Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6299 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6299 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/03/2024
sul ricorso 13197/2022 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME, domiciliato presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO;
– controricorrente –
proposto avverso la sentenza n.8273/17/2021 della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA, depositata il 19/11/2021;
Udita la relazione della causa svolta in data 14/9/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
La Commissione tributaria regionale della Campania con sentenza n. 8273/17/2021 depositata il 19/11/2021 ha rigettato l’appello proposto da COGNOME NOME avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli n. 3721/14/2020, la quale ha a sua volta rigettato il ricorso proposto dal contribuente, con conferma dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO per IRES, IRAP, IVA e accessori relativo all’anno di imposta 2013.
Dalla lettura del ricorso e del controricorso si apprende che l’avviso con il quale è stato rideterminato il reddito di impresa della società RAGIONE_SOCIALE è stato notificato al contribuente quale socio al 100% e amministratore, in relazione al reddito realizzato nel periodo di imposta dalla società. La sentenza impugnata e la sentenza di primo grado riprodotta in ricorso riportano che la società era stata posta in liquidazione il 28.10.2014, cessata in data 29.12.2015 e cancellata dal registro delle imprese l’8.12.2016 . Dalla lettura della sentenza di appello si apprende che già il giudice di primo grado ha accertato la cessione delle quote societarie in data 18.7.2013 da parte del l’COGNOME, il quale si è poi dimesso dalla carica di amministratore in data 1.3.2014.
Il giudice di prime cure non ha condiviso le difese del contribuente, e il giudice d’appello ha accertato il mancato superamento in concreto della presunzione di distribuzione del reddito accertato in capo alla società quale conseguenza della ristretta base societaria.
Il contribuente propone ricorso per cassazione per due motivi, che illustra con memoria, cui replica l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
In data 4.4.2023 è stata comunicata al ricorrente una sintetica proposta di definizione del giudizio ex art. 380-bis cod. proc. civ., la quale è stata opposta in data 17.5.2023 ai sensi del secondo comma, primo periodo, e terzo comma del medesimo articolo, con richiesta di prosecuzione del giudizio. E’ stata quindi fissata l’adunanza camerale odierna.
Considerato che:
La proposta di definizione del giudizio ex art. 380-bis, cod. proc. civ., ha ritenuto inammissibili entrambi i motivi proposti dal contribuente, il primo in quanto censura motivazionale a fronte di una argomentazione della CTR che rispetta il minimo costituzionale e il secondo in quanto non collegato con la ratio decidendi espressa dal giudice d’appello, incentrata sul mancato rispetto dell’onere della prova da parte del contribuente.
Con il primo motivo di ricorso – ai fini dell’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. -deduce l’ erronea ricognizione della fattispecie concreta rispetto alle risultanze di causa, in relazione all’apodittica, contraddittoria ed inconferente motivazione, nonché in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia su un fatto decisivo della controversia.
Il motivo è affetto da concorrenti aspetti di inammissibilità e infondatezza.
8.1. Va premesso che l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (Cass. 30 dicembre 2015 n. 26110) e che dunque non è stato dedotto il pertinente paradigma di censura.
8.2. Va poi ribadito che « La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (…) » (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). La censura non ha tenuto conto di tale mutato quadro normativo.
8.3. Non sussiste inoltre la contraddittorietà della motivazione espressa dalla CTR su cui da ultimo il contribuente insiste nella memoria autorizzata. Nell’intestazione e nel corpo della sentenza infatti sono chiaramente riportate le riprese per II.DD e IVA, e nella stessa motivazione si fa riferimento al fenomeno successorio con traslazione delle riprese societarie in capo alla persona fisica del contribuente. Non vi è pertanto alcun ragionevole dubbio sul fatto che oggetto di pronuncia è chiaramente l’accertamento e la legittimità delle imposte sul reddito della società di capitali (IRES, IRAP, IVA), traslate alla persona fisica in forza di fenomeno successorio conseguente all’estinzione della società.
8.4. Neppure vi è irrimediabile contraddittorietà determinata da incertezza sul titolo giuridico di attribuzione della responsabilità in capo alla persona fisica, dal momento che la sentenza motiva sia sotto il profilo
della responsabilità dell’COGNOME quale socio, sia, avendo egli ceduto le quote societarie in data 18.7.2023, ex art.36 d.P.R. n.602/73, quale amministratore e autore materiale delle violazioni nei due anni antecedenti alla liquidazione, essendosi dimesso dalla carica di amministratore in data 1.3.2014, con conseguente individuazione dei pertinenti titoli di responsabilità per il periodo di imposta, in parte quale socio in parte quale amministratore.
