Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32609 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32609 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/12/2024
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 6192/2023 R.G. proposto da
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME come da procura speciale allegata al controricorso (PEC: EMAIL;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio n. 3974/08/2022, depositata il 19.09.2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’8 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Roma accoglieva il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’ avviso di accertamento, per IVA , in relazione all’anno 2010, con il quale l’Agenzia delle entrate , a seguito di rettifica della
Oggetto: Tributi Rettifica dichiarazione IVA – Disconoscimento del credito
dichiarazione IVA 2011, relativa all’anno 2010, aveva disconosciuto il credito IVA nella stessa riportato, risultante dalla dichiarazione dell’anno precedente e formatosi negli anni 2008 e 2009, avendo ritenuto che l’attività svolta dalla società (residenza sanitaria assistenziale) fosse riconducibile all’art 10, comma 1, n. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972 e che ciò comportasse, quindi, la indetraibilità dell’IVA sugli acquisti, in quanto si trattava di operazioni esenti;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, osservando che all’Ufficio non era consentito rettificare, in sede di verifica della dichiarazione relativa all’anno 2010, i dati relativi alle annualità di imposta precedenti; ciò non era in contrasto con l’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto da una lettura logico-sistematica di tale norma non si poteva ritenere che l’Agenzia potesse contestare le precedenti dichiarazioni, ma solo che la eventuale ” eccedenza detraibile o rimborsabile ” andava verificata ‘ tenendo conto anche delle precedenti dichiarazioni ferma la loro immodificabilità eventualmente intervenuta ‘ ;
l ‘Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
la società contribuente resisteva con controricorso e depositava memoria.
CONSIDERATO CHE
-Preliminarmente va disattesa l’eccezione di giudicato esterno, proposta dalla controricorrente con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., in relazione alla sentenza di questa Corte n. 1649 ( recte : n. 13275) del 15.05.2023, riguardante la medesima questione controversa, con riferimento all’anno d’imposta 2012;
secondo il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13916 del 16.06.2006, infatti, ‘ Qualora due giudizi
tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del
tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta’;
-l’effetto preclusivo del giudicato relativo ad un singolo periodo di imposta, dunque, non opera indistintamente e in via generale per altri periodi d’imposta, essendo limitato non solo alle ipotesi di concreta sussistenza del ‘ medesimo rapporto giuridico’, ma anche alla ‘ soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune’, aventi natura di ‘ premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza’ ;
detto effetto preclusivo può riguardare, poi, esclusivamente gli ‘ elementi costitutivi della fattispecie’ estensibili nel tempo e quindi insensibili al ‘periodo d’imposta’, individuati, in via esemplificativa, nella ‘ qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria’;
alla luce di questi condivisibili canoni giuridici è da escludere l’operatività in questo giudizio del giudicato esterno riguardante altre annualità, giacché né l’unicità della verifica fiscale e né i rilievi mossi per i diversi periodi d’imposta rappresentano un fatto a carattere stabile ovvero permanente destinato a reiterarsi per le diverse annualità;
in ultimo, è utile precisare che il giudicato non può riguardare comunque l’attività interpretativa delle norme di diritto, in quanto « l’attività interpretativa delle norme giuridiche compiuta dal Giudice, consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non
può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro Giudice, dovendosi richiamare a tale proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dall’efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 cod. civ. rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello stare decisis (cioè, del precedente giurisprudenziale vincolante) che non trova riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale (cfr. Cass, 15 luglio 2016, n. 14509, Cass., 21 ottobre 2013, n. 23723) », con la conseguenza che « l’interpretazione ed individuazione della norma giuridica posta a fondamento della pronuncia -salvo che su tale pronuncia si sia formato il giudicato interno -non limitano il Giudice dell’impugnazione nel potere di individuare ed interpretare la norma applicabile al caso concreto e non sono, quindi, suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione (cfr. Cass. 20 ottobre 2010, n. 216561, Cass. 23 dicembre 2003, n. 19679) » (cfr. Cass., 5 marzo 2024, n. 5822, in motivazione);
ciò posto, con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente o insufficiente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., lamentando che la decisione impugnata non consente alle parti di ricostruire il ragionamento che il giudice ha seguito e le ragioni per cui le diverse eccezioni sollevate delle parti sono state o non sono state accolte, avendo la CTR ignorato quanto argomentato dall’Agenzia delle entrate nell’atto di appello ;
il motivo è inammissibile, laddove debba intendersi proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., in quanto opera il limite della c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l.
