Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19145 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19145 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 8140-2020, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , p.i. P_IVA, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t. elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato , che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 4512/18/2019 della Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, depositata il 14 agosto 2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14 maggio 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate notificò alle società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ed alla RAGIONE_SOCIALE l’avviso d’accertamento per il recupero
Iva -Responsabilità ex art. 14 d.lgs. 472/1997 Configurabilità
d’imposte relative all’anno 201 1 . Con l’atto impositivo contestò alla prima società la partecipazione a operazioni soggettivamente inesistenti con la RAGIONE_SOCIALE, complessivamente finalizzate a ‘svuotare’ dei beni sociali e del complessivo patrimonio quest’ultima, così da sottrarli a procedure esecutive dei creditori, compreso l’erario, nonché alla emissione di fatture per le quali l’emittente risultava non aver versato l’Iva in esse riportata, mentre la cessionaria portava in detrazione l’Iva solo formalmente corrisposta alla cedente. Alla RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria di ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALE contestò la responsabilità ex art. 14, comma 4, d.lgs. 31 dicembre 1997, n. 472.
La Commissione tributaria provinciale di Latina, adita da entrambe le società, con sentenza n. 1136/04/2017 rigettò il ricorso della RAGIONE_SOCIALE riconoscendo il suo coinvolgimento nelle operazioni soggettivamente inesistenti. Di contro reputò che la RAGIONE_SOCIALE non potesse rispondere ex art. 14 comma 4, cit.
L’Agenzia delle entrate appellò la decisione dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, che con sentenza n. 4512/18/2019 accolse il ricorso.
Il giudice regionale, dopo aver respinto le eccezioni sollevate dalla società in merito all’inammissibilità dell’appello, per difetto di allegazione della delega del Direttore provinciale alla sottoscrizione dell’atto d’appello da parte del Capo ufficio legale, ha valorizzato gli elementi fattuali da cui poteva evincersi che le società -ossia la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE– fossero tutte riconducibili alla medesima famiglia COGNOME/COGNOME e avessero partecipato a tutta l’att ività dolosa e di fittizia interposizione, tesa al perseguimento di condotte frodatorie nei confronti dell’erario . Ha dunque affermato che la perfetta consapevolezza di tutte le condotte frodatorie da parte dei componenti e amministratori della RAGIONE_SOCIALE COGNOME, cessionaria del ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALE (acquistato con atto del 4.05.2012), comportava che la prima dovesse rispondere dei debiti di quest’ultima, per responsabilità solidale illimitata, secondo quanto previsto dall’art. 14 comma 4 cit. dalla RAGIONE_SOCIALE Ha infine escluso la nullità dell’atto impositivo, per sottoscrizione da parte di funzionario privo di valida delega, nonché il denunciato difetto di contraddittorio.
La società ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
All’esito dell’adunanza camerale del 14 maggio 2025 la causa è stata riservata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve evidenziarsi che la costituzione del contraddittorio tra le odierne parti, senza la partecipazione della RAGIONE_SOCIALE pur formalmente presente nel g iudizio d’appello, non impone alcuna integrazione del contraddittorio. Gli addebiti rispettivamente rivolti dall’erario nei confronti delle due società, e l’oggetto delle distinte ragioni difensive dalle medesime prospettate, si risolvono in cause scindibili, trovando dunque applicazione il principio, enunciato con riferimento ai processi d’appello ma applicabile anche in sede di giudizio per cassazione, secondo il quale «nel processo tributario, in tema di giudizio con pluralità di parti, l’art. 53, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, laddove prevede la sua proposizione nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili, dipendenti e scindibili, così come delineata dalle regole processual-civilistiche, e pertanto, nei limiti del rispetto delle regole prescritte dagli artt. 331 e 332, cod. proc. civ., applicabili al processo tributario, non vi è l’obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti delle parti, pur presenti nel giudizio di primo grado, ma il cui interesse alla partecipazione al grado d’appello, per cause scindibili, sia venuto meno» (Sez. U, 30 aprile 2024, n. 11676).
