Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33093 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33093 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ASD – art. 38 c.c. – responsabilità solidale del legale rappresentante e del rappresentante di fatto -presupposti disponibilità – sufficienza – esclusione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18751/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME e COGNOME, rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale allegata alla comparsa depositata il 25.8.2024, dall’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dei precedenti difensori, Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrenti –
e
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria, n. 131/01/2017, depositata in data 7 febbraio 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME, NOME COGNOME e l’associazione RAGIONE_SOCIALE Montepaone RAGIONE_SOCIALE impugnavano innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Catanzaro l’avviso di accertamento n. TDY04T101248/2013 , con il quale l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione , per l’anno 200 9, maggior reddito, ai fini Ires ed Irap, dell’associazione. L’ avviso era stato notificato al COGNOME , quale legale rappresentante dell’associazione, ed al COGNOME, quale legale rappresentante di fatto della stessa, in quanto firmatario della dichiarazione dei redditi per il detto anno, sulla base dell’art. 38 c.c. e della responsabilità solidale ivi prevista.
La CTP rigettava i ricorsi ritenendo, per quanto qui ancora rilevi, il COGNOME ed il Rattà ‘soggetti solidalmente responsabili con l’associazione avendo essi speso la ragione sociale dell’associazione, circostanza evidente e desunta dalle evidenze documenta li’.
L’associazione, il COGNOME ed il COGNOME proponevano gravame innanzi alla Commissione tributaria regionale della Calabria, che accoglieva le doglianze dei rappresentanti legali annullando l’avviso di accertamento con riferimento alle loro posizioni.
Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale ha proposto ricorso per cassazione l ‘Agenzia delle Entrate , affidandosi a due motivi. I contribuenti hanno resistito con controricors o; l’associazione è rimasta intimata .
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 28 novembre 2024.
In data 25/08/2024 si costituiva per i controricorrenti l’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dei precedenti difensori, insistendo nelle conclusioni rassegnate nel controricorso.
Considerato che:
Con il primo strumento di impugnazione l’Agenzia delle Entrate deduce la «violazione dell’art. 115, comma 1, c.p.c. e
dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 38 c.c. (360, comma 1 c.p.c., n. 3)». Con riferimento alla posizione del COGNOME, l’Ufficio afferma che questi aveva agito in nome e per conto dell’associazione avendo firmato la dichiarazione dei redditi dell’anno 2009; detta circostanza di fatto è idonea a provare lo svolgimento di attività gestionale da parte del COGNOME. Di qui la violazione del principio dispositivo sancito dall’art. 115 cod. proc. civ. (in quanto la prova è stata data) e del principio dell’onere della prova (assolto dall’Ufficio). Lo svolgimento di adempimenti fiscali costituisce, invero, elemento sintomatico del concreto svolgimento di atti nell’interesse dell’associazione.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
1.1. Il motivo è inammissibile sotto il profilo della asserita violazione dell’art. 2697 cod. civ. .
La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata non avesse assolto tale onere (Cass., 21/3/2022, n. 9055).
Peraltro, anche la selezione, tra gli indizi offerti dall’Amministrazione a dimostrazione delle pretese fiscali, di quelli reputati rilevanti rientra a pieno titolo nel meccanismo di operatività dell’art. 2729 cod. civ., il quale, nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza del giudice” (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell’art. 116 cod. proc. civ. a proposito della valutazione delle prove dirette), si articola nei due momenti valutativi della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, volta a scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e a conservare viceversa quelli che, presi singolarmente, rivestono i caratteri della precisione e gravità, e della successiva valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati,
oltreché dell’accertamento della loro idoneità alla prova presuntiva se considerati in combinazione tra loro (c.d. convergenza del molteplice), essendo erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (da ultimo Cass., 21/03/2022, n. 9054; Cass. 05/04/2023, n. 9336; v. anche Cass., 09/03/2012 n. 3703).
Pertanto, come affermato da questa Corte, intanto può denunciarsi la violazione o falsa applicazione del ridetto art. 2729 cod. civ., in quanto il giudice di merito ne abbia contraddetto il disposto, affermando che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni ( rectius : fatti), che non siano gravi, precisi e concordanti, ovvero abbia fondato la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e abbia dunque sussunto erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non siano, invece, rispondenti a quei caratteri, competendo soltanto in tal caso alla Corte di cassazione controllare se la norma in esame sia stata applicata a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta o il giudice non sia incorso in errore nel considerare grave una presunzione che non lo sia sotto il profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi, al pari di quanto può accadere con riguardo al controllo della precisione e della concordanza (in questi termini, v. ex multis Cass., 21/03/2022, n. 9054).
Se questo è il presupposto della violazione o errata applicazione dell’art. 2729 cod. civ., la deduzione del vizio, come già sostenuto da questa Corte, non può che estrinsecarsi nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione dei motivi per i quali il ragionamento del giudice di merito sia irrispettoso dei paradigmi della gravità, precisione e concordanza, risolvendosi altrimenti la critica al ragionamento presuntivo svolto, che si sostanzi
nell’enunciazione di una diversa modalità della sua ricostruzione, nel suggerimento di un diverso apprezzamento della questio facti che si pone al di là della fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., atteso che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., 02/08/2016, n. 16056), e che la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/11/2013, n. 24679; Cass., 16/12/2011, n. 27197; Cass., 07/02/2004 n. 2357).
Nella specie la CTR ha ritenuto non provato il compimento, da parte del Morac a, di attività in nome e per conto dell’associazione o, comunque, di attività gestionale, escludendo, per l’effetto, la sua responsabilità; in tal modo, non ha affatto violato il disposto dell’art. 2697 cod. civ., come dedotto dalla ricorrente, che afferma di contro di aver fornito la relativa prova.
