Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1307 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1307 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 26325-2019, proposto da:
RAGIONE_SOCIALEs. DI NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE C , cf. P_IVA, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio degli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME dai quali è rappresentata e difesa –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf. 97210890584, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 2142/27/2019 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata l’11.02.2019 ;
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 26 settembre 2023 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che
Alla società ricorrente, titolare della concessione al commercio di carburante presso l’impianto di distribuzione stradale dato in gestione alla
Accise -Impianto di distribuzione del carburante -Violazioni -Responsabilità del titolare della concessione
ditta individuale COGNOME Marianna, fu notificato l’avviso di pagamento, con cui l’Agenzia delle dogane e dei monopoli chiese l’importo di € 114.223,91 a titolo di omesso versamento delle accise dovute per le annualità 2012/2014.
La società, contestando la pretesa erariale, impugnò l’atto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, che con sentenza n. 6546/31/2017 ne accolse le ragioni. La Commissione tributaria regionale della Campania, investita dell’appello dell’ufficio, in riforma della decisione di primo grado rigettò il ricorso introduttivo.
Il giudice regionale ha ritenuto che l’atto impositivo fosse immune da vizi di validità perché, nel riprodurre il contenuto essenziale dei documenti in esso richiamati a supporto della pretesa impositiva, aveva rispettato l’art. 7 della l. 27 luglio 2000, n. 212 e dunque fosse corredato da valida motivazione. Ha quindi riconosciuto il vincolo di solidarietà tra la società titolare della concessione alla distribuzione del carburante e la ditta individuale titolare della gestione dell’impianto, così come previsto dall’art. 25, comma 5, del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504.
Avverso la sentenza la ricorrente ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte, affidandosi a tre motivi per la sua cassazione, cui ha resistito l’Amministrazione doganale con controricorso.
All’esito dell’adunanza camerale del 26 settembre 2023 la causa è stata decisa.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione de ll’art. 7, l. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Sostiene che la Commissione regionale campana avrebbe erroneamente ritenuto che l’atto impositivo fosse corredato da sufficiente motivazione;
con il secondo motivo si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. per non aver tenuto conto del fatto che la verifica era stata condotta nei confronti di un terzo soggetto, a cui erano state contestate le condotte fraudolente.
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, perché sotto i profili dell’errore nell’interpretazione delle norme e del vizio di motivazione
criticano la decisione in riferimento alla riconosciuta validità dell’atto impositivo, sono infondati.
Va premesso che l’avviso di pagamento nei confronti della società trova genesi nel controllo eseguito presso l’impianto di distribuzione stradale di carburante, gestito dalla ditta COGNOME RAGIONE_SOCIALE, all’esito del quale era riscontrato dai militari verificatori la commercializzazione di carburante di contrabbando. Le accertate maggiori accise, unitamente alle sanzioni, erano pertanto contestate al gestore e, ai sensi dell’art. 25, comma 5, del d.lgs. n . 504 del 1995, alla odierna ricorrente, titolare della concessione.
La difesa della società insiste nel denunciare la violazione dell’art. 7 del cd. Statuto del contribuente, perché all’avviso di pagamento non sarebbero stati allegati i documenti richiamati nella motivazione dell’atto (quelli elevati nei riguardi del gestore), ritenendo sufficiente la riproduzione del loro contenuto essenziale. Sostiene, al contrario, che l’art. 7 cit. non autorizzerebbe tale interpretazione, richiedendo invece l’allegazione dell’atto richiamato. Nessuna rilevanza potrebbe assumere l’invocazione dell’art. 11, comma 2-bis, del d.lgs. n. 504 del 1992 -in materia di ICI e come preteso dal giudice regionale-, che nel prevedere, ai fini della sufficienza della motivazione per relationem , la riproduzione del contenuto essenziale degli atti, detta una disciplina specifica in quella materia, non estensibile alla materia delle accise.
