Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20613 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20613 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
Oggetto: retribuzione amministratori -norme imperative –principio di diritto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14914/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.
), ed elettivamente domiciliata presso lo RAGIONE_SOCIALE (p.e.c. ) sito in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
avverso la sentenza della Corte Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna n.1574/9/2021 depositata il 23 dicembre 2021, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 30 maggio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell ‘Emilia -Romagna venivano rigettati gli appelli proposti, sui rispettivi capi di soccombenza, dalla società RAGIONE_SOCIALE e dall’RAGIONE_SOCIALE, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Modena n. 394/3/2020 di parziale accoglimento del ricorso introduttivo avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO relativo ad II.DD., IVA e accessori per gli anni di imposta 2013-18. Le riprese, basate su p.v.c., avevano ad oggetto tre rilievi: 1) deduzione di costi ai fini RAGIONE_SOCIALE II.DD. e detrazione della relativa IVA in relazione a prestazioni di facchinaggio da parte di cooperative non supportate da documentazione, con conseguente contestazione di illecita somministrazione di manodopera; 2) deduzione di costi e detrazione della relativa imposta armonizzata per prestazioni di consulenza di opere intellettuali da parte degli amministratori della società in favore della contribuente stessa, contestate come retribuzione periodica corrisposta agli amministratori non deliberata dall’assemblea dei soci; 3) deduzione e detrazione di costi per piccoli importi e rimborsi non documentati o non inerenti. Per l’effetto, con l’atto impositivo impugnato l’RAGIONE_SOCIALE intimava il pagamento di maggiori imposte ai fini IRES per euro 8.778,00, IRAP per euro 63.149,00, IVA per euro 341.564,00, per un totale di euro 413.491,00, oltre sanzioni per euro 689.297,70.
L’adita Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso solo in parte, in punto di sanzioni con riferimento all’applicazione della recidiva nella determinazione della misura, rigettando la prospettazione della contribuente nel resto, decisione confermata in ogni sua parte dal giudice d’appello.
Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione la società, affidato a nove motivi, cui replica l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, ai fini dell’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ., la ricorrente prospetta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia sul motivo di impugnazione riguardante il vizio di notifica per mancato rispetto della prescrizione di cui all’art. 7, L. n. 890/1982. La sentenza sarebbe nulla in quanto avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di impugnazione con il quale era stata lamentata la violazione della previsione normativa da ultimo menzionata, per avere il messo postale omesso di inviare la CAN all’effettivo destinatario della notifica.
La società, con la seconda censura, prospetta anche la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 890/1982, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., nel caso in cui l’omessa pronuncia sulla CAN fosse interpretata quale rigetto implicito del motivo, dal momento che la CTR sarebbe incorsa comunque nella violazione e falsa applicazione della previsione normativa suddetta, per non avere considerato nulla la notifica dell’avviso di accertamento, effettuata a un soggetto diverso dal destinatario in assenza dell’invio a quest’ultimo della CAN.
I due motivi, connessi tra loro, non possono trovare ingresso.
3.1. In disparte dall’eccezione di inammissibilità per cd. doppia conforme sollevata in controricorso, non sussiste l’omessa pronuncia prospettata nella prima censura dal momento che la sentenza impugnata, non solo a pag.3 dà conto della pronuncia da parte del
giudice di prime cure sulla questione («il giudice provinciale osservava che: la notifica dell’avviso di accertamento non era affetta da nullità, un quanto effettuata a mani di soggetto che si trovava nella sede sociale e che aveva esternato la propria legittimazione alla ricezione dell’atto (…) »), ma si pronuncia anche esplicitamente, e non implicitamente, alle pagg.5 e 6 a partire dalle parole «Per quanto attiene alla questione della nullità della notifica dell’avviso di accertamento e della conseguente decadenza del potere accertativo (…) ».
