Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33133 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33133 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
Oggetto:
Tributi
ordinanza
(già RAGIONE_SOCIALE), avvocato NOME COGNOME come da (PEC:
sul ricorso iscritto al n. 29368/2016 R.G. proposto da Equitalia Servizi di RAGIONE_SOCIALE.p.a. rappresentata e difesa da ll’ procura speciale a margine del ricorso alfredoEMAIL;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’ avvocato NOME COGNOME come da procura speciale a margine del controricorso (PEC: EMAIL);
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del l’Umbria n. 227/03/2016, depositata il 12.05.2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 ottobre 2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La CTR del l’Umbria accoglieva l’ appello proposto da COGNOME avverso la sentenza della CTP di Perugia, che aveva rigettato il ricorso proposto dal medesimo contribuente avverso tre cartelle di pagamento, per IVA e imposte dirette, in relazione agli anni 2003 e 2004, notificate al COGNOME, in quanto era cessionario di un ramo d ‘azienda (cessione avvenute mediante atto notarile registrato in data 8.11.2005), chiamato quale obbligato in solido, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, a rispondere delle obbligazioni tributaria della cedente per l’anno della cessione e per le due annualità pregresse.
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
-la solidarietà di cui all’art. 14 cit. è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti dell’Amministrazione finanziaria;
nella specie non sussisteva la responsabilità solidale del cessionario, in quanto il debito indicato nelle cartelle impugnate non era stato accertato al tempo della cessione (anno 2005), perché i ruoli erano stati emessi nel 2007, come si evinceva dalle stesse cartelle esattoriali;
in ogni caso, la responsabilità del cessionario è sussidiaria e non risultava provata la preventiva escussione della società cedente, a nulla rilevando l’avvenuta cancellazione di quest’ultima dal registro delle imprese, in quanto l’Ufficio avrebbe dovuto procedere in via esecutiva nei confronti dei soci, in qualità di responsabili delle obbligazioni sociali;
-la pretesa erariale azionata, infine, era illegittima, in quanto risultava superiore al valore di acquisto dell’azienda;
-Equitalia impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
-il contribuente resisteva all’impugnazione mediante controricorso .
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, la ricorrente deduce , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ., per non avere la CTR rilevato la carenza di legittimazione passiva dell’agente della riscossione , riguardando i motivi di ricorso la debenza del tributo e non vizi propri della cartella di pagamento o del procedimento esecutivo;
il motivo è infondato;
-secondo l’art. 10 del d.lgs. n. 546 del 1992, sono parti del processo tributario di primo e secondo grado, oltre al ricorrente, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, gli altri enti impositori, l’agente della riscossione e i soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 446 del 1997, che hanno emesso l’atto impugnato o non hanno emesso l’atto richiesto;
-poiché per l’individuazione della parte resistente rileva la correlazione tra la legitimatio ad causam e l’emissione dell’atto impugnato, la legittimazione passiva del concessionario sussiste, ai sensi dell’art. 10 cit., nei casi in cui oggetto della controversia sia l’impugnazione di un atto allo stesso direttamente riferibile;
a seguito della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 16412 del 2007, si è consolidato l’indirizzo interpretativo secondo il quale il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche all’invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario, senza che tra i due soggetti sia configurabile un litisconsorzio necessario;
allo stesso modo, qualora il contribuente impugni la cartella di pagamento contestando il merito della pretesa tributaria, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario ,
ma il concessionario della riscossione, laddove risulti destinatario dell’impugnazione e voglia andare esente dalle eventuali conseguenze della lite, ha l’onere di chiamare in giudizio l’ente impositore, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999, secondo il quale ‘Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza risponde delle conseguenze della lite ‘ (cfr. ex plurimis , Cass. S. Un. n. 16412 del 2007 cit.; Cass. n. 3955 del 19/02/2020; Cass. n. 9250 del 3/04/2019);
