Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31286 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 31286 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
CARTELLA DI PAGAMENTO, ILOR RESPONSABILITA’ SOCI
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11636/2016 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ove per legge domicilia in Roma, INDIRIZZO
-resistente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. stacc. di Foggia n. 2401/27/15 del 16/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. COGNOME per la parte ricorrente;
udito l’Avv. NOME COGNOME dell’Avvocatura generale dello Stato per la resistente Agenzia delle Entrate.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate notificava in data 22/08/2011 a COGNOME Salvatore, in qualità di ex socio della RAGIONE_SOCIALE, società cessata e cancellata dal registro delle imprese in data 31/12/1992, la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA con la quale l’ente impositore chiedeva al socio di pagare la somma di euro 6.012,94 a titolo di imposta Ilor accertata con avviso di liquidazione notificato alla RAGIONE_SOCIALE, impugnato dalla società in un procedimento deciso con la sentenza della CTR della Puglia sez. stacc. di Foggia 211/226/2008 depositata il 21/11/2008, divenuta definitiva perché non impugnata.
NOME proponeva ricorso impugnando la cartella innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Foggia. L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’impugnazione. L’adita Commissione tributaria provinciale con la sentenza 72/01/12 del 07/06/2012 accoglieva il ricorso e annullava la cartella esattoriale.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la sentenza di primo grado. NOME NOME si costituiva in giudizio eccependo l’inammissibilità dell’impugnazione e chiedendone comunque il rigetto nel merito. La Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. stacc. di Foggia, con la sentenza n. 2401/27/15 del 16/11/2015, accoglieva l’appello, confermava la legittimità della cartella esattoriale e condannava il contribuente al pagamento delle spese di lite.
Avverso detta sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione articolato su cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate non si è costituita con controricorso ma ha depositato memoria ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.
Fissata la pubblica udienza il Procuratore Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte chiedendo respingersi tutti i motivi di ricorso.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 17/10/2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la difesa del contribuente deduce nullità della sentenza o del procedimento per intervenuta decadenza della controparte e inutile decorso del termine per appellare la sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. In particolare il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver omesso di rilevare il decorso del termine semestrale per l’impugnazione della sentenza.
1.1. Il motivo è infondato. Come dedotto dalla stessa parte ricorrente il termine per l’appello scadeva il 23/01/2013; orbene, risulta in atti che l’Amministrazione finanziaria ebbe a consegnare l’atto per la notifica postale in data 21/01/2013, come si evince dalla stessa stampa delle Poste riprodotta nel ricorso, e non in data 24/01/2013 come erroneamente ritenuto dal ricorrente valorizzando un successivo adempimento riportato sul medesimo documento.
Con il secondo motivo di ricorso la difesa del contribuente deduce formazione di cosa giudicata per mancata impugnazione di capi essenziali della sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ.. In particolare il ricorrente critica la sentenza di appello per non aver rilevato che, in mancanza di specifica impugnazione da parte della Agenzia delle Entrate sui capi della sentenza di primo grado che avevano accolto la deduzione del contribuente circa la mancanza di prova della preventiva notifica dell’accertamento al socio ovvero della stessa
sentenza pronunciata nei confronti della società, si era formato il giudicato sul punto e non poteva essere rimessa in discussione l’estraneità del socio al debito sociale e l’illegittimità della pretesa spiegata nei suoi confronti con la cartella.
2.1. Il motivo è infondato. Dall’esame della motivazione della sentenza di primo grado, riprodotta integralmente nel ricorso, si evince che il preteso difetto di prova della notifica della sentenza al socio, non è elemento valorizzato in via decisiva dalla sentenza e tanto meno costituiva autonoma ragione della decisione di primo grado favorevole al contribuente. La sentenza di primo grado ha accolto l’impugnazione essenzialmente ritenendo rilevante e adatta alla qualificazione giuridica della fattispecie l’applicazione dell’art. 2304 c.c. e dell’art. 1306 cod. civ.. Ad ogni modo l’Ufficio, ricorrendo in appello, ha criticato in modo integrale la sentenza devolvendo alla Commissione tributaria regionale l’intera materia del contendere. Non si è formato giudicato e il motivo di ricorso in cassazione è infondato.
Con il terzo motivo di ricorso la difesa del ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.. In particolare COGNOME Salvatore lamenta che la sentenza di primo grado aveva accertato il difetto di prova del credito erariale stante la mancata produzione della sentenza adottata nei confronti della società; l’appellato ribadiva in appello l’assenza di detta prova e la sentenza della Commissione tributaria regionale nulla osservava sul punto e per questa via avrebbe omesso l’esame di un fatto decisivo.
3.1. Con il quarto motivo di ricorso la difesa del contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. In particolare il ricorrente critica la sentenza impugnata perché non avrebbe considerato che mancava la prova del credito erariale
accertato nei confronti della società ed azionato nei confronti dell’ex -socio.
