Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19817 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 19817 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13026/2016 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE CON SOCIO UNICO, con gli Avvocati NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE CON SOCIO UNICO, RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Basilicata n. 583/2015 depositata il 19/11/2015.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto accogliersi il ricorso. Udit o l’Avvocato dello Stat o NOME COGNOME che ha richiamato le conclusioni già rassegnate.
FATTI DI CAUSA
Per quanto ancora qui rileva, con ricorso depositato il 3.12.2013, le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE impugnavano l’avviso di accertamento n. TC303T100839/2013 con il quale l’Agenzia delle entrate di Potenza accertava, a carico delle società ricorrenti, un debito di imposta, sanzioni ed interessi di € 325.332,00 per l’anno 2011, rinveniente dall’accertamento effettuato in capo alla società RAGIONE_SOCIALE Tale debito scaturiva, secondo l’assunto dell’Ufficio, dalla responsabilità solidale delle società nei confronti di RAGIONE_SOCIALE quali cessionarie di alcuni rami d’azienda.
1.1. Con il predetto ricorso le citate società eccepivano: a) che non si trattava di una cessione di ramo d’azienda, ma di una cessione di beni, consistenti in due frequenze televisive ( ‘ Canale 50 ‘ e ‘ Canale 23 ‘ ) prive, peraltro, dell’autorizzazione governativa e quindi inutilizzabili, mancando del tutto qualsiasi forma di autonoma organizzazione; b) che era inesistente e non provato l’intento fraudolento, ed anzi la cessione di che trattasi, avvenuta ad un prezzo superiore rispetto al valore dei beni acquistati, consentiva alla società cedente di migliorare temporaneamente la situazione finanziaria in quel momento poco prospera; c) che, in mancanza di una vera e propria cessione d’azienda ed altresì in assenza di qualsiasi intento fraudolento, dovevano necessariamente applicarsi le limitazioni alla responsabilità solidale; d) la errata e falsa applicazione dell’art. 86, co. 2, DPR n. 917/86, nonché dell’art. 6 co. 4, L. n. 212/2000, dell’art. 109, co. 4, del TUIR e dell’art. 39, co. 2, DPR n. 600/73, per non avere l’Ufficio tenuto in alcuna considerazione i costi di acquisto sostenuti da RAGIONE_SOCIALE; e) la totale infondatezza nel merito della pretesa.
Sempre per quanto ancora rileva, con la sentenza n. 583/2015, depositata in data 19/11/2015, la Commissione tributaria regionale, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva l’appello delle società dichiarando non dovute le imposte richieste in accertamento
relative alla cessione d’azienda ed alla plusvalenza generata dalla cedente, richieste in via solidale ed imputate ai fini di debenza impositiva alle cessionarie.
2.1. La Commissione territoriale confermava altresì la statuizione avente ad oggetto la debenza delle imposte iscritte a ruolo con le cartelle di pagamento nn. NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA relative all’anno di imposta 2009, formandosi a tale riguardo giudicato interno favorevole all’Ufficio.
Avverso la predetta sentenza ricorre l’Agenzia delle entrate con tre motivi. La società contribuente ha depositato controricorso, senza tuttavia rispettare il termine di cui all’art. 370, comma 1, c.p.c. RAGIONE_SOCIALE con socio unico, NOME COGNOME ed RAGIONE_SOCIALE sono rimasti intimati.
Il Pubblico ministero, in persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, chiedendo accogliersi il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria denuncia, in relazione all’art. 360, comma 3, c.p.c., la « Violazione e/o falsa applicazione di legge: artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., nonché art. 14 D.Lgs. 472/1997 ed art. 1297 c.c.», affermando che le conclusioni a cui è giunta la CTR contrastano con quanto previsto in materia di responsabilità solidale dall’art. 14 del d.lgs. 472/97 e dall’art. 1297 c.c.
1.1. I giudici di appello hanno accolto il gravame della società contribuente e dichiarato non dovute le imposte richieste dall’Amministrazione Finanziaria con l’avviso di accertamento impugnato, argomentando che: a) non vi è stata la preventiva escussione delle imposte in capo alla società contribuente cedente;
l’Amministrazione Finanziaria non ha provato la fraudolenza dell’operazione, considerato che l’operazione era stata materialmente eseguita con il pagamento del prezzo; c) alla
cessionaria, in qualità di obbligata solidale, sono state chieste somme superiori al valore del ramo di azienda e dei beni acquistati; d) non sussistono le plusvalenze indicate dall’Ufficio, avendo la cessionaria dimostrato che vi è stata una minusvalenza.
