Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22274 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22274 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
Oggetto: società capitali – avviso accertamento – artt.2495 c.c. -36 d.P.R. 602/73 – condizioni
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29013/2016 R.G. proposto da NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL) e dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL) elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 622/19/2016 depositata l’11 maggio 2016, e non notificata.
Il sostituto Procuratore generale presso la Corte di cassazione NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 12 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 622/19/2016 veniva parzialmente accolto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Padova n. 326/4/2014 con la quale venivano riuniti e parzialmente accolti i ricorsi proposti dalla contribuente avverso due avvisi di accertamento. Il primo era relativo ad IRES, IRAP e IVA per la RAGIONE_SOCIALE società cessata in data 31.7.2010 di cui la contribuente era socia al 97%, e il secondo riguardava l’imputazione per trasparenza di IRPEF, addizionali e contributi, entrambi per l’anno di imposta 2007.
Le riprese, originate da una discrepanza tra le risultanze delle banche dati CLIFO e le dichiarazioni fiscali della società non giustificate,
erano fondate su un accertamento induttivo cd. puro ex art.39, comma 2, d.P.R. n.600/1973.
Il giudice di prime cure accoglieva la prospettazione della contribuente, ritenendo, si legge nella sentenza impugnata, che l’amministrazione finanziaria non avesse dimostrato, oltre alle normali ragioni della pretesa nei confronti della società, i motivi per cui aveva notificato ai soci gli atti nonché la percezione da parte loro di somme non dovute risultanti dal bilancio di liquidazione e percepite nei due periodi d’imposta antecedenti la messa in liquidazione.
Il giudice d’appello in relazione al primo avviso confermava solo in parte la sentenza di primo grado. In relazione al secondo avviso di accertamento, il giudice riteneva illegittimo l’assoggettamento alle imposte personali dell’intera quota di utile societario attribuito a NOME COGNOME disponendo lo scomputo della parte di imposte imputate alla società e poi limitando al 40% il risultato, ai sensi dell’art.47 TUIR.
Avverso la sentenza d’appello la società ha proposto ricorso per cassazione deducendo sette motivi, cui ha replicato l’Agenzia con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione del combinato disposto degli artt. 2495 comma secondo cod. civ. e 36 del d.P.R. n. 602/1973, per avere il giudice d’appello ritenuto legittimo il trasferimento ai soci della mera pretesa rivolta nei confronti della società cessata e oggetto di contestazione giudiziale.
La ricorrente, richiamando giurisprudenza di questa Corte, contesta che la CTR abbia «sostituito il presupposto dell’art. 2495 cod. civ., rappresentato dalla presenza di somme distribuite risultanti dal bilancio
finale di liquidazione, con l’inesistente presupposto rappresentato dalla presunta distribuzione delle somme oggetto di accertamento in capo ad Azeta» (cfr. p. 19 del ricorso), essendo pacifico che le somme contestate non sono state presenti nel bilancio di liquidazione e che la pretesa azionata dall’Amministrazione è stata impugnata.
2. Il motivo è infondato.
2.1. L’art. 2495 cod. civ. stabilisce che «Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società». Inoltre, l’art. 36 del d.P.R. n. 602/73 nel testo applicabile ratione temporis anteriore al d.lgs. n.175/2014, prevede la responsabilità dei soci per i debiti di imposta a carico della società i quali abbiano ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali ovvero abbiano avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, e trova un limite quantitativo nel valore dei beni loro assegnati.
La responsabilità in esame ingenera in capo al socio l’obbligo del pagamento di un debito della società sul presupposto e nei limiti della percezione di attività sociali in fase di liquidazione (o anche, con previsione ampliativa rispetto alla disciplina civilistica, nelle due annualità d’imposta antecedenti).
Va inoltre considerato che lo stesso art. 36 comma terzo fa espressamente salve «le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile», con ciò implicitamente ma univocamente richiamandosi alla portata generale dell’attuale art. 2495 cod. civ., e che in entrambi i casi in cui il
socio venga richiesto dal Fisco del pagamento delle imposte già gravanti sulla società cessata («La responsabilità di cui ai commi precedenti (…) ») è necessaria la notificazione nei suoi confronti di avviso di accertamento, con possibilità di impugnazione, secondo le regole generali, ex artt. 19 e 21 d.lgs. 546/92.
La norma di cui all’art. 36 ha così la funzione esclusiva di delimitare la responsabilità patrimoniale del socio, e non condiziona quindi la legittimità dell’accertamento tributario, potendosi ravvisare anche in questa ipotesi un diverso interesse del creditore Erario all’accertamento del credito.
