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Reverse charge fatture inesistenti: Cassazione nega IVA

Una società nel settore del recupero metalli ha ricevuto un avviso di accertamento per l’uso di fatture soggettivamente inesistenti. Nonostante le operazioni rientrassero nel regime del reverse charge, la Corte di Cassazione, ribaltando la decisione di secondo grado, ha negato il diritto alla detrazione dell’IVA. La Corte ha stabilito che l’applicazione del reverse charge su fatture inesistenti non è legittima, poiché una fattura falsa non costituisce titolo valido per la detrazione, mancando il requisito fondamentale di una transazione genuina con il soggetto indicato.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Reverse charge e fatture inesistenti: la Cassazione nega la detrazione IVA

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta su un tema cruciale in materia fiscale: la detraibilità dell’IVA in presenza di reverse charge per fatture inesistenti. La decisione chiarisce che il meccanismo dell’inversione contabile non può sanare l’illegittimità di una fattura che non corrisponde alla realtà soggettiva dell’operazione, negando così il diritto alla detrazione dell’imposta. Questo pronunciamento rafforza i principi di sostanza sulla forma e di diligenza richiesta all’imprenditore.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da alcuni avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate a una società operante nel settore dei rottami ferrosi e a una sua consolidante. L’amministrazione finanziaria contestava l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, emesse da ditte che si erano rivelate meri schermi. In sostanza, la merce era stata effettivamente acquistata, ma da fornitori diversi da quelli indicati nei documenti fiscali.
La Commissione Tributaria Provinciale aveva inizialmente accolto i ricorsi della società, annullando gli atti impositivi. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva parzialmente riformato la decisione, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate solo per le imposte dirette e l’IRAP, ma confermando l’annullamento per quanto riguarda l’IVA. Secondo la CTR, poiché il settore dei rottami è soggetto al regime speciale del reverse charge (art. 74 d.P.R. 633/1972), la questione della detrazione andava vista in modo diverso. In tale regime, è il cessionario (l’acquirente) a essere debitore dell’imposta, non il cedente. Di conseguenza, secondo i giudici di secondo grado, non si poteva contestare la detrazione di un’imposta che non era stata versata a un fornitore fittizio, ma assolta direttamente dalla società acquirente.

Il Ricorso in Cassazione e il reverse charge per fatture inesistenti

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza della CTR dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione di diverse norme in materia di IVA (artt. 19, 21 e 74 del d.P.R. 633/1972). Il punto centrale del ricorso era che il diritto alla detrazione IVA si fonda su un presupposto imprescindibile: l’esistenza di un’operazione reale tra i soggetti indicati in fattura. Una fattura soggettivamente inesistente, essendo mendace, non può costituire un titolo valido per la detrazione, neppure nel regime del reverse charge. L’inversione contabile, infatti, è un meccanismo speciale che non deroga ai requisiti sostanziali dell’operazione, come l’effettiva identità del fornitore, ma ne modifica solo le modalità di versamento dell’imposta.

Le condizioni per l’applicazione del Reverse Charge

L’Agenzia ha sottolineato che l’art. 74 del Decreto IVA, che disciplina il reverse charge per i rottami, richiama esplicitamente l’art. 21, che stabilisce i requisiti formali e sostanziali di una fattura. Una fattura legittima deve provare con certezza l’individuazione del materiale, la sua natura, qualità, quantità e il momento dell’operazione. Una fattura falsa, che indica un soggetto diverso da quello reale, viola questi requisiti sostanziali e non può essere considerata un titolo idoneo per l’applicazione del regime speciale e la conseguente detrazione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno chiarito che la sentenza della CTR ha errato nel contrapporre il regime ordinario dell’IVA a quello dell’inversione contabile, quasi come se quest’ultimo potesse sanare un’operazione fraudolenta. La Cassazione ha ribadito che il funzionamento del reverse charge, pur spostando l’onere del versamento dell’imposta sull’acquirente, non elimina la necessità che la fattura rispecchi un’operazione veritiera in tutti i suoi elementi essenziali, compresa l’identità del cedente.
Il riferimento dell’art. 74 all’art. 21 del Decreto IVA è esplicito e fondamentale: la fattura deve essere corretta e veritiera. In caso di operazioni inesistenti, anche solo soggettivamente, l’acquirente non può esercitare il diritto alla detrazione perché manca il presupposto stesso, ovvero la corrispondenza tra l’operazione fatturata e quella concretamente realizzata. L’IVA che l’acquirente integra e versa in regime di reverse charge su una fattura falsa diventa un’obbligazione ‘isolata’, estraniata dal meccanismo di compensazione IVA acquisti/vendite. Pertanto, l’imposta versata non può essere detratta.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte. Il principio stabilito è chiaro: l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti preclude il diritto alla detrazione dell’IVA, anche se le operazioni rientrano in un settore soggetto al regime del reverse charge. Questo regime speciale non costituisce una deroga ai requisiti di veridicità e correttezza della documentazione fiscale, che rimangono un presupposto indispensabile per il corretto funzionamento del sistema IVA.

È possibile detrarre l’IVA tramite reverse charge se la fattura proviene da un fornitore fittizio (operazione soggettivamente inesistente)?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il diritto alla detrazione è precluso perché la fattura, essendo mendace riguardo all’identità del fornitore, non costituisce un titolo idoneo. Manca il presupposto della corrispondenza tra l’operazione fatturata e quella reale.

Perché la Cassazione ha ritenuto errata la decisione della Commissione Tributaria Regionale?
La Corte ha ritenuto che la CTR abbia erroneamente considerato il regime del reverse charge come un sistema autonomo e derogatorio rispetto ai principi generali dell’IVA. Al contrario, la Cassazione ha chiarito che l’inversione contabile è solo una diversa modalità di versamento dell’imposta e non sana i vizi sostanziali di una fattura che documenta un’operazione fraudolenta.

Quali sono i requisiti essenziali per la corretta applicazione del reverse charge secondo la sentenza?
Per applicare correttamente il reverse charge, è necessario che la fattura sia legittima e veritiera in tutti i suoi elementi, come previsto dall’art. 21 del d.P.R. 633/1972. Questo include la corretta identificazione del cedente, la natura, qualità e quantità della merce e il riferimento temporale dell’operazione. Una fattura soggettivamente inesistente viola questi requisiti sostanziali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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