Questa Corte, con interpretazione ormai consolidata, ha affermato che nel regime introdotto dall’art. 7, l. n. 212 del 2000, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem , ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato. Tale indicazione già consente al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i punti specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass., 15 aprile 2013, n. 9032; 10 febbraio 2016, n. 2614; 11 aprile 2017, n. 9323; cfr. anche 23 febbraio 2018, n. 4396).
Peraltro, in tema di accertamento, si è anche avvertito che l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare al relativo avviso gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalità “integrativa” delle ragioni che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo ai sensi dell’art. 3, comma 3, della l. n. 241 del 1990, sicché detto obbligo riguarda i soli atti che non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso, con esclusione, peraltro, di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva (Cass., 5 ottobre 2018, n. 24417). Ancora, e per finire, l’art. 42, comma 2, ultimo periodo, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, prevede che «Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale».
Il giudice regionale si è attenuto ai suddetti principi, così che il primo motivo è da respingere.
Inammissibile risulta poi il secondo, che nel criticare la motivazione vorrebbe sollecitare una rivalutazione del merito della fattispecie, riservata invece al solo giudice del merito.
Al ricorso trova infatti applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134. Con la nuova formulazione del n. 5 lo specifico vizio denunciabile per cassazione deve essere relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia. Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415).
Nel caso di specie il ragionamento del giudice regionale è scevro da salti logici, e peraltro la critica rivolta alla pronuncia dalla società mostra di non
aver tenuto conto del perimetro entro cui è possibile denunciare il vizio di motivazione.
Con il terzo motivo la società lamenta la violazione dell’art. 25 del d.lgs. n. 504 del 1995, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Con esso è contestata la responsabilità solidale tra il titolare della concessione e il titolare del la gestione dell’impianto di distribuzione del carburante, in quanto il presupposto del recupero delle accise trova causa nella condotta illecita e fraudolenta della ditta COGNOME, gestore dell’attività, non imputabile al titolare della concessione.
Nelle sue difese la società ha contestato l’applicabilità della solidarietà prevista dall’art. 25 cit. anche ad ipotesi, come quella per cui si controverte, in cui la condotta illegittima sia stata tenuta dall’ ‘unico gestore dell’impianto di distribuzione carburanti’. Ha sostenuto che il vincolo di solidarietà poteva trovare giustificazione in un rapporto di gestione ordinaria, relativo a rapporti commerciali verificabili ‘oggettivamente’, fondati sulla ‘esclusività’ delle forniture di carburante. Nel caso di specie si trattava invece di condotte, tenute dal gestore, rilevanti anche sul piano penale, ed esclusivamente riconducibili alla persona fisica che aveva commesso gli illeciti di contrabbando, in un contesto nel quale lo stesso gestore poteva approvvigionarsi del prodotto anche presso altri fornitori, in forza dell’art. 17 della l. 27 marzo 2012, n. 27. A tal fine ha invocato l’art. 27 della Costituzione e i principi fissati, in tema di solidarietà tributaria, dalla stessa giurisprudenza costituzionale ( ord. 48 del 14.01.1988 ), chiedendo, in via subordinata, di sollevare questione di costituzionalità dell’art. 25, comma 5, d.lgs. n. 504 del 1995.
Il motivo è infondato.
In materia di accise i primi due commi dell’art. 25 cit. , nella formulazione vigente ratione temporis , così recitavano «1. Gli esercenti depositi commerciali di prodotti energetici assoggettati ad accisa devono denunciarne l’esercizio all’Ufficio dell’Agenzia delle dogane, competente per territorio, qualunque sia la capacità del deposito. 2. Sono altresì obbligati alla denuncia di cui al comma 1: a) gli esercenti depositi per uso privato, agricolo ed industriale di capacità superiore a 25 metri cubi; b) gli esercenti impianti di distribuzione stradale di carburanti; c) gli esercenti apparecchi di
distribuzione automatica di carburanti per usi privati, agricoli ed industriali, collegati a serbatoi la cui capacità globale supera i 10 metri cubi».
