Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19144 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19144 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 22783-2019, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , p.i. P_IVA, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t. elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato , che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 1457/18/2019 della Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, depositata il 12 marzo 2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14 maggio 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L ‘Agenzia delle entrate notificò alle società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ed alla RAGIONE_SOCIALE l’ avviso d’accertamento per il recupero
Iva -Responsabilità ex art. 14 d.lgs. 472/1997 Configurabilità
d’imposte relative all’anno 2010 , ai fini Iva, Ires ed Irap . Con l’atto impositivo contestò alla prima società la partecipazione a operazioni soggettivamente inesistenti con la RAGIONE_SOCIALE, complessivamente finalizzate a ‘svuotare’ quest’ultima del patrimonio e dei beni sociali, così da sottrarli a procedure esecutive dei creditori, compreso l’erario , nonché alla emissione di fatture per le quali l ‘ emittente non versava l’Iva in esse riportata, e di contro la cessionaria portava in detrazione l’Iva formalmente corrisposta alla cedente. Alla RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria di ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALE contestò la responsabilità ex art. 14, comma 4, d.lgs. 31 dicembre 1997, n. 472.
La Commissione tributaria provinciale di Latina, adita da entrambe le società, con sentenza n. 140/01/2017 rigettò il ricorso della RAGIONE_SOCIALE riconoscendo il suo coinvolgimento nelle operazioni soggettivamente inesistenti. Di contro reputò che la RAGIONE_SOCIALE non potesse rispondere ex art. 14 comma 4, cit.
L ‘Agenzia delle entrate appellò la decisione dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, che con sentenza n. 1457/18/2019 accolse il ricorso.
Il giudice regionale ha avvertito la contraddittorietà della pronuncia del giudice di prime cure, che pur avendo rilevato come le società -ossia la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE Bianchi- fossero tutte riconducibili alla medesima famiglia COGNOME/COGNOME e avessero partecipato a tutta l’attività dolosa e di fittizia interposizione , tesa al perseguimento di condotte frodatorie, anche e soprattutto nei confronti dell’erario , aveva tuttavia aveva escluso la responsabilità solidale riconosciuta dall’art. 14 comma 4 cit., in capo alla RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dell’azienda, o del ramo d’azienda , acquistato con atto del 4.05.2012 dalla RAGIONE_SOCIALE Ha pertanto riconosciuto che all’odierna ricorrente dovesse imputarsi la responsabilità solidale dei debiti della RAGIONE_SOCIALE , prevista dall’art. 14, comma 4, d.lgs. n. 472 del 1997.
La società ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso l ‘Agenzia delle entrate .
All’esito dell’adunanza camerale del 14 maggio 2025 la causa è stata riservata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve evidenziarsi che la costituzione del contraddittorio tra le odierne parti, senza la partecipazione della RAGIONE_SOCIALE pur presente nel g iudizio d’appello, non impone alcuna integrazione del contraddittorio. Gli addebiti rispettivamente rivolti dall’erario nei confronti delle due società, e l’oggetto delle distinte ragioni difensive dalle medesime prospettate, si risolvono in cause scindibili, trovando dunque applicazione il principio, enunciato con riferimento ai processi d’appello ma applicabile anche in sede di giudizio per cassazione, secondo il quale «nel processo tributario, in tema di giudizio con pluralità di parti, l’art. 53, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, laddove prevede la sua proposizione nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili, dipendenti e scindibili, così come delineata dalle regole processual-civilistiche, e pertanto, nei limiti del rispetto delle regole prescritte dagli artt. 331 e 332, cod. proc. civ., applicabili al processo tributario, non vi è l’obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti delle parti, pur presenti nel giudizio di primo grado, ma il cui interesse alla partecipazione al grado d’appello, per cause scindibili, sia venuto meno» (Sez. U, 30 aprile 2024, n. 11676).
Nel caso di specie la RAGIONE_SOCIALE, pur vocata in giudizio in sede d’appello, non ha inteso proporre alcuna impugnazione per quanto soccombente, così che quel credito erariale è divenuto nei suoi confronti definitivo all’esito del processo di primo grado.
Questo incide in sede di legittimità, atteso che, rispetto all’oggetto della controversia tra l’erario e la RAGIONE_SOCIALE, la responsabilità solidale della odierna ricorrente, che nella vicenda processuale ha sin dall’origine concentrato le proprie difese sulla esclusione della propria responsabilità solidale, costituisce un addebito autonomo, fondato su presupposti e principi che non interferiscono comunque con la definitività dell’accertamento nei riguardi della società qui non costituita.
Esaminando ora il merito, con il primo motivo la società ha lamentato la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 del codice civile nonché dell’art. 14 del D.p.r. n. 472/1997 (art. (art. 360 n. 3 c.p.c.)» in riferimento alla asserita responsabilità solidale della RAGIONE_SOCIALE, che erroneamente il giudice d’appello avrebbe riconosciuto .