il contribuente, quindi, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario, senza che sia configurabile tra i due soggetti alcun litisconsorzio necessario, fermo restando l’onere per l’agente della riscossione di chiamare in giudizio l’ente impositore, ex art. 39 d.lgs 112 del 1999, al fine di evitare eventuali conseguenze negative della lite (Cass. n. 16685 del 21/06/2019);
la chiamata in causa prevista e disciplinata dall’art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999 è, pertanto, preordinata a rendere edotto l’ente creditore della pendenza della lite e dei motivi di ricorso, così da consentirgli, ove lo ritenga opportuno, di intervenire volontariamente nel giudizio in corso, per spiegare le proprie difese in relazione ai vizi dell’atto al medesimo imputabili; da ciò consegue che l’art. 39 cit. appare qualificabile come litis denuntiatio e che l’agente della riscossione non necessiterebbe di alcuna autorizzazione (da parte del giudice) per chiamare in causa l’ente creditore (Cass. n. 16685 del 21/06/2019), potendovi provvedere autonomamente, con qualunque modalità, purché idonea a portare a conoscenza dell’ente l’esistenza della lite (Cass. n. 9250 del 2019, cit.);
la previsione di una simile prerogativa sostanziale con funzione partecipativa non elide la concorrente facoltà processuale dell’Agente della riscossione – ove sia l’unico destinatario dell’impugnazione della cartella di pagamento – di chiamare in causa l’ente creditore nelle forme dell’art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 269 cod. proc. civ., implicitamente richiamato dalla prima disposizione. Di conseguenza, l’Agente della riscossione che prescelga quest’ultima forma di coinvolgimento dell’ente creditore deve formulare l’apposita istanza al giudice con l’atto di costituzione da depositarsi, ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. 31 n. 546 del 1992, entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso (Cass. n. 6734 del 2/4/2015); la richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa dell’ente impositore, come ha più volte affermato questa Corte, deve essere ricondotta nel paradigma dell’art. 106 cod. proc. civ., con la conseguenza che la mancata autorizzazione costituisce oggetto di una valutazione discrezionale del giudice di primo grado, incensurabile in sede d’impugnazione ( ex plurimis , Cass. n. 25676 del 4/12/2014; Cass. n. 7406 del 28/3/2014);
ciò premesso, risulta che Equitalia aveva chiesto nel giudizio di primo grado di essere autorizzata a chiamare in causa l’Agenzia delle entrate e che tale richiesta era stata disattesa dai giudici di merito;
risulta altresì che, sebbene gli atti impugnati fossero cartelle di pagamento, le censure mosse nel ricorso introduttivo non riguardavano vizi propri della cartella esattoriale, ma attenevano al merito della pretesa, essendo stata contestata la responsabilità solidale del cessionario;
la presentazione della richiesta di autorizzazione a chiamare in causa l’Agenzia delle entrate, in quanto titolare del credito fiscale in relazione al quale è stata contestata la responsabilità solidale del cessionario, costituiva, tuttavia, una mera facoltà dell’agente della
riscossione che non necessitava dell’autorizzazione del giudice, in quanto avrebbe potuto farlo autonomamente (ed, anzi, ne era onerato) ex art. 39 d.lgs 112 del 1999, al fine di evitare eventuali conseguenze negative della lite;
la mancata autorizzazione da parte del giudice di merito, infatti, essendo oggetto di una valutazione discrezionale, è incensurabile in sede di impugnazione ( ex plurimis , Cass. n. 25676 del 4/12/2014; n. 7406 del 28/03/2014);
-con il secondo motivo, deduce la mancanza, illogicità o contraddittorietà della motivazione, nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la CTR considerato che, essendo stata la società cedente cancellata dal registro delle imprese, la stessa doveva ritenersi preventivamente escussa, non essendo sostenibile la prospettazione secondo la quale si doveva procedere in via esecutiva nei confronti dei soci, trattandosi di società di capitali; rileva, inoltre, che la CTR non ha considerato che le cartelle di pagamento erano relative a tributi riferibili agli anni 2003 e 2004 e, quindi, anteriori all’atto di cessione del 2005 e che la responsabilità del COGNOME era limitata al valore della cessione, riportato nel frontespizio delle cartelle impugnate;
il motivo è fondato;
-l’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, ratione temporis applicabile, prevede che ‘1. Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore. 2. L’obbligazione del
cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza. 3. Gli uffici e gli enti indicati nel comma 2 sono tenuti a rilasciare, su richiesta dell’interessato, un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta. 4. La responsabilità del cessionario non è soggetta alle limitazioni previste nel presente articolo qualora la cessione sia stata attuata in frode dei crediti tributari, ancorchè essa sia avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni. 5. La frode si presume, salvo prova contraria, quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante. ‘;
