Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24023 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24023 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 23508-2021 R.G., proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, c.f. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende
Ricorrente
CONTRO
, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato
ESPOSITO NOME e difeso dall’avv. NOME COGNOME
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 1858/03/2021 pronunciata dalla Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 26 febbraio 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio l’11 marzo 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Accertamento -Società cancellata -Ultrattività quinquennale ex art. 28 d.lgs. 175/2014 -Atto impositivo notificato al socio unico ex art. 36 d.P.R. 602/1973
Dalla sentenza impugnata emerge che NOME impugnò due avvisi d’accertamento, relativi agli anni d’imposta 2012 e 2013, per Ires, Irap ed Iva, notificati il 22 dicembre 2017, inerenti alle maggiori imposte per redditi non dichiarati, attribuibili alla società RAGIONE_SOCIALE cancellata dal registro delle imprese e della quale il ricorrente era stato socio unico e amministratore, per la qual ragione era chiamato a rispondere ex art. 36, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.
L’COGNOME, che contestava le modalità e l’esistenza della notifica degli atti alla società, la violazione della disciplina sulla ultrattività delle società, ex art. 2495 cod. civ e 28, comma 4, d.lgs. n. 175 del 2014, l’illegittimità della presunzione di distribuzione degli utili ai soci, la violazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 e comunque la carenza di responsabilità del ricorrente e l’infondatezza della pretesa nel merito, propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli.
Il giudice di primo grado accolse il ricorso con sentenza n. 3816/24/2019. L’appello promosso dall’Agenzia delle entrate fu rigettato dalla Commissione tributaria regionale della Campania con sentenza n. 1858/03/2021.
Nel confermare le statuizioni di primo grado il giudice regionale, dopo aver riportato i fatti di causa, per come emergenti nella pronuncia della Commissione provinciale, ha evidenziato che ad un primo pvc erano seguiti tre avvisi d’accertamento (per gli anni 2011, 2012 e 2013), oggetto di un giudizio definito nei due gradi di merito con sentenze favorevoli alla società (6950/2017 e 1838/2019), ma non ancora passate in giudicato. Ad un secondo pvc (redatto dalla GdF il 29.09.2017), sempre per le annualità 2012 e 2013, erano seguiti i due avvisi d’accertamento integrativi (del complessivo importo di € 81.290,00) , con cui erano contestate le pretese ora oggetto di causa, notificati alla società -nelle more cancellata (30.09.2015)- e per essa alla Sig.ra COGNOME quale ultima amministratrice della società, nonché all’COGNOME quale socio unico e quale amministratore nell’ultimo bi ennio (ad eccezione degli ultimi mesi di esistenza della società) per le responsabilità ad esso riconducibili ex art. 36, d.P.R. n. 602 del 1973.
Il giudice d’appello ha dunque riportato ampi stralci della decisione di secondo grado relativa ai precedenti avvisi d’accertamento, relazionati al pregresso processo verbale di constatazione e, come si è detto, favorevoli alla contribuente ed al socio COGNOME Quindi, ha respinto l’affermazione con
cui l’ufficio insisteva sulla ritualità della notifica degli atti impositivi all’amministratrice p.t. della società cancellata, evidenziando che oggetto del ricorso per appello non era la notifica a quella amministratrice -per la quale, incidentalmente per quanto comprensibile, ne ha sostenuto parimenti l’irritualità -ma la notifica all’COGNOME nella qualità di socio unico. Nel merito, poi, facendo proprie le valutazioni espresse dalla Commissione regionale nel processo innescato dal primo processo verbale di constatazione -da cui erano scaturiti i primi tre avvisi d’accertamento -, ha condiviso l’argomentare logico di quel precedente (1838/2019), laddove in esso si è sostenuta l’erroneità della notifica all’COGNOME ex art. 28 comma 4, d.lgs. 175/201 4 cit., nella qualità di socio unico della RAGIONE_SOCIALE, per non essere ancora decorsi i cinque anni dalla sua cancellazione. Ciò, tanto più considerando, prosegue la pronuncia ora al vaglio di questa Corte, che l’COGNOME aveva cessato , prima della cancellazione della società, di essere anche l’amministratore della stessa. Ha inoltre ritenuto che fosse del tutto privo di rilevanza che la notifica degli atti impositivi fosse stata indirizzata all’Esposito ai sensi degli artt. 36 del d.P.R n. 602 del 1973 e dell’art. 2 495 cod. civ. (ancora una volta chiamando a sostegno le ragioni espresse nella decisione della Commissione regionale n. 1838 /2019). Questo perché l’estinzione della RAGIONE_SOCIALE, cancellata il 30.09.2015, poteva dirsi definitiva solo a partire dal 2020, ossia dal p assaggio dell’ulteriore quinquennio dalla data di presentazione della richiesta di cancellazione, secondo quanto prescritto dall’art. 28 cit. Ha peraltro chiarito che nessun rilievo poteva attribuirsi alla notificazione dei due atti impositivi alla COGNOME, laddove l’COGNOME era stato chiamato a rispondere ex art. 36, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 602, cit., perché il contenuto degli avvisi indirizzati all’amministratrice e di quelli indirizzati al socio unico erano i medesimi.
