Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2703 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5   Num. 2703  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
ha emesso la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 13782/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE,  nella  persona  del  legale rappresentante pro  tempore ,  rappresentata  e  difesa,  con  facoltà  anche disgiunte, dagli AVV_NOTAIO, NOME COGNOME e NOME AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima, in Roma, INDIRIZZO, giusta procura speciale a margine del ricorso per cassazione.
-ricorrente contro
RAGIONE_SOCIALE,  nella  persona  del  Direttore pro tempore ,    rappresentata  e  difesa  dall’Avvocatura  RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della TOSCANA, n. 1621/10/19, depositata in data 20 novembre 2019, non notificata; udita la relazione della causa udita svolta nella pubblica udienza del 6 dicembre 2023, dal Consigliere NOME COGNOME; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi, per la parte ricorrente, gli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso per cassazione; udito per la parte controricorrente, l’AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso per cassazione; 
FATTI DI CAUSA
La  società  RAGIONE_SOCIALE  aveva impugnato l’avviso di rettifica dell’accertamento ed il conseguente atto di irrogazione  della  sanzione,  inerenti  alcune  importazioni  dalla  Cina  di calzature verificatesi dal 2010 al 2013, derivanti dal disconoscimento del valore RAGIONE_SOCIALE merci dichiarato all’atto dell’introduzione dei beni sul territorio  doganale  da  parte  della  società  ricorrente  in  qualità  di rappresentante indiretto.
La  Commissione  tributaria  provinciale  di  Livorno  aveva  accolto  il ricorso, ritenendo prescritta la possibilità dell’accertamento in rettifica per  l’anno  2012,  dal  momento  che  il  processo  penale  che  avrebbe consentito di far decorrere il termine triennale dal passaggio in giudicato della sentenza non riguardava i funzionari del CAD che aveva compiuto le pratiche doganali, ma solamente gli importatori.
La  Commissione tributaria  regionale  ha  accolto  l’appello  proposto dall’RAGIONE_SOCIALE, sulla base RAGIONE_SOCIALE seguenti considerazioni:
-) la censura sulla tardività dell’accertamento nei confronti di soggetto non  coinvolto  nel  processo  penale  era  fondata,  in  quanto  non  era
maturata alcuna decadenza per operare un accertamento in rettifica sulle importazioni contestate;
-) la censura relativa all’ultrapetizione era fondata, poiché solo per le prime sette importazioni era maturato il termine ordinario triennale per procedere  ad  accertamento  in  rettifica,  mentre  per  tutte  quelle avvenute nel 2013 fino al momento dell’emanazione dell’atto impugnato (4 dicembre 2015), il triennio non era ancora maturato;
-) sul piano amministrativo era stato sanzionato l’inesatto pagamento dei tributi doganali, ma la vicenda storica oggetto del processo penale e  di  quello  tributario  era  la  medesima,  con  la  conseguenza  che  la decadenza prevista dall’art. 84 TULD e dall’art. 221 CDC scattava dopo il  terzo  anno  dalla  data  in  cui  la  sentenza  penale  era  divenuta irrevocabile;
-)  non  sussisteva  alcuna  nullità  del  provvedimento  impugnato,  in quanto nell’atto erano indicati sia il responsabile del procedimento, che quello dell’istruttoria dell’Area RAGIONE_SOCIALE, articolazione dell’RAGIONE_SOCIALE che aveva il compito di procedere alla notifica RAGIONE_SOCIALE stesso;
-) la contestazione circa la mancanza dei presupposti per ravvisare una responsabilità  solidale  era  priva  di  fondamento  dal  momento  che  il rappresentante indiretto ai sensi dell’art. 201 CDC era il dichiarante ed in quanto tale debitore dei maggiori diritti dovuti unitamente all’importatore;
-) l’applicazione dell’art. 202 CDC, secondo l’interpretazione suggerita dalla società contribuente, non conduceva ad un’esclusione di responsabilità, poiché la società poteva essere chiamata a rispondere in quanto le si poteva imputare una mancanza di diligenza che rilevava sul piano della colpa escludendo una forma di responsabilità oggettiva e ciò rendeva inconferente qualsiasi riferimento all’art. 239 CDC;