1.2. Sostiene l’Agenzia delle Entrate che le argomentazioni addotte dalla CTR a fondamento del capo della decisione in oggetto non sono condivisibili, perché: -l’elemento indiziario valorizzato dalla Commissione Tributaria Regionale non consente di escludere la conclusione di un negozio di cessione di azienda in frode al fisco; sulla base degli elementi indiziari allegati dall ‘Amministrazione Finanziaria la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto ritenere configurabile una ipotesi di cessione di azienda in frode al fisco, con conseguente esclusione delle limitazioni di responsabilità del cessionario di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997; -contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del gravame, la cessionaria non è legittimata a contesta re nell’an e nel quantum il debito tributario della cedente, connesso all’azienda acquistata.
Sulle questioni prospettate dall’Agenzia delle Entrate è utile comporre il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.
L ‘art. 14, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 ha introdotto una disciplina specifica in materia di responsabilità solidale in caso di cessione di azienda per meglio garantire l’Amministrazione Finanziaria per il soddisfacimento dei debiti tributari ascrivibili al cedente, prevedendo due fattispecie diverse, a seconda che la cessione sia stata stipulata in frode al fisco o sia conforme a legge.
2.1. In materia, questa Corte si è pronunciata in più occasioni affermando il seguente principio: «In tema di riscossione dei tributi, l’art. 14 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, introducendo misure antielusive a tutela dei crediti tributari, è norma speciale rispetto all’art. 2560, seco ndo comma, cod. civ., diretta ad evitare, tramite la previsione della responsabilità, solidale e sussidiaria, del cessionario per i debiti tributari gravanti sul cedente, che, attraverso
il trasferimento dell’azienda, sia dispersa la garanzia patrimoniale del contribuente in pregiudizio dell’interesse pubblico. Ne consegue che, nell’ipotesi di cessione conforme a legge (commi 1, 2 e 3) ed in base ad un criterio incentivante volto a premiare la diligenza nell’assumere, prima della conclusione del negozio traslativo, informazioni sulla posizione debitoria del cedente, la responsabilità ha carattere sussidiario, con ‘beneficium excussionis’, ed è limitata nel ‘quantum’ (entro il valore della cessione) e nell’oggetto (con riferimento alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal cedente nel triennio prima del contratto ovvero anche anteriormente, se già irrogate o contestate nel triennio, ovvero entro i limiti del debito risultante, alla data del contratto, dagli atti degli uffici finanziari e degli enti preposti all’accertamento dei tributi); qualora, invece, si tratti di cessione in frode al fisco, la medesima responsabilità è presunta ‘iuris tantum’ ‘quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante’, senza che si applichino le limitazioni stabilite dai primi tre commi della norma» (Cass. 14 marzo 2014, n. 5979; v. anche Cass. 29 dicembre 2020, n. 29722; Cass. 27 maggio 2021, n. 14759; Cass. 20 novembre 2020, n. 26480; Cass. 7 giugno 2024, n. 15948).
2.2. Nell’ipotesi da ultimo citata è onere dell’Amministrazione Finanziaria provare anche mediante presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, che la cessione di azienda sia stata attuata in frode alla legge, determinandosi così la responsabilità solidale del cessionario per i debiti tributari gravanti sul contribuente ai sensi dell’art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 472 del 1997, salvo che non ricorrano le condizioni per l’opera tività della presunzione legale di cui al comma 5 della disposizione citata, che viene in rilievo qualora il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante (Cass. 7 giugno 2024, n. 15948).
2.3. L’art. 14, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997 introduce, infatti, una modifica del regime di prova, posto a carico dell’Agenzia delle entrate, secondo i principi generali di cui all’art. 2697, cod. civ., nel caso di cui al comma 4, ponendo a carico del co ntribuente l’onere di fornire la prova contraria rispetto alla presunzione legale relativa di esistenza dell’accordo fraudolento, nel caso in cui il trasferimento sia avvenuto entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante (Cass. 27 maggio 2021, n. 14759; Cass. 14 gennaio 2022, n. 1037; Cass. 1° aprile 2022, n. 10647).