Con il secondo motivo ha denunciato la «Omessa pronuncia. Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 D.Lgs. n. 546/1992, dell’art. 1 18 disp. Att. Cpc e dell’art. 111 Costituzione (art. 360 n. 4 c.p.c.)», in merito alla eccepita decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere impositivo .
È necessario esaminare il secondo motivo, antecedente logico rispetto al primo, perché, qualora fondato, esso imporrebbe la cassazione della decisione, assorbendo la necessità di trattazione del primo motivo.
Il motivo è fondato quanto all’omessa pronuncia . Sulla decadenza dal potere d’accertamento dell’amministrazione finanziaria la società aveva proposto la sua eccezione tanto in primo grado, quanto in sede d’appello. A tal fine nel ricorso, nel rispetto del principio di specificità, la società ha richiamato i passaggi degli atti difensivi dei gradi di merito, nei quali la questione della supposta decadenza erariale dal potere di contestazione e l’inapplicabilità al caso di specie del raddoppio dei termini, secondo la disciplina vigente ratione temporis (ex art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, per le ipotesi in cui la violazione fiscale comportasse l’obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, ai sensi dell’art. 331 c.p.p.) era stata posta.
Nella sentenza manca ogni richiamo alla eccezione sollevata, così che deve constatarsi che sul punto il giudice d’appello ha omesso qualunque pronuncia.
E tuttavia al caso di specie trova applicazione il principio secondo il quale, se alla rilevata e riconosciuta omessa pronuncia deve ordinariamente seguire la cassazione della decisione con rinvio al giudice di merito, dinanzi al quale il vizio processuale è stato compiuto, questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha affermato che il giudice di legittimità può decidere la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., non soltanto nel caso di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali, ma anche nel caso in cui il suddetto vizio attenga a norme processuali, e sempre che non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto (Sez. U, 2 febbraio 2017, n. 2731; inoltre, ex plurimis, cfr. 15 febbraio 2005, n. 2977; 28 marzo 2006, n. 7073; 3 aprile 2014, n. 7826; 27 dicembre 2013, n. 28663; 11 novembre 2014, n. 23989; 20 ottobre 2017, n. 24866; 1 marzo 2019, n. 6145; 18 novembre 2019, n. 29880). In tema è stato infatti avvertito che la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto, deve ritenersi
irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica, ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, secondo comma , Costituzione, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata, dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo , quale la motivazione omessa , mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perché ritenuta erroneamente assorbita, e sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Sez. U, 2731/2017, cit.).
Il principio enunciato trova applicazione al caso di specie, perché il motivo non esaminato dalla Commissione regionale è infondato.
Anche senza considerare che l’amministrazione finanziaria aveva inoltrato la denuncia penale nei confronti di COGNOME NOME, socio della RAGIONE_SOCIALE e della stessa RAGIONE_SOCIALE COGNOME, e ciò in riferimento alla prospettazione di una pluralità di condotte fraudolente nelle quali erano consapevolmente coinvolti tutti i componenti della famiglia COGNOME/COGNOME, ai fini della soluzione di rigetto del motivo per sua infondatezza è assorbente richiamare la giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997 pre vede la responsabilità solidale del cessionario d’azienda per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni dovute dal cedente , distinguendo l’ipotesi della cessione lecita, in cui la responsabilità del cessionario è sussidiaria e limitata (commi da 1 a 3), dalla cessione in fronde al fisco, in cui la responsabilità è paritaria e illimitata (comma 4). In nessuno dei due casi, tuttavia, l’avviso di accertamento diretto al cedente deve essere notificato anche al cessionario, in mancanza di espressa deroga al principio generale, desumibil e dall’art. 42, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui l’avviso di accertamento è notificato al contribuente e non agli altri soggetti che, a vario titolo, possano essere tenuti al pagamento dell’imposta accertata (cfr. Cass., 20 novembre 2020, n. 26480; 29 dicembre 2020, n. 29722; 31 marzo 2022, n. 10377 ). D’altronde, già elaborazioni della giurisprudenza di legittimità più datate avevano evidenziato che il
cessionario d’azienda non ha legittimazione all’impugnazione dell’avviso d’accertamento indirizzato al cedente, per non essere destinatario dell’atto impugnato, né parte del rapporto controverso, né rientrando tra i soggetti dell’imposizione tributaria, e ciò neppure quando l’avviso d’accertamento sia stato a lui notificato (Cass., 4 aprile 2012, n. 5375), potendo solo intervenire ad adiuvandum nel giudizio di opposizione proposto dal cedente, perché, pur non destinatario dell’atto impositivo impugnato, può essere chiamato ad adempiere l’imposizione tributaria, ciò per cui risulta ammissibile l’intervento adesivo dipendente del terzo (cfr. Cass., 12 gennaio 2012, n. 255, con cui il giudice di legittimità ha inteso operare una interpretazione costituzionalm ente orientata dell’art. 14 , d.lgs. n. 472 del 1997).