-) l’esistenza del processo penale non interrompeva il nesso causale per coloro che non erano chiamati a rispondere del reato di contrabbando e dei reati satellite, mentre sul piano amministrativo la responsabilità
nasceva dal mancato esercizio di quella particolare forma di diligenza richiesta ad un operatore professionale;
-) per escludere la responsabilità solidale del rappresentante indiretto con l’importatore era, dunque, necessario verificare che il primo avesse posto in essere la diligenza che doveva essere richiesta ad un operatore professionale,  cosicché  la  sottofatturazione,  come  era  avvenuto  nel caso di specie, non poteva essere ricavata da alcun elemento di cui poteva legittimamente disporre;
-)  non  poteva  ridursi  la  diligenza  esigibile  al  mero  controllo  della regolarità formale della documentazione da presentare in Dogana, in quanto la diligenza richiesta a norma dell’art 1176, comma 2, cod. civ., implicava  un  obbligo  d’informazione,  ma  anche  di  attenta  verifica dell’esattezza dei dati dichiarati, strumentali rispetto al corretto espletamento dell’incarico conferito;
-) la richiesta all’importatore RAGIONE_SOCIALE polizze assicurative che normalmente facevano riferimento al reale valore della merce per ottenere il giusto ristoro  in  caso  di  danneggiamenti  o  incidenti  era  un’accortezza  che senz’altro poteva richiedersi allo spedizioniere;
-)  peraltro  le  transazioni  che  avvenivano  con  la  Cina  presentavano spesso rischi di questo tipo anche perché era notorio che molte aziende cinesi fruivano di rimborsi Iva ed agevolazioni fiscali in proporzione alle esportazioni che effettuano;
-) non poteva affermarsi, in conclusione, che la responsabilità solidale era attribuita a titolo di responsabilità oggettiva;
-) la responsabilità solidale si estendeva anche all’IVA, come affermato in più occasioni dalla Corte di Cassazione;
-) la Dogana aveva sottolineato come esaminando la tabella riportata a pag. 22 del provvedimento in cui erano elencati costi aggiunti al valore dichiarato  non  era  stata  inserita  la  voce  relativa  alla  «ricerca  sul territorio cinese di aziende aventi le capacità produttive organizzative»;
-) la questione in esame avrebbe dovuto comportare l’esatto pagamento dei tributi al momento dell’introduzione della merce in Italia e la decorrenza degli interessi di mora non poteva che decorrere da quella data.
I giudici di secondo grado, con specifico riferimento all’atto di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni, hanno, poi, precisato che l’Ufficio non aveva sospeso i termini previsti dalla legge (tanto era vero che la società aveva potuto contestare con il presente ricorso anche l’atto di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni), ma si era limitato, in ossequio al disposto dell’art. 303, comma terzo, del d.P.R. n. 43/1973 a sospendere l’applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni in attesa di verificare l’esito del processo penale; peraltro non aveva potuto procrastinare l’irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni alla conclusione del processo penale perché l’art. 20 del decreto legislativo n. 472/1997 prevedeva che la contestazione doveva avvenire entro il termine di decadenza di tre anni dalla dichiarazione doganale, cosicché aveva contestato la sanzione applicabile, salva la possibilità di stabilirne una diversa in relazione all’esito del processo penale e tale condotta non aveva leso in alcun modo le prerogative del contribuente;
-)  non  era  stato  violato  il  principio  di  proporzionalità  perché  di  esso aveva fatto uso il legislatore stabilendo gli scaglioni per l’applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni eliminando qualsiasi discrezionalità per l’amministrazione;
-) l’art. 17 del decreto legislativo n. 472/1997 prevedeva una simultaneità tra la rettifica dei diritti da corrispondere e l’irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni e ciò era avvenuto, poiché i due distinti atti erano stati notificati contestualmente, oltre ad essere stati firmati lo stesso giorno; -) era infondata la richiesta di applicazione dell’art. 12 del decreto legislativo n. 472/1997 poiché non si era in presenza di plurime violazioni formali od ad un concorso formale di illeciti, ma di autonome infrazioni sostanziali singolarmente sanzionabili.
La  società  RAGIONE_SOCIALE  ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a quindici motivi.
RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La  società  RAGIONE_SOCIALE  ha depositato due memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo mezzo deduce la violazione dell’art. 221, Reg. CEE 12 ottobre 1992, n. 2913, vigente ratione temporis, e dell’art. 84, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, vigente ratione temporis , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. Non sussisteva nei confronti del Cad alcuna condotta perseguibile penalmente e, dunque, non poteva trovare applicazione il quarto comma dell’art. 221 C.d.c.; in ogni caso, il fatto oggettivo contestato con il procedimento penale non era quello commesso dalla società ricorrente, in quanto il presunto reato richiamato dalla Commissione tributaria regionale configurava una fattispecie più ampia rispetto all’azione posta in essere dalla società ricorrente, la cui attività costituiva solo una minima parte della fattispecie astratta contestata alla società cinese.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 Questa Corte ha affermato che « In tema di tributi doganali, il termine di prescrizione dell’azione di recupero di dazi non pagati, è prorogato se il mancato pagamento totale o parziale dei diritti trovi ragione in un’ipotesi di reato del quale sia documentata la notizia criminis attraverso un atto proprio dell’Amministrazione e l’atto deve essere idoneo ad individuare un fatto illecito, penalmente rilevante, ed altresì idoneo ad incidere sul presupposto di imposta » (Cass., 9 agosto 2023, n. 24219).
1.3 Inoltre, « L’IVA all’importazione, pur essendo estranea all’obbligazione doganale, rientra tra i tributi che vanno corrisposti in
occasione RAGIONE_SOCIALE operazioni doganali e, pertanto, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 70 d.P.R. n. 633 del 1972, è soggetta alle disposizioni procedurali dettate per diritti di confine. Ne consegue che, ai sensi degli artt. 84 T.U. dogane e 221, par. 4, CDC, qualora il mancato pagamento dell’imposta abbia causa dalla commissione di un reato, l’azione per la riscossione si prescrive con il decorso di tre anni dalla data di irrevocabilità della sentenza o del decreto pronunciati in esito al procedimento penale, purché entro il medesimo termine dall’insorgere dell’obbligazione tributaria sia formulata una “notitia criminis” tale da individuare un illecito penale idoneo ad incidere sul presupposto impositivo » (Cass., 29 luglio 2021, n. 21659).
1.4 Con specifico riferimento alla fattispecie in esame, questa Corte ha già precisato che « In tema di tributi doganali, ove il loro mancato pagamento derivi da atto qualificabile come reato, ai fini della proroga sino a tre anni del termine di prescrizione dell’azione di recupero dei dazi all’importazione e di quello di decadenza per la revisione dell’accertamento ex art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990, è sufficiente che, nel triennio decorrente dall’insorgenza dell’obbligazione doganale, l’Amministrazione emetta un atto nel quale venga formulata una “notitia criminis” tale da individuare un fatto illecito, penalmente rilevante, ed idoneo ad incidere sul presupposto d’imposta, non essendo necessario individuare sin da quel momento l’autore materiale del reato » (Cass., 5 novembre 2020, n. 24716 ) e che « In tema di riscossione dei diritti doganali, nell’ipotesi di condebitori solidali – come prevista, a norma dell’art. 201, comma 3, del Reg. CEE n. 2913 del 1992 (Codice doganale comunitario), tra il dichiarante in nome proprio e il soggetto per conto del quale è resa la dichiarazione – mentre la “proroga” del termine triennale di prescrizione, ex artt. 221 del cit. reg. e 84 del d.P.R. n. 43 del 1973, così come del termine di decadenza per la revisione dell’accertamento, di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990, opera allorquando si configuri un fatto perseguibile penalmente,
indipendentemente dalle persone cui il fatto venga imputato in sede penale e dall’esito del relativo giudizio, purché la “notitia criminis” sia stata comunicata nel corso di detto termine dalla contabilizzazione o dall’esigibilità dell’obbligazione doganale, con riguardo sia al termine di prescrizione per la riscossione dei diritti doganali che a quello di decadenza per la revisione dell’accertamento “prorogati” fino ai tre anni successivi alla data di irrevocabilità della decisione penale si riespandono i principi generali di cui all’art. 1310, comma 1, c.c., con la conseguenza che gli atti “interruttivi” della prescrizione o della decadenza contro uno dei debitori in solido hanno effetto anche nei confronti degli altri condebitori » (Cass., 12 settembre 2019, n. 22748; Cass., 30 settembre 2019, n. 24258, richiamata anche dall’RAGIONE_SOCIALE).
