Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3200 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3200 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13015/2022 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, in ROMA INDIRIZZO, che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso le SENTENZE di C.T.R delle Marche n.ri 1607/2021, 1612/2021, 1606/2021, 1611/2021, 1609/2021, 1608/2021, 1610/2021, tutte depositate il 30/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugna le sentenze della C.T.R. delle Marche nn. 1606/2021, 1607/2021, 1608/2021, 1609/2021, 1610/2021, 1611/2021 e 1612/2021, pronunciate in data 7 dicembre 2021, che, in accoglimento degli appelli dell’Agenzia delle entrate, riformavano le relative sentenze di primo grado con le quali era stata riconosciuta, ai sensi dell’art. 51, comma 8 bis T.U.I.R., la non assoggettabilità ad IRPEF, delle somme percepite a titolo di ‘elemento da assorbire’ da parte del contribuente, che aveva prestato attività di lavoro subordinato all’estero, in qualità di dirigente, nei periodi di imposta 2008 -2011.
Le sentenze della C.T.R., pronunciandosi tanto sulle istanze di rimborso formulate per gli anni 2008, 2009, 2010 e 2011 (sentenze nn. 1608, 1610, 1611, 1612), che sugli atti di accertamento per gli anni 2008-2009-2010 (sentenze nn. 1606, 1607, e 1609/2021) ritiene che la voce ‘elemento da assorbire’ erogata in via forfettaria, abbia natura retributiva, in quanto compensativa della maggior gravosità e del disagio morale ed ambientale dell’attività lavorativa prestata presso la sede di trasferimento, così rientrando nella retribuzione da porsi a base della individuazione della fascia di retribuzione convenzionale, su cui sono calcolate le imposte reddituali.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME formula tre motivi di impugnazione.
Con il primo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 33 d.lgs. 546 del 1992. Ricorda che con istanze di discussione, formulate in ciascuna delle controversie, in data 8 ottobre 2021, il ricorrente aveva richiesto la trattazione orale con modalità da remoto, ciò giustificandosi per la specificità delle questioni trattate, in assenza di elaborazione giurisprudenziale sul punto, nonché per il valore complessivo dei tributi e delle sanzioni, ammontanti complessivamente a euro 100.000,00. Rileva che la C.T.R., con motivazione del tutto stereotipata ed apparente, ha rigettato le istanze, limitandosi ad affermare che ‘stante il valore della causa, le risorse tecnologiche a disposizione di questa Commissione ed il numero delle cause fissate nello stesso giorno’ non ne consentivano l’accoglimento. Nondimeno, il decreto del Presidente della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, attuativo del d.l. 44/2021, smentisce quanto affermato con l’ordinanza di reiezione, espressamente riconoscendo la possibilità di utilizzare una pluralità di piattaforme per la trattazione orale da remoto. D’altro lato, non solo il valore complessivo delle controversie era rilevante, ma non può ricadere sul contribuente la mala gestio dell’ufficio giudiziario nella formazione dei ruoli. L’arbitrarietà della motivazione dell’ordinanza, che ha negato il contraddittorio orale, affetta di nullità la sentenza impugnata.
Con il secondo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., la nullità delle sentenze impugnate per violazione dell’art. 36 d.lgs. 546 del 1992. Sostiene che l e sentenze mal comprendendo la questione rimessa al l’ esame della C.T.R., confondono la natura reddituale della voce ‘elemento da assorbire’, con la natura retributiva del medesimo, senza affrontare il problema riguardante la riconducibilità o meno della
voce ‘elemento da assorbire’ alla nozione di ‘retribuzione nazionale corrispondente’ al fine di individuare la fascia di retribuzione convenzionale sostitutiva, su cui calcolare l’imposta reddituale dovuta.
4. Con il terzo motivo si deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 51, comma 8 bis T.U.I.R. Osserva che la disposizione introduce un regime agevolativo per coloro che, conservando la residenza in Italia, prestino attività di lavoro subordinato all’estero, consistente nella sostituzione, ai fini fiscali, della retribuzione effettivamente percepita con la ‘retribuzione convenzionale’, comportante l’esclusione dalla tassazione di componenti riconosciute al lavoratore in dipendenza dal rapporto di lavoro, ma prive della connotazione sinallagmatica della retribuzione. Rappresenta che, nel caso di specie, il ricorrente percepiva due indennità (come emerge anche dall’avviso di accertamento), l’una di carattere analitico funzionale, volta a coprire alcuni costi sostenuti dal ricorrente, l’altra, di carattere forfettario rivolta a bilanciare il disagio familiare e relazionale, conseguente al trasferimento all’estero, denominata ‘emolumento da assorbire’. Rileva che la natura indennitaria e non retributiva di siffatta voce è chiarita anche dalla documentazione prodotta dal ricorrente. Ed in particolare, dalla corrispondenza intercorsa fra il lavoratore ed il suo datore di lavoro il 6 dicembre 2006, maldestramente ritenuta inconferente dal giudice di appello, in quanto risalente ad anni di imposta precedenti, ancorché l’emolumento sia rimasto il medesimo e non siano intervenute modifiche contrattuali fra le parti. Assume di avere sottolineato l’irragionevolezza della tesi dell’Ufficio, fatta propria della C.T.R., la cui applicazione finisce per assoggettare il reddito percepito ad una tassazione maggiore di quella ordinaria, con ribaltamento della logica agevolativa di cui alla disposizione. Denuncia
l’incoerenza dell e sentenze impugnate nella parte in cui, nel rispondere a siffatta sollecitazione, affermano che il regime di cui all’art. 51 comma 8 bis T.U.I.R. è rinunciabile dal contribuente, negando la ratio stessa della norma.