2.2. La giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass. Sez. U. n. 6071 del 2013, sempre in seguito reiterata) hanno chiarito che l ‘estinzione della società produce una successione a titolo universale atipica tra la società e i soci quanto alle obbligazioni in essere al momento dell’estinzione. Inoltre, nelle società di capitali le obbligazioni si trasferiscono agli ultimi soci, che ne rispondono nei limiti di quanto ricevuto all’esito del bilancio finale di liquidazione, secondo quanto previsto dall’art. 2495, secondo comma, cod. civ.. Gli ex soci hanno legittimazione processuale senza che abbia alcun rilievo se essi abbiano o meno ricevuto qualcosa in sede di riparto conseguente alla approvazione del bilancio finale di liquidazione, dovendosi riferire la previsione normativa in discorso esclusivamente all’interesse ad agire del creditore. L’interesse ad agire del creditore non è ravvisabile nel solo caso in cui sia riscontrabile la ricezione da parte del socio di somme all’esito del bilancio finale di liquidazione, elemento cui va riconosciuta l’esclusiva funzione di delimitare la responsabilità patrimoniale del socio, potendosi ravvisare un diverso interesse del creditore all’accertamento del credito, quale quello funzionale all’escussione di garanzie, all’eventualità di sopravvenienze attive o alla possibilità concreta dell’esistenza di beni o diritti non contemplati nel bilancio finale di liquidazione, alla luce
di una nozione di interesse ad agire dinamica e necessariamente non ancorata allo stato degli atti.
2.3. Gli ulteriori sviluppi giurisprudenziali hanno registrato un significativo punto di sintesi nella sentenza delle Sezioni unite n. 3625 del 12/02/2025: non convince l’orientamento, ben evincibile da Cass. n. 31904 del 5 novembre 2021, secondo cui, una volta resosi definitivo il titolo nei confronti della società (per mancata opposizione, estinzione del processo ovvero giudicato) il Fisco potrebbe senz’altro procedere «all’iscrizione a ruolo dei tributi non versati sia a nome della società estinta, sia a nome dei soci (pro quota, in relazione ai relativi titoli di partecipazione), e ciò ai sensi degli artt. 12, comma 3, e 14, lett, b), del d.P.R. n. 602 del 1973, nonché azionare comunque il credito tributario nei confronti dei soci stessi, non occorrendo procedere all’emissione di autonomo avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 36, comma 5, d.P.R. cit., relativo al diverso titolo di responsabilità di cui al precedente comma 3 (nel testo antecedente alla modifica apportata dall’art. 28, comma 5, del d.lgs. n. 175 del 2014), di natura civilistica e sussidiaria». In tal modo, i soci escussi potrebbero «con l’impugnazione della cartella di pagamento» così loro notificata lamentare l’inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo formatosi nei confronti della società, oppure contestare il fondamento della propria responsabilità, dimostrando di non aver conseguito utili dalla liquidazione. Si tratta di soluzione che estende all’ambito di specie la regola generale di cui all’art. 477, comma 1, cod. proc. civ. sull’efficacia nei confronti degli eredi del titolo esecutivo formatosi nei confronti del defunto. Sennonché, e a parte i già richiamati limiti della meccanica trasposizione in materia dei principi e delle regole proprie della successione mortis causa , non è in discussione né l’effettiva diversità delle due ipotesi di responsabilità degli ex soci di cui, rispettivamente, agli artt. 36, comma 3, d.P.R. n. 602/73 e 2495 cod. civ., né l’opponibilità agli ex soci della
definitività dell’accertamento tributario maturatosi sul debito della società contribuente. Rilevano, piuttosto, in segno contrario, in primo luogo il dato normativo di cui all’art. 36, comma 5 cit., che mostra (peraltro, si è detto, in accordo con principi di ordine generale) di accomunare le due ipotesi di responsabilità nella necessità di notificazione all’ex socio di un nuovo e distinto atto di accertamento. In secondo luogo , la sostanziale ‘novità’, che certo forma materia a sé stante di accertamento pur dopo l’iscrizione a ruolo del debito nei confronti della società, rappresentata dalla condizione dell’avvenuta percezione di quote o attività liquidatorie. In terzo luogo, il fatto che quest’ultima condizione opera, oltre che come dimensione economica dell’esposizione personale, quale elemento costitutivo, non impeditivo, della fattispecie di loro responsabilità ex art. 2495 cod. civ., così da dover essere provata dal creditore-Fisco e non (la sua assenza) dall’ex socio in fase riscossiva. È vero che l’ atto di accertamento notificato all’ex socio contiene già l’indicazione di un credito non più contestabile nella sua oggettività, ma l’esigenza che tale credito venga legittimamente imputato ad un soggetto pur sempre diverso (l’ex socio) rispetto al contribuente che ad esso ha dato origine (la società) dimostra comunque la permanenza in esso di un sostrato prettamente pretensivo che si palesa per la prima volta, seppure limitatamente al risvolto soggettivo di responsabilità. Le Sezioni unite concludono pertanto condivisibilmente nel senso non sarebbe del tutto esatto ravvisare nella specie un accertamento senza imposizione, come tale surrogabile dalla cartella.
