Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15999 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15999 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/06/2024
Società persone-socio accomandante-raddoppio termini-legittimità- imputazione per trasparenza- reati dell’amministratore – applicabilità- sanzioni- legittimità- principio di diritto
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22211/2017 R.G. proposto da:
BIZZO DIMITRI, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, come da procura in calce al ricorso, p.e.c. EMAIL;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 269/2017, depositata in data 21/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9/05/2024 dal consigliere AVV_NOTAIO. NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale, AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO per parte ricorrente; udito l’AVV_NOTAIO per l’Avvocatura dello Stato.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, notificava a NOME COGNOME quattro avvisi di accertamento, per gli anni di imposta 2006, 2007, 2008, 2009, con cui recuperava a imposizione a fini Irpef, ai sensi dell’art. 5 t.u.i.r., i redditi accertati nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE di cui egli era socio accomandante.
Il contribuente proponeva unico cumulativo ricorso davanti alla Commissione tributaria RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (CTP), con plurime doglianze fondate sul suo ruolo di accomandante all’interno della società; la CTP rigettava il ricorso.
La Commissione tributaria regionale del Veneto (RAGIONE_SOCIALE) rigettava l’appello. In particolare, i giudici del gravame: a) ritenevano infondato il motivo relativo alla decadenza dell’ufficio dai poteri di accertamento, in riferimento agli anni di imposta 2006, 2007, 2008, ai sensi dell’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, in virtù della connessione degli accertamenti nei confronti della società con gli accertamenti nei confronti del socio; b) ritenevano applicabile la presunzione di cui all’art. 5 t.u.i.r. , in quanto gli introiti illegali erano stati registrati nella contabilità societaria (e l’accertamento societario non era stato contestato) e il sig. COGNOME, accomandante fin dal 1997, aveva il dovere di controllare l’andamento societario, non potendo dife ndersi affermando che le maggiori somme erano state acquisite solo dal socio accomandatario; c) rigettavano altresì il motivo relativo
all’inapplicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni, poiché l’avvenuta archiviazione in sede penale escludeva il concorso nel reato ma non incideva sulla colpa concernente il mancato controllo sulla contabilità della società e non escludeva il conseguimento di vantaggi economici.
Contro tale sentenza propone ricorso NOME COGNOME, in base a sei motivi, illustrati da successiva memoria.
Resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Il ricorso è stato quindi fissato per la trattazione in pubblica udienza alla data del 9/05/2024, per la quale il PG ha depositato memoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente propone sei motivi di ricorso
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, letto alla luce dell’art. 27, primo comma, Cost., laddove la CTR ha ravvisato un automatismo tra raddoppio dei termini nei confronti della società e raddoppio dei termini nei confronti del socio accomandante, pur in assenza, in capo a quest’ultimo, di una violazione che comportasse obbligo di denuncia; il socio accomandante, infatti, non poteva rispondere dei reati di cui agli artt. 2 (poiché la dichiarazione fraudolenta era stata posta in essere dall’amministratore legale rappresentante, socio accomandatario) e 4 (perché mai aveva percepito utili e non erano state superate le soglie di punibilità) del d.lgs. n. 74 del 2000, né poteva riverberarsi in suo danno il maggior termine applicabile al socio accomandatario.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sempre in relazione alla ritenuta legittimità del raddoppio dei termini, censurando la decisione laddove ha
richiamato una sentenza della Corte di cassazione estranea al tema di lite.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 43 d.P.R. n. 267 del 1942, laddove la CTR ha ritenuto che fosse onere del socio impugnare gi avvisi di accertamento relativi alla società a lui notificati per conoscenza.
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5 t.u.i.r., letto alla luce degli artt. 1 t.u.i.r. e 37 d.P.R. n. 600 del 1973 (espressione dell’art. 53 Cost.), cen surando la decisione laddove ha ritenuto applicabile la presunzione pur in presenza di utili estranei alla sfera societaria poiché riferibili non alla società ma solo ad uno dei soci, NOME COGNOME, socio accomandatario.
Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., deduce violazione dell’art. 2320 cod. civ., laddove la CTR ha ritenuto sussistente un dovere di controllo in capo al socio accomandante.
Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., deduce violazione degli artt. 5 e 6, comma 3, d.lgs. n. 472 del 1997, per illegittimità della sentenza nella parte in cui, pur in presenza di comportamenti esclusivamente addebitabili ad altro soggetto e pur avendolo egli denunciato all’autorità giudiziaria, ha confermato la debenza RAGIONE_SOCIALE sanzioni amministrative irrogate al ricorrente.