Con il controricorso l’Agenzia delle Entrate formula eccezione di inammissibilità del ricorso, per essere state impugnate con il medesimo atto sette diverse sentenze, relative a sette diversi provvedimenti, di diverso contenuto e con diversa causa petendi.
L’eccezione, che deve essere affrontata per prima in ordine logico, non può trovare accoglimento.
Deve, infatti, essere ribadito il principio enunciato dalle Sezioni Unite, secondo il quale ‘In materia tributaria è ammissibile – fermi restando gli eventuali obblighi tributari del ricorrente, in relazione al numero dei provvedimenti impugnati il ricorso cumulativo avverso più sentenze emesse tra le stesse parti, sulla base della medesima “ratio”, in procedimenti formalmente distinti ma attinenti al medesimo rapporto giuridico d’imposta, pur se riferiti a diverse annualità, ove i medesimi dipendano per intero dalla soluzione di una identica questione di diritto comune a tutte le cause, in ipotesi suscettibile di dar vita ad un giudicato rilevabile d’ufficio in tutte le cause relative al medesimo rapporto d’imposta. (Sez. U, Sentenza n. 3692 del 16/02/2009; conf. Da ultimo Sez. 5 – , Ordinanza n. 32060 del 28/10/2022).
Nel caso in esame le sentenze impugnate, seppure inerenti in parte all’impugnazione del silenzio rifiuto dell’Amministrazione fiscale in ordine alla richiesta di rimborso ed in parte agli avvisi di accertamento in ordine alla debenza delle imposte reddituali sulle somme riconosciute a titolo di ‘emolumento assorbibile’, presuppongono tutte la risoluzione della medesima questione
giuridica, riguardante la qualificazione di siffatto emolumento come retributivo o non retributivo.
Ne consegue la piena legittimità dell’impugnazione con unico ricorso di tutte le sentenze pronunciate nei confronti dell’attuale ricorrente.
Procedendo, quindi, all’esame del ricorso, il primo motivo non è fondato.
8.1 Secondo quanto chiarito da questa Sezione, la normativa emergenziale di contrasto all’epidemia da Covid-19, ‘consente di sostituire l’udienza pubblica di discussione con il suo svolgimento mediante collegamento da remoto e, in alternativa, prevede la decisione sulla base degli atti, lasciando all’iniziativa della parte la possibilità di insistere per la discussione, che, ove non sia possibile il collegamento da remoto per carenze organizzative all’interno dell’ufficio, può essere sostituita dalla trattazione scritta, da considerarsi equivalente all’udienza. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato nulla la sentenza impugnata, che, pur avendo la parte insistito per l’udienza di discussione, era stata pronunciata allo stato degli atti, senza dare atto dell’impossibilità di procedere al collegamento da remoto e senza neppure concedere i termini per la trattazione scritta). (Sez. 5, Sentenza n. 20420 del 23/07/2024).
8.2 D’altro canto ‘la decisione del giudice di disporre, ai sensi dell’art. 27, comma 2, del d.l. n. 137 del 2020, la trattazione scritta, nonostante la richiesta della parte di discussione in pubblica udienza o con collegamento a distanza, è legittima, ove carenze organizzative all’interno dell’ufficio impediscano il collegamento da remoto, poiché le parti non hanno un diritto pieno e incondizionato all’udienza pubblica e la trattazione scritta garantisce le essenziali prerogative del diritto di difesa, assicurando l’interesse pubblico all’esercizio della giurisdizione anche in periodo emergenziale. (Sez. 5 – ,
Sentenza n. 6033 del 28/02/2023; Sez. L., Ordinanza n. 594 del 08/01/2024).
8.3 Nell’ipotesi in esame il giudice di appello mostra di avere effettuato il bilanciamento richiesto, avendo dato atto delle difficoltà tecniche e della pluralità delle controversie chiamate alla medesima udienza, che rendevano difficoltosa la trattazione orale, ancorché con modalità da remoto, assicurando, nondimeno, il pieno contraddittorio attraverso la trattazione in forma scritta, da considerarsi equivalente.
Il secondo ed il terzo motivo possono essere affrontati unitariamente, in quanto strettamente connessi.
9.1 Per dare soluzione al quesito posto con le doglianze appare necessario, preliminarmente, fare qualche precisazione.
9.2 Il comma 8 bis dell’art. 51 T.U.I.R. (in precedenza comma 8 bis dell’art. 48, introdotto con l’art. 36 l. 342/2000) disciplina la tassazione dei redditi da lavoro dipendente prestato all’estero -prima esclusi dalla base imponibile- a mezzo della sostituzione della retribuzione effettivamente percepita dal dipendente, con la retribuzione c.d. convenzionale, la cui determinazione è rimessa al decreto del Ministro del lavoro, che deve provvedervi annualmente.