1.5 Dunque, la «proroga» del termine triennale di prescrizione per la riscossione dei diritti doganali ex artt. 221, comma 4, del Reg. CEE del Consiglio n. 2913 del 1992 e 84, comma 3, del d.P.R. n. 43 del 1973 così come di quello di decadenza per la revisione dell’accertamento di cui all’art. 11 del T.U.L.D., opera allorquando si configuri un fatto «perseguibile penalmente», indipendentemente dalle persone cui venga imputato in sede penale, e dall’esito del giudizio penale, purché la notitia criminis sia stata comunicata nel corso di tale termine dalla contabilizzazione o dall’esigibilità dell’obbligazione doganale; sufficiente è, quindi, ai fini della proroga, che le autorità che procedono al recupero dei dazi non riscossi ravvisino una fattispecie prevista come reato dal diritto penale nazionale e comunichino la relativa notizia entro il termine triennale dalla contabilizzazione o dall’esigibilità dell’obbligazione doganale; irrilevan te è l’identità degli agenti di reato , ai fini della configurabilità dell’atto (espressamente, Cass., 16 dicembre 2016, n. 26045; Cass., 8 marzo 2013, n. 5898).
1.6 La  sentenza  impugnata  è  conforme  ai  principi  esposti,  avendo ritenuto che fosse idonea a prorogare il termine triennale di decadenza,
la  tempestiva  trasmissione  della notitia  criminis nei  confronti  di  un soggetto autore del fatto di reato diverso dal destinatario dell’avviso di rettifica e specificamente del soggetto importatore e che, dunque, non era maturata alcuna decadenza nei confronti del soggetto non coinvolto nel  processo  penale,  con  conseguente  operatività  del  raddoppio  dei termini di accertamento degli illeciti doganali contestati (cfr. pagine 3 e 4 della sentenza impugnata).
Il secondo mezzo deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in ordine all’eccepita violazione dell’art. 36, comma 4 ter, del decreto legge 31 dicembre 2007, n. 248 e dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. Il giudice di appello aveva travisato l’eccezione di illegittimità dei provvedimenti impugnati per mancata indicazione del responsabile del procedimento di notificazione, avendo argomentato la propria decisione esclusivamente con riferimento al responsabile del procedimento e a quello dell’istruttoria, i quali non erano oggetto di doglianza.
2.1 In disparte il difetto di autosufficienza della censura nella parte in cui non trascrive il contenuto dei provvedimenti impugnati, il motivo è infondato.
2.2 Ed invero, i giudici di secondo grado, a pag. 4 della sentenza impugnata, hanno affermato, peraltro con un accertamento in fatto che non è censurabile in questa sede, che « non sussiste alcuna nullità del provvedimento impugnato, in quanto nell’atto sono indicati sia il responsabile del procedimento che quello dell’istruttoria dell’Area RAGIONE_SOCIALE articolazione dell’RAGIONE_SOCIALE che aveva il compito di procedere alla notifica RAGIONE_SOCIALE stesso ». Non vi è stato, dunque, alcun travisamento della censura con la quale la società ricorrente ha lamentato la mancata indicazione del responsabile del procedimento di notificazione nei provvedimenti impugnati.
3. Il terzo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 76, 201 e 202, Reg. CEE 2913 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. In forza degli artt. 201 e 202 C.D.C., lo spedizioniere che agiva in rappresentanza indiretta rispondeva del maggior dazio accertato, soltanto ove fosse dimostrata la consapevolezza (o ragionevole consapevolezza) che la dichiarazione era errata, così eliminando ipotesi di responsabilità oggettiva dell’intermediario doganale. Nel caso di specie, l’esponente rispondeva in via solidale di un debito daziario facente capo all’importatore, esclusivamente sul fondamento della spendita del proprio nome nella dichiarazione doganale, e cioè in forza dell’uso della rappresentanza indiretta. Nelle operazioni de quibus la società esponente aveva agito su specifico mandato della società RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva fornito tutta la documentazione commerciale per lo sdoganamento della merce. La violazione contestata era, pertanto, del tutto indipendente dalla volontà e dalla diligente condotta RAGIONE_SOCIALE spedizioniere. Infatti, non rientrava nell’ambito del mandato ricevuto dall’esponente effettuare approfonditi accertamenti in ordine al valore della merce dichiarata in Dogana, né avrebbe potuto, pur impiegando la massima diligenza, avvedersi di quanto contestato dall’Ufficio.