22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 2.10.2018, non avendo la ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di appello, erano fra loro diverse ( ex multis , Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018);
il motivo è inammissibile anche sotto altro profilo;
occorre rammentare, infatti, che alla fattispecie in esame si applica l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. nel testo novellato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 (essendo stata la sentenza impugnata pubblicata in data 19.09.2022). A seguito di detta modifica normativa, non trovano più accesso al sindacato di legittimità della Corte le censure riguardanti il vizio di insufficienza o incompletezza della motivazione della sentenza di merito impugnata, essendo denunciabile con il ricorso per cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
-la nuova formulazione del vizio di legittimità, introdotta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha sostituito l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. (con
riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate dopo l’11.09.2012), ha limitato il ricorso alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti “, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (Cass. 2.10.2017, n. 23940);
laddove non si contesti la inesistenza del requisito motivazione della provvedimento impugnato, quindi, il vizio di motivazione può essere dedotto solo in caso di omesso esame di un ‘fatto storico’ controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia ‘decisivo’ ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per contestare la sufficienza della sua argomentazione sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit. e Cass. Sez. U. 22.09.2014, n. 19881);
-è stato poi precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. concerne l’omesso esame di un fatto ‘storico’, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
si tratta di censura che, tuttavia, impone a chi la denunci di indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” ( ex multis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
il ricorrente ha, invece, denunciato il vizio sotto il paradigma previgente di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., avendo censurato, nella sostanza, una motivazione insufficiente della sentenza impugnata;
la sentenza impugnata, invero, non è affetta dal vizio di difetto di motivazione o di motivazione mancante, in quanto presenta una motivazione che, a prescindere dalla sua correttezza o meno, palesa l’ iter logico seguito dai giudici di appello, che hanno ritenuto di confermare l’illegittimità del disconoscimento del credito, già affermata dal primo giudice, sulla base di argomentazioni che esplicitano le ragioni della decisione, per cui eventuali profili di insufficienza della motivazione, anche se sussistenti, non la viziano in modo così radicale da renderla meramente apparente, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
con il secondo motivo, denuncia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione de ll’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., sostenendo che la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado ha errato nel confermare la decisione di primo grado nella parte in cui aveva
affermato che l’Ufficio avrebbe dovuto procedere alla rettifica delle dichiarazioni relative alle annualità in cui il credito IVA era maturato; rileva, invero, che l’Ufficio poteva legittimamente procedere, in sede di rettifica della dichiarazione fiscale IVA 2011, relativa all’anno d’imposta 2010, al disconoscimento del credito IVA riportato quale risultante dalla dichiarazione del precedente anno 2009 e venuto meno in quanto, sulla base delle fatture emesse nell’anno 2010, era risultato relativo ad acquisti afferenti operazioni esenti, posto che il mancato accertamento dell’anno di prima emersione dell’eccedenza non può precludere la possibilità di accertare la spettanza o meno del credito nell’anno successivo in cui il credito è stato riportato; precisa che la società contribuente aveva presentato, in data 10.03.2014, istanza di rimborso IVA relativa all’anno d’imposta 2010, in forza del mancato esercizio del diritto alla detrazione, sostenendo la natura imponibile delle operazioni attive fatturate, ritenute erroneamente esenti ma in realtà riconducibili a prestazioni di ricovero e cura di cui all’art. 10, comma 1, n. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, svolte da strutture non convenzionate e, pertanto, non rientranti nelle fattispecie soggette ad esenzione; aggiunge che l’Ufficio, coerentemente con la qualificazione delle operazioni operata in fattura, ha accertato che l’attività svolta dalla società era effettivamente riconducibile all’art. 10, comma 1, n. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, che dispone l’esenzione dell’IVA per ‘le prestazioni proprie dei brefotrofi, orfanotrofi, asili, case di riposo per anziani e simili, delle colonie marine, montane e campestri e degli alberghi e ostelli per la gioventù di cui alla legge 21 marzo 1958, n. 326, comprese le somministrazioni di vitto, indumenti e medicinali, le prestazioni curative e le altre prestazioni accessorie’ , con conseguente indetraibilità dell’IVA sugli acquisti ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972;