La disamina operata dalla C.T.R. esclude la fondatezza della doglianza del l’Ufficio , la quale, ancorché proposta in termini di violazione di legge, si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea
alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148)
1.2. Il motivo è, inoltre, infondato nella parte in cui viene eccepita la violazione dell’art. 38 cod. civ. per non avere la CTR ritenuto idonea a fondare la responsabilità del COGNOME la circostanza che questi avesse inoltrato la dichiarazione dei redditi dell’associazione per l’anno 2009.
La decisione è, infatti, conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia di responsabilità solidale con l’associazione – del soggetto che, privo di cariche formali all’interno dell’ente, abbia agito in nome e per conto dell’associazione.
La responsabilità personale e solidale prevista dall’art. 38, comma secondo, cod. civ. per colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi (ricollegandosi ad una concreta ingerenza dell’attività dell’ente), con la conseguenza che chi invoca in giudizio tale responsabil ità è gravato dell’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (Cass. 09/07/2020, n. 14465).
Si è, così, affermato che l’esecuzione di adempimenti fiscali (quali la predisposizione, l’invio o la sottoscrizione della dichiarazione dei redditi) non è di per sé sufficiente per configurare a carico del soggetto agente una sua responsabilità, soprattutto quando, come nella specie, il contribuente non rivestiva alcuna qualifica nell’organigramma dell’associazione (v. Cass. 13/12/2022, n. 36470, che ha escluso la responsabilità solidale del vicepresidente di un’associazione, il quale aveva inviato la prim a dichiarazione dei redditi dell’ente).
Con il secondo strumento di impugnazione l’Agenzia deduce la «motivazione apparente e nullità della sentenza in violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. Att. C.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.». Con riferimento alla posizione del Rattà, la ricorrente afferma che la CTR non avrebbe indicato le ragioni atte a superare la decisione della CTP (che aveva ritenuto la spendita della ragione sociale dell’associazione una ‘circostanza evidente e desunta delle evidenze documentali’). Riporta, quindi, ‘gli elementi di fatto rappresentati’ in sede di gravame (a pag. 6 delle controdeduzioni), ritenuti ‘insufficienti’ dalla CTR senza motivazione alcuna.
Il motivo è fondato.
2.1. Giova premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte la motivazione è solo «apparente» e la sentenza è nulla quando benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., 7/4/2014 n. 8053).
Con particolare riferimento alla tecnica motivazionale per relationem questa Corte ha ripetutamente affermato che detta motivazione è valida a condizione che i contenuti mutuati siano fatti oggetto di autonoma valutazione critica e le ragioni della decisione risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Cass., Sez. U., 4/6/2008 n. 14814). Il giudice di appello è tenuto ad esplicitare le ragioni della conferma della pronuncia di primo grado con riguardo ai motivi di impugnazione proposti ( ex multis , Cass., 7/8/2015 n. 16612) sicché deve considerarsi nulla -in quanto meramente apparente -una motivazione per relationem alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione, come nel caso di specie, non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice di appello sia pervenuto attraverso
l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello ( ex multis , Cass. 21/9/2017 n. 22022 e Cass. 25/10/2018 n. 27112).
2.2. Invero, nel caso di specie, la CTR, dopo aver riportato la giurisprudenza di legittimità sulla responsabilità solidale di chi agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta (art. 38 cod. civ.), ha riformato la sentenza di prime cure in parte qua per la carenza di prova specifica sull’attività negoziale concretamente svolta sia dal Rattà sia dal Moraca.
In tal modo il giudice di appello ha reso una motivazione apparente sul nucleo centrale della fattispecie, ovvero la necessità dello svolgimento di concreta attività gestoria, da parte del legale rappresentante dell’ente, al fine di configurare una sua responsabilità nei confronti dell’Erario. Ha, in fatti, omesso qualsiasi distinzione tra il COGNOME ed il COGNOME, accomunandoli nella motivazione circa la carenza di loro responsabilità.
Ora, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, di contro, per il soggetto che rivesta, nel periodo in contestazione, il ruolo formale di legale rappresentante dell’associazione, deve presumersi il ruolo di gestore dell’ente e, per l’effetto, la sua responsabilità per i debiti tributari: ‘nelle associazioni non riconosciute non rileva, per i debiti sorti su base negoziale, la posizione astrattamente rivestita dal soggetto nella compagine dell’ente, poiché la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, ex art. 38 c.c., corrisponde all’esigenza di garantire i creditori in assenza di forma di pubblicità legale del patrimonio dell’ente; al contrario, per i debiti d’imposta, sorti ex lege, risponde solidalmente delle sanzioni e del tributo non corrisposto, nel solo periodo di relativa investitura, il soggetto che in forza del ruolo rivestito ha effettivamente gestito l’ente’ (Cass. 02/05/2024, n. 11869: in applicazione del principio, nella specie, la Corte ha confermato il rigetto del ricorso avverso
un’intimazione di pagamento emessa, a seguito di un avviso di accertamento, nei confronti di un’associazione sportiva dilettantistica e del suo legale rappresentante, in quanto, nel periodo di riferimento, il ricorrente era il legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta, sicché, in assenza di una diversa indicazione, doveva presumersi in capo al medesimo il ruolo di gestore dell’ente rappresentato).
I l ricorso va, per l’effetto, accolto limitatamente al secondo motivo ed alla posizione del Rattà; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame in relazione alla censura accolta, ed alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame in relazione alla censura accolta, ed alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 novembre