Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3735 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3735 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14557/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE IN FALLIMENTO -intimato- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del PIEMONTE n. 123/2016 depositata il 27/01/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte ( hinc: CTR), con la sentenza n. 126/2016 depositata in data 27/01/2016, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 162/2013, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Torino aveva accolto l’appello di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e in fallimento contro l’atto di irrogazione delle sanzioni relativo all’anno 2004.
Il giudice di prime cure aveva ritenuto che la neutralità propria delle liquidazioni periodiche dell’IVA in materia di acquisto di materiale ferroso ( conseguente all’applicazione del regime di inversione contabile) non giustificasse l’irrogazione delle sanzioni.
La CTR ha ritenuto corretta tale statuizione richiamando un precedente (sent. n. 740/2015) nei confronti della medesima società contribuente (relativo alle medesime annualità d’imposta) , dove era stato ritenuto che le operazioni in esame rientravano, ai fini dell’IVA, nel regime di inversione contabile disciplinato dall’art. 74 d.P.R. n. 633 del 1972. La contestazione dell’Agenzia delle Entrate posta a fondamento della pretesa impositiva, faceva leva sull’art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972, per concludere che, se i beni e i servizi acquistati non sono mai esistiti o l’operazione è da ricondurre ad altri soggetti, la detrazione ai sensi dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 non poteva essere riconosciuta, in quanto fondata su un dato fittizio. In base al principio della rivalsa la detrazione è, infatti, possibile solamente se l’emittente della fattura sia debitore del tributo. In altre parole, in caso di operazioni inesistenti non si concretizza l ‘ordinario presupposto impositivo, né è possibile alcun pagamento a titolo di rivalsa, né vi è il diritto alla detrazione ex art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, mancando il presupposto, cioè l’acquisto di beni o servizi. Secondo la CTR, tuttavia, tale censura non coglie nel segno, dal momento che equipara le cessioni soggette all’ordinario regime
tributario con quelle soggette allo speciale regime derogatorio costituito dall’inversione contabile. Tale equiparazione non è condivisibile, dal momento che il reverse charge -in quanto previsto dalla normativa unionale -è obbligatorio: le operazioni effettuate dal fornitore sono geneticamente senza IVA, proprio perché dovuta dal cliente stesso, con il meccanismo dell’inversione contabile. Richiama quindi la giurisprudenza europea (CGUE, 13/12/1989, Genius, C-342/87; CGUE 19/09/200, RAGIONE_SOCIALE e COGNOME, C-454/98). Di conseguenza, non essendo dovuta al fornitore l’imposta non c’è alcuna possibilità per il cessionario di detrarre il tributo assolto a monte. Non può, quindi, essere contestato al fornitore di aver detratto un’imposta mai versata al fornitore.
3.1. La CTR ha ritenuto condivisibile la sentenza emessa in una fattispecie del tutto analoga e che, di conseguenza, dovesse essere respinto l’appello erariale.
4 . Contro la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione, con due motivi.
La parte intimata non si è costituita.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
1. La ricorrente ha rilevato che l’avviso di irrogazione delle sanzioni amministrative oggetto di causa trova il suo fondamento nel precedente avviso di accertamento n. R28030301629/2009, emesso per l’anno d’imposta 2004, contestato dalla società RAGIONE_SOCIALE con giudizio pendente davanti a questa Corte sub R.G. n. 6499/2013. In tale controversia si discute della legittimità del recupero IVA, cioè dell’antecedente logico -giuridico dell’atto di irrogazione con il quale è stata contestata la violazione dell’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471
del 1997 (omesso versamento dell’IVA) . La CTR -affermando, con il richiamo a una pronuncia relativa a un’altra annualità, che l’acquisto del materiale ferroso soggiace all’applicazione del metodo di inversione contabile, da cui scaturisce un sistema di liquidazione periodica neutrale e, quin di, irrilevante ai fini dell’IVA, con la conseguenza che, in assenza di evasione, non è corretta l’irrogazione della sanzione -ha giudicato una seconda volta sulla spettanza o meno dell’IVA della fattispecie. È stato così violato l’art. 295 c.p.c. Infatti, se la questione della debenza o meno dell’IVA fosse stata così rilevante, la CTR avrebbe dovuto prendere atto che, su tale questione, era pendente un diverso giudizio, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere sospeso il giudizio a quo .
1.2. Passando all’esame del motivo di ricorso, occorre rilevare (v. pag. 2 del ricorso in cassazione) che l’atto di irrogazione di sanzioni impugnato nell’ambito del presente giudizio è consequenziale all’avviso di accertamento emesso nel 2009, impugnato dalla società contribuente, ma confermato dalla Commissione Provinciale di Torino (sentenza n. 195/2010) e dalla Commissione Tributaria di Torino, con la sentenza n. 44/2012. L’impugnazione di quest’ultima sentenza davanti a questa Corte (R.G. n. 6499/2013), risulta definita con decreto di estinzione n. 26024/2016, a seguito di rinuncia della Curatela del RAGIONE_SOCIALE in liquidazione. Secondo questa Corte, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile di ufficio anche quando il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, e, nel caso in cui consegua ad una sentenza della Corte di cassazione, la cognizione di quest’ultima può avvenire pure mediante quell’attività di istituto (relazioni, massime ufficiali) che costituisce corredo della ricerca del collegio giudicante, in tal senso
deponendo il duplice dovere incombente sulla Corte di prevenire il contrasto tra giudicati, in coerenza con il divieto del “ne bis in idem”, e di conoscere i propri precedenti, nell’adempimento del dovere istituzionale derivante dall’esercizio della funzione nomofilattica di cui all’art. 65 dell’ordinamento giudiziario (Cass., 30/12/2011, n. 30780).
1.3. Di conseguenza, alla luce del decreto di estinzione (Cass., n. 26024 del 2016), il primo motivo di ricorso è da ritenere inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse alla sospensione del giudizio, e quindi al motivo, essendo medio tempore intervenuta la pronuncia definitiva (decreto di estinzione) del giudizio pregiudicante.
Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 13, comma 1, d.lgs. 18/12/1997, n. 471 e degli artt. 19, comma 1, e 21, comma 7, d.P.R. 26/10/1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
2.1. La ricorrente ha rilevato che, secondo la CTR, il meccanismo di inversione contabile e il correlato principio di neutralità comportano la non debenza dell’IVA, con la conseguenza che cadrebbe il presupposto dell’atto sanzionatorio. Nell’atto d’appello , tuttavia, l’ufficio aveva censurato che proprio la frode accertata impedisse l’inapplicabilità del cd. reverse charge . A tal fine -oltre a richiamare la giurisprudenza di legittimità (Cass., 07/02/2008, n. 2823) -la ricorrente ha evidenziato che, impiegare nel commercio interno del rottame metallico il cd. reverse charge su fatture soggettivamente inesistenti, cioè per coprire contabilmente acquisti in euro o avvenuti di contrabbando, significherebbe porre in essere una fattispecie di uso irregolare del meccanismo di funzionamento dell’imposta , atta a compromettere l’esatta applicazione di quest’ultima e la repressione delle violazioni. Difatti, secondo la
giurisprudenza di legittimità, l’impiego del cd. reverse charge in carenza dei suoi presupposti integra una violazione sostanziale qualificabile come omesso versamento, sanzionabile ai sensi dell’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997, considerato che l’inversione contabile costituisce un vero e proprio modo di assolvimento d ell’imposta.
2.2. Secondo parte ricorrente, i noltre, l’art. 21, comma 7, d.P.R. n. 633 del 1972 (nel testo vigente ratione temporis ), nel prevedere che, in caso di emissione della fattura per operazioni inesistenti, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, da un lato, incide direttamente sul soggetto emittente la fattura (costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità) e, dall’altro lato, incide indirettamente in combinato disposto con l’art. 19, comma 1, e 26, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972 – anche sul destinatario della fattura, che non può esercitare il diritto alla detrazione.
2.3. Il motivo di ricorso è fondato. Come già rilevato ( supra, 1.2.) l’atto di irrogazione di sanzioni impugnato nell’ambito del presente giudizio è consequenziale all’avviso di accertamento emesso nel 2009, la cui impugnazione -con esito sfavorevole per il contribuente in primo e in secondo grado -è stata, infine, definita da questa Corte (R.G. n. 6499/2013) con decreto di estinzione n. 26024/2016, a seguito di rinuncia della Curatela del RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., 31/01/2019, n. 2862) nell’ipotesi disciplinata nell’art. 74, comma 7, d.P.R. n. 633 del 1972 la fattura è emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui agli artt. 21 e seg. d.P.R. n. 633 del 1972 e con l’indicazione di cui all’ottavo comma dell’art. 74 che si tratta di operazione con Iva non addebitata in via di rivalsa.