3.2. In secondo luogo, è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza anche il secondo motivo. Va affermato anche nella fattispecie il principio di diritto secondo il quale (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9878 del 26/05/2020), in tema di notificazione a mezzo posta degli atti processuali, la spedizione della raccomandata informativa di cui all’art. 7, comma 6, della l. n. 890 del 1982 (comma inserito dall’art. 36, comma 2 quater, del d.l. n. 248 del 2007, conv., con modif., dalla l. n. 31 del 2008, e successivamente abrogato dalla l. n. 205 del 2017) è prescritta nell’ipotesi di consegna del piego a persona diversa dal destinatario, il quale, nel caso di notificazione alle persone giuridiche ex art. 145 cod. proc. civ., va individuato non solo nel legale rappresentante, ma anche negli altri soggetti indicati nella disposizione e, cioè, nelle persone incaricate di ricevere le notificazioni o, in mancanza, addette alla sede.
Orbene, la CTR ha così motivato a pag.6 della sentenza: «l’avviso di accertamento è stato notificato presso la sede della società contribuente nelle mani di una persona che si è dichiarata sua impiegata. (…) Alla luce di tali emergenze e del fatto che non vi è alcun elemento da cui evincere che chi ha ricevuto la notifica dell’atto non fosse abilitato a riceverlo si può affermare che si è dinnanzi a una notificazione regolarmente effettuata ai sensi dell’art. 145 cod. proc. civ.»
Il giudice ha dunque operato una precisa qualificazione della notifica come perfezionata nelle mani dell’addetto presso la sede legale della società laddove l’atto deve essere consegnato ai soggetti indicati dall’art. 145, comma 1, cod. proc. civ., ossia al «rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa», qualificazione sulla base della quale non è necessario l’invio della CAN.
Con il terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 145 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dal momento che la notifica alla società è stata ritenuta dal giudice regolare pur essendo stata effettuata in luogo diverso dalla sede legale e a un soggetto non incaricato dalla RAGIONE_SOCIALE alla ricezione degli atti.
La quarta censura lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 del d.P.R. n. 600/1973 e 156 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, co.1, n. 3) cod. proc. civ., avendo il giudice ritenuto la notifica del ricorso idonea a sanare il vizio della notifica dell’avviso di accertamento, nonostante fosse intervenuta allorquando il termine decadenziale per l’esercizio del potere impositivo era già scaduto.
I due motivi, connessi, sono di trattazione congiunta e non possono essere accolti.
6.1. Inutilmente la ricorrente afferma in questa sede la non veridicità del fatto che la notifica sia avvenuta presso la sede della RAGIONE_SOCIALE, e che il Sig. COGNOME fosse incaricato alla ricezione degli atti, come richiede la norma. Infatti, il ricorso non dà alcuna evidenza e afferma apoditticamente il fatto che sarebbe incontestata la circostanza secondo la quale la consegna del plico non sarebbe avvenuta nei locali della società. Inoltre, è lo stesso ricorso a riferire che la cartolina riporta la dicitura ‘impiegato’, all’altezza della riga ‘al servizio del destinatario’ e, contro tale attestazione dell’ufficiale postale, non risulta proposta querela di falso. L’attestazione che fa fede fino a querela di falso non riguarda la qualificazione giuridica
dell’ accipiens , bensì il fatto materiale che questi si sia qualificato dipendente al momento della ricezione dell’atto, presso i locali della società, che tale informazione sia stata trasmessa all’ufficiale giudiziario e da questi recepita nella relata di notificazione, attestazione dell’ufficiale postale che non risulta impugnata davanti al giudice ordinario.
6.2. Infine, non opera alcuna sanatoria di cui all’art. 156 cod. proc. civ. in relazione all’esercizio del potere impositivo e, sul punto, la motivazione della sentenza impugnata va corretta ex art.384 u.c. cod. proc. civ., dal momento che non sussiste in radice il paventato profilo della decadenza dall’esercizio del potere impositivo in capo all’RAGIONE_SOCIALE . Assorbente ogni altro profilo è l’operatività nella fattispecie del raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, in presenza della trasmissione in data 18.7.2018 della denuncia di reato da parte della Guardia di Finanza per i fatti alla base RAGIONE_SOCIALE riprese e, nel testo normativo applicabile ratione temporis , era anche sufficiente il mero obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17586 del 28/06/2019).