1.1. Giova premettere all’esame dei motivi che l’unitarietà dell’accertamento comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la
contro
versia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi (Cass., Sez. U., 4/06/2008, n. 14815); in tale decisione si ebbe anche però a precisare che naturalmente, non sussiste litisconsorzio necessario tra società e soci quando il contribuente svolga una difesa sulla base di eccezioni personali, come la qualità di socio o la decadenza dal potere di accertamento, o che riguardino la ripartizione del reddito tra i soci , il che è quanto accaduto nel caso di specie, ove si controverte, infatti, della decadenza del potere accertativo nei confronti del singolo socio (in tal senso Cass. 11/06/2018, n. 15116), della inapplicabilità nei suoi confronti del principio di trasparenza e dell’applicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni.
I primi due motivi, con cui il ricorrente si duole dell’inapplicabilità nei suoi confronti, quale socio accomandante, del raddoppio dei termini per l’accertamento di cui all’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, censurando anche l’errato riferimento ad una pr onuncia di questa Corte, vanno esaminati congiuntamente e sono infondati.
2.1. L’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente ratione temporis , prevede che «in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione».
Come più volte chiarito da questa Corte, anche sulla scorta dei principi enunciati da Corte Cost. n. 247 del 2011, il raddoppio opera in presenza di tale presupposto astratto, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denunzia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass. 28/06/2019, n. 17586; Cass. 13/09/2018, n. 22337; Cass. 30/05/2016, n. 11171), non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi
dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario» (Cass. 15/05/2015, n. 9974). Ciò naturalmente non rende di per sé legittimo qualunque accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria oltre il termine-base fissato dalla legge, dovendo al contrario essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale RAGIONE_SOCIALE disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento. Per verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità», con la precisazione però che «il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato» (p. 5.3. della sentenza della Corte costituzionale).
2.2. In forza del principio dell’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni dei redditi RAGIONE_SOCIALE società di persone e dei soci RAGIONE_SOCIALE stesse ex art. 5 t.u.i.r., non può dubitarsi del fatto che il mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale nei confronti degli organi societari determini il raddoppio dei termini per l’accertamento anche del reddito imputato «per trasparenza» al socio.
Invero, come già ritenuto da questa Corte, l’addebito fiscale al socio discende ope legis dall’accertamento effettuato nei confronti della
società, nella quale (con particolare riguardo alla società in accomandita semplice) gli accomandatari rivestono la posizione di amministratori e gli accomandanti sono dotati di amplissimi poteri di controllo (come disegnati dall’art. 2320 cod. civ.), sì da escludere un rapporto di alterità (e la qualità di terzi) dei membri della compagine sociale rispetto all’ente collettivo non personificato: e tanto rileva allorquando sia ipotizzata la contestazione di un fatto di reato agli amministratori sociali, con contegno tenuto in vista di un vantaggio (illecito) comune, costituito dal maggiore reddito sociale imputato per trasparenza ai soci (in tal senso, Cass. 28/01/2021, n. 1883, in riferimento alla società in accomandita semplice, che richiama analoghi precedenti e precisamente Cass. 16/12/2016, n. 26037, in riferimento ad una società in nome collettivo; Cass. 7/10/2015, n. 20043 e Cass. 2/07/2018, n. 17212, che hanno ritenuto l’applicabilità del raddoppio dei termini ai soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa; analogamente, sempre in riferimento a società in accomandita semplice, Cass. 21/10/2021, n. 29404, che ha evidenziato che ai fini del raddoppio dei termini di accertamento, pertanto, rileva unicamente l’astratta configurabilità di un fatto illecito che faccia sorgere in capo all’Amministrazione finanziaria l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente da chi abbia commesso il reato prospettato; Cass. 02/11/2021, n. 31034).
Alla luce di ciò, deve ritenersi quindi un precedente rimasto isolato Cass. 30/12/2015, n. 26068, richiamata dal ricorrente, dovendosi ribadire, alla luce di tali consolidati arresti, cui va data ulteriore continuità, il seguente principio di diritto: la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale nei confronti degli organi societari di una società in accomandita semplice determina il raddoppio dei termini per l’accertamento, previsto dall’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, vigent e ratione
temporis , anche del reddito imputato ‘per trasparenza’ ai soci accomandanti .