A tal fine, condividendo la linea difensiva del contribuente e richiamando precedenti della giurisprudenza di legittimità, ha sostenuto che per procedere alla notifica al socio ex art. 36 cit., è necessario il decorso dell’intero termine quinquennale previsto dall’art. 28 cit., e l’emissione di un d ifferente avviso d’accertamento, motivato sulle ragioni di imputabilità del debito o delle responsabilità trasferite dalla società al socio.
L’Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza, di cui ha chiesto la cassazione, sulla base di quattro motivi. Il contribuente ha resistito con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.
Nell’ adunanza camerale del l’11 marzo 2025 la causa è stata trattata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate ha denunciato la «Violazione e falsa interpretazione di norme di legge (art. 145 c.p.c.; art. 28, IV comma del D.lgs. n. 175/2014; art. 36 del DPR n. 602/1973; art. 2495 del cod. civ.) rilevabile ai sensi e per gli effetti dell’articolo 360, I comma, n. 3 del cod. proc. civ.». Ha sostenuto che la disciplina, per l’ipotesi di società estinte, consente la notifica dei provvedimenti impositivi alternativamente presso l’ultimo domicilio fiscale della società, oppure presso l’amministratore, con indicazione della qualifica e della sua residenza (ex art. 145 cod. civ.). Nel caso di specie la notifica alla società sarebbe stata eseguita presso l’ultimo amministratore. Tale notifica era avvenuta nel rispetto delle modalità prescritte dalla disciplina alla Menlechuk, così che la società era stata ritualmente posta a conoscenza degli atti impositivi, laddove quelli indirizzati all’COGNOME erano finalizzati alla contestazione delle sue responsabilità di socio, e dunque solo al controricorrente dovevano essere notificati.
Con il secondo motivo la ricorrente ha lamentato la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 28 IV comma del D.lgs. n. 175/2014 in combinato disposto con l ‘art. 36 del DPR n. 602 /1973». Il collegio erroneamente avrebbe ritenuto che l’art. 28 cit. si pon ga in contrasto con il potere dell’ufficio di rilevare le responsabilità dei soci che occultino utili societari, così evadendo le imposte a carico della società. Al contrario, tenendo conto del ruolo dell’COGNOME nelle vicende della società estinta, socio unico della stessa e già suo amministratore sino a qualche mese prima della richiesta di cancellazione (sostituito dalla COGNOME), era proprio il tenore dell’art. 36 cit. a consentire la notifica di atti che, oltre a contenere la pretesa erariale nei confronti della società a mezzo della notifica all’ultima amministratrice, costitui va espresso accertamento delle responsabilità dell’COGNOME in ragione della posizione peculiare rivestita nella società cancellata e dell’occultamento di utili, secondo la pr ospettazione difensiva articolata dall’amministrazione finanziaria, per l e quali l’COGNOME non poteva dirsi estraneo.
Con il terzo motivo l’ufficio si è doluto della «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c.». L’illegittimità della pronuncia emergerebbe dalla finalità stessa della norma richiamata, posta a presidio del pericolo di espropriare il creditore dei crediti vantati nei confronti della società. Nel caso di specie la società non aveva tenuto alcuna contabilità, né i libri sociali, omettendo qualunque dichiarazione e qualunque versamento d’imposta , e pertanto il socio unico, per la posizione in concreto rivestita nella società, era stato legittimamente coinvolto nell ‘accertamento, unitamente alla società con la sua amministratrice.
Con il quarto motivo ha denunciato la «Violazione e falsa applicazione art. 156 c.p.c.». La Commissione regionale aveva immotivatamente negato la regolare notifica degli avvisi di accertamento alla società e comunque, qualora irregolarità si fossero compiute, esse afferivano alla nullità e non alla inesistenza della notifica.