Nel caso di specie, infatti, la RAGIONE_SOCIALE pur evidentemente vocata in giudizio in sede d’appello , non ha inteso proporre alcuna impugnazione per quanto soccombente, così che quel credito erariale è divenuto nei suoi confronti definitivo all’esito del processo di primo grado .
Questo incide in sede di legittimità, atteso che, rispetto a ll’oggetto della controversia tra l’erario e la RAGIONE_SOCIALE, la responsabilità solidale della odierna ricorrente, che nella vicenda processuale ha sin dall’origine concentrato le proprie difese sulla esclusione della propria responsabilità solidale, costituisce un addebito autonomo, fondato su presupposti e principi che non interferiscono comunque con la definitività dell’accertamento nei riguardi della società qui non costituita.
Esaminando ora il merito, con il primo motivo la società ha lamentato la « violazione dell’art. 75 c.p.c. in relazione all’art. 1, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992 , n. 546 e dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.)». La Commissione regionale avrebbe respinto erroneamente l’eccezione della società, con cui si denunciava la mancata allegazione dell’autorizzazione concessa dal Direttore Provinciale alla sottoscrizione dell’atto da parte del capo dell’ufficio legale.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha già chiarito che nel processo tributario la sottoscrizione dell’atto d’appello , pur non competendo ad un qualsiasi funzionario sprovvisto di specifica delega, da parte del titolare dell’Ufficio, deve ritenersi validamente apposta quando proviene dal funzionario preposto al reparto competente, poiché la delega da parte del tito lare dell’Ufficio può essere legittimamente conferita in via generale mediante la preposizione di un funzionario ad un settore dell’ufficio con competenze specifiche, quali quelle del capo dell’ufficio legale (Cass., 28 maggio 2008, n. 13908; 15 gennaio 2009, n. 874; 21 marzo 2014, n. 6691; 19 luglio 2021, n. 20599; 4 settembre 2024, n. 23782 ). D’altronde si è anche affermato che la provenienza di un atto di appello dall’Ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate, e la sua idoneità a rappresentarne la volontà si presumono anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante, o, comunque, l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza (Cass., 26 luglio 2016, n. 15470; 10 gennaio 2025, n. 694; cfr. anche 30 ottobre 2018, n. 27570).
Con il secondo motivo la società ha denunciato la «violazione dell’art. 42, 1° e 3° comma, D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 17, comma 1 -bis, D.Lgs. n. 165/2001 (art. 360 n. 3 c.p.c.) -erronea applicazione dell’art. 4 -bis del d.l. n. 78/2015 , conv. Con l. 125/2015, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.». La Commissione regionale avrebbe statuito erroneamente in merito alla delega di sottoscrizione dell’avviso d’accertamento, senza tener conto che in essa è necessario indicare le sue ragioni, il termine e il nominativo del soggetto delegato.
RGN 8140/2020 Consigliere rel. COGNOME La ricorrente sostiene che la decisione della Commissione regionale, secondo cui l’avviso d’accertamento doveva considerarsi correttamente
sottoscritto dal funzionario, avrebbe violato le norme richiamate, sia perché generica, limitandosi a dichiararne l’idoneità, sia perché non spiegava quali fossero le ragioni della delega, né la sua durata temporale. Sostiene che, al contrario, la sua regolarità non poteva prescindere dalla nominatività, dalle specifiche ragioni di servizio che giustificavano la delega medesima, dalla sua temporaneità. La sentenza non aveva chiarito alcunché in merito.
Il motivo risulta inammissibile e comunque è infondato anche nel merito.
Questa Corte, con interpretazione ormai consolidata, ha affermato che per gli accertamenti delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, l’atto impositivo, a norma degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, (che richiama implicitamente il cit. art. 42), deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e, cioè, secondo la classificazione prevista dall’art. 17 del c.c.n.l. comparto “agenzie fiscali” da un funzionario di terza area, di cui non è richiesta la qualifica di dirigente (Cass., 19 dicembre 2019, n. 32172; 30 settembre 2019, n. 24271). Si è anche chiarito che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante. Per conseguenza, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass., 19 aprile 2019, n. 11013; 8 novembre 2019, n. 28850).
Ebbene, nel rigettare l’appello in merito, la Commissione regionale ha evidenziato che l’avviso d’accertamento risultava sottoscritto da funzionario Capo Area Accertamento Imprese (dott. COGNOME, delegato dal direttore provinciale pro-tempore, in coerenza con la documentazione allegata dalla difesa dell’Agenzia delle entrate.
Nel riportare quei dati la Commissione regionale ha deciso nel rispetto dei principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza.
Di contro, le critiche sollevate dalla ricorrente sono innanzitutto inammissibili per difetto di specificità, non essendo stato riprodotto il contenuto delle deleghe. Ma in ogni caso, anche volendo trascurare questo limite, pur assorbente, quelle deleghe, dalla lettura del medesimo ricorso, risultano sostenute da una motivazione, il cui contenuto era già più che sufficiente.
Con il terzo motivo la ricorrente si duole della «nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. (omessa pronuncia sull’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento TKF 031401 051 per violazione dell’art. 56 del d.p.r. n. 633/1972 nonché dell’art. 7 comma 1, l. n. 212/2000)». Con tale doglianza si sostiene che il giudice di primo grado, avendo accolto le ragioni della contribuente sulla insussistente responsabilità solidale della società, non aveva esaminato le altre eccezioni dedotte a sostegno della richiesta di annullamento delle pretese erariali. Esse erano state dunque riproposte a seguito dell’appello dell’ufficio, sul quale invece la Commissione regionale aveva deciso senza il loro preventivo esame. La sentenza era dunque viziata per omessa pronuncia.
Anche il terzo motivo va rigettato.
Nella difesa la ricorrente evidenzia che le ulteriori eccezioni formulate attenevano ad un difetto di allegazione di documentazione, che reputa necessaria al fine della corretta osservanza dei principi della chiarezza della motivazione, ai sensi dell’art. 7, l. 212 del 2000, e 56, dpr n. 600 del 1972.
Questa Corte ha intanto chiarito che l’onere di allegazione di cui all’art. 7 della l. n. 212 del 2000 è limitato ai documenti cui lo stesso fa riferimento, ma non si estende anche a quelli cui si riferisce il processo verbale di constatazione, i quali devono eventualmente essere prodotti in giudizio al fine di provare la legittimità della pretesa impositiva (Cass., 28 settembre 2020, n. 20428).
Ebbene, intanto, dalla piana lettura della sentenza impugnata emerge che la Commissione regionale ha menzionato, in due diverse parti, le eccezioni che la società sostiene siano state ignorate dal giudice d’appello, e cioè nel primo rigo di pag. 3, quando elenca le ragioni d’impugnazione formulate in primo grado, e, sempre a pag. 3, ultimo capoverso, quando elenca le eccezioni riproposte in via subordinata.
Ciò indica che, in sentenza, delle questioni riproposte il collegio ne ha tenuto conto, evidentemente ritenendo che, ai fini della prova della consapevole e complice partecipazione della RAGIONE_SOCIALE alla fraudolenta opera posta in atto in danno dei crediti erariali -cui era funzionale la cessione del ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALE e per la quale ora alla società è contestata la responsabilità solidale- quella documentazione non fosse necessaria alla decisione.
A tal fine occorre chiarire quali regole vanno applicate alla società, qualora sia chiamata a rispondere ex art. 14, comma 4, d.lgs. 472 del 1997.