Da ultimo, si è precisato che «In tema di cessione di azienda, la responsabilità solidale del cessionario per i debiti fiscali, prevista dall’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, presuppone che egli, con la sua condotta, abbia reso possibile una frode dei crediti tributari, avendo scelto di dismettere l’impiego del criterio di diligenza, per porsi in una condizione di illiceità condivisa con il cedente, con conseguente estensione degli effetti economici, di cui all’art. 3, comma 133, lett. c), della l. n. 662 del 1996, della medesima violazione, cui ha contribuito a dar causa in uno schema concorsuale» (Cass. Sez. 5, 18/12/2024, n. 33217).
Inoltre, si è ribadito che «gli atti della riscossione notificati al cessionario di un’azienda quale debitore solidale del cedente per l’interezza delle pretese formate nei confronti di questi sono correttamente motivati laddove, dall’intestazione degli stessi al cessionario, ovvero da elementi concorrenti, tra cui la notificazione al medesimo diretta, possa evincersi il riferimento alla cessione in sé quale titolo legittimante» e che tale principio «è coerente con la considerazione che la fonte della responsabilità del cessionario è l’art. 14 D.Lgs. n. 472 del 1997, il quale prevede in capo al medesimo un’unica forma di responsabilità, meramente articolata in funzione delle condizioni di cui ai suoi singoli commi» (Cass. Sez. 5, 18/12/2024, n. 33217, cit.).
2.4. Ancora, si rammenta che questa Corte ha affermato che «L’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997 prevede la responsabilità solidale del cessionario d’azienda per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni dovute dal cedente, distinguendo l’ipotesi della cessione lecita, in cui la responsabilità del cessionario è sussidiaria e limitata (commi da 1 a 3), dalla cessione in frode al fisco, in cui la responsabilità è paritaria e illimitata (comma 4); in nessuno dei due casi, tuttavia, l’avviso di accertamento diretto al cedente deve essere notificato anche al cessionario, in mancanza di espressa deroga al principio generale, desumibile dall’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui l’avviso di accertamento è notificato al contribuente e non agli altri soggetti che, a vario titolo, possano essere tenuti al pagamento dell’imposta accertata. (Cass. Sez. 5, n. 26480 del 20/11/2020, seguito, tra molte, da Cass., Sez. 5 n. 29722 del 29/12/2020; Cass. Sez. 5, n. 10377 del 31/03/2022; Cass., Sez. 5 n. 25486 del 30/08/2022).
2.5. Nell’ottica della salvaguardia, in giudizio, delle posizioni soggettive, giova tenere a mente il condivisibile indirizzo di questa Corte, secondo cui, a favore del cessionario d’azienda (ex art. 14, cit.) è approntata adeguata tutela processuale mercé la sua partecipazione, per atto d’intervento adesivo dipendente, alla lite tra l’erario ed il cedente (debitore principale); si è infatti precisato, con riferimento alla cessione d’azienda conforme alla legge (ma analoghe considerazioni valgono altresì per la simmetrica figura giuridica della cessione d’azienda in frode al fisco), che: «Nel processo tributario, in base all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 14, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 è ammissibile l’intervento adesivo dipendente dei terzi che, pur non essendo destinatari dell’atto impositivo impugnato, potrebbero essere chiamati ad adempiere l’obbligazione tributaria, in quanto la legge li riconosce solidalmente responsabili perché, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, la loro posizione è
collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo.» (Cass. 12/01/2012, n. 255, confermata da Cass., Sez. 5 n. 25486 del 30/08/2022).
Nel caso di specie ricorre , per l’appunto, l’ipotesi del comma 5 dell’art. 14 cit. ed opera la presunzione legale ivi posta di cessione in frode alla legge, atteso che è pacifico in causa che le cessioni sono state effettuate dopo l’inizio delle operazioni di verifica, avvenuto in data 14/09/2010, ed inoltre a distanza di meno di sei mesi dalla notifica del PVC del 23/03/2011 a carico di RAGIONE_SOCIALE contenente la constatazione di fattispecie tributarie penalmente rilevanti (primo fra tutti l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per gli anni 2004/2007, nonché l’omesso versamento dell’Iva a debito per l’anno 2008 di € 191.091,00 ).
3.1. La Commissione tributaria regionale non ha, tuttavia, svolto alcuna considerazione con riguardo agli aspetti della fattispecie concreta posti in risalto dall’Agenzia delle e ntrate con l’atto di appello, riguardanti «l’intento fraudolento» della cessione, «posta la tempistica degli atti effettuati all’indomani della notifica di un p.v.c. e della gestione pressoché familiare tra le società» (p. 5 della sentenza impugnata), come eccepito dalla difesa erariale con il motivo di ricorso in esame.