il motivo è fondato nei termini di seguito indicati;
-l’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede, al primo comma, che: ‘L’Ufficio dell’imposta sul valore aggiunto procede alla rettifica della dichiarazione annuale presentata dal contribuente quando ritiene che ne risulti un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero una eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante. ‘;
il secondo comma del medesimo articolo stabilisce che: ‘L’infedeltà della dichiarazione, qualora non emerga o direttamente dal contenuto di essa o dal confronto con gli elementi di calcolo delle liquidazioni di cui agli artt. 27 e 33 e con le precedenti dichiarazioni annuali, deve essere accertata mediante il confronto tra gli elementi indicati nella dichiarazione e quelli annotati nei registri di cui agli artt. 23, 24 e 25 e mediante il controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni sulla scorta delle fatture ed altri documenti, delle risultanze di altre scritture contabili e degli altri dati e notizie raccolti nei modi previsti negli artt. 51 e 51-bis. Le omissioni e le false o inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte da tali risultanze, dati e notizie a norma dell’art. 53 o anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti.’ ;
-la rettifica della dichiarazione IVA 2011, relativa all’anno d’imposta 2010, ha riguardato il credito IVA che risultava dalla dichiarazione per l’anno precedente (2009), formatosi, a sua volta, negli anni 2008 e 2009 e riportato negli anni successivi;
-l’Amministrazione finanziaria ha esaminato le precedenti dichiarazioni, in cui il credito si era generato, per verificarne la fondatezza e comprenderne la consistenza in relazione all ‘eccedenza IVA indicata nell a dichiarazione relativa all’anno 2010, che era l’unica dichiarazione oggetto di accertamento; l’esame delle precedenti dichiarazioni è servito per accertare i ‘fattori genetici’ del credito,
necessariamente ancorati all’annualità in cui è sorto, anche se poi la sua effettiva rilevanza (e incidenza) riguarda l’annualità in cui è stato effettivamente utilizzato (che è quella oggetto dell’accertamento); – come è stato condivisibilmente affermato da questa Corte, infatti, in una prospettiva di sistema, ‘la dottrina economica e aziendale considera l’impresa lungo l’intero arco della sua complessiva esistenza derivandone che solo al termine della sua ‘vita’ è possibile valutare se essa sia in attivo o in passivo ed è questo risultato che assume rilievo ai fini della capacità contributiva; la ripartizione lungo intervalli predeterminati, annuali, è considerata, in questa prospettiva un ‘artifizio necessario’, che assolve ad una esigenza di ordine, in vista, tra l’altro, dell’interesse fiscale ad avere assicurato un gettito regolare e costante ‘ (Cass. n. 13988 del 3.05.2022, in motivazione); -se i fattori ‘genetici’ del credito continuano ad esplicare i propri effetti anche negli anni successivi, non può essere precluso all’Amministrazione l’esame delle annualità precedenti al fine di ricostruire il riporto del credito, anche in ossequio ai principi costituzionali della riserva di legge (art. 23 Cost.), della capacità contributiva (art. 53 Cost.) e dell’imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.);
– con riferimento al caso in esame, pertanto, a prescindere dalla natura delle operazioni (esenti o imponibili) in relazione alle quali il credito IVA si sarebbe formato – natura che dovrà essere verificata dal giudice di rinvio, trattandosi del merito della pretesa (che non è stato esaminato dalla sentenza impugnata) -legittimamente l’Amministrazione finanziaria ha considerato anche le dichiarazioni IVA relative agli anni precedenti a quello oggetto della rettifica, perché le modalità di generazione del credito, a partire dal periodo di imposta in cui è sorto, costituiscono un mero elemento di fatto, che serve per esaminare la dichiarazione in relazione alla quale si svolge
l’attività di controllo ed è necessario per confermare l’esistenza del l’eccedenza riportata negli anni d’imposta successivi ;
– in conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, rigettato il primo; la sentenza va cassata, in relazione al motivo accolto, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’8 ottobre 2024