Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19146 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19146 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 8281-2020, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , p.i. P_IVA, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t. elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato , che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 4851/19/2019 della Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, depositata il 14 agosto 2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14 maggio 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L ‘Agenzia delle entrate notificò alla società RAGIONE_SOCIALE l’ avviso d’accertamento per il recupero d’imposte , relative all’anno 201 2, nella
Iva -Responsabilità ex art. 14 d.lgs. 472/1997 Configurabilità
qualità di cessionaria del ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALE e dunque per responsabilità solidale, ex art. 14, comma 4, d.lgs. 31 dicembre 1997, n. 472, nei debiti fiscali della società cedente.
A quest’ultima, per quanto si desume dagli atti difensivi, era stato a sua volta notificato un distinto avviso d’accertamento , con cui l’amministrazione finanziaria aveva contestato la partecipazione a operazioni soggettivamente inesistenti con la RAGIONE_SOCIALE, complessivamente finalizzate a ‘svuotare’ dei beni sociali e del complessivo patrimonio quest’ultima , così da sottrarli a procedure esecutive del creditore erariale, nonché alla emissione di fatture per le quali l ‘ emittente (B.A. Distribuzioni) non risultava aver versato l’Iva in esse riportata, e di contro la cessionaria (RAGIONE_SOCIALE aveva portato in detrazione l’Iva solo formalmente corrisposta alla cedente.
Pertanto, L’ufficio pretese dalla RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria di ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALE il pagamento del debito di quest’ultima, pari ad € 157.549,40 ed irrogò sanzioni a titolo di Ires dovuta dalla medesima RAGIONE_SOCIALE sull’imponibile di € 572.904,00, corrispondenti a passività dichiarate dalla società quali debiti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, ma disconosciuti all’erario e richiesti a titolo di plusvalenza per l’anno 2012.
La Commissione tributaria provinciale di Latina, adita dalla F.RAGIONE_SOCIALE COGNOME, con sentenza n. 900/01/2018 accolse in parte il ricorso, riconoscendo che la ricorrente dovesse rispondere dei debiti della RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria del ramo d’azienda, ma nei limiti del corrispettivo di cessione -€ 28.000,00, evidentemente collocando la fattispecie nell’alveo dell’art. 14, commi 1 e 2, d.lgs. n. 472 del 1997.
Entrambe le parti, per quanto soccombenti, appellarono la decisione dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, che con sentenza n. 4851/19/2019 respinse il ricorso principale della società ed accolse quello erariale.
Il giudice regionale, dopo aver inquadrato il contesto nel quale le società coinvolte nell’attività d’accertamento si muovevano, ha esaminato e superato le eccezioni processuali, in ordine alla inammis sibilità dell’appello erariale, e sostanziali, sulla nullità dell’atto impositivo per sottoscrizione da parte di soggetto privo di potere, nonché per mancata allegazione dei
RGN 8281/2020
processi verbali di constatazione richiamati nell’atto. Ha quindi respinto le censure sul difetto di motivazione dell’avviso d’accertamento, ha valorizzato i criteri e gli obblighi motivazionali dell’ufficio, infine, nel merito, ha evidenziato gli elementi allegati dall’Amministrazione finanziaria, riportati nell’atto impugnato, tesi a dimostrare come le società -ossia la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE– erano tutte riconducibili alla famiglia COGNOME/COGNOME e avevano partecipat o a tutta l’attività dolosa e di fittizia interposizione, con cui erano state perseguite le condotte frodatorie, anche e soprattutto nei confronti dell’erario. Ha pertanto affermato che la responsabilità solidale contestata nei confronti della RAGIONE_SOCIALE Bianchi trovava collocazione non già nei primi tre commi dell’art. 14 cit., ma nel comma 4, e cioè nella responsabilità solidale illimitata della cessionaria del ramo d’azienda, per l’intento frodatorio attuato in danno dei crediti erariali mediante la cessione medesima.
La società ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso l ‘Agenzia delle entrate .
All’esito dell’adunanza camerale del 14 maggio 2025 la causa è stata riservata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
È intanto utile premettere, ai fini di una più chiara lettura della vicenda, delle censure mosse dalla ricorrente e delle ragioni giuridiche che questo collegio porrà a base della decisione, che l’Agenzia delle entrate ha preteso dalla F.lli Bianchi il pagamento dei debiti erariali (e delle sanzioni) riconosciute a carico della RAGIONE_SOCIALE per l’anno d’imposta 2012, a titolo di responsabilità solidale e illimitata, ai sensi dell’art. 14, comma 4, d.lgs. n. 472 del 1997. Questo perché cessionaria di ramo d’azienda della debitrice principale, per atto sottoscritto il 4 maggio 2012.