3.1
Il motivo è infondato.
3.2 L’art. 201 del Reg. CEE n. 2913 del 1992, applicabile ratione temporis alla fattispecie concreta in giudizio (dove vengono in rilievo, diverse importazioni di calzature effettuate nel corso degli anni 2010 e 2013), prevede che « 1. L’obbligazione doganale all’importazione sorge in seguito: a) all’immissione in libera pratica di una merce soggetta a dazi all’importazione, oppure b) al vincolo di tale merce al regime dell’ammissione temporanea con parziale esonero dai dazi all’importazione. 2. L’obbligazione doganale sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana. 3. Il debitore è il
dichiarante. In caso di rappresentanza indiretta è parimenti debitrice la persona per conto della quale è presentata la dichiarazione in dogana. Quando una dichiarazione in dogana per uno dei regimi di cui al paragrafo 1 è redatta in base a dati che determinano la mancata riscossione, totale o parziale, dei dati dovuti per legge, le persone che hanno fornito detti dati necessari alla stesura della dichiarazione, e che erano o avrebbero dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della loro erroneità, possono parimenti essere considerate debitori conformemente alle vigenti disposizioni nazionali ».
3.3 Come questa Corte ha già precisato:
-) « Il novero dei soggetti responsabili rinviene la propria inderogabile fonte nel codice doganale comunitario, giacché…il legislatore dell’Unione ha inteso fissare in modo completo, a partire dall’entrata in vigore del codice doganale, le condizioni per determinare le persone debitrici dell’obbligazione doganale (Corte giustizia 17 novembre 2011, C-454/10, COGNOME, punto 12; Corte giustizia 15 settembre 2005, C140/04, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, punto 30; Corte giustizia 3 marzo 2005, C-195/03, Papismedov, punto 38; Corte giustizia 23 settembre 2004, C- 414/02, RAGIONE_SOCIALE, punto 39) (Cass. n. 7720 del 2013) »;
-) « La responsabilità del rappresentante indiretto dichiarante è», quindi, «logica conseguenza della nozione stessa della rappresentanza indiretta. Si consideri che la rappresentanza indiretta concerne i rapporti interni fra ausiliario e preponente, di guisa che non comporta, in rapporto ai terzi (compreso l’ufficio doganale), alcuna sostituzione, neanche limitatamente alla fattispecie: il rappresentante indiretto, agendo in nome proprio, quantunque nell’altrui interesse, diviene parte sia della fattispecie, sia del regolamento che ad esso si connette, assumendo per conseguenza la veste di obbligato nei confronti dei terzi, compreso l’ufficio doganale» (Cass. n. 17496 del 2019) ;
-) « La Corte di giustizia, al riguardo, ha chiarito, con riguardo alla figura dell’intermediario, sia pure con riferimento alla diversa ipotesi contemplata dall’art. 202 C.d.c., n. 3, che la norma … fa riferimento al comportamento di un operatore diligente ed accorto (Corte di giustizia, COGNOME, punto 22)» e «che la diligenza evocata è una diligenza qualificata ragguagliata, a norma dell’art. 1176 c.c., comma 2, alla natura dell’attività esercitata», che implica un obbligo d’informazione, ma anche di attenta verifica dell’esattezza dei dati dichiarati, strumentali rispetto al corretto espletamento dell’incarico conferito (Così in Cass. n. 7720 del 2013 e in Cass. n. 1148 del 2018) .
-)  « Ciò  non  implica  che  quella  posta  a  carico  RAGIONE_SOCIALE  spedizioniere rappresentante indiretto integri una forma di responsabilità oggettiva, giacché  questi  potrà  comunque  andare  esente  da  responsabilità  se prova di aver agito in buona fede, alle condizioni previste dall’art. 220, § 2, lett. b, CDC (Cass. n. 17496 del 2019)» (cfr. Cass., 3 luglio 2023, n. 18627, in motivazione).
