Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16285 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16285 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NONNO NOME
Data pubblicazione: 12/06/2024
Oggetto: Tributi – Avviso di accertamento –
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18063/2015 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura AVV_NOTAIO dello RAGIONE_SOCIALE, presso la RAGIONE_SOCIALE è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
-controricorrente incidentale –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso;
-controricorrente –
-ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1668/27/15, depositata il 21 aprile 2015.
Vista la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 novembre 2023 dal AVV_NOTAIO. Uditi l’AVV_NOTAIO per la ricorrente nonché l’AVV_NOTAIO
NOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1668/27/15 del 21/04/2015 la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) ha rigettato l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) nei confronti della sentenza n. 3257/23/14 della Commissione tributaria provinciale di Milano (di seguito CTP), che aveva accolto il ricorso di RAGIONE_SOCIALE (di seguito VR) avverso un avviso di accertamento per IVA relativa all’anno d’imposta 2006.
1.1. Come si evince dalla sentenza impugnata, l’avviso di accertamento era stato emesso in ragione dell’effettuazione di operazioni oggettivamente inesistenti con riferimento ad acquisti di immobili da parte del fondo comune RAGIONE_SOCIALE, gestito da RAGIONE_SOCIALE società RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE, e alla conseguente indetraibilità dell’IVA.
1.2. La CTR rigettava l’appello proposto da AE osservando che: a) ai sensi dell’art. 3 della l. 23 marzo 1983, n. 77 «il fondo comune d’investimento un patrimonio autonomo e distinto dalla società di RAGIONE_SOCIALE e da quello di ogni partecipante»; b) tale circostanza incideva sulla soggettività passiva a fini tributari, nel senso che la società di RAGIONE_SOCIALE non poteva essere chiamata a rispondere dei debiti tributari facenti capo ad RAGIONE_SOCIALE; c) in ogni caso l’Ufficio era decaduto dall’accertamento, non potendo operare il raddoppio dei
termini di cui all’art. 43, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e all’art.57, terzo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in assenza di un fatto ab origine qualificabile come reato.
Avverso la sentenza della CTR AE proponeva ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
NOME resisteva con controricorso e proponeva ricorso incidentale affidato ad un unico motivo e depositava memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
NOME depositava controricorso avverso il ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va pregiudizialmente evidenziato che AE contesta la nullità della notifica a mezzo PEC della sentenza impugnata: ciò sia per l’inapplicabilità del processo telematico al giudizio tributario, sia perché notificata ad un indirizzo PEC erroneo, ricavato da un registro (l’IPA) non più valido, sia perché è stata notificata una copia della sentenza dichiarata conforme alla copia conforme in possesso di VR.
1.1. Peraltro, poiché la ricorrente ha notificato il ricorso non solo entro il termine lungo calcolato dal deposito della sentenza impugnata, ma anche entro i sessanta giorni dalla notifica a mezzo PEC della sentenza impugnata, il ricorso è senz’altro tempestivo, sicché non v’è alcun interesse di AE a sollevare la presente eccezione.
Con il primo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del d.l. 25 settembre 2001, n. 351, conv. con modif. nella l. 23 novembre 2001, n. 410, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente escluso la soggettività passiva a fini IVA del gestore del fondo comune RAGIONE_SOCIALE, nei cui confronti, pertanto, l’Ufficio ha correttamente rivolto le sue pretese.
2.1. Con il secondo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., motivazione apparente della sentenza impugnata nella parte in cui la CTR ha ritenuto l’Ufficio decaduto dal potere accertativo, senza spiegare perché la denuncia dei fatti compiuti dalla ricorrente non avrebbero potuto costituire reato.
2.2. Con il terzo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione falsa applicazione dell’art. 43, secondo comma bis e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 37, comma 26, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. con modif. nella l. 4 agosto 2006, n. 248, per avere la CTR omesso di verificare se nell’ambito RAGIONE_SOCIALE contestazioni dell’ufficio in sede impositiva siano riscontrabili elementi di colpevolezza in relazione ad uno dei reati indicati nel d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
2.3. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla denuncia sporta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano e dalle circostanze dalla stessa evincibili.
Il primo motivo è infondato, con conseguente inammissibilità degli altri motivi proposti per difetto di interesse, involgendo gli stessi la seconda RAGIONE_SOCIALE rationes decidendi su cui si fonda la sentenza impugnata.