Con il quinto motivo viene censurata la nullità della sentenza per mancanza del requisito della motivazione di cui agli artt. 111, comma 6, Cost., 36, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, art. 132, comma 2, n. 4) cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., per essere la pronuncia della CTR viziata da assenza del requisito della motivazione, nel suo minimo costituzionale.
Con il sesto motivo viene prospettata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ. e dell’art. 29, del d.lgs. n. 276/2003, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., per aver il giudice fatto malgoverno del materiale probatorio agli atti, in violazione dell’art. 2729 cod. civ., non avendo preso posizione sui molteplici elementi probatori e sulle argomentazioni sottoposti alla loro
attenzione, limitando la loro analisi solo ai profili RAGIONE_SOCIALE direttive impartite dalla RAGIONE_SOCIALE e alle modalità di determinazione del quantum da corrispondere alle Cooperative.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili.
9.1. Va innanzitutto rammentato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi ai fini della disamina della fondatezza RAGIONE_SOCIALE riprese: la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno desunti dal loro esame complessivo, in un giudizio non atomistico di essi (ben potendo ciascuno di essi essere insufficiente da solo), sebbene preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza ed ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 5374 del 2017). Ciò che rileva è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, fermo restando il diritto del contribuente a fornire la prova contraria.
Infine, quanto alla valutazione della prova contraria, il Collegio osserva come, per consolidata interpretazione giurisprudenziale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie offerte dalle parti e, come sopra visto, nella fattispecie il fatto storico è indubbiamente stato considerato.
9.2. La CTR ha così motivato alle pagine da 7 a 9 della sentenza: «Dalle emergenze istruttorie (…) è emerso che l’organizzazione dell’attività dei lavoratori forniti dalle cooperative operanti all’interno degli stabilimenti RAGIONE_SOCIALE società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, con le quali la contribuente, in qualità di appaltatrice,
aveva concluso i relativi contratti di appalto aventi ad oggetto l’automatizzazione dei loro magazzini non era effettuata da tali cooperative asseritamente subappaltatrici, ma direttamente dal personale RAGIONE_SOCIALE società committenti, i cui dipendenti addetti ai magazzini effettuavano i medesimi lavori (…) In sostanza, si può tranquillamente affermare che, nel caso in esame, correttamente il Giudice di primo grado ha ravvisato un’interposizione illecita di manodopera. Ciò trova conferma anche nelle modalità con le quali veniva determinato il quantum da corrispondere alle cooperative, parametrato, come descritto chiaramente alle pag. 25 – 26 del p.v.c. redatto dalla Guardia RAGIONE_SOCIALE Finanza, non già sul servizio prestato dalle stesse, ma sulle ore lavorate dai singoli soci, lavoratori presso l’RAGIONE_SOCIALE» 9.3. A fronte di tale ampia argomentazione, che certamente rispetta il minimo costituzionale e non è apparente, contenente precisi riferimenti al quadro istruttorio, la ricorrente prospetta che, in relazione alla riqualificazione dei contratti di appalto come somministrazione di manodopera, la CTR avrebbe valorizzato due soli aspetti, ossia da un lato che i dipendenti RAGIONE_SOCIALE Cooperative prendessero direttive anche dalla RAGIONE_SOCIALE (committente di RAGIONE_SOCIALE) e, dall’altro, che la determinazione del quantum , da corrispondere alle cooperative, fosse parametrato non sul servizio prestato dalle stesse, bensì sulle ore lavorate dai singoli soci lavoratori. Tuttavia, il fatto storico rilevante in causa alla base della riqualificazione è stato valutato nella fattispecie, e gli elementi indiziari valorizzati, ossia l’eterodirezione proveniente dalla committente e le modalità di determinazione della controprestazione, e quindi i compensi da corrispondere alle cooperative, non solo si collocano nell’ambito della discrezionalità del giudice del merito in termini razionali e decisivi ai fini della qualificazione, ma anche nel solco della giurisprudenza di legittimità (Cass. n.938/2018; Cass. 1808/2017). I motivi si risolvono così in doglianze di mera insufficienza motivazionale, non più censurabile nel quadro normativo vigente, susseguente all’entrata in vigore dell’art. 54, comma primo, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito
con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134 (Cass. n.8053/2014). Come eccepito in controricorso quindi, con entrambe le censure in disamina la ricorrente sostanzialmente ripropone le proprie argomentazioni, già vagliate e motivatamente disattese dal giudice, in termini inammissibili in sede di legittimità.