3.2. Il motivo è pertanto fondato, rilevandosi che con esso viene dedotto un errore di sussunzione, il quale ricorre quando, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata (Cass. 19 gennaio 2022, n. 1537; Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307; Cass. 24 ottobre 2007 n. 22348). È noto, del resto, che il controllo di legittimità non si esaurisce in una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma è esteso alla sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi
normativa (Cass. 29 agosto 2019, n. 21772; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756).
3.3. Considerato, pertanto, che, in mancanza degli accertamenti fattuali necessari per la corretta sussunzione del caso concreto nella pertinente previsione normativa, la pronuncia gravata si presenta affetta dal denunciato error in iudicando , avendo la CTR valorizzato un elemento indiziario -il pagamento del prezzo dell’operazione di cessione -che difetta dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., essendo il pagamento del prezzo della cessione un elemento di per sé non idoneo a far ritenere, con un ragionamento probabilistico, che la cessione de qua sia conforme a legge, ed essendo, anzi, potenzialmente idoneo, a livello probabilistico, ad indirizzare tanto verso il carattere fraudolento della suddetta cessione, tanto verso l’opposta conclusione (in materia di sussunzione e di error in iudicando per violazione delle norme in materia di presunzioni semplici, v. Cass., Sez. U., 24 gennaio 2018, n. 1785; v. anche Cass. 16 luglio 2024, 19651; Cass. 12 gennaio 2025, n. 759).
Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., che la sentenza impugnata è sorretta da una motivazione che non rispetta la soglia minima richiesta dall’art. 132 cod. proc. civ., n. 4 e dall’art. 111, comma 6, Cost. nella parte in cui vi si afferma che «dal prospetto in atti si rileva che non vi è stata una plusvalenza ma una minusvalenza», vista l’estrema genericità del richiam o ad un prospetto depositato dalla controparte, non accompagnato dalla specificazione dei dati contabili ritenuti rilevanti e dalla verifica della loro corrispondenza con la documentazione in atti.
4.1. Il motivo è fondato.
4.2. Giova rammentare che le Sezioni Unite della Corte hanno chiarito che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, allorquando, benché
graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasc iare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 19/06/2018, n. 16159 , che menziona Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; conf.: Cass. Sez. U. nn. 22229, 22230, 22231, del 2016. I medesimi concetti giuridici sono espressi da Cass. Sez. U. 24/03/2017, n. 766; Cass. Sez. U. 09/06/2017, n. 14430 ; Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9557 ).
4.3. Nel caso di specie, con la richiamata generica affermazione, il giudice di appello si è limitato ad accogliere acriticamente e succintamente quanto affermato dalle società appellanti, omettendo di spiegare le ragioni del proprio convincimento e senza esprimere alcuna valutazione in ordine alle questioni prospettate dall’Ufficio.
Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce, infine, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., che la Commissione Tributaria Regionale è incorsa nella violazione dell’art. 86 del DPR n. 917 del 1986, dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 nella parte in cui ha ritenuto che la mancata consegna della documentazione dall’amministratore della società cedente al successivo curatore del fallimento non potesse riverberare i propri effetti sulla cessionaria «per colpe non certo a quest’ultima addebitabili».
5.1. Osserva la Difesa erariale che, nell’avviso di accertamento opposto, l’Ufficio ha dato contezza della impossibilità di risalire al costo fiscale netto delle aziende cedute, non avendo il curatore fallimentare potuto esibire la documentazione contabile necessaria, ovvero la documentazione che consentisse di risalire ai costi fiscali netti dei beni componenti il ramo d’azienda ceduta e richiesta con apposito questionario.
Con il questionario n. Q00258/2013 (cfr. all. 4 alle controdeduzioni dinanzi alla CTP), l’Ufficio aveva richiesto il registro dei beni ammortizzabili, il libro giornale, il libro degli inventari, i mastri di conto anno 2011, la distinta delle rimanenze finali e prospetto analitico delle variazioni in aumento ed in diminuzione apportate all’utile di esercizio dell’anno 2011, i modelli di dichiarazioni, il bilancio di esercizio al 31/12/2011, gli estratti conto bancari intestati alla società, ogni altro documento utile alla determinazione del reddito d’impresa e del reddito complessivo dell’anno 2011.