3.1. La questione che si pone con riferimento al primo motivo è essenzialmente quella di comprendere se RAGIONE_SOCIALE, nella sua qualità di RAGIONE_SOCIALE, possa essere qualificata debitore di IVA ai sensi dell’art. 17, del d.P.R. n. 633 del 1972 con riferimento ai debiti tributari facenti capo al fondo comune RAGIONE_SOCIALE.
3.2. L’art. 1, comma 1, lett. j), del d.l.gs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico RAGIONE_SOCIALE disposizioni in materia di intermediazione finanziaria -TUF), nella versione applicabile ratione temporis , afferma che il fondo comune di investimento è «il patrimonio autonomo raccolto, mediante una o più emissione di quote, tra una pluralità di investitori con la finalità di investire lo stesso sulla base di una predeterminata politica di investimento; suddiviso in quote di pertinenza di una pluralità di partecipanti; gestito in monte, nell’interesse dei partecipanti e in autonomia dai medesimi».
3.2.1. Ai sensi dell’art. 36 del TUF il fondo comune è gestito da una società di RAGIONE_SOCIALE, che può o meno coincidere con la società promotrice, e che assume verso i partecipanti al fondo, solidalmente con quest’ultima, gli obblighi e le responsabilità del mandatario.
3.2.2. Ciò premesso, secondo Cass. n. 16605 del 15/07/2010, « I fondi comuni d’investimento (nella specie, fondi immobiliare chiusi), disciplinati nel d. lgs. n. 58 del 1998, e succ. mod., sono privi di un’autonoma soggettività giuridica ma costituiscono patrimoni separati della società di RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE; pertanto, in caso di acquisto nell’interesse del fondo, l’immobile acquistato deve essere intestato alla società promotrice o di RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE ne ha la titolarità formale ed è legittimata ad agire in giudizio per far accertare i diritti di pertinenza del patrimonio separato in cui il fondo si sostanzia » (conf. Cass. n. 12062 del 08/05/2019).
3.3. Può, quindi, schematicamente affermarsi, per come disposto dal d.lgs. n. 58 del 1998 (la CTR cita erroneamente la l. 23 marzo 1983, n. 77, abrogata proprio dal menzionato decreto legislativo), che, secondo il diritto interno: i) il fondo comune costituisce un patrimonio separato; ii) detto fondo non ha soggettività giuridica autonoma; iii) i beni immobili acquisiti dal fondo comune vengono
intestati alla RAGIONE_SOCIALE; iv) è la RAGIONE_SOCIALE ad esercitare tutti i diritti relativi ai beni, imputando poi profitti e perdite al fondo comune.
3.3.1. Partendo da questi presupposti e riferendosi ad un precedente (Cass. n. 29888 del 20/12/2020) che ha approfondito la natura giuridica dei patrimoni separati, Cass. n. 7116 del 09/03/2023, ha ritenuto di attribuire la soggettività passiva RAGIONE_SOCIALE imposte ICI e IMU alla SGR, la RAGIONE_SOCIALE risulta essere il formale intestatario del bene e, quindi, come tale, tenuto al pagamento dell’imposta.
3.3.2. Bisogna, peraltro, verificare se una soluzione formalistica di tal fatta possa essere utilizzata anche per l’IVA. L’analisi normativa e giurisprudenziale che segue dimostrerà il contrario.
3.4. Prendendo le mosse dal diritto unionale, l’art. 6, § 4, della direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977 (sesta direttiva) afferma che «Qualora un soggetto passivo che agisca a proprio nome ma per conto di altri, partecipi ad una prestazione di servizi, si riterrà che egli abbia ricevuto o fornito tali servizi a titolo proprio».
3.4.1. L’art. 28 della direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (direttiva IVA) contiene una previsione del tutto analoga. L’art. 193 di detta direttiva prevede, altresì, che «L’IVA è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile, eccetto che nei casi in cui l’imposta è dovuta da una persona diversa in virtù degli articoli da 194 a 199 ter e 202» (tali ultime disposizioni, peraltro, non riguardano l’ipotesi di cui si discute).
3.4.2. La Corte di giustizia della UE, peraltro, non si occupa dello specifico problema oggetto di causa. È vero che una recente pronuncia dà rilievo all’effettivo intestatario del bene immobile ai fini della soggettività passiva d’imposta, senza attribuire rilevanza
all’accordo sottostante tra le parti in ragione del RAGIONE_SOCIALE l’intestatario non sarebbe l’unico effettivo proprietario (Corte di giustizia 16 settembre 2020, in causa C-312/19, XT ). Tuttavia, trattasi di una fattispecie non sovrapponibile a quella oggetto del presente giudizio, che fa, altresì, riferimento ad un accordo interno senza alcuna rilevanza esterna, diversamente da quanto previsto dalle disposizioni sui fondi comuni più sopra menzionate.
