, punto 26, e del 19/7/2012, A, C -33/11, punto 27), mentre la determinazione del significato e della portata dei termini per i quali il diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione deve essere ricavata conformemente al loro senso abituale nel linguaggio comune, tenendo conto, al contempo, del
contesto in cui essi sono utilizzati e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi (vedi, in tal senso, Corte Giust., sentenza del 13 dicembre 2012, in causa C -395/11, RAGIONE_SOCIALE, punto 25); in caso di divergenze linguistiche, deve aversi riguardo al sistema ed alla finalità della normativa (v., in tal senso, Corte Giust. sentenze del 3/3/2005, in C -428/02, Fonden Marselisborg LystÚdehavn, punto 42, e del 13/6/2013, in causa C -125/12, RAGIONE_SOCIALE 133 RAGIONE_SOCIALE, punto 22).
Pertanto, il riferimento contenuto nell’art. 198, paragrafo 2, della Direttiva Iva, alle «cessioni di materiali …», ribadito nell’allegato VI, va inteso nei termini dell’art. 14, paragrafo 1, della medesima Direttiva, il quale stabilisce che «costituisce “cessione di beni” il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario», mentre, con riguardo all’oggetto della cessione, l’allegato VI della direttiva elenca, al punto 1, le «cessioni di rottami ferrosi e non ferrosi, avanzi e materiali di recupero», al punto 2, le «cessioni di prodotti semilavorati ferrosi e non ferrosi», al punto 3, le «cessioni di residui ed altri materiali riciclabili costituiti da metalli ferrosi e non ferrosi loro leghe» e, al punto 4, le «cessioni di rottami ferrosi e metalli di recupero nonché di ritagli, avanzi cascami».
Tenendo conto del complesso RAGIONE_SOCIALE norme citate, questa Suprema Corte (Cass. n. 11106 del 2022) ha già avuto modo di affermare che, ai fini dell’applicazione del regime d’inversione contabile, la questione fondamentale non sta tanto nel fatto che il bene ceduto sia un prodotto semilavorato, quanto piuttosto che si tratti di un prodotto d’oro, rilevando il suo “tenore”, con la duplice conseguenza che:
-«è il livello di purezza dell’oro contenuto nel bene ad essere decisivo per determinare se una cessione di materiale d’oro o di
prodotti semilavorati, come sopra intesi, rientri o no nell’ambito di applicazione dell’art. 198, paragrafo 2, della direttiva IVA» (secondo quanto ritenuto da Corte Giust., sentenza del 26 maggio 2016, in causa C -550/14, RAGIONE_SOCIALE, punto 42; (vedi, con riferimento ai lingotti, Corte Giust. sentenza del 26/5/2016, in causa C -550/14, Ostre Landsret, punto 42);
-per l’applicazione dell’art. 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, è necessario e sufficiente – elemento qui essenziale alla soluzione del caso che ci occupa – «che si tratti di prodotti non immediatamente destinati al consumo e che rispondano ai requisiti di purezza stabiliti dalla norma medesima».
Ai fini del ‘reverse charge’, non conta, dunque, che l’attività di trasformazione del materiale d’oro o del semilavorato sia eseguita direttamente dal cessionario dell’operazione, costituendo requisiti fondamentali per la sua applicazione sia la purezza del prodotto d’oro – quale condizione prioritaria emergente, con tutta evidenza, dalla nozione di “materiale d’oro” e di “prodotto semilavorato”, che si presta di per sé ad escludere dal proprio ambito i prodotti finiti e i prodotti che non siano mai stati oggetto di lavorazione o di trasformazione – sia la non immediata destinazione al consumo del bene ceduto, in quanto deputato ad essere trasformato in un altro oggetto ed a conoscere un nuovo ciclo economico (così Cass. n. 11106 del 2022 e Cass. n. 26760 del 2022). Ciò a differenza di quanto previsto per il diverso regime del margine ex art. 311 della Direttiva Iva, riferito a prodotti d’occasione e, dunque, a beni suscettibili di reimpiego (Cass. n. 11927 del 2021). Tale interpretazione non solo è in linea con la lettera RAGIONE_SOCIALE norme sopra riportate (art. 198, paragrafo 2, della direttiva 2006/112/CE, e 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972), ma è altresì coerente con l’obiettivo di prevenire frodi fiscali, perseguito dal legislatore
unionale con il regime in esame (Cass. n. 11927 del 2021, che richiama Corte Giust., RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ApS, punto 30), il quale, come si è visto, costituisce, a sua volta, criterio utilizzabile a fini ermeneutici. Infatti, ciò che aumenta il rischio di frodi fiscali e giustifica, pertanto, l’applicazione del meccanismo di inversione contabile per la cessione di determinati beni, fra cui l’oro, è l’elevato valore di mercato degli stessi rispetto alle dimensioni, che li rendono facilmente trasportabili; inoltre, nel commercio dell’oro, quando non si tratta di un prodotto finito, come un gioiello, è il tenore d’oro del bene in questione a determinare il valore, con la conseguenza che il rischio di frodi fiscali è tanto maggiore quanto più elevato è il tenore d’oro del bene (Corte Giust., RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ApS, punto 41); sicché limitare l’applicazione del regime derogatorio ai soli casi in cui il bene viene trasformato dal cessionario, benché rispondente alle caratteristiche richieste, vanificherebbe la finalità con esso perseguita. Alla stregua di quanto detto, deve dunque ritenersi che il regime dell’inversione contabile di cui all’art. 17, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, allorché prevede che le cessioni abbiano ad oggetto oro da investimento oppure materiale d’oro oppure prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, postula che il metallo ceduto si caratterizzi per il suo “tenore” e sia destinato non all’immediato consumo, ma alla sua trasformazione in un altro oggetto che avvii un nuovo ciclo economico, senza che assuma rilevanza il fatto che il cessionario debba egli stesso occuparsi direttamente del processo intermedio di lavorazione, stante la funzione di detto regime di snellire il processo di riscossione al fine di prevenire le condotte di evasione per quei beni e quelle prestazioni che, per le loro caratteristiche, sono a rischio frodi.
La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei superiori principi perché ha fondato la decisione esclusivamente sulla ‘prova dell’iscrizione RAGIONE_SOCIALE società cessionarie come operatori professionali nel mercato dell’oro’: in tal guisa, essa ha per così dire mancato il suo compito, ossia quello di accertare – alla stregua di tutti gli elementi disponibili, in un quadro ricostruttivo di logica coerenza esterna (rispetto alle risultanze istruttorie) ed interna (rispetto alla derivazione RAGIONE_SOCIALE conclusioni da dette risultanze), quadro di cui, viepiù, rendere esplicitamente ed adeguatamente conto in motivazione – le caratteristiche (e solo quelle) dei prodotti oggetto RAGIONE_SOCIALE cessioni, in conformità alle indicazioni sopra riportate.
Pertanto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria per nuovo esame e per la definitiva regolazione tra le parti RAGIONE_SOCIALE spese, comprese quelle del presene grado di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso ai sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 17 maggio 2024.