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Rettifica catastale: onere della prova e unitarietà

La Corte di Cassazione interviene su un caso di rettifica catastale riguardante un immobile di un istituto di credito. La banca aveva tentato di frazionare il classamento dell’edificio, distinguendo le aree operative (D/5) dagli uffici direzionali (A/10). L’Amministrazione finanziaria aveva respinto la variazione, ripristinando l’unica categoria D/5. La Suprema Corte ha confermato che l’immobile deve essere considerato unitario data la sua destinazione funzionale complessiva. Tuttavia, ha accolto il ricorso sul punto dell’onere della prova, stabilendo che spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare la legittimità della maggiore rendita attribuita, non potendo semplicemente addossare l’onere al contribuente.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rettifica Catastale: l’Onere della Prova spetta all’Amministrazione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un’interessante questione in materia di rettifica catastale, chiarendo due principi fondamentali: l’impossibilità di frazionare catastalmente un immobile funzionalmente unitario e la ripartizione dell’onere della prova tra contribuente e Amministrazione finanziaria. Il caso riguarda un istituto di credito che, dopo lavori interni, aveva cercato di separare il classamento dei propri uffici direzionali dal resto dell’edificio, ricevendo un diniego dall’Agenzia delle Entrate. Vediamo nel dettaglio l’analisi della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Un istituto bancario, proprietario di un grande edificio sviluppato su più livelli, aveva originariamente l’intero immobile censito in categoria catastale D/5 (Istituti di credito). A seguito di una diversa distribuzione degli ambienti interni, senza modifiche strutturali, la banca presentava una dichiarazione DOCFA proponendo un frazionamento: una parte dell’immobile sarebbe rimasta D/5, mentre quattro porzioni, adibite a uffici direzionali, sarebbero passate alla categoria A/10 (Uffici e studi privati).

L’Amministrazione finanziaria respingeva questa variazione, emettendo un avviso di rettifica catastale con cui ripristinava l’originario e unitario classamento in D/5 per l’intero fabbricato. La banca impugnava l’atto, ma i giudici tributari, sia in primo che in secondo grado, davano ragione all’Agenzia, ritenendo che l’immobile dovesse mantenere una destinazione unitaria legata all’attività bancaria. La questione è quindi giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte sulla rettifica catastale

La Suprema Corte ha parzialmente accolto il ricorso della banca, cassando la sentenza impugnata con rinvio a un’altra sezione della Corte di giustizia tributaria. La decisione si fonda su una netta distinzione tra due aspetti della controversia:

1. Il classamento dell’immobile: Su questo punto, la Corte ha dato ragione all’Amministrazione finanziaria, rigettando i motivi di ricorso della banca. Ha stabilito che l’immobile, essendo internamente collegato e complessivamente destinato all’attività bancaria, non può essere frazionato in diverse categorie catastali.
2. L’onere della prova: Su questo aspetto, la Corte ha accolto il motivo di ricorso della banca. Ha ritenuto che i giudici di merito abbiano errato nell’applicare le regole sull’onere probatorio, addossandolo ingiustamente al contribuente.

Le Motivazioni della Sentenza

L’Unitarietà Funzionale dell’Immobile impedisce il Frazionamento

La Corte ha chiarito che, ai fini catastali, un immobile deve essere considerato nella sua unitarietà funzionale e reddituale. Nel caso di specie, sebbene alcune porzioni dell’edificio fossero adibite a uffici direzionali, esse rimanevano collegate e strumentali all’attività principale dell’istituto di credito. La categoria D/5 è specificamente prevista per gli “Istituti di credito, cambio e assicurazione”, immobili costruiti per le speciali esigenze di tale settore. La presenza di uffici direzionali non snatura questa destinazione unitaria, ma ne costituisce una componente.

Di conseguenza, la pretesa della banca di scindere l’immobile in più unità catastali è stata giudicata infondata, poiché l’intera struttura rimaneva rivolta a uno scopo unitario. La Corte ha inoltre precisato che la normativa sui cosiddetti “imbullonati” (che esclude dal calcolo della rendita i macchinari), invocata dalla ricorrente, non giustifica una separazione catastale di parti di un edificio, ma riguarda solo la stima del valore.

L’Onere della Prova nella Rettifica Catastale grava sull’Ufficio

Il punto cruciale che ha portato alla cassazione della sentenza riguarda l’onere della prova. La Corte ha riaffermato un principio consolidato: quando l’Amministrazione finanziaria emette un avviso di accertamento in rettifica a una dichiarazione del contribuente (come una DOCFA), è l’Ufficio a dover dimostrare la fondatezza della propria pretesa.

Nel caso specifico, l’Agenzia non si era limitata a ripristinare la vecchia rendita, ma ne aveva determinata una nuova, addirittura superiore a quella originaria. Secondo la Cassazione, il giudice di merito ha errato nel ritenere che l’onere probatorio dell’Ufficio fosse soddisfatto per il solo fatto di aver “ripristinato il classamento originario”. L’Amministrazione avrebbe dovuto fornire elementi concreti a sostegno della maggiore rendita attribuita, specialmente a fronte di uno stato di fatto dell’immobile rimasto invariato. Addossare al contribuente l’onere di provare l’infondatezza della pretesa dell’Ufficio ha costituito una violazione dell’art. 2697 del codice civile, stravolgendo la regola fondamentale di ripartizione dell’onere probatorio.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, conferma che la valutazione della corretta categoria catastale deve basarsi su un criterio di unitarietà funzionale: un immobile concepito e utilizzato per un unico scopo non può essere artificiosamente frazionato, anche se al suo interno si svolgono attività diverse ma collegate. In secondo luogo, e con maggiore impatto, ribadisce un principio di garanzia per il contribuente: in un procedimento di rettifica catastale, spetta sempre all’Amministrazione finanziaria provare i fatti che giustificano la propria pretesa impositiva. Non è sufficiente un mero rinvio a una situazione pregressa, soprattutto se la rettifica comporta un aumento del valore imponibile.

È possibile frazionare catastalmente un immobile se le sue porzioni hanno destinazioni d’uso diverse (es. sportello bancario e uffici)?
No, secondo la Corte non è possibile se l’immobile nel suo complesso rimane funzionalmente unitario, internamente collegato e destinato a un unico scopo principale, come l’attività bancaria. La presenza di uffici direzionali è considerata strumentale all’attività principale e non giustifica una separata classificazione.

In caso di rettifica catastale a seguito di una procedura DOCFA, su chi ricade l’onere di provare la correttezza del nuovo classamento?
L’onere della prova ricade sull’Amministrazione finanziaria. È l’Ufficio che deve dimostrare gli elementi di fatto e di diritto che giustificano la propria pretesa, non potendo limitarsi a ripristinare un classamento precedente né addossare al contribuente l’onere di dimostrare l’infondatezza della rettifica.

La normativa sui cosiddetti “imbullonati” può giustificare la separazione catastale di parti di un edificio?
No. La Corte ha chiarito che la normativa sugli “imbullonati” (L. 208/2015) riguarda esclusivamente la determinazione della rendita catastale, escludendo dal calcolo il valore di macchinari e impianti. Non ha alcuna attinenza con la classificazione dell’immobile e non può essere usata per giustificare un suo frazionamento catastale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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