Il curatore fallimentare di RAGIONE_SOCIALE rispondeva di non poter ottemperare all’ordine di esibizione per non essere le scritture richieste in suo possesso.
Osserva ancora l ‘Amministrazione ricorrente che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avevano esibito in giudizio copia di fatture e di fogli sparsi di registri di ammortamento, ma che tale documentazione non era utilizzabile ai fini della decisione della controversia. Comunque, aggiunge, essa non può essere sufficiente a comprovare il costo fiscale dei beni al netto degli ammortamenti, la copia fotostatica di fatture rimesse ad RAGIONE_SOCIALE e di uno stralcio del registro dei beni ammortizzabili facente parte della contabilità della società occorrendo, allo scopo, l’esibizione degli originali, compreso il libro di tutte le scritture, in uno ad ogni altro libro contabile utile, e ciò a maggior ragione nel caso di specie, ove la documentazione originale non era nella disponibilità del legittimo detentore (RAGIONE_SOCIALE ovvero dell’imprenditore che dovrebbe averla costituita; il che legittimerebbe il fondato sospetto circa l’inattendibilità ai fini di prova della documentazione prodotta dalle responsabili solidali.
5.2. Il motivo è fondato, dovendosi richiamare il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui «In tema di accertamento tributario, l’inottemperanza del contribuente a seguito dell’invio del questionario da parte dell’Amministrazione finanziaria, ex art. 32, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, comporta l’inutilizzabilità in
sede amministrativa e processuale dei documenti espressamente richiesti dall’Ufficio, salvo che il contribuente, all’atto di produrre la documentazione unitamente al ricorso, non dichiari di non avere potuto adempiere alla richiesta; detta inutilizzabilità opera anche in assenza di eccezione dell’Amministrazione resistente, trattandosi di preclusione processuale rilevabile d’ufficio» (Cass. Sez. 5 n. 3442 del 11/02/2021); di recente, si è ancora affermato che, in tema di accertamento fiscale, la mancata esibizione, in sede precontenziosa, di atti e documenti in risposta agli inviti dell’Amministrazione finanziaria, ex art. 32, comma 1, nn. 3 e 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, impedisce di prenderne in considerazione il contenuto a favore del contribuente ed è sanzionata con la loro inutilizzabilità, che consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito ed è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, fatta salva la possibilità dello stesso contribuente di depositare la documentazione in sede giurisdizionale in allegato all’atto introduttivo e di dichiarare di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile (Cass. Sez. 5, n. 26133 del 07/10/2024).
5.3. Per quanto attiene, in particolare, al caso di specie si è precisato che «In tema di accertamento tributario, occorre distinguere l’ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria richieda al contribuente documenti mediante questionario, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte dirette, ovvero dell’art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA, da quella avanzata nel corso di attività di accesso, ispezione o verifica ex art. 33 d.P.R. n. 600 cit., quanto all’imposizione reddituale ed ex art. 52 del d.P.R. n. 633 cit., quanto all’IVA, poiché – ferma restando la necessità, in ogni ipotesi, che l’amministrazione dimostri che vi era stata una puntuale indicazione di quanto richiesto, accompagnata dall’espresso avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza – nel primo caso, il mancato invio nei termini concessi della suindicata documentazione equivale a rifiuto, con conseguente inutilizzabilità
della stessa in sede amministrativa e contenziosa, salvo che il contribuente non dichiari, all’atto della sua produzione con il ricorso, che l’inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile, della cui prova è, comunque, onerato; nel secondo caso, invece, la mancata esibizione di quanto richiesto ne preclude la valutazione a favore del contribuente solo ove si traduca in un sostanziale rifiuto di rendere disponibile la documentazione, incombendo la prova dei relativi presupposti di fatto sull’amministrazione finanziaria» (Cass. Sez. 5, n. 16757 del 14/06/2021).
5.4. La CTR, con affermazione meramente assertiva, ha ritenuto che siffatto comportamento omissivo non potesse riverberare i propri effetti sulle cessionarie dei beni, senza in alcun modo prendere in considerazione la responsabilità solidale del cessionario per i debiti fiscali, prevista dall’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, né tanto meno la peculiare disciplina della cessione frodatoria, di cui si è offerta ampia ricostruzione nell’esaminare il primo motivo di ricorso.
6. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 06/05/2025.