Non è d ‘altronde casuale che la difesa sulla quale il ricorso dell’odierna ricorrente si fonda, sin dall’atto introduttivo, non è qu ella del contrasto al rapporto giuridico d’imposta tra cedente (RAGIONE_SOCIALE) e Agenzia delle entrate, ma solo la mera contestazione della propria responsabilità solidale, che è l’unica ragione per la quale ha infatti ricevuto notifica dell’atto impositivo.
Ne discende che del tutto eccentrico è il motivo con cui la società ha eccepito la tardività della notifica dell’avviso di accertamento e la decadenza dell’erario dall’esercizio della potestà accertativa. La F.RAGIONE_SOCIALE Bianchi risponde delle contestazioni indirizzate alla RAGIONE_SOCIALE solo ed esclusivamente quale responsabile solidale, e nei termini della responsabilità prevista dal comma 4 dell’art. 14 cit., essendo la prospettazione erariale palesemente ed inequivocamente rivolta alla contestazione di rapporti di collusione tra cedente e cessionario.
In definitiva il secondo motivo va rigettato.
Esaminando dunque il primo motivo, con cui la società si duole della violazione delle regole di distribuzione dell’onere della prova e del malgoverno delle regole poste a presidio delle prove presuntive, la doglianza è priva di fondamento, quando non inammissibile.
Ed infatti, a fronte delle ragioni con cui la ricorrente pretende di criticare, sotto il profilo dell’error iuris in iudicando, la statuizione del giudice d’appello, questa risulta fondata su una motivazione logica quanto cristallina sul piano espositivo.
La Commissione regionale ha riportato ampi passaggi della sentenza di primo grado, favorevole alla F.RAGIONE_SOCIALE COGNOME per averne escluso la responsabilità solidale, nella quale tuttavia il rigetto delle ragioni difensive della RAGIONE_SOCIALE nei cui confronti l’avviso d’accertamento aveva invece trovato conferma, era imperniato sulla rilevanza delle cointeressenze emerse tra le tre società tra cui l’odi erna ricorrente- complessivamente coinvolte nelle condotte frodatorie. Tali cointeressenze, si erano tradotte in operazioni inesistenti, sotto il profilo soggettivo, tese ad ottenere vantaggi indebiti dalla detrazione di iva da parte del cessionario, cui non corrispondeva il versamento della medesima Iva all’erario da parte del cedente; oppure si erano tradotte nel porre in essere operazioni, sempre soggettivamente inesistenti, finalizzate a svuotare dei beni strumentali e comunque del suo patrimonio la RAGIONE_SOCIALE con la specifica finalità di sottrarre le garanzie patrimoniali ai creditori di quest’ultima , e in particolare al creditore erariale. Tutto ciò, sempre nella ricostruzione della vicenda operata dal giudice di primo grado, aveva come elemento comune ed unico filo conduttore la constatazione che ad operare erano sempre e solo i componenti della famiglia COGNOME/COGNOME, o quali soci, o come amministratori delle società predette, o come soggetti che comunque controllavano di fatto la RAGIONE_SOCIALE, ceduta solo formalmente ad un prestanome, ma di fatto riferibile sempre ai componenti della medesima famiglia.
Il giudice d’appello, nell’accogliere le doglianze erariali , ha dunque avvertito che se il sistema frodatorio illustrato dal giudice di primo grado ruotava intorno ai COGNOME/COGNOME, era illogico reputare che la RAGIONE_SOCIALE Bianchi non fosse consapevole delle conseguenze annesse alla acquisizione del ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALE Ne ha tratto dunque le conseguenti conclusioni, ossia che la ce ssione del ramo d’azienda avesse proprio la finalità di attuare una frode ai creditori, ed in particolare una frode ai crediti tributari, denunciato nell’accertamento con il quale la ricorrente è stata chiamata a rispondere in via solidale dei debiti della cedente, ed ovviamente in via illimitata, ai sensi del comma 4 dell’art. 14, d.lgs. n. 472 del 1997.
A fronte di una motivazione lineare e sequenzialmente logica le doglianze della società si rivelano del tutto inconferenti, non allegando nel
RGN 22783/2019 Consigliere rel. COGNOME nessun elemento, giudico o fattuale, idoneo a riconoscere che
ragionamento sviluppato dalla Commissione tributaria regionale risultassero violate norme di diritto riferibili all’impianto probatorio illustrato , oppure alle regole di distribuzione dell’onere della prova.
Il motivo va pertanto rigettato.
In definitiva il ricorso non trova accoglimento e va rigettato.
Alla soccombenza segue la condanna alla rifusione delle spese di causa, nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 10.000,00 oltre spese prenotate a debito. A i sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto
Così deciso in Roma, all’esito della camera di consiglio del 14 maggio 2025