il cessionario d’azienda o di ramo d’azienda assume, dunque, la veste di coobbligato in solido con il cedente per il pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni, nei limiti indicati dall’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, seppure nella veste di coobbligato in via sussidiaria, perché gode del beneficio della preventiva escussione del cedente;
per quanto riguarda il beneficio della preventiva escussione del cedente, questa Corte ha condivisibilmente affermato che, in tema di responsabilità solidale del cessionario di azienda o di un ramo di azienda e di ” beneficium excussionis “, la cancellazione della società cedente dal registro delle imprese e la sua conseguente estinzione costituiscono dimostrazione certa dell’insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione del credito, con conseguente immediata operatività della responsabilità sussidiaria della società cessionaria; l’onere della preventiva escussione del patrimonio della società
cedente, infatti, non comporta la necessità per il creditore di sperimentare in ogni caso l’azione esecutiva sul patrimonio della stessa, tale necessità venendo meno quando risulti aliunde dimostrata, da parte del creditore, l’insufficienza di quel patrimonio per la realizzazione del credito, il che è in re ipsa quando si sia verificata la cancellazione della società dal registro delle imprese, posto che, in tal caso, si è verificata senz’altro la certezza della mancanza del patrimonio della società cedente sulla quale l’amministrazione finanziaria è tenuta a soddisfare la propria pretesa prima di potere, validamente, agire nei confronti dell’obbligato solidale (Cass. 7545 del 17/03/2021);
nella specie, poiché la società cedente era stata cancellata dal registro delle imprese , correttamente l’agente della riscossione ha notificato le cartelle di pagamento direttamente alla cessionaria;
con riferimento agli altri limiti di responsabilità del cessionario, va premesso che l’ orientamento costante di questa Corte, in tema di riscossione dei tributi, ritiene che l’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, nell’introdurre misure antielusive a tutela dei crediti tributari, è norma speciale rispetto all’art. 2560, comma 2, c.c., diretta ad evitare, tramite la previsione della responsabilità, solidale e sussidiaria, del cessionario per i debiti tributari gravanti sul cedente, che, attraverso il trasferimento dell’azienda, sia dispersa la garanzia patrimoniale del contribuente in pregiudizio dell’interesse pubblico. Ne consegue che, nell’ipotesi di cessione conforme a legge (primo, secondo e terzo comma dell’art. 14 cit.) , viene valorizzata la diligenza del cessionario nell’assumere, prima della conclusione del negozio traslativo, informazioni sulla posizione debitoria del cedente, così assumendo il primo una responsabilità sussidiaria, con “beneficium excussionis”, limitata nel “quantum” (entro il valore della cessione) e nell’oggetto (con riferimento alle imposte e sanzioni relative al triennio prima del
contratto ovvero anche anteriori, ma irrogate o contestate nel triennio, ovvero entro i limiti del debito risultante, alla data del contratto, dagli atti degli uffici finanziari); diversamente, nell’ipotesi di cessione in frode al fisco, la responsabilità del cessionario è presunta “iuris tantum”, “quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante” e senza i limiti previsti per le cessioni conformi a legge (Cass. n. 29722/2020; n. 9219/2017; n. 5979/2014);
nella specie, poiché il credito fiscale riguarda gli anni 2003 e 2004 e la cessione del l’azienda o ramo d’azienda è intervenuta nel 2005, deve ritenersi sussistente , ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, la responsabilità della cessionaria in ordine alle obbligazioni relative ai due anni precedenti a quello di conclusione dell’accordo di trasferimento;
il limite previsto dal secondo comma dell’art. 14 cit. è rapportato all’attività dell’Amministrazione, nel senso che l’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza;
-secondo l’orientamento prima richiamato, al quale questo Collegio intende dare continuità ( ex multis , Cass. n. 5979/2014 cit., in motivazione), il primo comma dell’art. 14, distinguendo tra violazioni “commesse” nel triennio e provvedimenti di “irrogazione” (di sanzione) ed atti di “contestazione” (riguardanti, cioè, anche atti di accertamento delle imposte), mira a fondare una responsabilità del soggetto cessionario per tutti i debiti fiscali del cedente relativi al triennio anteriore alla cessione, anche se al momento della cessione ancora incerti nell'”an”, ancorando tale responsabilità alla condotta omissiva dello stesso cessionario il quale non ha ritenuto di assolvere all’onere di diligenza, informandosi preventivamente presso gli Uffici