3.5. Nel diritto interno, l’art. 8 del d.l. n. 351 del 25 settembre 2001, conv. nella l. n. 410 del 23 novembre 2001, attribuisce alla SGR la soggettività passiva d’imposta e, quindi, l’obbligo del pagamento ed il diritto alla relativa detrazione. In particolare, il comma 1 così recita: «1. La società di RAGIONE_SOCIALE è soggetto passivo ai fini dell’imposta sul valore aggiunto per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi relative alle operazioni dei fondi immobiliari da essa istituiti. L’imposta sul valore aggiunto è determinata e liquidata separatamente dall’imposta dovuta per l’attività della società secondo le disposizioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, ed è applicata distintamente per ciascun fondo. Al versamento dell’imposta si procede cumulativamente per le somme complessivamente dovute dalla società e dai fondi. Gli acquisti di immobili effettuati dalla società di RAGIONE_SOCIALE e imputati ai singoli fondi, nonché le manutenzioni degli stessi, danno diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi dell’articolo 19 del citato decreto (…)».
3.6. La superiore disposizione costituisce, nella prospettiva di AE, la base normativa per l’attribuzione alla SGR dell’obbligazione di pagamento dell’IVA. In particolare, la difesa erariale sottolinea la distinzione esistente tra la disciplina civilistica e quella disciplina fiscale, evidenziando che, per quest’ultima, la SGR è sicuramente il
soggetto passivo a fini IVA, sicché correttamente l’Ufficio si è rivolto nei confronti della odierna controricorrente.
3.7. La controricorrente, invece, spende i seguenti argomenti.
3.7.1. Se la SGR dovesse essere ritenuta responsabile del debito IVA del fondo RAGIONE_SOCIALE con il proprio patrimonio personale, si verrebbe a vanificare l’autonomia patrimoniale dei fondi comuni e si violerebbe il principio di capacità contributiva in ragione della cessazione del fondo. In particolare, la cessazione del fondo farebbe venire meno il rapporto gestorio senza che la SGR possa partecipare alla ripartizione RAGIONE_SOCIALE attività. Inoltre, è la stessa SGR che può chiedere la liquidazione del fondo comune quando lo stesso non ha prospettive (art. 57 del TUF) e non è prevista una forma di responsabilità sussidiaria della medesima. L’autonomia patrimoniale, del resto, ha senso solo fino a quando i creditori del fondo e quelli della SGR restino rigidamente distinti, talché i primi non possano vantare diritti sul patrimonio della SGR, che non è da loro aggredibile. I creditori di RAGIONE_SOCIALE, dunque, tra cui anche AE, non possono vantare diritti su di un fondo ormai estinto e non è configurabile nessuna responsabilità, anche sotto il profilo sussidiario, della RAGIONE_SOCIALE, che risponde RAGIONE_SOCIALE mandatario unicamente per il servizio di RAGIONE_SOCIALE collettiva del RAGIONE_SOCIALE (art. 36, comma 5, del TUF).
3.7.2. Sotto diverso profilo, la SGR non può essere definita soggetto passivo d’imposta per le obbligazioni tributarie del fondo comune, rispondendo per dette obbligazioni unicamente quest’ultimo con il proprio patrimonio. In realtà, la SGR si limita a redigere le dichiarazioni e ad effettuare i versamenti, tenendo una contabilità distinta per ciò che riguarda i fondi, ma non è il soggetto tenuto al pagamento dell’imposta ai sensi dell’art. 17 del d.P.R. n. 633 del 1972 e della direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (direttiva IVA), che è il patrimonio separato del fondo comune.
Ed anche la disciplina RAGIONE_SOCIALE detrazioni risponde a questa sorta di sdoppiamento giuridico tra chi versa e chi paga.
3.7.3. In buona sostanza, la RAGIONE_SOCIALE si occupa dei soli adempimenti contabili ma la propria attività è imputabile direttamente al fondo. Ragionare diversamente significherebbe violare il principio della capacità contributiva in quanto SGR rimarrebbe assoggettata, anche dopo la cessazione del rapporto gestorio, alle pretese tributarie dell’Amministrazione finanziaria.