Alla luce di quanto sopra ricostruito, il dato normativo, come interpretato dalla richiamata giurisprudenza di legittimità, depone nel senso che sia la responsabilità dei soci ex art. 36 terzo comma del d.P.R. n. 602/73, sia quella ai sensi dell’art. 2495 secondo comma cod. civ., implicano la necessità di un atto impositivo, distinto e successivo ri-
spetto a quello emesso nei confronti della società estintasi, alla condizione che la pretesa tributaria nei confronti della società si sia consolidata.
Ebbene, l’Ufficio ha notificato alla ricorrente, in qualità di ex socia della RAGIONE_SOCIALE posta in liquidazione il 22 aprile 2008 ed estinta anteriormente alla notifica degli avvisi impugnati, le somme dovute dalla società, con un primo avviso di accertamento relativo ad IRES, IRAP e IVA e con un secondo avviso di accertamento ai fini IRPEF e relative addizionali.
Entrambi gli atti sono stati impugnati dalla ricorrente, la quale nei gradi di merito «non contesta i risultati e le modalità dell’accertamento societario, se non per il mancato riconoscimento di maggiori costi» (cfr. p. 4 sentenza), bensì «la carenza dei presupposti per pretendere il pagamento delle imposte societarie dalla ricorrente. E questo in quanto, tra l’altro, il succitato art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 è, come più volte confermato a questa Ecc.ma Corte, norma che riguarda esclusivamente la fase della riscossione e quindi presuppone che l’asserita imposta evasa (e da riscuotere) sia stata preliminarmente accertata in via definitiva» (cfr. p. 4 ricorso). Pertanto, in coerenza con il principio di diritto che precede, il giudice di seconde cure ha ritenuto, in riforma della sentenza di primo grado, immune da critiche l’operato dell’Agenzia per i profili oggetto della censura in disamina.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione ed errata applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., per avere il giudice di seconde cure ritenuto che le somme dovute dalla società potessero considerarsi distribuite ai soci sull’erroneo presupposto della mancata contestazione dell’accertamento societario.
Con il terzo motivo la ricorrente censura, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 39, secondo
comma, del d.P.R. n. 600/1973 per non avere la CTR tenuto conto di una incidenza percentualizzata dei costi nell’accertamento induttivo operato dall’Ufficio.
I due motivi, di analoga concezione, possono essere trattati congiuntamente e sono fondati.
6.1. Questa Corte ha affermato più volte (Cfr. ad es. Cass. sentenza n. 12287 del 18/05/2018 e giurisprudenza ivi citata) che il principio di non contestazione, di cui all’art. 115, comma 1, cod. proc. civ., si applica anche nel processo tributario, ma, attesa l’indisponibilità dei diritti controversi, riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e sempreché il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza.
6.2. Orbene, è erronea la statuizione contenuta nella sentenza impugnata, nella parte in cui ritiene che il primo dei ricorsi, riuniti, introduttivi del giudizio non inerisca al merito dell’accertamento fiscale nei confronti della società, e la mancata considerazioni dei costi inerenti al maggior imponibile induttivamente determinato. Dalla lettura del ricorso avverso l’atto impositivo notificato alla contribuente in conseguenza della estinzione della società si evince il contrario, venendo investito anche il profilo della mancata rettifica induttiva dei costi, oggetto del terzo motivo. Al proposito, è eccentrica l’affermazione del giudice d’appello secondo cui «appare molto verosimile che la società abbia effettivamente riportato in bilancio tutti i propri costi di competenza, mentre al contrario ha tralasciato il riporto di parte delle fatture emesse, per alcuni clienti totalmente, per altri parzialmente, evidenziando così una inesistente perdita» (cfr. p. 4 sentenza).
