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Rettifica detrazione IVA: cosa fare se l’affare salta

Un’ordinanza della Cassazione esamina il caso di una società che, dopo aver versato acconti con IVA per un immobile, si è vista fallire la controparte venditrice. L’Agenzia delle Entrate richiedeva una rettifica della detrazione IVA, ma i giudici di merito hanno stabilito che l’obbligo di variazione non ricade sull’acquirente. Il caso evidenzia i principi che regolano la rettifica detrazione IVA quando l’operazione imponibile non si conclude.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rettifica Detrazione IVA: Obbligo o Diritto in Caso di Contratto Fallito?

La gestione dell’IVA in operazioni complesse, come le compravendite immobiliari, può generare dubbi significativi, specialmente quando l’accordo non va a buon fine. Una questione cruciale riguarda la rettifica detrazione IVA sugli acconti versati se il contratto definitivo non viene mai stipulato. Un’ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione ci permette di analizzare i principi che governano questa materia, chiarendo i ruoli e le responsabilità del venditore e dell’acquirente.

I Fatti del Caso

Una società stipulava un contratto preliminare per l’acquisto di un locale commerciale con magazzino, versando cospicui acconti per un totale di 2 milioni di euro, più IVA. Per questi pagamenti, la società venditrice emetteva regolari fatture. Tuttavia, il contratto definitivo non veniva mai concluso perché, nel 2011, la società promittente venditrice veniva dichiarata fallita.

La società acquirente, avendo versato l’IVA sugli acconti, chiedeva il rimborso di tale importo nella propria dichiarazione fiscale. L’Agenzia delle Entrate rispondeva con un avviso di accertamento, sostenendo che la società acquirente avrebbe dovuto effettuare una rettifica in aumento della detrazione IVA. Secondo l’amministrazione finanziaria, dal momento che l’operazione di compravendita era definitivamente venuta meno, il diritto alla detrazione dell’imposta assolta sugli acconti non sussisteva più.

La Posizione dei Giudici di Merito sulla Rettifica Detrazione IVA

La Commissione tributaria regionale, riformando la decisione di primo grado, accoglieva le ragioni della società contribuente. I giudici hanno chiarito un punto fondamentale basato sull’interpretazione dell’art. 26 del D.P.R. 633/1972 (la legge sull’IVA).

Secondo la Commissione, la normativa prevede una facoltà, e non un obbligo, di effettuare una variazione dell’imponibile e dell’imposta. Questo diritto spetta al cedente (il venditore), che è il soggetto passivo dell’imposta. Nel caso in cui un’operazione venga meno, il venditore può emettere una nota di credito per recuperare l’IVA versata all’Erario. Di conseguenza, il cessionario (l’acquirente) è tenuto a registrare la corrispondente variazione in aumento solo se e quando riceve la nota di credito dal venditore.

Nel caso specifico, non risultava che il contratto preliminare fosse stato risolto prima del fallimento, né che il curatore fallimentare avesse esercitato il diritto alla variazione previsto dall’art. 26. Pertanto, in assenza di una nota di credito, non poteva sorgere alcun obbligo di rettifica detrazione IVA in capo all’acquirente.

Il Principio del Duplice Incasso

Un altro argomento decisivo sollevato dai giudici di merito è stato quello di evitare un ingiusto arricchimento per l’Erario. L’amministrazione finanziaria aveva già incassato l’IVA dalla società venditrice al momento dell’emissione delle fatture sugli acconti. Pretendere che anche la società acquirente riversasse la stessa imposta, tramite una rettifica in aumento, avrebbe comportato un doppio incasso della medesima imposta su un’operazione mai conclusa. Questo, soprattutto considerando che l’acquirente non solo aveva già pagato l’IVA al suo fornitore, ma non ne aveva nemmeno ottenuto il rimborso a seguito del fallimento.

Le Motivazioni

Le motivazioni della decisione di merito, riportate nell’ordinanza della Cassazione, si fondano su una chiara distinzione tra i diritti del venditore e gli obblighi dell’acquirente. L’art. 26 del D.P.R. 633/1972 è concepito per permettere al soggetto che ha versato l’imposta (il venditore) di recuperarla qualora l’operazione venga meno. L’obbligo dell’acquirente di rettificare la propria detrazione è una conseguenza diretta e successiva dell’esercizio di tale diritto da parte del venditore.

Se il venditore non attiva la procedura di variazione, l’acquirente, che ha legittimamente detratto l’IVA al momento del pagamento dell’acconto fatturato, non è tenuto a modificare autonomamente la propria posizione fiscale. Imporre una rettifica all’acquirente creerebbe uno squilibrio, penalizzandolo due volte: prima per aver perso l’acconto a causa del fallimento del venditore, e poi per essere costretto a versare un’imposta che aveva già corrisposto e legittimamente detratto.

Le Conclusioni

Sebbene il procedimento in Cassazione sia stato rinviato a nuovo ruolo a seguito di una comunicazione di avvenuta definizione agevolata tra le parti, i principi espressi dai giudici di merito offrono un’importante lezione pratica. La rettifica detrazione IVA da parte dell’acquirente non è un automatismo che scatta al venir meno di un’operazione. È, invece, un obbligo che sorge solo come riflesso dell’azione del venditore, il quale ha la facoltà (e non l’obbligo) di emettere una nota di variazione. In assenza di tale atto, la detrazione operata dall’acquirente al momento del pagamento rimane legittima. Questa interpretazione protegge l’acquirente da conseguenze fiscali pregiudizievoli derivanti da eventi, come il fallimento del venditore, che sono al di fuori del suo controllo.

Se un contratto preliminare fallisce per il fallimento del venditore, l’acquirente è obbligato a effettuare una rettifica della detrazione IVA sugli acconti versati?
No. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito riportata nel provvedimento, l’acquirente non ha l’obbligo di effettuare una rettifica in aumento della detrazione IVA. Tale obbligo sorge solo come conseguenza dell’emissione di una nota di variazione da parte del venditore, che ha la facoltà, ma non l’obbligo, di farlo.

Chi ha il diritto di avviare la procedura di variazione IVA se un’operazione non si conclude?
Il diritto di avviare la procedura di variazione in diminuzione spetta al cedente o prestatore (il venditore), in quanto è il soggetto passivo che ha versato l’imposta all’Erario. L’acquirente è un soggetto passivo del solo obbligo di registrazione della variazione, una volta che questa gli viene comunicata.

Cosa succede all’IVA versata su acconti se il contratto definitivo non viene mai stipulato e il venditore fallisce?
L’IVA versata dall’acquirente al venditore rimane a credito del primo, che l’ha legittimamente detratta al momento della fatturazione. Se il venditore (o il suo curatore fallimentare) non esercita il diritto di emettere una nota di credito, la posizione fiscale dell’acquirente non deve essere modificata e l’Erario non può pretendere un secondo versamento della stessa imposta tramite una rettifica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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