3.4 E’ stato, dunque, affermato il seguente principio di diritto, che, condiviso, deve essere ribadito in questa sede: « Lo spedizioniere rappresentante indiretto, ai sensi dell’art. 201, par. 3, prima parte, del CDC (Reg. CEE del 12 ottobre 1992 n. 2913) risponde RAGIONE_SOCIALE obbligazioni doganali in solido con l’importatore per il fatto di aver reso la dichiarazione in proprio, an corché per conto di quest’ultimo, e tuttavia tale responsabilità non è qualificabile come responsabilità oggettiva in quanto il rappresentante indiretto è abilitato ad esimersi, in tutto o in parte, da essa fornendo la prova di aver agito nella scrupolosa osservanza dei doveri, segnatamente d’informazione, derivantigli dalla diligenza qualificata cui, a norma dell’art. 1176, comma 2, cod. civ., soggiace nell’espletamento dell’attività professionale e, comunque, dimostrando che il proprio comportamento sia stato improntato al rispetto del principio di buona fede, alle condizioni previste dall’art. 220, par. 2, lett. b, CDC (‘ratione temporis’ applicabile) » (cfr. Cass.,
3 luglio 2023, n. 18627, citata; e fra le tante Cass., 18 gennaio 2018, n. 1142; Cass. 26 febbraio 2019, n. 5563; Cass., 17 maggio 2019, nn. 13381 e 13382 , richiamate anche dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ).
4. Il quarto mezzo deduce l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in relazione alla responsabilità solidale del Cad per la presunta sottofatturazione. La sentenza impugnata, pur dando atto che ai fini della responsabilità solidale RAGIONE_SOCIALE spedizioniere doveva essere valutata la colpevolezza RAGIONE_SOCIALE stesso, aveva omesso di considerare una serie di fatti significativi e decisivi ai fini del presente giudizio: « l’esponente ha agito su specifico mandato di RAGIONE_SOCIALE, la quale ha fornito tutta la documentazione commerciale per lo sdoganamento della merce (pag. 16, ricorso di primo grado; all. 3, ricorso di primo grado; pag. 11, controdeduzioni in appello); il valore dichiarato nel DV1 dall’importatore era assolutamente congruo (pag. 17, ricorso di primo grado; all. 3, ricorso di primo grado; pag. 11, controdeduzioni in appello); la presenza sul mercato nella vendita al dettaglio di calzature a un prezzo di rivendita di euro 14,90 (all. 2, nota deposito documenti di primo grado, pag. 11, controdeduzioni); in relazione a un’identica importazione effettuata per conto della RAGIONE_SOCIALE l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dogane a seguito di un controllo fisico della merce ha attestato la conformità del valore RAGIONE_SOCIALE merci rispetto al dichiarato (pag. 18, ricorso di primo grado, all. 15, ricorso di primo grado, pag. 12, controdeduzioni); come risulta dal processo verbale di constatazione la documentazione dalla quale si evincerebbe la presunta sottofatturazione non è stata rinvenuta tra la documentazione commerciale, ma solo a seguito di una perquisizione presso la sede dell’importatore. E invero, nel suddetto processo verbale si legge che “nel corso della perquisizione era sequestrata numerosa documentazione, contabile ed extracontabile,
dal cui esame preliminare emergono conferme sul reale valore RAGIONE_SOCIALE calzature importate dalla società RAGIONE_SOCIALE: n. 3 polizze assicurative” (pag. 6, processo verbale di constatazione, all. 4, ricorso di primo grado). Non corrisponde pertanto al vero quanto affermato dalla sentenza impugnata, secondo la quale le suddette polizze assicurative sulla base RAGIONE_SOCIALE quali “La Dogana ha potuto ricostruire la sottofatturazione (…) accompagnavano la merce in viaggio”. Ne consegue che, il Cad non poteva avere conoscenza di tali elementi, rinvenuti nel corso di un’attività di verifica presso la sede dell’importatore ».
