Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 203 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 203 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 29253/2016 proposto da:
COGNOME quale socio accomandante della società cessata RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Domenico, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME come da procura in calce al ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, n. 4330/23/16, depositata in data 11 maggio 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Avellino, con sentenza n. 75/05/13, depositata il 29 maggio 2013, aveva rigettato il ricorso proposto da COGNOME avverso l’avviso di accertamento n. TFK020200942/2012, notificato il 22 maggio 2012, con il quale l’Ufficio, per l’anno di imposta 2007, aveva accertat o un maggior reddito di impresa ai fini Ires, Iva ed altro nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Domenico, cancellata dal registro delle imprese in data 6 marzo 2008, di cui esso ricorrente era stato socio accomandante.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto da COGNOME, ritenendo che l’estinzione della società di persone determinava l’obbligo del socio (illimitatamente responsabile) di far fronte ai debiti della società, tra cui quelli di natura tributaria e che nessuna contestazione era stata prospettata circa il merito dell’avviso di accertamento impugnato. I giudici di secondo grado hanno pure affermato di prescindere dalle pur condivisibili argomentazioni svolte dalla Commissione di primo grado in ordine alla sostanziale tardività di un ricorso preceduto da una apparente istanza per concordato per adesione, priva della evidente volontà di perseguire qualsiasi accordo con l’Ufficio (come dimostrato dalla circostanza che la parte istante si era sottratta al contraddittorio da essa sollecitato), così, di fatto, risolvendosi in un abuso del diritto.
COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 218 del 1997, in combinato disposto con l’art. 24 Cost., per avere i giudici di secondo grado rigettato l’appello della contribuente stante l’avvenuta proposizione del ricorso di primo grado nei termini di legge.
1.1 Il motivo è inammissibile, non avendo la Commissione tributaria regionale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, « rigettato l’appello della contribuente per tardività dello stesso nonostante il ricorso di primo grado avverso l’avviso di accertamento fosse stato proposto nei termini di legge » (cfr. pag. 7 del ricorso per cassazione). Ed infatti, i giudici di secondo grado hanno esaminato nel merito il gravame proposto dalla contribuente, «prescindendo» dalle argomentazioni (pure condivise) svolte dalla Commissione di primo grado in ordine alla sostanziale tardività del ricorso preceduto da una istanza per concordato per adesione.
1.2 Invero, in tema di ricorso per cassazione è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass., 14 febbraio 2012, n. 2091; Cass., 10 agosto 2017, n. 19989).
1.3 Più precisamente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il di ritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i
quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata; queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ≪ non motivo ≫ , è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’ art. 366, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.(Cass., 14 marzo 2017 n. 6496; Cass., 31 agosto 2015, n. 17330). 1.4 E ‘ , quindi, inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ≪ ad abundantiam ≫ , e pertanto non costituente una ≪ ratio decidendi ≫ della medesima, poiché, un’affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass., 10 aprile 2018, n. 8755).
Il secondo mezzo deduce la nullità della sentenza ex art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., per non avere i giudici di secondo grado esposto i motivi sui quali era basata la decisione.
2.1 Il motivo è infondato.
2.2 La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., 5 luglio 2022, n. 21302).
2.3 Nel caso in esame, la Commissione tributaria regionale non ha semplicemente affermato, come assume il ricorrente che «…. deve osservarsi che le considerazioni svolte nella motivazione della sentenza impugnata in ordine all’infondatezza della doglianza circa la notifica ai soci di un avviso di accertamento afferente alla società di persone estinta sono sicuramente condivisibili», ma, nel prosieguo della motivazione, ha rilevato che: «E’ pacifico che qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (in tali esatti termini, Cass. Sezioni Unite, sentenza n.6070 del 12-3-2013, N.625323). Quindi, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’estinzione della società di persone determina l’obbligo del socio (illimitatamente responsabile) di far fronte ai debiti della società, tra cui quelli di natura tributaria » (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
2.4 R
3. Il terzo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 53 del decreto legislativo n. 546/92 e 342 e ss. cod. proc. civ., per avere i giudici di secondo grado rigettato l’appello della contribuente stante i motivi specifici dell’impugnazione.
3.1 Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
3.2 Sul punto, va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito; ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ. conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte (Cass., 10 gennaio 2012, n. 86).
Invero, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un «error in procedendo», presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per il principio di autosufficienza di esso (Cass., 23 dicembre 2020, n. 29495; Cass., 29 settembre 2017, n. 22880).
3.3 Ciò posto, osserva la Corte come la parte ricorrente non abbia riportato lo specifico contenuto del motivo dell’atto di appello, che i giudici di secondo grado hanno ritenuto generico, nonostante abbia affermato, a pag. 11 del ricorso per cassazione, « come riportato al paragrafo 2.2 della sezione Fatti del ricorso per cassazione con l’indicazione dei motivi di impugnazione, di avere messo a conoscenza con l’indicazione dei motivi d’impugnazione, sulla base del principio tantum devolutum quantum appellatum, con la redazione dell’appello,
ha messo a conoscenza la Commissione Tributaria Regionale di Napoli del thema decidendum del processo di secondo grado attraverso motivi specifici di impugnazione ». Ed invero, premesso che non si rinviene il paragrafo 2.2 della sezione «Fatti» nel ricorso per cassazione, anche dalla lettura dei motivi di impugnazione, riportati alle pagine 4 e 5 del ricorso per cassazione, non risulta il motivo di impugnazione sollevato in questa sede per la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 53 del decreto legislativo n. 546/92 e 342 e ss. cod. proc. civ., così rendendo la doglianza generica ed irricevibile in questo giudizio di legittimità
4. Il quarto mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2495, 2312 e 2324 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 54 del d.P.R. n. 633/1972 e con l’art. 2927 cod. civ., per avere i giudici di secondo grado rigettato l’appello della contribuente stante la nullità dell’avviso di accertamento per l’ intervenuta cessazione della società RAGIONE_SOCIALE in data 8 marzo 2008 e il mancato assolvimento, da parte dell’Ufficio, dell’onere probatorio circa la sussistenza dei presupposti impositivi in capo ai soci. La Commissione tributaria regionale non aveva considerato che la società RAGIONE_SOCIALE era stata cancellata dal registro delle imprese in data 6 marzo 2008 con atto di scioglimento del 25 febbraio 2008, senza dar seguito a ripartizione di attivo e che, nella compagine sociale, l’odierna ricorrente ricopriva la qualità di socio accomandante con una quota di partecipazione pari al 5% del capitale sociale. Ed invero, se era vero che la cancellazione dal registro delle imprese della società sia di capitale, che di persone costituiva il presupposto del fenomeno di tipo successorio che coinvolgeva i soci; che l’avvenuta percezione di somme in sede di liquidazione del bilancio finale costituiva il limite della responsabilità dei soci e che sia la reale percezione delle somme, sia l’entità di tali somme rilevavano sul piano probatorio e andavano
provate dal creditore che intendeva agire contro i soci, secondo il normale riparto dell’onere della prova, nel caso di specie l’Ufficio non aveva mai dimostrato che tutte le condizioni elencate si erano in concreto realizzate.
4.1 Il motivo è inammissibile.
4.2 La Commissione tributaria regionale ha, infatti, affermato in primo luogo che erano sicuramente condivisibili le considerazioni svolte nella motivazione della sentenza impugnata (che sul punto aveva ritenuto che l’Ufficio aveva correttamente notificato l’avviso di accertamento ai soci illimitatamente responsabili) in ordine alla infondatezza della doglianza circa la notifica ai soci di un avviso di accertamento afferente alla società di persone estinta e che tale assunto, nel motivo di gravame, era stato contestato con poche frasi generiche e inconsistenti; i giudici di secondo grado, in secondo luogo, hanno evidenziato, richiamando i principi statuiti dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 6070 del 2013, che l’estinzione della società di persone determinava l’obbligo del socio (illimitatamente responsabile) di far fronte ai debiti della società, tra cui quelli di natura tributaria e che nessuna contestazione era stata prospettata circa il merito dell’avviso di accertamento impugnato.
4.3 Si tratta di autonome ragioni del decidere, e specificamente quella sul difetto di specificità della censura e sulla mancata contestazione del merito dell’avviso di accertamento impugnato , che non sono state fatte oggetto di alcuna contestazione.
4.4 E’ utile ricordare che questa Corte ha statuito che nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una decisione che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di
impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione del provvedimento, per tutte le ragioni che autonomamente lo sorreggano (Cass., 12 ottobre 2007, n. 21431; Cass., Sez. U., 8 agosto 2005, n. 16602).
4.5 Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, che pur essendo stata impugnata, sia stata rigettata, perché il ricorso debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base del provvedimento impugnato» (Cass., Sez. U., 8 agosto 2005, n. 16602).
4.6 Peraltro, rileva dalla sentenza impugnata che l’avviso di accertamento era stato notificato (correttamente) ai soci il 22 maggio 2012, in quanto la società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Domenico si era estinta in data 31 dicembre 2009.
Questa Corte, infatti, con riguardo all’effetto estintivo delle società (sia di persone che di capitali) derivante dalla cancellazione dal registro delle imprese, ha precisato che il « D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, art. 28, comma 4, in quanto recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa (neppure implicita) né efficacia retroattiva, sicché il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495 c. c., comma 2 -operante nei confronti soltanto dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi -si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto D.Lgs., ossia il 13 dicembre 2014, o successivamente » (cfr. tra le tante, Cass., 5 maggio 2017, n. 11100; Cass, 28 settembre 2016, n. 19142; Cass., 2 aprile 2015, n. 6743), mentre nel caso in esame la cancellazione è stata fatta nel 2009.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 18 ottobre 2023.