2.3. Quanto alla doglianza esposta nel secondo motivo, relativa alla citazione del precedente di questa Corte (in particolare, Cass. 16/12/2016, n. 26037), appare appena necessario evidenziare che tale sentenza è citata dalla Commissione tributaria regionale esclusivamente al fine di affermare, del tutto correttamente, l’inapplicabilità, per gli accertamenti in questione, della normativa sopravvenuta costituita dalla nuova formulazione dell’art. 43, comma 3 cit. dovuta all’art. 2 d.lgs. n. 128 del 2015.
2.4. Le valutazioni operate dai giudici di appello in relazione all’applicabilità del raddoppio dei termini anche nei confronti del socio accomandante, in ragione della connessione RAGIONE_SOCIALE posizioni, appaiono quindi del tutto conformi ai principi esposti.
Il terzo motivo, con cui il ricorrente, sul presupposto dell’intervenuto fallimento della società, censura l’affermazione con la quale la RAGIONE_SOCIALE ha evidenziato che egli non aveva impugnato l’avviso di accertamento emesso nei confronti della stessa, è inammissibile.
Il ricorrente evidenzia infatti che, essendo fallita la società, l’unico soggetto legittimato a impugnare era il curatore; la censura non attiene ad una autonoma ratio decidendi ma ad una RAGIONE_SOCIALE argomentazioni evidenziate dalla CTR per affermare il carattere definitivo dell’accertamento emesso nei confronti della società e non è supportata da uno specifico interesse poiché il ricorrente non muove alcuna contestazione in merito a tale maggior reddito.
Il quarto e il quinto motivo vanno esaminati congiuntamente.
Con tali doglianze il ricorrente si duole dell’applicazione del principio di trasparenza anche a redditi imputabili al solo socio accomandatario utilizzando lo schermo della società, trattandosi di attività illecita, quella posta in essere da quest’ultimo, non riconducibile all’oggetto
sociale, nonché evidenziando che, nel caso di specie, costituiva circostanza non contestata che l’attività di controllo gli era stata impedita dal COGNOME.
I motivi di ricorso non sono fondati.
4.1. I primi due commi dell’art. 5 del t.u.i.r. dispongono che i redditi RAGIONE_SOCIALE società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili (comma 1); le quote di partecipazione agli utili si presumono proporzionate al valore dei conferimenti dei soci se non risultano determinate diversamente dall’atto pubblico o dalla scrittura privata autenticata di costituzione o da altro atto pubblico o scrittura autenticata di data anteriore all’inizio del periodo d’imposta; se il valore dei conferimenti non risulta determinato, le quote si presumono uguali (comma 2).
Nel d.P.R. n. 917 del 1986, le società di persone non costituiscono un autonomo soggetto passivo d’imposta, ma sono assunte alla stregua di centri di riferimento per la determinazione del reddito, che viene attribuito direttamente ai soci, indipendentemente dalla sua percezione, al termine dell’esercizio e in base alle rispettive quote di partecipazione agli utili.
4.2. La disposizione, di cui il ricorrente invoca un’interpretazione costituzionalmente orientata, ha superato plurimi vagli di legittimità costituzionale (Corte Cost n. 201 del 2020, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 53, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione; Corte Cost. n. 53 del 2001, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 Cost.; Corte cost. n. 55 del 1998, in riferimento all’art. 24 Cost.), tutti riferiti specificamente alla posizione del socio accomandante in RAGIONE_SOCIALE
Come evidenziato da Corte Cost. n. 201 del 2020 tale metodo dell’attribuzione del reddito “per trasparenza” – che non è peculiare del nostro sistema impositivo, costituendo un modello per certi versi conosciuto anche negli ordinamenti di altri Paesi – comporta quindi la tassazione IRPEF direttamente in capo ai soci degli utili societari, con imputazione degli stessi per ciascun periodo d’imposta e indipendentemente dalla percezione: assume, così, rilievo il solo fatto della produzione del reddito (con conseguente irrilevanza fiscale della distribuzione degli utili negli esercizi successivi). In base a tale scelta legislativa il presupposto di imposta si realizza, quindi, in capo ai soci e non alla società che, considerata “trasparente”, diventa uno “schermo” dietro il quale i primi esercitano collettivamente un’attività economica. Infatti, “in forza dell’imputazione al socio del reddito di partecipazione pro quota , indipendentemente dall’effettiva percezione, il socio medesimo diventa l’unico soggetto passivo dell’imposta personale, avendo in realtà dichiarato un reddito proprio ancorché il presupposto dell’imposizione si verifichi unitariamente presso l’ente collettivo che lo produce e lo dichiara. Questa diretta imputazione del reddito è la conseguenza logica immediata del principio accolto dal legislatore tributario di “immedesimazione” esistente tra società a base personale e singoli soci che la compongono, per cui non è configurabile una soggettività distinta, separata o disgiunta della società rispetto ai soci. Tale principio costituisce espressione della giuridica irrilevanza della soggettività RAGIONE_SOCIALE società di persone in campo tributario, considerando il Fisco le società di persone come uno schermo dietro il quale operano i soci con i particolari poteri di direzione, di controllo e di gestione anche se non sono amministratori .
