Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20346 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20346 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3004/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
COGNOME
-intimato- avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA n. 3225/2020 depositata il 24/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
L’Agenzia delle entrate ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza della C.T.R. della Campania n. 3225/3/2020 con cui era stata confermata la sentenza di primo grado che aveva accolto l’impugnazione proposta dal contribuent e NOME COGNOME avverso l’avviso di accertamento di maggior valore, ai fini dell’imposta di registro, di un immobile ad uso commerciale in
Sorrento, ritenendo l’atto viziato per carenza di motivazione del valore accertato.
Il contribuente è rimasto intimato.
CONSIDERATO CHE
Con un unico motivo l’ufficio deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 51 d.P.R. n. 131/1986 per avere la C.T.R. annullato l’avviso di rettifica sulla base di una errata interpretazione dei presupposti della rettifica di valore. Osserva, in particolare, che i giudici di appello non avevano considerato che, nel caso di specie, come evidenziato nelle due fasi di merito, l’ufficio nel rideterminare il valore dell’immobile aveva tenuto conto di tutta una serie di valutazioni relative alla dislocazione fisica all’immobile, allo stato di fatto dello stesso, alla consistenza, alle destinazioni d’uso nonché facendo riferimento anche di altri immobili con analoghe caratteristiche del valore (siti nella stessa strada e nello stesso foglio catastale destinati alla stessa funzione cioè attività commerciali) in grado di fornire ai loro proprietari un reddito similare. Deduce, in particolare, che la C.T.R. non aveva considerato che il bene in questione presentava un’elevata commercialità tanto è vero che il canone di locazione versato dai venditori era pari a euro 27.600,00, elemento questo che stava a dimostrare sia l’elevata commerciabilità che una buona capacità reddituale. Precisa, infine, che il metodo comparativo adottato risultava del tutto corretto mentre gli elementi addotti dalla difesa risultavano sconfessati già dalle stesse contestazioni di parte contribuente, osservando, infine, che l’autonoma controversia proposta dal contribuente NOME COGNOME, altra parte del contratto, si era conclusa con il rigetto dell’impugnazione con conferma della legittimità della fondatezza della pretesa erariale.
Il ricorso è da ritenere inammissibile per plurime ragioni.
2.1. In primo luogo va premesso che la C.T.R, in sostanza, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva ritenuto carente
l’atto impositivo sotto il profilo dell’onere motivazionale (quindi l’accertamento dei giudici di merito ha attinto direttamente la motivazione dell’avviso di accertamento, non il giudizio estimativo) , ratio decidendi ‘autonoma’ giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, che non risulta essere stata adeguatamente censurata sul punto.
2.2. Per altro verso va rilevato che non sussiste la lamentata violazione dell’ l’art. 51, comma 3, del d.P.R. n. 131 del 1986 nella parte in cui prevede che, ai fini della rettifica del valore dei beni, debba aversi riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo ed alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni, aventi ad oggetto i medesimi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni.
Ed, infatti, le argomentazioni della sentenza di appello, conformi alla sentenza di primo grado, si fondano sul dettato di tale disposizione normativa ritenendosi, proprio in relazione alla inosservanza, a carico dell’ufficio, degli oneri nascenti da tale disposizione, che l’atto impositivo impugnato era carente in ragione della circostanza, che fini della comparazione, l’Ufficio avrebbe dovuto dimostrare quali erano le specifiche caratteristiche similari degli immobili presi a paragone, mentre nella presente vicenda si era limitato a indicare due immobili siti nelle stessa strada, omettendo d’indicare non solo l’ubicazione rispetto all’immobile de quo ma anche di specificare le caratteristiche degli immobili presi in considerazione, mentre l’Ufficio finisce per contestare solamente che i giudici di merito non avrebbero tenuto conto di una serie di dati fattuali rilevanti ai fini della rettifica del valore.
Occorre ribadire che quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche
mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità. (vedi, ex plurimis , Cass, n. 635/2015) apparendo evidente, nel caso in esame, il profilo di inammissibilità della censura.
Va, infine, precisato che il vizio non appare ravvisabile neanche relativamente ai richiamati ‘valori OMI’ in relazione ai quali i giudici di appello da un lato hanno affermato che l’ufficio non ne avrebbe dato conto, salvo poi affermare che non costituivano fonte di prova tipica: trattasi, infatti, di un inciso che, al di là della sua contraddittorietà e per certi versi illogicità, non incide sulla tenuta della motivazione che va ribadito non può ritenersi censurabile in relazione al dedotto profilo di violazione di legge.
2.3. Infine, non può sottacersi che il motivo di ricorso contiene una serie di puntualizzazioni in fatto (ubicazione u.i., stato, destinazione funzionale, valore reddituale catastale) sollecitando una inammissibile rivisitazione nel merito della vicenda in questione.
3. In conclusione va dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Nulla va disposto in relazione alle spese processuali essendo rimasta intimata la parte contribuente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data