finanziari della eventuale esposizione debitoria del cedente. Si tratta di disposizione che, al fine di evitare eventuali elusioni fiscali attuate mediante la cessione d’azienda, accolla sul cessionario – che non si premuri di richiedere agli uffici finanziari l’attestazione relativa alla situazione debitoria del cedente nel triennio -il rischio di rispondere per l’eventuale maggior debito fiscale, anche se occultato dal cedente o non ancora accertato dalla Amministrazione al tempo della cessione;
-l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, quindi, regola una ipotesi autonoma rispetto a quella della prevista dalla successiva disposizione del comma 2 (le cui modalità applicative trovano disciplina nel comma 3 del medesimo art. 14 cit.) che limita la responsabilità solidale del cessionario ” al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’Amministrazione finanziaria “, intendendo questa ipotesi favorire (limitandone ulteriormente la responsabilità) il cessionario che abbia preventivamente comunicato l’operazione di cessione di azienda agli Uffici finanziari, richiedendo l’attestazione della posizione debitoria del cedente. Ne consegue che, quando anche il cedente avesse “commesso delle violazioni finanziarie” nel triennio in questione, ma queste non fossero ancora emerse all’atto del trasferimento di azienda (essendosi limitato l’Ufficio a compiere soltanto attività di acquisizione dati), alcun debito fiscale a carico del cedente potrebbe risultare dagli atti dell’Amministrazione finanziaria in difetto di alcuna “constatazione” della violazione o del presupposto impositivo, e dunque il cessionario, in base a tale attestazione negativa rilasciata dall’Ufficio, non potrebbe essere chiamato in seguito a rispondere (a differenza della ipotesi regolata dal primo comma) anche per debiti d’imposta o per sanzioni tributarie relativi a fatti “commessi” dal cedente nel triennio precedente ed accertati solo successivamente
alla cessione di azienda; il comma 3 dell’art. 14 prevede, in proposito, il rilascio di apposita attestazione degli Uffici, su richiesta della parte interessata, formulata anteriormente alla cessione d’azienda – in ordine alla situazione debitoria tributaria del cedente, che, se negativa, ha effetto liberatorio della responsabilità del cessionario;
alla luce del richiamato e condividibile indirizzo giurisprudenziale, dunque, risulta illogico ipotizzare, come fa, nella sostanza, il giudice di secondo grado, una commistione tra le disposizioni dei primi tre commi dell’art. 14 cit., per cui troverebbe in ogni caso applicazione la limitazione prevista dal comma 2 dell’art. 14 cit., anche nel caso in cui il cessionario non abbia ritenuto di verificare previamente presso gli Uffici finanziari la posizione debitoria del soggetto cedente, posto che in tal modo verrebbe privata di qualsiasi significato precettivo la disposizione di cui al comma 1 dell’art. 14, che, invece, ha inteso estendere la responsabilità solidale del cessionario a qualsiasi debito per imposte e sanzioni, relativo a ‘violazioni commesse’ dal cedente nel triennio precedente al trasferimento d’azienda , anche se al tempo della cessione non ancora constatate, contestate od accertate;
ne consegue che, nel caso di cessione di azienda, il cessionario ha un onere di diligenza nel richiedere l’attestazione di cui all’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, dovendo altrimenti rispondere anche per debiti d’imposta o per sanzioni tributarie relativi a fatti “commessi” dal cedente nel triennio precedente ed accertati solo successivamente alla cessione d ell’ azienda;
la CTR ha sul punto erroneamente affermato che, essendo stati i ruoli emessi nell’anno 2007, non si poteva sostenere che il debito tributario fosse stato accertato già all’epoca della cessione, avvenuta nell’anno 2005, non essendo stata ancora constatata a quel tempo alcuna violazione relativa al triennio precedente, senza verificare se la cessionaria avesse dimostrato di avere richiesto l’attestazione di cui
all’art. 14, comma 3, cit., dovendo, in mancanza di quest’ultima, comunque rispondere delle violazioni commesse nel triennio;
– in conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado territorialmente competente, in diversa composizione, per nuovo esame che dovrà tenere conto anche del fatto che la responsabilità della cessionaria va in ogni caso limitata al valore d ell’azienda ceduta .
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Umbria, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 9 ottobre 2024