Ancora, i suddetti soci, dunque, sul piano tributario, sono chiamati a contribuire alle pubbliche spese in relazione a un incremento patrimoniale realizzato per effetto dell’attività sociale, rispetto alla
quale hanno un onere e un potere di controllo (artt. 2261 e 2320 del codice civile) che, da un lato, li pone giuridicamente in grado di avere piena conoscenza dell’indicato incremento patrimoniale e, dall’altro, rende irrilevante, a questi fini, la distinzione tra soci amministratori e non amministratori. L’imputazione reddituale “per trasparenza” RAGIONE_SOCIALE società di persone, anche avuto riguardo al caso di soci non amministratori (e, in particolare, anche nel caso dell’accomandante), si riconnette quindi alla disciplina civilistica che attribuisce ad essi puntuali poteri di controllo. Tale aspetto concorre così a giustificare dal punto di vista fiscale – la diretta imputazione del risultato economico proAVV_NOTAIOo dalla società al socio indipendentemente dalla sua percezione dell’utile. Infatti, anche a prescindere dall’approvazione del rendiconto e dalla previsione statutaria di eventuali riserve di utili (o dalla decisione unanime dei soci in tal senso), il socio già si trova in una relazione con il reddito societario proAVV_NOTAIOo che appare idonea a integrare la peculiare nozione di “possesso”, indicato quale presupposto dell’IRPEF dall’art. 1 del TUIR e che costituisce l’indice di capacità contributiva assunto dal legislatore .
La Corte ha altresì escluso che si possa parlare di presunzione di distribuzione degli utili in quanto la previsione del comma 1 del medesimo art. 5, nello stabilire che l’imputazione avviene “indipendentemente dalla percezione”, individua un meccanismo d’imputazione di ciò che è stato assunto dal legislatore come reddito proAVV_NOTAIOo, senza, invece, “presumere” la distribuzione dello stesso. La norma censurata esclude la soggettività passiva tributaria della società di persone e, in tal modo, elimina lo schermo societario imputando direttamente ai soci il reddito proAVV_NOTAIOo dalla società. Si tratta di una connotazione strutturale dell’ente ai fini tributari e non di una “presunzione” di distribuzione degli utili .
Inoltre, il giudice RAGIONE_SOCIALE leggi ha escluso ogni contrasto di tale previsione con l’art. 1 t.u.i.r. (disposizione pure invocata dal ricorrente), dovendo ritenersi che il possesso cui fa riferimento il legislatore tributario agli specifici fini dell’IRPEF deve essere inteso, pertanto, quale modo per identificare la relazione del soggetto con la peculiare manifestazione di capacità contributiva che è costituita appunto dal reddito, secondo le regole giuridiche RAGIONE_SOCIALE singole categorie reddituali e che non arbitrariamente il legislatore tributario ha individuato come indice di capacità contributiva la relazione tra il presupposto e il soggetto passivo attraverso la diretta imputazione al socio (“per trasparenza”) del reddito proAVV_NOTAIOo in forma associata, indipendentemente dalla percezione .
Già in precedenza il giudice RAGIONE_SOCIALE leggi (Corte Cost. n. 53 del 2001) aveva escluso profili di illegittimità di tale previsione, precisando che fosse errata l’impostazione per cui il reddito societario, illecitamente sottratto dagli amministratori della società, sia, per effetto della norma impugnata, imputabile ai soci pur dovendo considerarsi puramente fittizio…. in quanto tale reddito deve, invece, r itenersi effettivo, posto che la sua sottrazione, che è peraltro vicenda interna alla società e non incide sul momento genetico della sua produzione, ne presuppone logicamente la esistenza .
