Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3896 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3896 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAOLITTO LIBERATO
Data pubblicazione: 12/02/2024
TARSU TIA TARES Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9396/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione), in persona del suo legale rappresentante p.t. , rappresentata e difes a dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE;
-intimati – avverso la sentenza n. 8704/16, depositata il 7 ottobre 2016, della Commissione tributaria regionale della Campania;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 19 ottobre 2023, dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
-con sentenza n. 8704/16, depositata il 7 ottobre 2016, la Commissione tributaria regionale della Campania -pronunciando quale giudice di rinvio da Cass., 25 novembre 2014, n. 25038 -ha rigettato « l’appello » proposto da RAGIONE_SOCIALE, così confermando la legittimità di un avviso di pagamento emesso in relazione alla Tarsu dovuta dalla contribuente per l’anno 2007;
1.1 -il giudice del rinvio ha considerato, in sintesi, che l’esame dei dati probatori al giudizio offerti, deponeva per la responsabilità debitoria della contribuente «non essendovi prova contraria che essa non fosse detentrice degli immobili, ovvero che la tassa fosse stata evasa dagli affittuari; ed, ancora, che avesse ceduto la gestione esclusiva delle aree comuni a terzi»;
– RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi, ed ha depositato memoria;
il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE non hanno svolto attività difensiva.
Considerato che:
-il ricorso è articolato sui seguenti motivi:
1.1 – il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione dell’art. 384 cod. proc. civ. sull’assunto che il giudice di rinvio che «avrebbe dovuto colmare … con una più attenta verifica della documentazione in atti» la «lacuna istruttoria» rilevata nella pronuncia rescindente -non si era attenuto a quanto statuito dalla Corte di cassazione (nella ordinanza 25 novembre 2014, n. 25038) in quanto non aveva proceduto ad «alcuna rivisitazione critica dei documenti in atto» né reso evidente «l’ iter argomentativo seguito onde pervenire all’apodittica conclusione» acquisita, così fondando il decisum su di una «superficiale ed erronea lettura del contenuto dei contratti di affitto»;
1.2 -col secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n n. 4 e 5, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia «Errata valutazione delle prove e degli artt. 9 e 10 dei contratti di fitto di azienda» nonché motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, e assume, in sintesi, che:
la «debenza del tributo» non poteva desumersi dalle clausole contrattuali di cui agli artt. 9 e 10 in quanto la prima concerneva (solo) «l’accettazione delle affittuarie del Regolamento interno del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE …al pari della rilevata possibilità del la concedente di poter modificare il detto regolamento» mentre la seconda aveva un contenuto limitato alla individuazione delle spese poste a carico di ciascun affittuario «oltre quelle normalmente dovute»;
il percorso motivazionale della gravata sentenza si fondava, pertanto, su di «un ragionamento privo di ogni riscontro documentale … in assenza di qualsiasi, ed ulteriore, altra indagine …»;
-né rivestiva maggior concludenza dimostrativa l’evocazione di una pronuncia della Commissione tributaria provinciale di RAGIONE_SOCIALE (n. 235/10/2012) che si risolveva, per quanto intervenuta tra parti diverse, nell’accertamento relativo ad un precedente gestore del RAGIONE_SOCIALE, ed alla data di cessazione di detta gestione;
il giudice del gravame non aveva, poi, motivato in ordine alle «superfici» cui il tributo andava riferito e posto che, per l’eccepito difetto di motivazione dell’atto impositivo, rimaneva indefinito il relativo presupposto impositivo, se, dunque, da ascrivere alle superfici «di proprietà della ricorrente … oppure …. riferibili agli spazi comuni del RAGIONE_SOCIALE»;
come, difatti, da essa esponente sempre sostenuto, con i contratti di fitto erano state cedute in locazione tutte le superfici (già) in sua detenzione, e la gravata sentenza non dava conto di «quale potesse
essere la prova contraria da fornire onde dimostrare la propria estraneità alla richiesta del Concessionario, sul quale invece grava, senza inversione dell’onere, l’obbligo di dimostrare l’esistenza del presupposto contestato …»;
1.3 -il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 63, comma 3, assumendo la ricorrente che, nella fattispecie, difettava la prova del presupposto impositivo – «e cioè che la ricorrente sia il soggetto gestore dei servizi comuni del centro RAGIONE_SOCIALE» – nonché della sua riferibilità «alla tassazione delle superfici comuni del centro» piuttosto che a quelle «di proprietà concesse in locazione», in quest’ultimo caso dovendosi ritenere inapplicabile la disposizione di cui all’art. 63, comma 3, cit.