10. Con il settimo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, del d.P.R. n. 633/1972, 167 e ss. della Direttiva 2006/112/CE, 14, comma 4-bis, della L. 537/1993 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) e cod. proc. civ., e per violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4) ai fini dell’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., per aver il giudice ritenuto legittimo l’operato dell’Ufficio in punto di recupero dell’IVA detratta e dell’IRAP dedotta, senza considerare la normativa in tema di IRAP e la giurisprudenza della Corte di Giustizia sull’IVA per i contratti illeciti, quali andrebbero ritenuti quelli di interposizione di manodopera a seguito della riqualificazione. La ricorrente si duole del fatto che la sentenza alle pagg. 11 e 12 si limita a concludere che «la contribuente non poteva portare in detrazione l’IVA corrisposta alle cooperative, né detrarre dall’imponi bile ai fini IRAP quanto versato alle predette cooperative come pagamento RAGIONE_SOCIALE fatture dalle stesse emesse», senza una previa motivazione articolata, idonea a dare conto del ragionamento logico-giuridico seguito dal giudice. Da questo deriverebbe anche il vizio di illegittimità della sentenza per motivazione apparente.
In via subordinata, la Corte viene anche richiesta di sollevare la questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia UE nei seguenti termini: se il principio di neutralità dell’Iva, garantito dal diritto alla detrazione di cui agli artt. 167 ss. della Direttiva2006/112/CE del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, pubblicata nella G.U.U.E. 11 dicembre 2006, L. 347, debba essere interpretato nel senso che deve essere applicata l’I VA anche ad un’ipotesi di appalto di manodopera, riqualificato come intermediazione di manodopera illegittima, in
quanto non riconducibile alle ipotesi di intermediazione consentite dall’ordinamento.
Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e di infondato.
11.1. È inammissibile nella parte in cui compendia profili di censura tra loro incompatibili come la violazione di legge e la motivazione apparente in una commistione inestricabile di doglianze.
11.2. È poi infondato in quanto la decisione del giudice è in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18808 del 28/07/2017; conforme, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28953 del 12/11/2018), la quale ha da tempo chiarito, con un principio di diritto condiviso cui merita data ulteriore continuità, che, pur dopo la riforma di cui al d.lgs. n. 276 del 2003, il contratto di somministrazione di manodopera irregolare, schermato da quello di appalto di servizi, incorre in nullità, che conforma anche la sorte del contratto tra lavoratore e somministratore. A nulla rileva neppure l’eventuale fatto che lo stesso lavoratore, mediante ricorso giudiziale ex art. 414 cod. proc. civ., abbia agito per la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore effettivo della prestazione, sul quale soltanto gravano gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo, nonché fiscale, scaturenti dal detto rapporto. Ne deriva che la fatturazione RAGIONE_SOCIALE prestazioni rese da parte del somministratore non legittima la detrazione dell’IVA ad esse relativa, né la maggior IRAP dovuta, scaturente dall’esclusione della deduzione, quali componenti negativi, per le spese del personale. La fattispecie è in termini e non si ravvisano ragioni per discostarsi da tale consolidato insegnamento, neppure alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia, sentenze 11 marzo 2020 RAGIONE_SOCIALE, nella causa C-94/19 e C-114/22 del 25 maggio 2023. Q uest’ultima sentenza è stata applicata dalla Corte di cassazione attraverso l’affermazione del principio di diritto secondo il quale ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA da parte della cessionaria in caso di nullità del contratto di cessione del
bene e relativa fattura emessa dalla cedente, in applicazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE sentenza C-114/22 del 25 maggio 2023, il soggetto passivo non è privato del diritto alla detrazione per il solo fatto che il contratto è viziato da nullità sulla base del diritto civile, se non è dimostrato che sussistono gli elementi che consentono di qualificare tale operazione ai sensi del diritto unionale come fittizia oppure, qualora detta operazione sia stata effettivamente realizzata, che essa trae origine da un’evasione dell’imposta o da un abuso di diritto.
Nel caso di specie non vi è dubbio che ricorre quest’ultima ipotesi, essendo stata contestata l’illecita interposizione di manodopera il cui disvalore sociale è tale per cui in materia non solo è astrattamente configurabile il reato di cui interposizione fraudolenta di manodopera di cui all’art.36 bis d.lgs. 81/2015 oltre che i reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000 n.74, ma, come si legge a pag.9 del controricorso, è anche concretamente intervenuta la trasmissione della denuncia di reato da parte della Guardia di Finanza in data 18.7.2018.
11.3. Conseguentemente, non è accoglibile neppure la richiesta di rinvio pregiudiziale articolata nel corpo della censura, alla luce della giurisprudenza unionale che ha già fornito le indicazioni per risolvere le questioni del principio di neutralità dell’I VA con riferimento all ‘ipotesi di appalto di manodopera, riqualificato come intermediazione di manodopera illegittima, lasciando al giudice nazionale il compito di applicare tali condivisi principi alla fattispecie concreta.
Nella fattispecie, ammettere la contribuente alla detrazione dell’IVA in presenza di illecita intermediazione di manodopera le permetterebbe di conseguire un sostanzioso illecito vantaggio che falserebbe la concorrenza rispetto a chi assume i lavoratori o comunque sostiene maggiori costi in presenza di contratti regolari. La denegazione del diritto alla detrazione nel caso in esame è esattamente diretta a ristabilire il principio di neutralità dell’imposta armonizzata,
che sarebbe concretamente leso ove situazioni diverse venissero trattate nello stesso modo.
Non sussiste neppure il diritto alla detrazione ai fini IRAP (cfr. anche Cass. n. 18808/17), per mancanza di certezza, derivante dalla nullit à del titolo giuridico da cui scaturisce la relativa obbligazione patrimoniale. Certezza, predicabile anche in tema di IRAP, giusta il richiamo dell’art. 5 del d.lgs. n. 446/97 all’art. 2425 cod. civ. e, per conseguenza, ai requisiti di correttezza e veridicit à del bilancio che attengono al risultato economico.
Con l’ottavo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 109, del d.P.R. n. 917/1986, 2729 e 1415 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., per aver la CTR disconosciuto la deduzione dei costi (inerenti) relativi ai contratti di consulenza conclusi da RAGIONE_SOCIALE con i propri amministratori, sul presupposto che tali contratti fossero simulati e diretti ad occultare la corresponsione di compensi agli amministratori, in mancanza di prova sull’accordo simulatorio.
Il motivo non può trovare ingresso.
13.1. È opportuno brevemente ricostruire la regola di diritto applicabile alla fattispecie. Sul piano della disciplina positiva, ai sensi dell’art.2389, comma 1, cod. civ., i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea . In particolare, nelle società prive di consiglio di sorveglianza, è l’assemblea ordinaria che, ex art.2364, comma 1, n.3 cod. civ. determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito dallo statuto.