I motivi, solo apparentemente distinti, in realtà ruotano tutti intorno al coinvolgimento del controricorrente nelle contestazioni a lui rivolte con gli atti impositivi impugnati, dal contenuto sovrapponibile -ha sostenuto la difesa dell’Esposito seguita dal giudice d’appello – a quelli notificati alla società non ancora estinta ex art. 28 del d.lgs. 175/2014, e che pertanto, secondo le difese del controricorrente, dovevano attingere la sola società.
Nel caso di specie, a parte le considerazioni del giudice regionale, secondo il quale la società stessa non era stata neppure correttamente attinta dalle pretese erariali, per l’inefficacia o l’inesistenza d ella notifica indirizzata alla sua ultima amministratrice, la questione su cui si controverte è se il socio, ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, poteva essere chiamato a rispondere per la condotta tenuta in seno alla compagine sociale, e non invece, ad estinzione di quest’ultima, nei soli limiti delle assegnazioni comunque ricevute in sede di liquidazione della società ed in presenza dei presupposti previsti dalla norma surrichiamata.
Questo l’oggetto della controversia, va intanto premesso che il richiamo all’art. 2495 c.c., contenuto nel primo motivo, è inappropriato ed errato, perché, come evidenziato dalla stessa difesa erariale, l’oggetto della controversia, e le ragioni per le quali l’COGNOME era stato destinatario degli atti ora impugnat i, erano riconducibili all’art. 36 , d.P.R. n. 602/1973, non già all’art. 2495 c.c., che pertanto è stato invocato inutilmente.
Ciò chiarito, sul piano formale, sebbene in sede d’appello si sia discusso anche della ritualità della notifica degli atti indirizzati alla società, è pacifico che comunque questa sia stata destinataria di avvisi d’accertamento , che non risultano essere stati mai impugnati. Rispetto a questo dato, incontestato, ai fini del presente giudizio sono del tutto prive di rilievo giuridico, allora, le considerazioni del giudice d’appello, che sul punto è infatti esplicitamente consapevole di fare affermazioni estranee a questo contezioso ed incidentali, sulla ritualità o meno della notifica eseguita dall’Agenzia delle entrate nei confronti della società al domicilio dell’ultimo amministratore (la irreperibile Sig.ra COGNOME nominata appunto amministratrice solo tre mesi prima della cessazione di ogni attività da parte della società RAGIONE_SOCIALE e della sua cancellazione dal registro delle imprese, della quale l’COGNOME era stato socio unico nonché amministratore per oltre un decennio). Non è questo l’o ggetto del processo, come rileva lo stesso giudice d’appello .
Ne discende che ogni considerazione in tema evincibile nella sentenza difetta di decisorietà e pertanto il primo motivo del ricorso erariale -qualunque ragione sia allegata per affermare, al contrario, la ritualità di quella notificaè inammissibile perché difetta di interesse.
Assume invece priorità il secondo motivo che, se fondato, assorbirebbe gli altri. Va dunque esaminata proprio la questione della correttezza del ragionamento seguito dal giudice d’appello, secondo il quale la definitiva estinzione della società, ossia la decorrenza del quinquennio dalla cancellazione della società, in forza della disciplina detta ta dall’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 che integra l’art. 2495 c.c. ai fini estintivi della società stessa in relazione della validità ed efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, nonché delle sanzioni e interessi ad essi conseguenti-, sia necessaria per chiamare il socio, ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, a rispondere della propria condotta in seno alla compagine sociale.
L a Commissione regionale ha rigettato l’appello erariale sull’assunto che ai fini fiscali l’effetto estintivo della cancellazione della società (avvenuta il 30.09.2015) si era verificato solo dopo cinque anni, dunque nel 2020, ai sensi dell’art. 28 cit. Ha pertanto condiviso la difesa dell’COGNOME, secondo la quale l’amministrazione finanziaria non poteva far valere nei confronti del socio (unico) le pretese di pagamento dei debiti erariali , ai sensi dell’art. 36 cit., se
non quando effettivamente estintasi la società, ossia al trascorrere dell’intero quinquennio. Inoltre, tali pretese dovevano essere contenute in un differente avviso motivato, contenente tutte le ragioni di imputabilità del debito e comunque delle responsabilità del socio per le condotte illecite della società.
Il giudice d’appello ha pertanto ritenuto che, al momento della notificazione degli atti al contribuente (2017), non fosse ancora trascorso il quinquennio, né fossero stati notificati all’ Esposito distinti avvisi d’accertamento, ma quegli stessi indirizzati alla società.
Di contro, afferma nelle sue difese l’amministrazione finanziaria, gli atti notificati all’Esposito, ancorché sovrapponibili a quelli indirizzati alla società in ordine alle violazioni ed evasioni, contenevano uno specifico richiamo alle responsabilità addebitabili al l’odierno controricorrente per le condotte tenute quale socio unico (comma 3 dell’art. 36 cit.) , nonché già amministratore della società nell’ultimo biennio dalla cancellazione della compagine sociale -ad eccezione degli ultimi mesi- (comma 4 d ell’art. 36 cit. ). Ha inoltre insistito nell ‘affermare che p er tali contestazioni non era necessario che la società fosse definitivamente estinta ex art. 28 del d.lgs. n. 175/2014.
Il motivo, ammissibile, in quanto correttamente formulato, è fondato.
Deve infatti ritenersi errata la valutazione operata dal giudice d’appello, che, nel condividere le difese del controricorrente, ha affermato che per la notifica dell’atto accertativo nei confronti del socio, ex art. 36 cit., fosse necessaria la definitiva estinzione della società, ossia non solo la sua cancellazione dal registro delle imprese, come previsto dall’art. 2495 c.c., ma anche il decorso del quinquennio, previsto dall’art. 28 cit.
Tale asserzione impatta con quanto la giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato proprio in tema di contestazione delle responsabilità del socio ex art. 36 cit.
Nel trattare dell’art. 28 del d.lgs. 175/2014, e della dilazione dei tempi di estinzione della società, così come prevista dall’art. 2495 c.c. , ai soli fini della definizione dei rapporti fiscali pendenti, la giurisprudenza di legittimità ha avvertito che « … il richiamo all’art. 28, pur assunto nella sua portata anche sostanziale -volta ad attribuire all’ex liquidatore il potere di compiere ogni attività, appunto anche sostanziale, finalizzata e strumentale alla definizione della pendenza fiscale – non può tuttavia spingersi fino ad incidere sul regime della responsabilità patrimoniale del socio per il debito fiscale della società
estinta. Non può non osservarsi, in proposito, come l’artificiosità della permanenza in vita di un ente collettivo che in realtà non esiste più ad ogni altro effetto se, da un lato, agevola l’Ufficio nella notificazione degli atti (facilitando il raggiungimento del soggetto debitore ed il rispetto dei termini di decadenza e prescrizione) affida, dall’altro, le sorti del vaglio giurisdizionale sul debito fiscale all’iniziativa ed alla solerzia di un soggetto tendenzialmente ad esso indifferente perché ormai per definizione privo -a liquidazione esaurita -di patrimonio, e come tale certamente fin dall’inizio inidoneo a soddisfare il credito, con ciò determinandosi, in pratica, una situazione di debito senza responsabilità. L’inopponibilità per legge al Fisco degli effetti della cancellazione societaria non è quindi in grado di risolvere le questioni di causa: non solo perché comunque temporanea (dovendo, allo scadere del quinquennio, riprendere pieno vigore la disciplina anche processuale come detto rinvenien te dall’art. 2495 cod. civ.), ma anche e soprattutto perché intatta resta, per il creditore pubblico, l’esigenza di far valere, con l’avvio di nuovo e diverso procedimento amministrativo di accertamento ex art. 36 cit., la responsabilità patrimoniale degli ex soci nei limiti delle attività sociali da costoro riscosse» (Sez. U, 12 febbraio 2025, n. 3625).
La ricostruzione della disciplina offerta dalle Sezioni unite rende palese che quel termine dilatorio, posto sicuramente a tutela degli interessi erariali ai fini della verifica e definizione di rapporti fiscali controversi, non si trasforma per la medesima amministrazione in un termine vincolante, ai fini della notifica di atti fiscali, quando si ha necessità di rivolgere l’attenzione non già nei confronti della compagine sociale, ma nei riguardi del socio che risponda ex art. 36 cit.
In altri termini, il prolungarsi in vita della società resta una fictio , una ‘ permanenza artificiosa’ della società, che non giunge tuttavia a ‘paralizzare’ le diverse e distinte esigenze erariali, quando queste si indirizzano nei confronti di colui che è ritenuto l’effettivo titolare della responsabilità patrimoniale nei confronti dell’erario, e dunque il soggetto passivo del credito dell’amministrazione finanziaria, la quale, dunque, non solo può, ma ‘ deve ‘ avere tutta l’urgenza di aggredire chi, a seguito della cessazione di ogni attività sociale (e che pertanto ha già liquidato il suo patrimonio, così cancellandosi dal registro delle imprese, ancorché artificiosamente in vita ex art. 28 cit.), è -o è ritenuto- il beneficiario di assegnazioni patrimoniali, anche
non emerse in sede di liquidazione perché occultate, per ciò stesso insorgendo in capo all ‘amministrazione il diritto a pretese erariali nei suoi confronti.
Con l’affermazione, secondo cui l’erario deve attendere il decorso del quinquennio per rivolgersi ex art. 36 cit. nei confronti del socio, il giudice d’appello ha disatteso i principi ora enunciati, con questo non attenendosi alle regole giuridiche applicabili al caso di specie.
D’altronde, premesso che nel caso che occupa questo Collegio l’avviso d’accertamento nei confronti della società era stato comunque già notificato, senza che risultino sue impugnazioni, va ribadito quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui ‹‹7.1. ragioni sistematiche dovrebbero indurre a concludere che, come qualunque creditore sociale insoddisfatto, anche l’Erario possa agire direttamente nei confronti dei soggetti sussidiariamente responsabili per quei debiti, tra i quali il liquidatore ex art. 36 cit. anche nel caso in cui non disponga di un titolo che formalizza l’obbligazione tributaria nei confronti della società ormai estinta. 7.2. In effetti, a seguire l’orientamento tradizionale la posizione dell’Erario rispetto a un qualsiasi altro creditore appare ingiustificatamente deteriore, dovendosi l’Amministrazione finanziaria necessariamente precostituire un titolo, per di più esecutivo, e ciò anche in contrasto con il principio di economia dei mezzi giuridici e un inutile sa crificio dell’interesse pubblico alla pronta realizzazione del credito tributario (quale sancito con riferimento all’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 90 del 2018 e n. 142 del 2020) ›› (Sez. U, 27 novembre 2023, n. 32790).
Si tratta di un ragionamento che, valido e corretto per l’ipotesi del liquidatore, lo è a maggior ragione quando si tratti del socio, nel caso di specie addirittura socio unico della compagine societaria (e che pertanto, nell’ultimo biennio dalla cancellazione della società, per quanto riporta il ricorso a pag. 13, aveva partecipato agli utili nella misura del 100%).
Del rituale ricorso all’avviso d’accertamento fondato sulla responsabilità governata dall’art. 36 cit., inoltre, gli atti oggetto di controversia hanno peraltro tutti i requisiti.
Errata infatti è anche l’affermazione del giudice d’appello, secondo cui quegli atti erano solo i medesimi notificati alla società.
RGN 23508/2021 Consigliere rel. NOME La esigenza di notificare, ai sensi dell’art. 36, comma 5, del d.P.R. 602 cit., un atto distinto e motivato, non vuol significare che il contenuto debba
plasticamente distinguersi. Se l’atto indirizzato nei confronti della compagine sociale contiene già la ricostruzione delle condotte illegittime, valide nei confronti della società, ma sufficientemente descrittive dei fatti riconducibili all’amministratore, o al socio, essi possono ben essere riprodotti tal quali nei confronti del socio (o dell’amministratore) . Ciò che conta è che il destinatario sappia da cosa e perché debba difendersi, cosa gli si chiede ed a che titolo siano formulate pretese nei suoi confronti (ex art. 36 cit.).
Nel caso di specie risulta incontestato che alla società, e al socio unico, e che era stato amministratore della medesima compagine per oltre un decennio, salvo gli ultimissimi mesi di attività della RAGIONE_SOCIALE, percependone gli utili, gli atti notificati riportavano tutte le contestazioni, compresa la totale omissione delle dichiarazioni fiscali, con evasione totale delle imposte dirette e dell’Iva.
In altri termini gli avvisi notificati ex art. 36 cit. risultano del tutto rituali in quanto rispondono alla fisionomia delineata dall’art. 36 del d.P.R. n. 600/73.
Anche sotto tale profilo la sentenza ora al vaglio della Corte ha disatteso i principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.
In definitiva il motivo trova accoglimento.
L’accoglimento del secondo motivo assorbe i restanti.
Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza deve essere cassata e il processo va rinviato alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Campania, che in diversa composizione, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, provvederà al riesame dell’appello dell’Agenzia delle entrate, tenendo conto dei principi di diritto enunciati in questa ordinanza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibile il primo, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Campania, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11 marzo 2025.