1.4 -il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. deducendo la ricorrente che illegittimamente le spese del giudizio di legittimità (liquidate in € 2.000,00), e di quello di rinvio (liquidate in € 1.200,00), erano state poste a suo carico, ed atteso che nel giudizio di legittimità, come rilevato nella stessa pronuncia rescindente, «L’RAGIONE_SOCIALE e la società concessionaria non si sono difese» mentre nel giudizio di rinvio (solo) detta concessionaria (RAGIONE_SOCIALE) si era costituita epperò (tardivamente) in violazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 23 e 32;
2. -occorre premettere che, pronunciando sul ricorso proposto dalla società contribuente (ora fusa per incorporazione in RAGIONE_SOCIALE) -e, nello specifico, sul primo ed il terzo motivo -la pronuncia rescindente (Cass., 25 novembre 2014, n. 25038) ebbe a rilevare che il giudice del gravame (con sentenza n. 33/52/2012, depositata il 27 febbraio, che, rigettando l’appello , aveva confermato il decisum di
rigetto di cui alla sentenza n. 469/12/2009, della Commissione tributaria provinciale di RAGIONE_SOCIALE) si era « indotto a respingere l’appello proposto dalla parte contribuente sulla scorta di argomenti privi di specifica concludenza (siccome desunti dalle allegazioni di parte resistente, senza che dette allegazioni siano state sottoposte al riscontro delle prove documentali prodotte in atti), sicché concretamente non emerge dal tenore complessivo della motivazione della sentenza quali siano le specifiche ragioni per le quali le censure sono state ritenute infondate.»;
ha, poi, soggiunto la Corte che «Per quanto diffuse, le motivazioni del provvedimento risultano perciò apodittiche ed insufficienti a consentire a questa Corte di assolvere al dovere di controllo della coerenza logica del provvedimento giudiziale. E ciò, anche in considerazione della manifesta contraddizione ed illogicità che si desume dal passaggio della motivazione nel quale si accenna ai fatto che la parte contribuente aveva omesso di fornire prova contraria all’allegazione di parte concessionaria secondo cui nei contratti di affitto di ramo d’azienda di cui si è detto si identificava proprio la RAGIONE_SOCIALE quale “diretta destinataria del pagamento degli oneri assunti dalle affittuarie degli immobili”. Siffatta criptica affermazione, per la centrale rilevanza che assume nel percorso argomentativo del giudice del merito, abbisogna senz’altro di quel chiarimento che solo può derivare dal diretto esame da parte del giudicante delle prove documentali in atti»;
-il giudice del rinvio ha, quindi, considerato che:
la pronuncia rescindente aveva rilevato un difetto di motivazione della sentenza cassata con rinvio sicchè emergeva la necessità di «colmare le carenze motivazionali riscontrate dalla Suprema Corte, procedendo ad una nuova valutazione dei fatti e dei documenti in atti.»;
secondo dicta della giurisprudenza di legittimità, il gestore dei servizi comuni di un RAGIONE_SOCIALE doveva ritenersi tenuto al pagamento della Tarsu per la prevista responsabilità solidale (d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 63, comma 3);
la lettura dei contratti di fitto depositati in giudizio non escludeva detta responsabilità solidale, in quanto:
-in ragione della prevista durata (di 5 e 7 anni), e relativamente al periodo di imposta in contestazione (2007 ), non v’era alcuna evidenza probatoria delle persistente efficacia dei contratti in questione che sicuramente erano stati conclusi nel corso dell’anno 2002;
-non v’era prova tenuto conto delle premesse esposte da detti contratti -che la contribuente avesse ceduto tutti i locali in sua detenzione;
-col ricorso introduttivo del giudizio la contribuente aveva dedotto di non gestire i servizi comuni del centro RAGIONE_SOCIALE senza indicare, però, «il nome della società gestrice»; né detta indicazione era contenuta nelle premesse dei contratti di affitto nei quali era previsto che «l’intero complesso immobiliare RAGIONE_SOCIALE è gestito ed amministrato da un gestore incaricato dalla società proprietaria»;
-l’art. 9 dei contratti di fitto, espressamente prevedeva che la concedente aveva «il diritto/dovere di assicurare il miglior funzionamento del centro RAGIONE_SOCIALE a tutela dei propri interessi e di quelli degli operatori economici insediati, diritto/dovere che eserciterà, tra l’altro, tramite il direttore e/o gestore del centro RAGIONE_SOCIALE»; nonché che «l’affittuario prende atto fin d’ora ed accetta il diritto della concedente a modificare il regolamento interno, qualora ritenuto necessario nell’interesse del complesso»;
-sempre i contratti di fitto, all’art. 10, recavano la clausola (in tema di oneri e spese) secondo la quale «sono a carico dell’affittuaria, oltre al canone di affitto di reparto di azienda, le tasse, i tributi, le spese
di luce, acqua …. inerenti l’attività, e, pro quota, le spese tutte relative alle parti comuni del centro RAGIONE_SOCIALE (ad es: pulizie, vigilanza, manutenzioni, pubblicità, direzione, gestione, ecc.) ed altre spese similari»;
3.1 – dal combinato esame delle clausole contrattuali si evinceva, dunque, che la concedente avrebbe potuto delegare ad un soggetto di sua scelta la gestione del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il ché implicava la titolarità della relativa posizione soggettiva in quanto «solo chi è titolare di una determinata posizione giuridica (nella specie di gestione) può delegarla ad altri»;
-la stessa clausola contrattuale di cui all’art. 9, cit., espressamente contemplava il diritto della concedente «di assicurare il miglior funzionamento del centro RAGIONE_SOCIALE a tutela dei suoi stessi interessi (oltre che degli affittuari delle singole porzioni).», diritto (solo) eventualmente («tra l’altro») esercitabile «mediante un gestore»;
e quella stessa clausola conferiva alla concedente il potere di modifica del regolamento interno del complesso;
-secondo, poi, la clausola di cui all’art. 10, cit., in tema di oneri e spese, per le spese delle parti comuni era previsto il solo concorso pro quota degli affittuari (che erano diversamente tenuti a sostenere il carico di tasse e tributi relativi alle specifiche attività gerite), così che non poteva sostenersi che la concedente si «fosse liberata dagli obblighi tributari di cui si discute»;
peraltro, in distinta pronuncia della Commissione tributaria provinciale di RAGIONE_SOCIALE (n. 235/10/2012), passata in giudicato, era rimasto accertato che, per gli anni 2008 e 2009, la gestione del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non poteva ascriversi ad una società (RAGIONE_SOCIALE) che detta gestione aveva esercitato sino al 31 dicembre 2004, così che solo sino a detta annualità vi era certezza di un «gestore del quale, tuttavia, non vi è certezza che avesse la gestione esclusiva del centro»;
-tanto premesso, il primo motivo di ricorso è manifestamente destituito di fondamento;
4.1 -come ripetutamente statuito dalla Corte, difatti, i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della co ntroversia, in quanto, in quest’ultimo caso, il giudice del rinvio non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi (v. Cass., 21 ottobre 2022, n. 31267; Cass., 14 gennaio 2020, n. 448; Cass., 24 ottobre 2019, n. 27337; Cass., 7 agosto 2014, n. 17790; Cass., 3 ottobre 2005, n. 19305; Cass., 6 aprile 2004, n. 6707);
e, nella fattispecie, rimane del tutto evidente che la pronuncia resa in sede di rinvio ha sottoposto a specifico esame tutti i dati probatori al giudizio offerti, pervenendo alla conclusione che, ad ogni modo, sussisteva la responsabilità solidale della contribuente ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 63, comma 3;
-nemmeno il secondo ed il terzo motivo -che pur prospettano profili di inammissibilità -possono trovare accoglimento;
5.1 -come rende evidente l’articolato contenuto (sopra ripercorso) della gravata sentenza, il giudice del gravame ha sottoposto a partita verifica i dati probatori al giudizio offerti combinando l’esame di clausole contrattuali -il cui contenuto assumeva rilevanza ai fini dell’id entificazione del potere di gestione dei servizi comuni di un RAGIONE_SOCIALE -con il dato di realtà (accertato in distinto giudizio) ritenuto concludente nella detta direzione, concludenza sottoposta a riscontro, poi, in relazione alle stesse
allegazioni della contribuente (connotate da anomia di riferimenti all’effettivo gestore dei servizi comuni del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE);
-ne riesce, allora, l’infondatezza della denuncia di violazione di legge di cui al terzo motivo che -riproponendo, in termini inammissibili, un mero argomento difensivo in ordine al difetto di prova del presupposto impositivo («e cioè che la ricorrente sia il soggetto gestore dei servizi comuni del centro RAGIONE_SOCIALE») -confligge con i principi di diritto (già) enunciati dalla Corte che, per l’appunto, ha statuito che, per i centri commerciali integrati (e i locali in multiproprietà), la soggettività passiva va identificata in coloro che occupano o detengono i locali in uso esclusivo, mentre chi gestisce i servizi comuni è responsabile in solido, come si desume dall’art. 63 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, il quale contrappone colui dal quale “la tassa è dovuta” (comma 1) a colui che ne “è responsabile” (comma 3), nonché dal soppresso comma 4 del medesimo articolo, che prevedeva l’obbligo del responsabile di presentare al RAGIONE_SOCIALE l’elenco dei singoli occupanti, all’evidente scopo di consentire all’amministrazione di perseguire il debitore principale del tributo (Cass., 28 gennaio 2010, n. 1848 cui adde , ex plurimis , Cass., 18 ottobre 2018, n. 26201; Cass., 23 maggio 2018, n. 12745);
5.2 -quanto, invece, al secondo motivo -che, sotto il velo delle censure di nullità della gravata sentenza, e di «Errata valutazione delle prove e degli artt. 9 e 10 dei contratti di fitto di azienda», si limita a riproporre tesi difensive, ed argomenti probatori, – va considerato che -proprio in ragione degli specifici accertamenti condotti dal giudice del gravame -le censure in discorso sottopongono alla Corte un non consentito riesame del merito del giudizio, il sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza del giudice del merito risultando astretto, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n.
5 cod. proc. civ. , all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti;
e come la Corte ha in più occasioni rimarcato, la censura di omesso esame di un fatto decisivo deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che l’omesso esame di elementi istruttori – e, a maggior ragione, di tesi difensive o argomenti probatori – non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde , ex plurimis , Cass., 12 dicembre 2019, n. 32550; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881);
in disparte, allora, le aporie motivazionali della gravata sentenza che, come anticipato, ha, ad ogni modo, anteposto alla disamina dei dati probatori la qualificazione della fattispecie impositiva ricondotta al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 63, comma 3, nell’interpretazione offertane da questa Corte, -aporie che attingono dati fattuali di portata eccedente (perché involgente una detenzione da ricondurre allo stesso gestore dei servizi comuni) gli effetti giuridici predicati (in termini di responsabilità solidale) dalla disposizione normativa applicata (art. 63, comma 3, cit.) -residua, al fondo, che l’accertamento in fatto ha condotto ad una specifica conclusione probatoria (la riconducibilità alla parte, odierna ricorrente, della gestione dei servizi comuni) e che una siffatta conclusione viene censurata dietro (mera) riproposizione di tesi ed argomenti difensivi;
-i rilievi sin qui svolti danno, da ultimo, conto dell’inconferenza del richiamo, operato dalla ricorrente, a precedenti della Corte – che hanno cassato, con rinvio, le pronunce (allora) impugnate – venendo in considerazione in quei casi (e non qui), per quanto esposto, il difetto di motivazione del decisum (Cass., 3 marzo 2017, nn. 5477 e 5476; Cass., 20 novembre 2014, nn. 24705, 24704 e 24703);
-il quarto motivo è, invece, fondato, e va accolto per quanto di ragione;
6.1 -come deduce la ricorrente, la pronuncia rescindente aveva rilevato che, nel giudizio di legittimità, il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE non avevano svolto attività difensiva;
quanto, allora, al detto giudizio, rimane illegittima la statuizione sulle spese della gravata sentenza in quanto il presupposto indefettibile della condanna alle spese di lite è quello che la parte, a cui favore dette spese sono attribuite, le abbia in realtà sostenute per lo svolgimento dell’attività difensiva correlata alla sua partecipazione al giudizio, cosicché la parte risultata vittoriosa non può richiedere (né il giudice può attribuire) il rimborso di spese non erogate perché attinenti ad una fase processuale in cui essa sia rimasta contumace (Cass., 26 luglio 2021, n. 21402; Cass., 26 giugno 2018, n. 16786; Cass., 19 giugno 2018, n. 16174);
6.2 – a diversa conclusione deve, però, pervenirsi quanto al giudizio di rinvio atteso che, seppur tardivamente così come assume la stessa ricorrente, in detto giudizio si è costituita la controparte processuale (RAGIONE_SOCIALE) che, ad ogni modo, ha svolto attività difensiva;
-dalla tardiva costituzione in giudizio, difatti, non poteva conseguirne l’inammissibilità, atteso che al di fuori delle eccezioni, e delle facoltà processuali, da esercitare entro un termine di decadenza – nessuna conseguenza pregiudizievole poteva derivare quanto al diritto della parte resistente, garantito dall’art. 24 Cost., di difendersi
contestando le deduzioni, ed allegazioni, di controparte (v., ex plurimis , Cass., 30 gennaio 2019, n. 2585; Cass., 2 aprile 2015, n. 6734; Cass., 28 settembre 2005, n. 18962; Cass., 13 maggio 2003, n. 7329);
né il motivo di ricorso articola una qualche censura in ordine alla correlazione della impugnata statuizione sulle spese ai contenuti dell’attività difensiva effettivamente svolta;
-le spese di questo giudizio di legittimità vanno compensate tra le parti in ragione del parziale accoglimento del ricorso alla cui stregua non sussistono nemmeno i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1quater ).
P.Q.M.
La Corte
-accoglie, per quanto di ragione, il quarto motivo, dichiara inammissibile il secondo motivo e rigetta i residui motivi di ricorso;
-cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara non dovute le spese del precedente giudizio di cassazione;
-compensa, tra le parti, le spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 ottobre 2023.