Tale complesso normativo va posto in collegamento con la nullità generale di cui all’art. 1418, comma 1, cod. civ. secondo la quale la contrarietà a norma imperativa determina la nullità del contratto, in quanto «la disciplina di cui all’art. 2389 cod. civ. (dettata in continuità con l’orientamento legislativo tradizionale, risalente all’art. 154, n. 4 del codice di commercio del 1882) ha certamente natura imperativa e inderogabile, sia perché, in generale, la disciplina della
struttura e del funzionamento RAGIONE_SOCIALE società regolari sono dettate (anche) nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività commerciale e industriale del Paese, sia perché, in particolare, la loro violazione, in particolare la percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea, era prevista dall’art. 2630 c.c., comma 2, n. 1 (abrogato dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, art. 1) come delitto che non poteva certo essere scriminato dalla approvazione del bilancio successiva alla consumazione. È pertanto evidente che la violazione dell’art. 2389 cod. civ., sul piano civilistico, da luogo a nullità degli atti di autodeterminazione dei compensi da parte degli amministratori per violazione di norma imperativa, nullità che, per il principio stabilito dall’art. 1423 cod. civ., non è suscettibile di convalida, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente» (così la sentenza RAGIONE_SOCIALE Sez. Unite n. 21933 del 29/08/2008 in parte motiva).
Sul piano interpretativo, la Corte di cassazione ha perciò interpretato la disciplina sul funzionamento RAGIONE_SOCIALE società nel senso che questa è dettata anche nell’interesse pubblico (da ultimo, cfr. Cass. n. 24471/2022), e ciò al fine del regolare svolgimento dell’attività economica ed ha natura imperativa e inderogabile. La richiamata disciplina contiene infatti all’ art.2364, comma 1, n.3 cod. civ. una distinta previsione della delibera di approvazione che determina il compenso degli amministratori (Cass. n. 28668/2018). Sono perciò indeducibili i compensi corrisposti in favore degli amministratori per difetto di una preventiva delibera da parte dell’assemblea dei soci. Il principio è confermato anche dalla giurisprudenza successiva (ad. es. Cass. n.17673/2013) ed è affermato con riferimento alla formulazione della disciplina societaria nel testo anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 6 del 2003, ma le Sezioni Unite (Cass. n. 21933/2018 cit.) hanno anche stabilito che sul punto le modifiche non sono decisive.
13.2. In sintesi, per governare la fattispecie dev’essere affermato il principio di diritto secondo il quale: « La disciplina sul compenso
degli amministratori di cui agli artt.2389, comma 1, e 2364, comma 1, n.3 cod. civ., è dettata anche nell’interesse pubblico al fine del regolare svolgimento dell’attività economica e tali norme sono imperative e vincolanti ai fini dell’art.1418, comma 1, cod. civ., non potendo essere derogate attraverso il ricorso a onerosi contratti di consulenza di prestazione intellettuale prestate dagli amministratori nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE da loro amministrata, senza le prescritte formalità e nella determinazione dell’assemblea dei soci. ».
14. Calando la ricostruzione sistemica che precede alla fattispecie concreta, il Collegio constata che alle pagg. 12 e 13 della sentenza impugnata si legge: «La RAGIONE_SOCIALE ha concluso con i propri amministratori dei contratti di consulenza. Secondo l’Ufficio e il Giudice di prime cure tali contratti sono simulati, in quanto diretti ad occultare la corresponsione di compensi agli amministratori» L’affermazione innanzitutto non è apodittica ed indimostrata come prospetta la ricorrente nel motivo in disamina, in quanto il giudice rileva poco dopo come vi sia una differenza contenutistica tra taluni contratti ed altri, in specie quelli relativi ai progetti WMS Felix e UWB RTLS, ritenendo che «La diversità del contenuto di questi contratti rispetto a quelli standardizzati, comuni ai tre amministratori, costituisce la conferma che quelli in precedenza esaminati altro non sono che un modo per retribuirli, proprio per la loro attività di amministratori». Inoltre, al di là dell’ iter argomentativo seguito del giudice di appello, in parte passibile di correzione della motivazione ex art.384 u.c. cod. proc. civ., l’esito decisorio va confermato in quanto il punto non è la dimostrazione della simulazione dei contratti.