La fattura è quindi integrata dal cessionario, che diviene soggetto passivo d’imposta, con l’indicazione dell’aliquota e della imposta stessa, per essere, poi, registrata nel registro delle vendite dal cessionario stesso, che in tal modo assolve l’obbligo di pagamento del tributo, detratto con la parallela annotazione nel registro degli acquisti. Inoltre, trattandosi di operazione imponibile il cedente conserva il diritto all’ordinaria detrazione dell’imposta relativa agli acquisti inerenti. Il punto centra le non è quindi tanto l’attuazione del regime di inversione contabile, quanto il carattere soggettivamente inesistente dell’operazione.
2.4. Come rilevato da questa Corte (Cass., 04/02/2016, n. 16679): « nel caso di operazioni inesistenti in regime d’inversione contabile, il cessionario è l’effettivo soggetto d’imposta e l’IVA integrata a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti è dovuta, in base al principio comunitario di cui all’art. 28octies, anche quando si tratta di forniture inesistenti o diverse da quelle indicate in fattura. Ciò incide – per il combinato disposto degli artt. 21 co.7, art. 19 co.1 e 26 co.3 cit. – sul destinatario della fattura medesima che non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta mancando il suo presupposto, ovverosia la corrispondenza anche soggettiva dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata».
Di conseguenza: « il corrispondente tributo viene, in realtà, ad essere considerato “fuori conto”, e la relativa obbligazione, conseguentemente, “isolata” da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione (tra Iva “a valle” ed Iva “a monte”) che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 d.P.R. cit., neppure potendosi avvalere della procedura di rettifica ex art. 26 d.P.R.
medesimo (v. Cass. n. 12995 del 09/06/2014; Cass. n. 6229 del 13/03/2013) » (Cass., n. 2862 del 2019).
Più recentemente, Cass. n. 23262 del 28/08/2024 (Rv. 671951 – 01) ha affermato che «In materia di operazioni inesistenti, l’assolvimento dell’IVA con il meccanismo del reverse charge dal cessionario, senza essere stata riportata dal cedente nel suo ammontare numerico in fattura, come derivante dal calcolo aritmetico operato con l’applicazione dell’aliquota alla base imponibile, comporta l’applicazione del c.d. principio di “cartolarità” di cui all’art. 17, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto la semplice indicazione in fattura della debenza dell’IVA e della sua liquidazione – indicazione operata necessariamente dal cedente che emette il documento contabile, ai fini della rivalsa così come della detrazione, secondo la procedura del reverse charge che tocca al cessionario applicare nelle proprie scritture contabili – è elemento idoneo a rendere il cedente/prestatore debitore del tributo e parimenti a mantenere la indetraibilità dell’iva così assolta per il cessionario/committente, che ha liquidato e detratto il tributo applicando il reverse charge».
2.5. Considerato che, alla luce della giurisprudenza di legittimità appena richiamata, in caso di operazioni inesistenti in regime di inversione contabile, il cessionario è il soggetto passivo dell’IVA (che è, comunque, dovuta) , tenuto a versare l’imposta, senza poterla detrarre in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’omesso versamento dell’imposta da parte del contribuente è rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997, con la conseguent e legittimità dell’atto di ir rogazione delle sanzioni. La norma appena richiamata prevede, infatti, che: « Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo
dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. »
Il secondo motivo di ricorso è, pertanto, fondato.
In conclusione, deve essere accolto il secondo motivo, mentre deve essere dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso. La sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito, respingendo il ricorso contro l’atto di irrogazione delle sanzioni impugnato.
Le spese di lite devono essere liquidate in favore della parte ricorrente secondo il cd. principio di soccombenza e devono essere, pertanto, poste a carico della parte intimata.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo e dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso proposto contro l’atto di irrogazione delle sanzioni ;
condanna la parte intimata a pagare in favore della parte ricorrente le spese del presente giudizio, liquidate in Euro 8.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 17/01/2025.