Quanto alle pretese nei confronti della debitrice principale, la RAGIONE_SOCIALE che non è parte del presente giudizio, essa risulta attinta da distinto atto impositivo, n. TKF031401669NUMERO_DOCUMENTO, divenuto definitivo per mancata impugnazione, come dichiarato dall’Agenzia delle entrate e mai disconosciuto dalla odierna ricorrente.
RGN 8281/2020 Consigliere rel. COGNOME Esaminando dunque le censure formulate dalla ricorrente, con il primo motivo essa lamenta la «Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 42, 1 e 3 comma DPR n. 600/1973, e 17, comma 1-bis D.lgs n. 165/2001
(art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.)». La Commissione regionale avrebbe omesso di vagliare l’eccezione della nullità dell’atto impositivo per difetto di delega al funzionario sottoscrittore.
Si sostiene che con l’atto d’appello la società aveva riproposto l’eccezione, denunciando l’assenza dei requisiti richiesti dalla disciplina per il rilascio di una delega valida ai fini della sottoscrizione dell’avviso d’accertamento. Di contro, il giudice d’appello avrebbe rigettato il ricorso diffondendosi sulla diversa questione della validità della delega rilasciata da dirigente illegittimamente nominato, senza pronunciarsi invece sul difetto di motivazione della delega. Nelle sue difese invece la società aveva insistito sulla necessità che la delega dovesse specificamente indicare le sue ragioni, il termine e il nominativo del soggetto delegato. L ‘avviso d’accertamento doveva considerarsi nullo per violazione delle norme richiamate.
Il motivo risulta infondato.
Questa Corte, con interpretazione ormai consolidata, ha affermato che per gli accertamenti delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, l’atto impositivo, a norma degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, (che richiama implicitamente il cit. art. 42), deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e, cioè, secondo la classificazione prevista dall’art. 17 del c.c.n.l. comparto “agenzie fiscali” da un funzionario di terza area, a cui non è richiesta la qualifica di dirigente (Cass., 19 dicembre 2019, n. 32172; 30 settembre 2019, n. 24271). Si è anche chiarito che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante. Per conseguenza, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass., 19 aprile 2019, n. 11013; 8 novembre 2019, n. 28850).
Ebbene, nel rigettare l’appello in merito, è pur vero che la Commissione regionale si sia soffermata sui poteri di delega del dirigente, la cui nomina sia stata successivamente dichiarata illegittima, ma ciò non perfeziona una omessa pronuncia, perché con la sua motivazione quel collegio ha evidentemente ritenuto di rigettare implicitamente le ragioni esposte dalla società. Tanto più che, come si evince dalla stessa motivazione dell’ordine di servizio con cui il funzionario (dott. COGNOME) risultava delegato, motivazione riprodotta nello stesso ricorso della società (pag. 4 del ricorso, terzo cpv.), essa era ampiamente esaustiva e chiara ai fine di comprendere le ragioni (organizzative) della delega ‘di firma’ rilasciata dal dirigente.
Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato la «violazione degli artt. 42, comma 2, ultimo periodo, del DPR 600/1973 e 7, comma 1, L. n. 212 del 2000 in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.» , in merito alla eccepita omessa allegazione all’accertamento de i processi verbali di constatazione redatti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE
La società ritiene che sulla denunciata violazione delle regole a presidio del contraddittorio e della difesa la statuizione del giudice regionale sia erronea.
Il collegio sul punto ha ritenuto la censura infondata perché nell’atto impositivo l’ufficio aveva riprodotto le parti essenziali dei processi verbali di constatazione e ciò ‘senza considerare, come già detto, che trattandosi di società appartenenti alla stessa famiglia, i PVC erano in possesso degli stessi soci’.
Tale motivazione si rivela chiara ed esaustiva, perché non solo copre ogni critica sul piano strettamente giuridico, per aver evidenziato come l’atto impositivo riportasse le parti essenziali dei pvc, ma, sul piano concreto, aggiunge che di quei pvc erano a perfetta conoscenza i soci e amministratori della società, per averne ricevuto notifica come soci e amministratori delle stesse società destinatarie, con ciò valorizzando l ‘ effettiva garanzia del contraddittorio, attesa la effettività della conoscenza di quegli atti.
Vi è peraltro un ulteriore aspetto che merita d’essere evidenziato.
Nello sviluppo della difesa la ricorrente insiste sul difetto di allegazione di documentazione, che reputa necessaria al fine della corretta osservanza
dei principi della chiarezza della motivazione, ai sensi dell’art. 7, l. 212 del 2000, e 56, dpr n. 600 del 1972.
A tal fine questa Corte intende perimetrare e chiarire quali siano le regole applicabili alla società, qualora sia chiamata a rispondere ex art. 14, comma 4, d.lgs. 472 del 1997.