Piuttosto, ai fini della deducibilità del compenso degli amministratori di società di RAGIONE_SOCIALE, è necessario il rispetto del combinato disposto degli artt.2389, comma 1, e 2364, comma 1, n.3 cod. civ., e dunque che ne risulti la quantificazione nello statuto, oppure in una esplicita delibera dell’assemblea dei soci, che non può considerarsi implicita neppure nella delibera di approvazione del bilancio contenente la
posta relativa al compenso, salvo che l’assemblea, in composizione totalitaria e convocata solo per l’approvazione del bilancio, abbia discusso ed approvato tale proposta. È perciò irrilevante il fatto che i contratti di consulenza abbiano un ‘ oggetto definito ‘ , ‘ in linea con le esigenze della società ‘ , ed una ‘ tariffazione puntuale ‘ come deduce la società, perché la loro funzione economico-sociale è diretta ad aggirare le norme imperative suddette con riferimento alla misura del compenso degli amministratori RAGIONE_SOCIALE società di RAGIONE_SOCIALE ed è sanzionata dall’art.1418, comma 1, cod. civ..
15. Con la nona censura viene prospettata la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 472/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. con riferimento alle sanzioni, poiché il giudice ha rigettato la prospettazione secondo la quale le stesse, a dire della società, sarebbero state stabilite senza tenere conto RAGIONE_SOCIALE modifiche apportate, in favore del contribuente, dal d. lgs 158/2015 agli artt. 1, comma 2, e 5, comma 4, del D. Lgs. 471/1997.
16. Il motivo è inammissibile e la richiesta non può essere accolta.
16.1. La ricorrente ribadisce la propria prospettazione, già vagliata e disattesa dal giudice del merito, secondo la quale per le sanzioni relative all’anno 2014 è stato applicato il cumulo materiale, e l’ammontare RAGIONE_SOCIALE sanzioni deve essere rideterminato in applicazione del principio del favor rei ex art. 3, comma 3, d.lgs. n.472/1997, dovendo essere ricalcolata la sanzione irrogata attraverso il cumulo per l’anno 2014 e quella complessivamente irrogata per l’effetto del cumulo esterno tra le sanzioni dell’anno 2013 e 2014.
Il Collegio osserva che il giudice ha accertato come, nella specie, l’ammontare RAGIONE_SOCIALE sanzioni è stato determinato tenendo conto RAGIONE_SOCIALE modifiche apportate dal d.lgs. 158/2015 agli artt. 1, comma 2 e 5, comma 4, del d.lgs 471/1997. Il giudice ha altresì accertato che nell’esame del verbale di accertamento, a pag. 17 si dà atto che la sanzione irrogata per la violazione relativa all’IRES è stabilità tra il 90 e il 180% dell’imposta non versata. Peraltro, ha aggiunto la CTR,
anche se così non fosse si sarebbe dinanzi alla prospettazione di un errato calcolo RAGIONE_SOCIALE sanzioni e non alla richiesta di applicazione del jus superveniens favorevole al contribuente. Non esorbitando la sanzione irrogata dai limiti edittali previsti dall’attuale normativa, una tale questione non può essere proposta per la prima volta in appello, ma andava già posta in 1° grado, circostanza di cui non vi è evidenza.
16.2. Oltre a tale profilo, trova accoglimento anche l’eccezione formulata in controricorso di inammissibilità della censura per carenza di interesse, essendo state le sanzioni rideterminate al minimo osservazione sulla quale la ricorrente non ha controdedotto.
17. Il ricorso è conclusivamente rigettato e le spese di lite sono regolate come da dispositivo e seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di lite, liquidate in euro 10.600,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso il 30.5.2024