9.3 La retribuzione convenzionale, pertanto, è una retribuzione figurativa, il cui ammontare forma la base del calcolo dell’imposta reddituale, ancorché i compensi percepiti in dipendenza del rapporto di percepiti siano superiori, perché essa lo strumento con il quale il legislatore, assicura al lavoratore dipendente che lavori all’estero, ma sia residente in Italia -i cui redditi, quindi, sono esclusivamente tassati in Italia-di non essere trattato in modo deteriore rispetto al lavoratore che lavora in patria. Ciò che forma base della retribuzione convenzionale è, dunque, la c.d. retribuzione nazionale, ovverosia il trattamento previsto per il lavoratore dal contratto
collettivo, comprensivo degli emolumenti riconosciuti per accordo tra le parti, con esclusione delle ‘indennità estero’. Quelle indennità, per dirlo in altre parole, esclusivamente connesse con lo svolgimento all’estero della prestazione lavorativa.
9.4 La suddivisione per fasce della retribuzione convenzionale, come determinata con il d.m. del Ministero del lavoro, può essere mensilmente più elevata della retribuzione nazionale, a seconda della sua collocazione nella fascia di riferimento, e, tuttavia, essa si computa sulla base di dodici mensilità, che comprendono gli importi corrisposti per le mensilità aggiuntive (tredicesima e quattordicesima). Sicché il calcolo finale della retribuzione convenzionale non supera la retribuzione annuale effettivamente percepita, emendata dalle c.d. indennità estero. Siffatto risultato è assicurato proprio dalla suddivisione per fasce della retribuzione convenzionale.
9.5 Il regime, pertanto, va definito come regime di neutralità fiscale e risulta agevolativo per il lavoratore nel senso che implica la non tassabilità dell’interezza dei compensi ricevuti in dipendenza del rapporto di lavoro svolto all’estero, essi rimanendo al di fuori del perimetro della tassazione.
9.6 Ecco, allora, che la definizione di qualsivoglia indennità come ‘indennità estero’ è oggetto della valutazione del giudice di merito, il quale, nondimeno, deve provvedervi in concreto, tenendo in considerazione le pattuizioni fra le parti, ed esaminando, di volta in volta, se il compenso sia sinallagmaticamente collegato alla prestazione lavorativa o se, invece, esso sia erogato esclusivamente alla maggior gravosità connessa con il rendere la prestazione al di fuori dei confini nazionale, ciò implicando il sacrificio del lavoratore in termini di vita personale. E’ questa differenza che determina la natura retributiva o non retributiva dell’indennità e quindi la sua
inclusione nel calcolo della retribuzione nazionale, su cui va calcolata la fascia della retribuzione convenzionale.
9.7 E’ chiaro, peraltro, che una simile valutazione deve seguire i criteri di riparto dell’onere probatorio, incombendo la prova sul lavoratore, ove egli chieda il rimborso delle imposte pagate in eccedenza, e sull’amministrazione fiscale, nel caso in cui operi per il recupero di somme non corrisposte dal contribuente.
Nell’ipotesi di specie, la C.T.R. non ha adeguatamente svolto siffatta valutazione, posto che, da un lato, ha dato atto che voce ‘elemento da assorbire’ era destinata a cessare al rientro del lavoratore in Italia, dall’altro, ha ritenuto di prescindere dalla prova offerta dal lavoratore -consistente nello scambio della corrispondenza fra datore di lavoro e lavoratore e dal prospetto INPS dal quale si evinceva il mancato assoggettamento dell’indennità agli oneri contributivi – in modo sostanzialmente assertivo. E lo ha fatto anche commettendo un errore giuridico, semplicisticamente affermando ‘la netta differenza retribuzione convenzionale e profili previdenziali’, laddove, invece, il regolamento CE n 833 del 2004 ed il regolamento CE 987 del 2009, in tema di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, rispettivamente agli artt. 12 e 13, rinviino alla legislazione degli Stati membri (cfr. art. 12 reg. CE 833/2004: ‘Norme particolari: 1. La persona che esercita un’attività subordinata in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro che vi esercita abitualmente le sue attività ed è da questo distaccata, per svolgervi un lavoro per suo conto, in un altro Stato membro rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i ventiquattro mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona. La persona che esercita abitualmente un’attività lavorativa autonoma in uno
Stato membro e che si reca a svolgere un’attività affine in un altro Stato membro rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro, a condizione che la durata prevedibile di tale attività non superi i ventiquattro mesi’.
Le sentenze devono, dunque, essere cassate con rinvio alla Commissione di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione, affinché in applicazione dei su estesi principi valuti la natura retributiva o non retributiva della voce ‘elemento assorbibile’. La liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità è rimessa al giudice del rinvio.
P.Q.M.
In accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso, respinto il primo, cassa le sentenze impugnate e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione, cui rimette anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2024