Nel comma 4 era previsto che «4. Gli esercenti impianti e depositi soggetti all’obbligo della denuncia sono muniti di licenza fiscale, valida fino a revoca, e sono obbligati a contabilizzare i prodotti in apposito registro di carico e scarico. Nei predetti depositi non possono essere custoditi prodotti denaturati per usi esenti. Sono esonerati dall’obbligo della tenuta del registro di carico e scarico gli esercenti depositi di oli combustibili, per uso privato o industriale. Gli esercenti la vendita al minuto di gas di petrolio liquefatti per uso combustione sono obbligati, in luogo della denuncia, a dare comunicazione di attività all’Ufficio dell’Agenzia delle dogane, competente per territorio, e sono esonerati dalla tenuta del registro di carico e scarico».
Il comma 5 così recitava «5. Per i depositi di cui al comma 1 ed al comma 2, lettera a), nei casi previsti dal secondo comma dell’art. 25 del regio decreto 20 luglio 1934, n. 1303, la licenza viene rilasciata al locatario al quale incombe l’obbligo della tenuta del registro di carico e scarico. Per gli impianti di distribuzione stradale di carburanti la licenza è intestata al titolare della gestione dell’impianto, al quale incombe l’obbligo della tenuta del registro di carico e scarico. ll titolare della concessione ed il titolare della gestione dell’impianto di distribuzione stradale sono, agli effetti fiscali, solidalmente responsabili per gli obblighi derivanti dalla gestione dell’impianto stesso».
Ebbene, a parte gli obblighi di denuncia e di tenuta della documentazione relativa alla contabilizzazione dei prodotti nei registri di carico e scarico, il comma 5, dopo aver esplicitato che per gli impianti di distribuzione stradale del carburante l’obbli go di tenuta del registro di carico e scarico incombe sul titolare della gestione, nell’ultima parte riconosce una responsabilità solidale del titolare della concessione e del titolare della gestione, ‘agli effetti fiscali’ per ‘gli obblighi derivanti dalla gestione dell’impianto stesso’.
La previsione, chiara ed inequivocabile, è stata interpretata da questa Corte nel senso che il concessionario dell’impianto stradale di distribuzione di carburanti è responsabile in solido, in caso di svincolo irregolare dal regime sospensivo del prodotto energetico soggetto ad accisa, con il gestore dell’impianto, salvo prova contraria, da parte del concessionario, del diligente esercizio dei suoi poteri di ispezione e controllo sull’impianto
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previsti dalla legge (Cass., 5 giugno 2020, n. 10689; da ultimo, 20 luglio 2023, n. 21734).
Si è a tal fine evidenziato che il rapporto di concessione lega il concedente pubblico al concessionario, restando ad esso del tutto estraneo il gestore. Questo giustifica che il concessionario si renda ‘garante’ verso il concedente del corretto adempimento degli obblighi che strettamente ineriscono alla gestione del servizio dato in concessione. Tali sono gli obblighi fiscali connessi in modo specifico al commercio dei carburanti, ossia obblighi gravanti sul gestore «in relazione alla specificità dell’oggetto del suo commercio (cui la concessione si ricollega)», dunque mediante un «significativo collegamento con il fatto generatore del tributo (…) tale per cui un soggetto altrimenti estraneo al fatto generatore dell’imposta possa esser chiamato a rispondere della relativa obbligazione» (cfr. Cass., 7 ottobre 1996, n. 8765).
Considerata dunque la responsabilità solidale imputata al concessionario, e l’ampiezza delle facoltà di controllo riconosciute dalla legge al concessionario medesimo, non può condividersi l’assunto della ricorrente, secondo cui la condotta delittuosa tenuta dal gestore interromperebbe quel rapporto sinallagmatico che sussiste tra concessionario e Amministrazione concedente. Ciò è tanto più marcato nel caso di specie, ove si consideri che la società non ha in alcun modo illustrato in quali termini abbia concretamente adempiuto al dovere di vigilanza, propria del concessionario, sull ‘ ordinaria gestione dell’impianto, con aperta violazione del canone di responsabilità riconducibile all’art. 1176, secondo comma, cod. civ.