Giurisprudenza ormai consolidata ha evidenziato che l’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997 prevede la responsabilità solidale del cessionario d’azienda per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni dovute dal cedente, distinguendo l’ipotesi della cessione lecita, in cui la responsabilità del cessionario è sussidiaria e limitata (commi da 1 a 3), dalla cessione in frode al fisco, in cui la responsabilità è paritaria e illimitata (comma 4). In nessuno dei due casi, tuttavia, l’avviso di accertamento diretto al cedente deve essere notificato anche al cessionario, in mancanza di espressa deroga al principio generale, desumibile dall’art. 42, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui l’avviso di accertamento è notificato al contribuente e non agli altri soggett i che, a vario titolo, possano essere tenuti al pagamento dell’imposta accertata (cfr. Cass., 20 novembre 2020, n. 26480; 29 dicembre 2020, n. 29722; 31 marzo 2022, n. 10377). D’altronde, già precedenti elaborazioni della giurisprudenza di legittimità avevano evidenziato che il cessionario d’azienda non ha legittimazione all’impugnazione dell’avviso d’accertamento indirizzato al cedente, per non essere destinatario dell’atto impugnato, né parte del rapporto controverso, né compreso tra i soggetti dell’imposizione tributaria, e ciò neppure quando l’avviso d’accertamento sia stato a lui notificato (4 aprile 2012, n. 5375), potendo solo intervenire ad adiuvandum nel giudizio di opposizione proposto dal cedente, perché, pur non destinatario dell’atto impositivo impugnato, può essere chiamato ad adempiere l’imposizione tributaria, ciò per cui risulta ammissibile l’intervento adesivo dipendente del terzo (cfr. Cass., 12 gennaio 2012, n. 255, con cui il giudice di legittimità ha inteso operare una interpretazione co stituzionalmente orientata dell’art. 14, d.lgs. n. 472 del 1997).
Non è d’altronde casuale che la difesa sulla quale il ricorso dell’odierna ricorrente si fonda, sin dall’atto introduttivo, non è quella del la contestazione degli addebiti rivolti dall’Agenzia delle entrate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, ma solo quella del contrasto alla imputazione della propria responsabilità solidale nei debiti della RAGIONE_SOCIALE È questa e solo questa,
d’altronde, l’unica ragione per la quale la ricorrente ha ricevuto notifica dell’atto impositivo e in rapporto a tale addebito essa, sin dall’atto introduttivo, ha impostato la propria difesa.
Ne discende che del tutto ultronea è la eccepita carenza di motivazione dell’a tto impositivo, atteso che in riferimento al rapporto giuridico d’imposta tra Amministrazione finanziaria e RAGIONE_SOCIALE, il contenuto del cui p.v.c. risulta ‘riprodotto nelle sue parti essenziali’ , la ricorrente aveva ricevuto quanto necessario alla propria difesa, laddove di certo era del tutto irrilevante il p.v.c. redatto dai verificatori nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
In disparte la circostanza che la società RAGIONE_SOCIALE abbia inteso acquietarsi sin dall a notifica dell’avviso d’accertamento, così che tale avviso è divenuto definitivo nei suoi confronti, e definitivi sono divenuti anche i fatti ad essa contestati, in ogni caso la RAGIONE_SOCIALE non poteva neppure invocare la violazione delle norme poste a presidio della motivazione dell’avviso d’accertamento . Peculiare è la propria posizione giuridica, cioè di soggetto chiamato a rispondere in via solidale, senza far propriamente parte del rapporto giu ridico d’imposta insorto tra RAGIONE_SOCIALE e ciò alla luce della consolidata interpretazione della disciplina resa dalla giurisprudenza di legittimità.
Tenendo conto di queste premesse, il collegio d’appello non ha errato nel ritenere irrilevante la lamentata allegazione degli atti reclamati dalla odierna ricorrente, di contro valutando del tutto sufficienti, perché già gravi, precisi e concordanti, gli elementi raccolti nel processo a dimostrazione della consapevole e complice partecipazione della RAGIONE_SOCIALE alla condotta frodatoria, consistita, a sua volta, mediante l’acquisto dell’azienda o del ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALE nello s pogliare quest’ultima del suo patrimonio e dei suoi beni, così attuando una condotta in frode ai crediti tributari, per la quale è chiamata a rispondere in via solidale con la debitrice principale dell’erario .
Il secondo motivo va pertanto rigettato.
RGN 8281/2020 Consigliere rel. NOME Con il terzo motivo la società ha lamentato la «violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 1, lett. a) D.lgs. n. 74/2000, 1414 c.c., 2697 c.c., 2727 c.c., 2729 c.c., 14 D.lgs. n. 472 del 1997 in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.» in riferimento alla asserita responsabilità solidale
della RAGIONE_SOCIALE, che erroneamente il giudice d’appello avrebbe riconosciuto.