3.2. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati: il ricorso è privo di specificità e autosufficienza perché il ricorrente non deduce specificamente e in qual modo ha dedotto la questione in via autonoma in primo grado e, di seguito, anche in appello. La sentenza di primo grado, giova ribadirlo, non ha accolto il ricorso del contribuente per il difetto di prova del titolo impositivo nei confronti della società ma, data per acquisita la sentenza di rigetto dell’impugnazione dell’accertamento proposta dalla società, ha affermato l’inopponibilità al socio del debito sociale e ha argomentato ai sensi degli articoli 2304 e 1306 c.c., senza che l’odierno ricorrente abbia proposto appello incidentale sul punto. Ad ogni modo, rileva il Collegio, come la circostanza della intervenuta notifica al socio della sentenza non assumeva rilievo decisivo nemmeno ai fini della validità dell’atto impositivo oggetto della presente controversia. Ai fini della esecuzione esattoriale era ed è sufficiente l’accertamento originario nei confronti della società (mai contestato nella sua esistenza e mai annullato in sede giudiziale) e, per questa via, la notifica della cartella di pagamento verso il socio; il socio della società estinta risponde, infatti, come evidenziato dalla sentenza della Commissione tributaria regionale, quale successore della società in nome collettivo e l’Agenzia delle Entrate ha fatto valere l’originario debito sociale per l’ILOR.
4. Con il quinto motivo di ricorso la difesa del contribuente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1306 e 2909 cod. civ. ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.. In particolare il ricorrente censura la sentenza perché avrebbe ritenuto legittimo l’accertamento senza considerare l’impossibilità di estendere al socio il giudicato sfavorevole, se formatosi nei confronti della società senza partecipazione del socio al giudizio come affermato da Cass. ss. u. 14816/2018, e senza considerare
che era stato leso il diritto di difesa del socio perché lo stesso non aveva potuto partecipare al giudizio nei confronti della società.
4.1. Il motivo è infondato, i principi espressi dalle Sezioni Unite e invocati dal ricorrente riguardano la differente fattispecie in cui si tratti di diversi accertamenti distintamente impugnati da una società attiva e dai soci di questa. Nella fattispecie la vicenda è del tutto diversa, la società è stata cancellata dopo che nei suoi confronti era stato emesso un atto impositivo a titolo di ILOR non versata; i soci non sono stati destinatari di un accertamento in proprio per i redditi da partecipazione alla società (ipotesi nella quale avrebbero avuto diritto a contraddire e per la quale sarebbe applicabile il litisconsorzio), ma sono chiamati a rispondere -peraltro in sede esattoriale -dei debiti della società estinta in qualità di successori. La condotta della Amministrazione finanziaria, e con essa la decisione della Commissione tributaria regionale in questa sede impugnata, devono andare esenti da censure e costituiscono applicazione di principi di diritto affermati costantemente dalla giurisprudenza della Corte: in tema di riscossione, l’atto impositivo intestato a società di persone o di capitali estinta è valido ed efficace, anche se notificato agli ex soci collettivamente ed impersonalmente nell’ultimo domicilio della società (analogamente a quanto previsto dall’art. 65, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973 in caso di morte del debitore) o singolarmente a taluno di essi, non essendo necessaria l’emissione di specifici atti intestati e diretti ai medesimi, giacché l’estinzione determina un peculiare fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale i soci subentrano nelle medesime obbligazioni inadempiute della società, rispondendone illimitatamente o nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione, a seconda che, pendente societate , fossero illimitatamente o limitatamente responsabili per i debiti sociali (Cass. 09/01/2024, n. 753 del 09/01/2024). Ed ancora: in materia di IVA, poiché l’accertamento effettuato nei confronti di
una società di persone ha effetto anche riguardo al socio illimitatamente responsabile, l’Amministrazione finanziaria non ha l’obbligo di notificare a quest’ultimo l’avviso di accertamento o di rettifica dell’imposta dovuta, potendo limitarsi, nella vigenza dell’art. 46 del d.P.R. n. 602 del 1973, a notificargli l’avviso di mora o la cartella di pagamento, rimanendo salva la possibilità, per lo stesso socio, di contestare, mediante l’impugnazione di tali atti, anche l’esistenza e l’ammontare del debito d’imposta, senza che si abbia violazione alcuna del suo diritto di difesa (Cass. 11/05/2017, n. 11615). Assume rilievo anche il principio di diritto secondo il quale: in tema di cartelle esattoriali, è valida la notifica effettuata a mani di uno dei soci della società di persone dopo la sua estinzione a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, giacché – analogamente a quanto previsto dall’art. 65, comma 4, del d.p.r. n. 600 del 1973 per il caso di morte del debitore e di notifica effettuata impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso, con effetti valevoli nei confronti degli eredi – essa trova fondamento nel fenomeno successorio che si realizza con riferimento alle situazioni debitorie gravanti sul dante causa, con ciò realizzandosi comunque lo scopo della citata disciplina, che è quello di rendere edotto almeno uno dei successori della pretesa validamente azionata nei confronti della società (Cass. 05/11/2020, n. 24793 del 05/11/2020).
4.2. La sentenza della Commissione tributaria regionale opera espressa e corretta applicazione di questi principi e con esauriente motivazione esclude l’applicazione degli articoli 2304 e 1306 cod. civ.. Il motivo di ricorso, per quanto esposto, non attinge la motivazione ed è infondato.
Il ricorso merita, allora, integrale rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
rigetta il ricorso; Entrate resistente le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro condanna il ricorrente a rifondere alla Agenzia delle 1.800,00 complessive oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre