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Responsabilità socio: Cassazione su culpa in vigilando

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di due soci di una s.a.s., uno accomandatario e una accomandante, ritenuti responsabili per un avviso di accertamento per IVA e sanzioni relativo all’uso di fatture per operazioni inesistenti. I soci avevano impugnato la decisione, sostenendo la loro estraneità alla gestione e di essere stati a loro volta vittime di una frode. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per vizi procedurali, ribadendo tuttavia principi chiave sulla “culpa in vigilando”. Ha chiarito che spetta al contribuente dimostrare l’assenza totale di colpa e che la mancata supervisione sulla gestione societaria configura una responsabilità, anche in ambito fiscale.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Responsabilità del Socio: la Cassazione sulla Culpa in Vigilando in Ambito Fiscale

L’ordinanza in commento offre un’importante lezione sulla responsabilità dei soci, anche se non direttamente coinvolti nella gestione, per gli illeciti fiscali commessi dalla società. Il concetto di culpa in vigilando, ovvero la colpa per mancata sorveglianza, emerge come un pilastro fondamentale su cui si basa la responsabilità solidale. Questo principio impone ai soci un dovere di diligenza che va oltre la semplice fiducia riposta negli amministratori o nei professionisti esterni, con significative implicazioni in materia di sanzioni tributarie.

I Fatti del Caso: Soci Ritenuti Responsabili per Frode Fiscale

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a due soci di una società in accomandita semplice (s.a.s.), un padre in qualità di socio accomandatario e la figlia come socia accomandante. L’accertamento, relativo a IVA e sanzioni per l’anno 2014, contestava l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse da una società risultata priva di struttura organizzativa. I soci, coobbligati in solido, avevano inizialmente ottenuto l’accoglimento del loro ricorso presso la Commissione Tributaria Provinciale.

La Decisione della Commissione Tributaria Regionale

L’Agenzia delle Entrate ha appellato la decisione di primo grado e la Commissione Tributaria Regionale (CTR) ha ribaltato il verdetto. La CTR ha ritenuto entrambi i soci responsabili, affermando che essi avevano il dovere, nelle rispettive qualità, di vigilare sulla gestione societaria, come previsto dall’art. 2320 c.c. In particolare, il socio accomandatario era tenuto a un controllo più stringente. La corte d’appello ha sottolineato che i contribuenti non avevano contestato la frode fiscale di cui si erano dichiarati vittime, confermando così la loro responsabilità.

I Motivi del Ricorso in Cassazione e la questione della culpa in vigilando

Contro la sentenza della CTR, i soci hanno proposto ricorso in Cassazione basato su cinque motivi. Essi lamentavano, tra le altre cose:

* Violazione delle norme sulla colpevolezza: Sostenevano che la CTR non avesse valutato concretamente la loro responsabilità colposa, dato che non partecipavano all’attività d’impresa (il padre era un operaio comunale, la figlia residente all’estero) e si erano limitati a richiedere i rendiconti annuali.
* Mancata applicazione del principio di non contestazione: Affermavano che l’Agenzia delle Entrate non aveva mai contestato la loro mancanza di conoscenza dei fatti e il raggiro subito da parte del commercialista.
* Errata applicazione dell’art. 2320 c.c.: Ritenevano che la norma non imponesse un obbligo specifico ai fini tributari e si applicasse solo ai soci che compiono atti di gestione, cosa che loro non avevano fatto.

Le Motivazioni della Suprema Corte: Inammissibilità e Onere della Prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i motivi di ricorso inammissibili per una serie di vizi procedurali. In primo luogo, ha rilevato una commistione inammissibile tra la denuncia di violazione di legge e il vizio di motivazione, profili che devono essere presentati in modo distinto. Inoltre, i motivi sono stati giudicati privi di specificità e autosufficienza, in quanto si limitavano a una critica generica della sentenza impugnata senza riportare gli atti processuali necessari a comprendere le doglianze. Sostanzialmente, i ricorrenti chiedevano una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità.

Nonostante l’inammissibilità, la Corte ha colto l’occasione per ribadire due principi fondamentali:

1. Onere della prova: In materia di sanzioni tributarie, grava sul contribuente l’onere di dimostrare l’assenza assoluta di colpa, provando di aver agito con l’ordinaria diligenza e di trovarsi in uno stato di ignoranza incolpevole e non superabile.
2. Responsabilità per culpa in vigilando: L’affidamento delle operazioni di “compliance” tributaria a un professionista che si rivela inadempiente non esonera il contribuente dalla responsabilità. La mancata supervisione sull’operato del professionista e sulla gestione societaria configura una “culpa in vigilando” che rende il socio responsabile per le violazioni commesse.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Soci

La decisione della Cassazione, pur basandosi su ragioni procedurali, lancia un messaggio chiaro a tutti i soci di società di persone e di capitali. Essere socio, anche se non amministratore o distante dalla gestione quotidiana, comporta un dovere di vigilanza attiva. Non è sufficiente delegare la gestione o fidarsi ciecamente di amministratori e consulenti. Per evitare di essere ritenuti responsabili per illeciti fiscali, i soci devono dimostrare di aver esercitato un controllo diligente e costante sulla vita della società. Questa pronuncia rafforza l’idea che la qualità di socio non è una posizione passiva, ma un ruolo che impone precise responsabilità, la cui violazione può avere conseguenze patrimoniali significative.

Un socio non amministratore può essere ritenuto responsabile per illeciti fiscali della società?
Sì. Secondo la Corte, anche i soci non direttamente coinvolti nella gestione hanno un dovere di vigilanza sulla società (culpa in vigilando). La mancata supervisione può comportare una loro responsabilità solidale per le sanzioni derivanti da illeciti fiscali, come l’uso di fatture false.

Su chi ricade l’onere di provare l’assenza di colpa in caso di sanzioni tributarie?
L’onere della prova grava interamente sul contribuente. Ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 472/1997, per escludere la propria responsabilità, il contribuente deve dimostrare un’assenza assoluta di colpa, provando di essersi trovato in uno stato di ignoranza incolpevole e non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza.

Affidarsi a un professionista esonera il socio dalla responsabilità per “culpa in vigilando”?
No. La Corte ha chiarito che affidare la gestione fiscale a un professionista (es. un commercialista) che si rivela inadempiente o fraudolento non è sufficiente a esonerare il socio dalla responsabilità. Il socio mantiene un dovere di supervisione sull’operato del professionista e della gestione sociale; il mancato esercizio di tale controllo integra la “culpa in vigilando”.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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