4.3. È peraltro comune affermazione in AVV_NOTAIOrina che tali considerazioni siano anche la conseguenza dell’incondizionato diritto del socio alla percezione degli utili all’approvazione del rendiconto, previsto dall’art. 2262 cod. civ.
4.4. Nel medesimo ordine di idee, questa Corte ha costantemente ritenuto che il maggior reddito risultante dalla rettifica operata nei confronti di una società di persone vada imputato al socio (come proprio di questo) ai fini dell’IRPEF (non essendo la società di persone soggetto passivo dell’imposta sul reddito), in proporzione della relativa
quota di partecipazione (Cass. 29/10/2010, n. 22122; Cass. 12/02/2007, n. 3011; Cass. 27/02/2002, n. 2899). L’imputazione al socio opera quindi anche in caso di accertamento e prescinde dalla mancata contabilizzazione dei ricavi e dai metodi usati dalla società per realizzarli, salve le azioni da lui eventualmente esperibili contro la società, in sede civile ordinaria, per recuperare la sua quota di utile se dovuta (Cass. 30/10/2006, n. 23359).
E si è precisato che in tema d’imposte sui redditi RAGIONE_SOCIALE società di persone (nella specie, una RAGIONE_SOCIALE), l’imputazione proporzionale dei redditi della società ai singoli soci, prevista dall’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, è indipendente dall’effettiva percezione degli utili e dalla stessa partecipazione del socio alla gestione sociale ed opera anche nel caso in cui le quote di partecipazione siano solo formalmente intestate ai soci; né, in senso contrario, assume rilievo la previsione di cui all’art. 37, terzo e quarto comma, del d.P.R. 29/09/1973, n. 600, che, in ipotesi di interposizione fittizia, prevede solo che le persone interposte, ove dimostrino di aver pagato imposte per redditi successivamente imputati ad altro contribuente, possano chiederne ed ottenerne il rimborso, a cui l’Amministrazione procede, nei limiti dell’imposta effettivamente percepita, dopo che l’accertamento sia diventato definitivo nei confronti dell’interponente (Cass. 04/08/2006, n. 17731 ripresa da Cass. 10/06/2015, n. 11989, citata dallo stesso ricorrente).
4.5. In giurisprudenza è stato, peraltro, affrontato anche il tema dell’illecito commesso dagli amministratori di società di persone, che è il tema specifico posto dal ricorrente. Proprio nelle ultime decisioni citate si è esplicitato ulteriormente che lo svolgimento di un’attività costituente reato da parte di uno dei soci-amministratori di una società di persone, in violazione di norme organizzative o di legge, non comporta l’interruzione del rapporto organico, sempre che gli atti posti
in essere siano comunque pertinenti all’azione della società e rispondano ad un interesse riconducibile, anche indirettamente, all’oggetto sociale (analogamente Cass. 01/10/2014, n. 20704; Cass. 26/05/2021, n. 14563).
In tale ordine di idee, questa Corte ha anche precisato che il reddito realizzato da una società di persone in conseguenza dell’attività delittuosa di taluni soci va imputato a tutti i soci, in proporzione della rispettiva quota, a nulla rilevando che taluni di essi non abbiano concorso nel reato (Cass. 11/06/2007, n. 13575, affermando, in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella in esame, vertendo su attività illecita dell’amministratore di RAGIONE_SOCIALE poi fallita, per costi per operazioni inesistenti, che costituisce circostanza irrilevante essere state poste in essere, nell’ambito societario, le attività illecite soltanto da alcuni soci. Fermo restando che le conseguenze di carattere penale non potranno che essere esclusivamente personali, dal punto di vista fiscale ciascun socio dovrà dichiarare la propria quota di reddito di partecipazione, anche se derivante da attività illecite poste in essere da altro socio ).