Con l’ulteriore censura la difesa della società ha inteso evidenziare le carenze logiche della sentenza, che avrebbe desunto dalle operazioni di cessione di beni, intervenute tra la cedente RAGIONE_SOCIALE e la cessionaria RAGIONE_SOCIALE, una attività frodatoria che avrebbe coinvolto anche la RAGIONE_SOCIALE COGNOME, addebitandole una responsabilità solidale nei debiti della seconda. A tal fine evidenzia la contraddittorietà dell’accertamento, da cui si prospetterebbe che le medesime fatture rappresentassero al contempo operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti; sostiene l’insignificanza delle operazioni soggettivamente inesistenti poste in essere tra le due società, affermando che al contrario le cessioni sarebbero state realmente effettuate , senza che potesse avere rilievo la circostanza che l’Iva non fosse stata versata all’erario dalla cedente, né che il mancato pagamento di corrispettivi poteva privare la cessionaria del diritto di detrarre l’Iva. Insiste nel negare i presupposti per la contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti e che l’ufficio non aveva comunque provato che le cessioni di beni (auto e attrezzature trasferite da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE erano simulate e dunque solo apparenti.
Il motivo è inammissibile. Esso, intanto, sotto la veste della critica rivolta alla sentenza per violazione di legge, sollecita di fatto a questa Corte una inammissibile rivalutazione del merito della vicenda.
Ma soprattutto il motivo è eccentrico rispetto alle ragioni illustrate in sentenza dal giudice d’appello .
Intanto deve ancora precisarsi che la causa della responsabilità solidale della ricorrente nei debiti fiscali della RAGIONE_SOCIALE è da ricondursi a ll’acquisto del ramo d’azienda di quest’ultima , che è questione distinta dai fatti per i quali quest’ultima è stata a sua volta attinta da atto impositivo (e cioè per i rapporti con la BA Distribuzione, atto divenuto definitivo).
È del tutto ultronea allora la difesa sviluppata nel lungo motivo dalla ricorrente, che si affanna a porre in discussione la natura delle operazioni poste in essere nei complessi rapporti tra le società ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ e ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , ossia inerenti alle emissioni di fatture e le operazioni avvenute tra altre compagini sociali e per le quali appunto risponde, quanto
ai fatti contestati con l’avviso d’accertamento divenuto definitivo perché non impugnato , l’A RAGIONE_SOCIALE
Deve infatti chiarirsi che l’il lustrazione delle vicende sociali che hanno interessato la B.RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la F.lli COGNOME, è stata operata dalla Commissione regionale per inquadrare correttamente la fattispecie nel suo contesto complessivo, caratterizzato dal compimento di una serie di attività frodatorie , in danno dell’erario, mediante operazioni soggettivamente inesistenti, oppure mediante operazioni di depauperamento del patrimonio sociale, onde impedire aggressioni esecutive nei confronti dei medesimi patrimoni, il tutto governato dalla famiglia COGNOMECOGNOME i cui componenti erano soci o amministratori, formali o di fatto, delle medesime società.
Tutto questo viene rappresentato dalla Commissione regionale in modo a volte succinto ma parimenti esaustivo, al fine di valorizzare gli elementi da cui, per quanto qui di interesse, evincere la consapevole partecipazione della F.RAGIONE_SOCIALE Bianchi ad attività frodatorie, in questo giudizio chiamata a rispondere per responsabilità solidale (in altri invece a titolo di debitrice diretta del l’ Amministrazione finanziaria).
Il motivo, dunque non ha neppure colto il senso delle argomentazioni della sentenza impugnata , la quale, nell’avviarsi a conclusione, ha opportunamente rammentato che la giurisprudenza di legittimità, in fattispecie similare aveva già avvertito che ‘il concorso delle parti contraenti nell’illecito fiscale esclude ogni ragione di tutela del soggetto cessionario quale parte dell’accordo fraudolento in danno all’erario’ .
Per quanto appena chiarito è altrettanto privo di pregio il quarto motivo, con il quale si lamenta la « violazione dell’art. 101 del DPR n. 917/1986 (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.)», con cui la società ha inteso contestare che l’ufficio erroneamente, disconoscendo i debiti ceduti alla RAGIONE_SOCIALE, ha individuato il maggior imponibile come una plusvalenza non dichiarata fiscalmente rilevante.
In tal modo, infatti, ancora una volta la società ha inteso interloquire su un rapporto giuridico d’imposta, quello tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, sul quale, a prescindere dalla sua cristallizzazione nell’avviso d’accertamento mai impugnato, non poteva in ogni caso interferire.
In definitiva il ricorso va rigettato.
Alla soccombenza segue la condanna alla rifusione delle spese di causa, nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.900,00, oltre spese prenotate a debito. A i sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto
Così deciso in Roma, il giorno 14 maggio 2025