8.5. Non vi sono gli estremi da ultimo per l’omessa pronuncia con riferimento all ‘ art. 2595 cod. civ. di cui a p.6 del ricorso, e invero il profilo non assurge neppure ad autonomo motivo di impugnazione, trattandosi solo di una specificazione della complessiva censura della sentenza di primo grado, relativa alla responsabilità dei soci in caso di estinzione della società, sulla quale la CTR si è diffusamente pronunciata.
Con il secondo motivo il ricorrente, in relazione all’art.360 primo comma n. 3, cod. proc. civ., prospetta la violazione della legge sostanziale e processuale (artt. 2697 cod. civ., 28 l. 175/2014, 115 cod. proc. civ.), attribuendo la CTR -a suo dire – valore ad una mera asserzione dell’Ufficio, non provata nel doppio grado di giudizio, ossia che il p.v.c. richiamato nell’avviso impugnato sarebbe stato ben noto al contribuente.
Il motivo è inammissibile. In tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa (Cass. 11 gennaio 2007 n. 389; successive conformi, Cass. Sez. Un. 29 marzo 2013 n. 7931; Cass. 4 marzo 2016 n. 4293).
Nel caso in esame non è stata compiutamente impugnata la ratio decidendi espressa dalla sentenza, dal momento che la CTR non si è limitata ad affermare che il p.v.c. era noto al contribuente, ma ha anche statuito: « ed in ogni caso l’avviso di accertamento notificato all’COGNOME ne riportava in maniera dettagliata il contenuto ». Il profilo è di per sé idoneo a rendere compiuta la motivazione dell’imposizione e l’esercizio del diritto di difesa non è stato specificamente censurato né, del resto, l’avviso è stato riprodotto in ricorso per mettere il Collegio nelle condizioni di operare una verifica.
11. Inammissibile in quanto del tutto eterogeneo è poi il profilo di violazione dell’art. 28 d.lgs. n.175/14, in quanto non applicabile ratione temporis alla fattispecie circa le conseguenze dell’estinzione della società, aspetto solo abbozzato a pag. 10 del ricorso che non ha nulla a che vedere con la notifica del p.v.c. oggetto del motivo in disamina esposto nelle pagg.7-9 del ricorso. Il profilo è oltretutto anche destituito di fondamento, in quanto il richiamo impreciso all ‘art. 28 cit. è ininfluente e al più idoneo a determinare una correzione di motivazione, ferme le conclusioni. Infatti, in tema di società di capitali, la disciplina dettata dall’art.2495 comma 2 cod. civ., come modificato dall’art.4 d.lgs. n.6/2003, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l’estinzione immediata della società, implica che nei debiti sociali subentrano ex lege i soci, senza che abbia rilievo alcuno il fatto che sia intervenuta la distribuzione degli utili in sede di bilancio finale di liquidazione (Cass. Sez. U. n.619/2021). A ciò si aggiunge che sussiste il concorrente titolo di responsabilità di amministratore sino al 1° marzo 2014, come accertato in entrambi i gradi di giudizio, e dunque per il periodo di imposta oggetto del presente processo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., vanno applicati, come previsto dal terzo comma, ultima parte, RAGIONE_SOCIALE stesso art.380-bis cit. il terzo e
quarto comma dell’art.96 cod. proc. civ.. Ai fini del terzo comma di tale norma va constatata la colpa grave del ricorrente per aver chiesto, ai sensi dell’ultimo comma dell’art.380 bis cod. proc. civ., a fronte di una proposta di definizione accelerata di rigetto per inammissibilità di entrambi i motivi, la decisione del ricorso senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza o dell’inammissibilità della propria iniziativa processuale (Cass. Sez. Un. n.32001/2022). La presente motivazione si è limitata a specificare il contenuto della proposta e, per l’effetto, va pronunciata la condanna di parte ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata, mentre discende ope legis dalla conformità dell’odierna decisione alla proposta di definizione la condanna al pagamento di un altro importo -entro i limiti di legge -in favore della Cassa delle ammende.
13. Il contributo unificato è regolato come da dispositivo (Cass. Sez. Un. 20 febbraio 2020 n.4315).
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 5.800,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito;
condanna la parte ricorrente, ai sensi dell’art.96 cod. proc. civ., al pagamento in favore della parte resistente della somma di Euro 2.900,00, equitativamente determinata, oltre interessi legali da oggi al soddisfo, nonché della somma di Euro 1.500 in favore della Cassa delle ammende.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Roma, così deciso in data 14 settembre 2023