4.6. Non appare quindi applicabile al caso di specie la deroga indicata da Cass. n. 11989 del 2015, citata, che è relativa al solo caso che si tratti di atti non pertinenti all’oggetto sociale della società, in quanto appare pacifico, oltre che l’accertam ento societario non sia stato impugnato, anche che si trattasse di costi per operazioni inesistenti, iscritti nel bilancio sociale e dichiarati nella dichiarazione dei redditi, come accertato dalla CTR. La quale ha, sul punto, quindi correttamente evidenziato che gli introiti illegali accertati nei confronti della società, con avviso non impugnato, sono stati registrati nella contabilità societaria e che il sig. COGNOME, accomandante fino al 1997, aveva il dovere di controllare l’andamento societario e non poteva difendersi affermando che le somme erano state intascate dal solo
socio accomandatario, in quanto l’applicazione della presunzione di cui all’art. 5 t.u.i.r. è obbligatoria .
I due motivi vanno quindi respinti, dovendosi confermare il principio per cui il reddito realizzato da una società di persone in conseguenza dell’attività delittuosa di taluni soci va imputato a tutti i soci, in proporzione alla relativa quota, non rilevando che taluni di essi non abbiano concorso nel reato.
Il sesto motivo, con cui il ricorrente si duole dell’applicazione nei suoi confronti, RAGIONE_SOCIALE sanzioni, in ragione della mancanza di responsabilità penale e dell’avvenuta denuncia proposta nei confronti del COGNOME, è infondato.
La CTR, sul punto, ha evidenziato che il provvedimento di archiviazione riguardante il sig. COGNOME esclude solamente il suo coinvolgimento, in concorso con il sig. COGNOME, nella contabilizzazione dele fatture inesistenti e il dolo specifico di evasione fiscale; non intacca in alcun modo la colpa concernente il mancato controllo della contabilità RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e non esclude il conseguimento di vantaggi anche economici discendenti dalla frode .
Il ricorrente deduce, sotto un primo profilo, l’erroneità della sentenza perché le violazioni della disciplina tributaria non sono conseguenza, né diretta né indiretta, del suo comportamento ma solo dell’illecito dell’amministratore della società, mancando quindi la sua colpevolezza.
Con una seconda censura, in riferimento alla previsione dell’art. 6, comma 3, d.l.gs. n. 472 del 1997, deduce di aver presentato denuncia in sede penale.
5.1. La prima censura è infondata, avendo correttamente la CTR fatto applicazione del principio, reiteratamente affermato da questa Corte, secondo cui il maggior reddito risultante dalla rettifica operata nei confronti di una società di persone – reddito che, a norma del d.P.R.
29 settembre 1913, n. 519, art. 5, va imputato al socio (come proprio di questo) ai fini dell’IRPEF (non essendo la società di persona soggetto passivo dell’imposta sul reddito), in proporzione della relativa quota di partecipazione – comporta anche l’applicazione allo stesso socio della sanzione per infedele dichiarazione prevista dal d.P.R. 29 settembre 1913, n. 600, art. 46 . Ciò vale anche per il socio accomandante di società in accomandita semplice, essendo irrilevante l’estraneità di tali soci all’amministrazione della società, in quanto ad essi è sempre consentito di verificare l’effettivo ammontare degli utili conseguiti: la sanzione, quindi, non viene irrogata all’accomandante sulla base della mera volontarietà, in contrasto con l’elemento della colpevolezza introAVV_NOTAIOo dall’art. 5 del d.l.gs. n. 472 del 1997, in quanto, nel suo caso, la colpa consiste nell’omesso od insufficiente esercizio del potere di controllo sull’esattezza dei bilanci della società, ai sensi dell’art. 2320 u.c. cod. civ. (Cass. 21/04/1995, n. 4504; Cass. 9/12/2002, n. 17492; Cass. 25/02/2002, n. 2699; Cass. 15/03/2006, n . 5665; Cass, 12/02/2007, n. 3011; Cass. 28/06/2017, n . 16116; Cass. 21/09/2017, n. 22011; Cass. 19/07/2021, n. 20598).
5.2. Anche la seconda censura non è fondata, in quanto la previsione dell’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 472 del 1997, che invero si riferisce all’omesso pagamento di imposte per fatto del terzo, cioè dl professionista delegato dal contribuente, postula pur sempre, come chiarito in più occasioni da questa Corte, l’insussistenza del dolo o della negligenza del contribuente nell’inadempimento, nemmeno sotto il profilo della culpa in vigilando , dovendo l’inadempimento medesimo essere imputabile in via esclusiva all’intermediario (Cass. 07/11/2018, n. 28359; Cass. 20/07/2018, n. 19422).
Il ricorso va quindi respinto.
Alla soccombenza segue condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore dell’RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, spese che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 9 maggio 2024.