A tal fine va ricordato che l’ultimo comma dell’art. 19 del d.P.R. n. 1269 del 1971 prevede che «Il concessionario ha libero accesso, in ogni tempo, nelle aree degli impianti e negli immobili annessi, allo scopo di esaminare i registri, lo stato di manutenzione degli impianti, le scorte e la qualità dei prodotti».
Tanto esclude l’esigenza di un confronto con i parametri costituzionali, pur invocati dalla ricorrente, ma che nel caso di specie sono pienamente rispettati.
RGN 26325/2019 Consigliere rel. NOME Le conclusioni non contrastano neppure con il diritto unionale, così come interpretato dalla Corte di giustizia, quando si consideri che, sia pur con riguardo alla distinta fattispecie del recupero dell’accisa, dovuta da società
per violazione del regime di sospensione durante la circolazione di oli minerali , in relazione all’art. 14, paragrafo 1, della direttiva 92/12/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, dalla lettura organica della suddetta direttiva, e segnatamente dagli artt. 13, 15, paragrafi 3 e 4, 20, paragrafo 1, è stato evidenziato che « 55. il legislatore ha conferito al depositario autorizzato un ruolo centrale nella procedura di circolazione dei prodotti soggetti ad accisa e posti in regime di sospensione (sentenza del 2 giugno 2016, RAGIONE_SOCIALE, C-81/15, EU:C:2016:398, punto 31). 56. Tale depositario è, di conseguenza, designato come soggetto tenuto al pagamento dei diritti di accisa nel caso in cui un’irregolarità o un’infrazione, che determini l’esigibilità di tali diritti, sia stata commessa nel corso della circolazione di detti prodotti. Tale responsabilità è, inoltre, di tipo oggettivo e si basa non già sulla colpa dimostrata o presunta del depositario, bensì sulla sua partecipazione a un’attività economica (v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio 2021, Silcompa, C-95/19, EU:C:2021:128, punto 52)» (CGUE, sentenza 7 settembre 2023, in C-323/22, punti 55 e 56). La previsione di una responsabilità oggettiva trova giustificazione nel constatare che « 57. come risulta dal primo e dal quarto considerando della direttiva 92/12, uno degli obiettivi perseguiti da quest’ultima consiste nell’assicurare che l’esigibilità delle accise sia identica in tutti gli Stati membri ai fini del buon funzionamento del mercato interno, il quale implica la libera circolazione delle merci, comprese quelle soggette ad accisa. Inoltre, tra tali obiettivi figura anche la lotta contro la frode, l’evasione fiscale e gli eventuali abusi » (CGUE, sentenza cit., punto 57). Pertanto il giudice della Corte di giustizia conclude, affermando che «59. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione posta dichiarando che l’articolo 14, paragrafo 1, primo periodo, della direttiva 92/12 deve essere interpretato nel senso che l’abbuono d’imposta ivi previsto non si applica al depositario, responsabile del pagamento dell’imposta, in caso di svincolo dal regime sospensivo dovuto a un atto illecito, nemmeno qualora il depositario sia totalmente estraneo a tale atto illecito, imputabile esclusivamente a un terzo, e nutra
un legittimo affidamento nella regolarità della circolazione del prodotto in regime di sospensione di imposta» (CGUE, sentenza cit., punto 59).
Si tratta di disciplina, sostanzialmente non modificata sul punto dalla Direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008.
Il principio di responsabilità oggettiva, enucleato dalla giurisprudenza unionale con riferimento al depositario, è dunque ben più ‘invasivo’ rispetto alla responsabilità solidale riconosciuta in capo al concessionario nella fattispecie per cui è causa, attribuendogli infatti, a tal fine, poteri di vigilanza ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 1269 del 1971.
Il ricorso va in conclusione rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di causa, che si liquidano nella misura di € 7.600,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2023