3.8. Per dirimere la questione occorre partire dai principi espressi da Cass. n. 16605 del 2010 e precedentemente riassunti al § 3.3.
3.8.1. Non è dubbio che la soggettività attiva e passiva, anche tributaria, spetta alla RAGIONE_SOCIALE che gestisce il fondo comune e, quindi, nel caso di specie, a RAGIONE_SOCIALE amministra il fondo, provvede alla redazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni IVA e all’effettuazione dei pagamenti, nonché alla tenuta della contabilità, tenendo separate attività e passività del fondo comune, che risponde RAGIONE_SOCIALE obbligazioni unicamente con il proprio patrimonio.
3.8.2. Ne consegue che la SGR può essere oggetto di accertamenti tributari che riguardano le attività del fondo, in quanto le stesse devono essere rivolte necessariamente nei suoi confronti, ma non risponde RAGIONE_SOCIALE eventuali pretese dell’Amministrazione finanziaria con il proprio patrimonio, ma unicamente nei limiti del patrimonio del fondo, trattandosi di un patrimonio separato. In altri termini, in caso di dichiarazioni erronee o infedeli rilasciate dalla RAGIONE_SOCIALE, risponde sempre e comunque il patrimonio del fondo; il RAGIONE_SOCIALE potrà poi rivalersi nei confronti della SGR sulla base del rapporto di mandato.
3.8.3. Da questa impostazione, pienamente conforme al dettato dell’art. 8 del d.l. n. 351 del 2001, più sopra menzionato, discende che la SGR è il soggetto passivo dell’imposta sotto il profilo
meramente formale, mentre sotto il profilo sostanziale a rispondere dell’imposta è il fondo comune con il proprio patrimonio autonomo, distinto da quello di RAGIONE_SOCIALE.
3.8.4. Nel caso in cui si verifica, come nella specie, la liquidazione del fondo comune, il patrimonio separato si estingue, con conseguente estinzione anche del rapporto di mandato tra fondo comune ed SGR. Ne consegue che la SGR può opporre all’Amministrazione finanziaria l’intervenuta cessazione del rapporto e la liquidazione del fondo comune ed AE non può soddisfarsi sul patrimonio dell’ente di RAGIONE_SOCIALE, non potendo configurarsi una responsabilità solidale di quest’ultimo per il mancato assolvimento RAGIONE_SOCIALE obbligazioni tributarie da parte del fondo, salva la eventuale contestazione di un diverso titolo di responsabilità.
3.9. Va, quindi, enunciato il seguente principio di diritto: « In caso di estinzione di un fondo comune di investimento, non è configurabile una diretta responsabilità della società di RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE che ha amministrato detto fondo con riferimento al mancato pagamento dell’IVA, salvo che RAGIONE_SOCIALE non faccia valere un autonomo titolo di responsabilità. Ne consegue che la RAGIONE_SOCIALE non risponde con il proprio patrimonio, in via sussidiaria o solidale, degli eventuali debiti IVA gravanti sul fondo comune estinto dalla stessa amministrato ».
3.9. Nel caso di specie, pertanto, l’avviso di accertamento, diretto nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in proprio, RAGIONE_SOCIALE titolare di una insussistente responsabilità sussidiaria nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, è stato correttamente annullato dalla CTR, la cui motivazione va peraltro corretta secondo quanto più sopra illustrato.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale VR deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 91 e 96 cod. proc. civ., per non avere la CTR
esaminato gli elementi allegati dalla società contribuente e che avrebbero dovuto comportare la condanna di COGNOME per responsabilità aggravata.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. La CTR, compensando le spese di lite tra le parti, ha segnalato che la materia trattata era controversa, con ciò evidenziando la particolare difficoltà della decisione assunta, in assenza di precedenti specifici.
4.3. Trattasi di motivazione che assorbe anche la richiesta di condanna dell’Amministrazione finanziaria per responsabilità aggravata, posto che, in presenza di una controversia di difficile soluzione in diritto, certamente non è sostenibile che la parte soccombente abbia agito in giudizio con dolo o colpa grave.
In conclusione, vanno rigettati sia il ricorso principale che il ricorso incidentale. La reciproca soccombenza, unitamente alla novità della questione, giustifica l’integrale compensazione tra le parti RAGIONE_SOCIALE spese del presente procedimento.
5.1. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente procedimento.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale del contributo unificato previsto per il ricorso incidentale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 23 novembre 2023.