6.3. Inoltre, l ‘ argomentazione non fa alcuna menzione della questione dei costi connessi al maggio reddito induttivamente ricostruito, proposta fin dal primo grado e devoluta al giudice d’appello. Va rammentato
che, nel caso di accertamento cd. induttivo puro come nella specie, come pure in caso di accertamenti basati sulle indagini bancarie di cui all’art.32 del d.P.R. n. 600/1973 , è necessario tener conto dei costi necessari alla produzione dei maggiori ricavi accertati ai fini del rispetto del principio di capacità contributiva (53 Cost.). Ciò deve avvenire in proporzione dei maggiori ricavi accertati riconoscendo, in alternativa ad una determinazione analitica, una percentuale forfettaria (così Corte Cost., 31 gennaio 2023, n. 10 e Cass., 23 febbraio 2023, n. 5586), proprio perché le scritture contabili sono considerate inattendibili dall’Amministrazione finanziaria .
L’accertamento di un maggior imponibile conseguito all’utilizzo di elementi presuntivi deve quindi essere accompagnato da una rettifica che tenga conto dell’incidenza percentuale di costi, adempimento demandato al giudice del rinvio.
Con il quarto motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2909 cod. civ. per non avere la CTR considerato che l’Ufficio avrebbe omesso di impugnare il capo della sentenza di primo grado con cui era stata esclusa la riferibilità dell’art. 36 del d.P.R. n. 602/73 all’IVA e all’IRAP , mentre il disposto, a tutto concedere avrebbe potuto essere applicato solo per l’IRES .
7.1. Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità. Innanzitutto, va accolta l’eccezione dedotta nel controricorso di difetto del requisito dell’autosufficienza, in quanto non è stato riportato il pertinente contenuto degli atti del giudizio d’appello , adempimento necessario ai fini della specificità della censura per poter verificare che non si tratti di questione nuova.
7.2. Inoltre, la doglianza con cui la contribuente ha contestato la pronuncia della CTR nella parte in cui ha negato la formazione del giudicato interno sulla non debenza da parte della contribuente dell’IVA e dell’I RAP societarie, causa la mancata impugnazione da parte dell’amministrazione della relativa statuizione di primo grado, non sembra cogliere pienamente la ratio decidendi espressa dal giudice, in primo e in secondo grado.
A differenza di quanto afferma la ricorrente, la sentenza di primo grado, allegata al ricorso per Cassazione, ha accolto i ricorsi, ritenendo non assolto da parte dell’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare l’esistenza dei presupposti di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 602/73, nel testo anteriore alla riforma del 2014 operata dal d.lgs. n.175 del 21 novembre 2014, ma non ha escluso la successione del socio nell’obbligazione di pagamento delle imposte accertate nei confronti della società, avendo essa chiarito che, «al di fuori dei limiti dell’art. 36, imposte come l’ IVA e l’IRAP evidentemente non possono riferirsi al socio persona fisica, estraneo a qualsiasi ambito applicativo dei due tributi, afferenti la sola società».
Il passo iniziale della pertinente motivazione espressa dal giudice («al di fuori dei limiti dell’art. 36 ( … )»), dimostra che ha inteso affermare che la successione del socio nei debiti della società partecipata comprende anche le obbligazioni sociali per IVA e IRAP. Ciò è sostanzialmente colto dal giudice d’appello, il quale, nell’escludere la maturazione del giudicato interno con riferimento a tali imposte, tra l’altro, stabilisce alle pagg.5 e 6 della sentenza impugnata a riguardo che «il breve inciso dei primi giudici a cui si riferisce non appare affatto escludere l’eventuale debenza delle imposte IRAP e IVA della società cancellata da parte dei soci».
8. Con il quinto motivo la ricorrente prospetta, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2697 cod. civ. e 45 del d.P.R. n. 917/1986 per avere la CTR invertito l’onere della prova della effettiva percezione dei redditi, ponendolo erroneamente a carico della contribuente. La censura colpisce il capo della decisione in cui il giudice ha stabilito, in conseguenza dell’accertamento del maggior reddito di impresa, che sussiste la presunzione di sua distribuzione in capo alla socia, per la quota di partecipazione.
9. Il motivo è infondato.
9.1. Si legge in sentenza che la RAGIONE_SOCIALE è stata una società a ristretta base sociale, di cui la contribuente ha detenuto come socia il 97% delle quote e con un unico ulteriore socio (NOME COGNOME. Va innanzitutto escluso che sussista un litisconsorzio necessario nei suoi confronti, in adesione all’indirizzo più volte espresso in materia da questa Corte che ha individuato un rapporto di dipendenza dell’accertamento riguardante i soci rispetto alla società, tale da legittimare l’eventuale sospensione, ex art. 337 cod. proc. civ. del giudizio relativo all’accertamento riguardante il socio laddove sia impugnata la sentenza resa in tema di accertamento sulla società (cfr., in generale, Cass., Sez. U., 29 luglio 2021, n. 21763 e, specificamente, nel contenzioso tributario, Cass., 12 settembre 2022, n. 26699; Cass., 6 ottobre 2017, n. 23480; Cass., 5 settembre 2016, n. 17613; Cass., 17 luglio 2014, n. 16329). Inoltre, il socio può comunque, nel giudizio relativo all’accertamento del proprio reddito da partecipazione, oltre a far valere questioni personali, contestare nel merito l’accertamento del maggior reddito d’impresa della società. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di socio di società di capitali, avente ad oggetto il maggior reddito da partecipazione derivante dalla presunzione di distribuzione dei maggiori utili accertati a carico della società partecipata, non vi è
perciò litisconsorzio necessario tra società e soci, sussistendo unicamente il nesso di pregiudizialità-dipendenza tra l’accertamento sociale e quello dei soci (Cass., 7 luglio 2022, n. 21644; Cass., 4 gennaio 2022, n. 94; Cass., 8 ottobre 2020, n. 21649; Cass., 28 agosto 2017, n. 20507; Cass., 10 gennaio 2013, n. 426; Cass., 31 gennaio 2011, n. 22143).
9.2. Ciò premesso, con riferimento all’onere della prova e alle presunzioni applicabili, in tema di imposte sui redditi questa Corte ha, anche recentemente, ribadito che «la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili, fondata sulla ristretta base partecipativa della società di capitali sottoposta ad accertamento, è superata dalla dimostrazione, a carico del socio, anche solo della sua estraneità assoluta alla gestione ed alla vita societaria, che non appare in contrasto con la ragione dell’operatività della presunzione, basata su una massima di comune esperienza per la quale dalla ristrettezza della base sociale deriva un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra gli stessi; ne consegue che, assolto detto onere probatorio da parte del socio, la suddetta massima di esperienza perde il suo rilievo probatorio e non consente più di ritenere legittima la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in favore di tutti i soci» (cfr. Cass. Sentenza n. 26473 del 10/10/2024).
9.3. La CTR ha, pertanto, fatto corretta applicazione del richiamato principio di diritto, affermando che «vige per oramai ben consolidata giurisprudenza la presunzione di distribuzione di esso ai soci, anche se i soci stessi possono fornire dimostrazione contraria, non fornita però nella fattispecie. Questa presunzione appare particolarmente appropriata al caso in esame: la Sig.ra COGNOME deteneva la larghissima maggioranza (97%) delle quote sociali e vi era un solo altro socio: insomma
una ristrettissima base sociale e una posizione di totale controllo; risulta inverisimile che non abbia percepito la sua parte di reddito sociale non dichiarato (…) » (cfr. p. 5 sentenza). Ne consegue l’infondatezza del motivo.
Con il sesto motivo la ricorrente censura, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., l’omessa pronuncia sul motivo di ricorso introduttivo con il quale era stata dedotta la violazione dell’art. 40 del d.P.R. n. 600/1973.
Il motivo è infondato. Premesso che non vi è un’esplicita pronuncia del giudice sulla questione nella sentenza impugnata, può individuarsi un rigetto implicito a riguardo. La norma richiamata dal ricorrente impone all’ Amministrazione finanziaria il vincolo di determinare unitariamente l’imponibile ai fini delle varie imposte, le quali, tuttavia, restano ben distinte, anche se logicamente connesse, così come sono distinti e autonomi , quoad effectum , pur se collegati sul piano logico, i provvedimenti che le accertano. L ‘art. 40 del d.P.R. n. 600 del 1973 non si applica nella fattispecie perché concerne l’ipotesi di rettifica di dichiarazioni.
Con il settimo e ultimo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dolendosi per il fatto che la CTR non si sarebbe pronunciata sul motivo di ricorso, riproposto in appello, relativo alle sanzioni applicate alla ricorrente.
Il motivo è fondato. Nella sentenza impugnata non v’è traccia dell’esame della questione dell’inapplicabilità delle sanzioni anche nel caso di ritenuta legittimità dell’atto impositivo ai fini IRPEF, avendo la CTR affrontato solo la questione dell’applicabilità al socio delle sanzioni per le imposte sui redditi non versate dalla società, e il profilo dovrà essere riesaminato dal giudice del rinvio.
14. La sentenza impugnata, in accoglimento dei motivi secondo, terzo e settimo, rigettati i restanti, è perciò cassata e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il secondo, terzo e settimo motivo del ricorso, rigettati i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 giugno 2025