Giurisprudenza ormai consolidata ha evidenziato che l’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997 prevede la responsabilità solidale del cessionario d’azienda per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni dovute dal cedente, distinguendo l’ipotesi della cessione lecita, in cui la responsabilità del cessionario è sussidiaria e limitata (commi da 1 a 3), dalla cessione in frode al fisco, in cui la responsabilità è paritaria e illimitata (comma 4). In nessuno dei due casi, tuttavia, l’avviso di accertamento diretto al cedente deve essere notificato anche al cessionario, in mancanza di espressa deroga al principio generale, desumibile dall’art. 42, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui l’avviso di accertamento è notificato al contribuente e non agli altri soggett i che, a vario titolo, possano essere tenuti al pagamento dell’imposta accertata (cfr. Cass., 20 novembre 2020, n. 26480; 29 dicembre 2020, n. 29722; 31 marzo 2022, n. 10377). D’altronde, già arresti più datati della giurisprudenza di legittimità avevano e videnziato che il cessionario d’azienda non ha legittimazione all ‘impugnazione dell’avviso d’accertamento indirizzato al cedente, per non essere destinatario dell’atto impugnato, né parte del rapporto controverso, né compreso tra i soggetti dell’imposizione tributaria, e ciò neppure quando l’avviso d’accertamento sia stato a lui notificato (4 aprile 2012, n. 5375), potendo solo intervenire ad adiuvandum nel giudizio di opposizione proposto dal cedente, perché, pur non destinatario dell’atto impositivo impug nato, può essere chiamato ad adempiere l’imposizione tributaria, ciò per cui risulta ammissibile l’intervento adesivo dipendente del terzo (cfr. Cass., 12 gennaio 2012, n. 255, con cui il giudice di legittimità ha inteso operare una interpretazione costitu zionalmente orientata dell’art. 14, d.lgs. n. 472 del 1997).
Non è d’altronde casuale che la difesa sulla quale il ricorso dell’odierna ricorrente si fonda, sin dall’atto introduttivo, non è quella del la contestazione degli addebiti rivolti dall’Agenzia delle entrate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, ma solo quella del contrasto alla imputazione della propria responsabilità solidale nei debiti della RAGIONE_SOCIALE È questa e solo questa, d’altronde, l’unica ragione per la quale la ricorrente ha ricevuto notifica dell’atto impositivo e in rapporto a tale addebito essa, sin dall’atto introduttivo, ha impostato la propria difesa.
Ne discende che del tutto eccentrica risulta l ‘ eccepita carenza di motivazione dell’a tto impositivo, atteso che in riferimento al rapporto giuridico d’imposta tra Amministrazione finanziaria e RAGIONE_SOCIALE il cui p.v.c. è pacifico che gli sia stato allegato (quello dell’1.12.2014) , la ricorrente aveva ricevuto quanto necessario alla propria difesa, laddove di certo era del tutto irrilevante il p.v.c. redatto dai verificatori nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
In disparte la circostanza che la società RAGIONE_SOCIALE abbia inteso acquietarsi sin dall’esito del primo grado di giudizio, così che la sentenza di rigetto delle proprie ragioni è divenuta definitiva nei confronti di quest’ultima , così come definitivo nei suoi confronti è divenuto l’atto impositivo , in ogni caso la RAGIONE_SOCIALE non poteva neppure invocare la violazione delle norme poste a presidio della motivazione dell’avviso d’accertamento . Peculiare è la propria posizione giuridica, cioè di soggetto chiamato a rispondere in via solidale, senza far propriamente parte del rapporto giu ridico d’imposta insorto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE alla luce della consolidata interpretazione della disciplina resa dalla giurisprudenza di legittimità.
Tenendo conto di queste premesse, il collegio d’appello correttamente ha ritenuto irrilevante la lamentata allegazione degli atti reclamati dalla odierna ricorrente, di contro valutando del tutto sufficienti, perché già gravi, precisi e concordanti, gli elementi raccolti nel processo a dimostrazione della consapevole e complice partecipazione della RAGIONE_SOCIALE alla condotta frodatoria, consistita, a sua volta, mediante l’acquisto dell’azienda o del ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALE nello spogliare quest ‘ultima del suo patrimonio e dei suoi beni, attuando una condotta in frode ai crediti tributari.
Il terzo motivo va pertanto rigettato.
Con il quarto motivo ha denunciato la «Violazione e falsa applicazione degli artt.: 1, comma 1, lett. A) D.lgs. n. 74/2000, 2697 c.c., 2727 c.c., 2729 c.c., 14 D.lgs. n. 472 del 1997 in relazione all’art. 360m comma 1, n. 3 c.p.c.» in riferimento alla asserita responsabilità solidale della RAGIONE_SOCIALE, che erroneamente il giudice d’appello avrebbe riconosciuto.
Con l’ulteriore censura la difesa della società ha inteso evidenziare le carenze logiche della sentenza, che avrebbe desunto dalle operazioni di cessione di beni, intervenute tra la cedente RAGIONE_SOCIALE e la cessionaria RAGIONE_SOCIALE una attività frodatoria che avrebbe coinvolto anche la RAGIONE_SOCIALE COGNOME, addebitandole una responsabilità solidale nei debiti della seconda. A tal fine sostiene l’insignificanza delle operazioni soggettivamente inesistenti poste in essere tra le due società, affermando che al contrario le cessioni sarebbero state realmente effettuate, senza che potesse avere rilievo la circostanza che l’Iva non fosse stata versata all’erario dalla cedente, né che il mancato pagamento di corrispettivi poteva privare la cessionaria del diritto di detrarre l’Iva. Afferma anche che dalla sentenza emergerebbe che ‘il meccanismo frodatorio costituito dalla emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti di cui essa si sarebbe resa partecipe è frutto di erronea applicazione dell’art. 1, comma 1, lett. a) del D. Lgs. n. 74/2000’.
Il motivo è inammissibile. Esso, intanto, sotto la veste della critica rivolta alla sentenza per violazione di legge, sollecita di fatto a questa Corte una inammissibile rivalutazione del merito della vicenda.
Ma soprattutto esso è ancora una volta eccentrico rispetto alle ragioni illustrate in sentenza dal giudice d’appello .
Intanto deve ancora precisarsi che la causa della responsabilità solidale della ricorrente nei debiti fiscali della RAGIONE_SOCIALE è da ricondursi a ll’acquisto del ramo d’azienda di quest’ultima , attinta da atto impositivo (divenuto definitivo), acquisto valutato come operato con la finalità di perseguire un intento frodatorio dei crediti tributari (mediante lo svuotamento del patrimonio della debitrice erariale, ossia la RAGIONE_SOCIALE).
È del tutto errato allora l’osservazione secondo cui la responsabilità solidale si baserebbe sulla emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, che riguardano operazioni avvenute tra altre
compagini sociali e per le quali, appunto, risponde, quanto ai fatti contestati con l’avviso d’accertamento, l’A RAGIONE_SOCIALE
A tal fine, l’ampi a illustrazione delle vicende sociali che hanno interessato la B.ARAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e la F.lli COGNOME, è stata operata dalla Commissione regionale per inquadrare correttamente la fattispecie nel suo contesto complessivo, caratterizzato dal compimento di una serie di attività frodatorie , in danno dell’erario, mediante operazioni soggettivamente inesistenti, oppure mediante operazioni di depauperamento del patrimonio sociale, onde impedire aggressioni esecutive nei confronti dei medesimi patrimoni, il tutto governato dalla famiglia COGNOME COGNOME i cui componenti erano soci o amministratori, formali o di fatto, delle medesime società.
Tutto questo viene rappresentato, in modo a volte succinto ma parimenti esaustivo dalla Commissione regionale, al fine di valorizzare gli elementi da cui, per quanto qui di interesse, evincere la consapevole partecipazione ad attività frodatorie da parte della F.lli COGNOME, che nel caso di specie è chiamata a rispondere per responsabilità solidale (in altre vicende e in altri giudizi invece a titolo di debitrice diretta del l’ Amministrazione finanziaria).
Il motivo, dunque non ha neppure colto il senso delle argomentazioni della sentenza impugnata.
Per quanto chiarito è altrettanto privo di pregio il quinto motivo, con il quale si lamenta la «nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.». Con esso si sostiene che la contribuente aveva ribadito nelle sue difese che le cessioni di beni tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE erano reali e non inesistenti, così che la società acquirente era legittimata ex art. 19, d.P.R. 633 del 1972, alla detrazione dell’iva. La sentenza si era invece limitata ad opporre circostanze fattuali prive di rilievo sotto il profilo logico-probatorio.
Per quanto già chiarito nel motivare il rigetto delle altre censure, anche questo motivo è del tutto infondato, atteso che le valutazioni e le conclusioni, cui il giudice regionale era pervenuto, non potevano certo essere intaccate dalle mere asserzioni difensive formulate dalla contribuente.
In definitiva il ricorso va rigettato.
Alla soccombenza segue la condanna alla rifusione delle spese di causa, nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.900,00, oltre spese prenotate a debito. A i sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto
Così deciso in Roma, all’esito della adunanza camerale il 14 maggio 2025