4.1 Il motivo è inammissibile, in quanto esula dal limitato perimetro entro il quale può denunciarsi il vizio di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del decreto legge n. 83 del 20123, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, poiché con esso deve farsi riferimento all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia (cfr. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014 n. 8053). Ne deriva che il mancato esame di elementi istruttori non integra di per sé il fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la
4.2 sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
4.3 Il motivo è pure infondato perché la Commissione tributaria regionale ha affermato (alle pagine 4 e 5 della sentenza impugnata) che la diligenza esigibile non poteva ridursi al mero controllo della regolarità formale della documentazione da presentare in Dogana, in quanto la diligenza richiesta a norma dell’art 1176, comma 2, cod. civ., implicava un obbligo d’informazione, ma anche di attenta verifica dell’esattezza dei dati dichiarati, strumentali rispetto al corretto espletamento dell’incarico conferito e che la richiesta all’importatore
RAGIONE_SOCIALE polizze assicurative, che normalmente facevano riferimento al reale valore della merce per ottenere il giusto ristoro in caso di danneggiamenti o incidenti, era un’accortezza che senz’altro poteva richiedersi allo spedizioniere e che le transazioni che avvenivano con la Cina presentavano spesso rischi di questo tipo anche perché era notorio che molte aziende cinesi fruivano di rimborsi Iva ed agevolazioni fiscali in proporzione alle esportazioni che effettuano, così escludendo che la responsabilità solidale fosse attribuita a titolo di responsabilità oggettiva. I giudici di secondo grado, dunque, hanno motivato sul punto, inquadrando dapprima la responsabilità richiesta al rappresentante indiretto ed, in particolare, la diligenza professionale cui il rappresentate indiretto era tenuto, non circoscrivibile al mero controllo formale della documentazione da presentare in dogana e hanno, poi, valorizzato gli elementi da cui l’Amministrazione finanziaria aveva ricostruito l’effettivo valore della merce, ciò che poteva e doveva essere appurato dallo stesso CAD, sottolineando, peraltro, la particolare area di provenienza della merce, che doveva indurre a specifici accorgimenti.
4.4 La  motivazione,  priva  di  salti  logici,  è  sufficiente,  dunque,  ad escludere il vizio di motivazione e la censura prospettata dalla società ricorrente, nella parte in cui mette in evidenza ulteriori elementi, che a dire della stessa società avrebbero dovuto essere ponderati, rivela solo un inammissibile tentativo, dinanzi al giudice di legittimità, di riesame del merito della vicenda.
Il quinto mezzo deduce la violazione dell’art. 36, secondo comma, del  decreto  legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546,  in  relazione all’art.  360,  primo  comma,  n.  4,  cod.  proc.  civ.,  motivazione apparente  in  merito  all’applicabilità  dell’art.  239  C.d.c.,  avendo  i giudici  di  secondo  grado,  a  pag.  4  della  sentenza  impugnata,  fatto un’affermazione,  senza  spiegarne  le  motivazioni ( «L’applicazione dell’art. 202 secondo l’interpretazione suggerita dal contribuente
e cioè in caso di dati non veritieri risponde oltre a colui che ha introdotto materialmente le merci e coloro che avrebbero dovuto ragionevolmente accorgersi dell’irregolarità, non condurrebbe a un’esclusione della sua responsabilità poiché la società può essere chiamata a rispondere in quanto le si può imputare una mancanza di diligenza che rileva sul piano della colpa escludendo una forma di responsabilità oggettiva; ciò rende inconferente qualsiasi riferimento all’art. 239 C.d.c.») .
5.1 Il  motivo  è  infondato,  perché, a  differenza di quanto sostenuto dalla difesa della società ricorrente, la motivazione non è apparente, per aver già chiarito la Commissione tributaria regionale le ragioni per le quali ha ritenuto di addebitare alla società appellante una mancanza di  diligenza  nel  compimento  dei  suoi  obblighi  al  momento  della presentazione della dichiarazione di importazione della merce.
5.2 Tanto è sufficiente ad escludere il vizio processuale denunciato, poiché, come chiarito da questa Corte, sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento (Cass., 5 luglio 2022, n. 21302; Cass., 1 marzo 2022, n. 6758).
Il sesto mezzo deduce la violazione dell’art. 239 C.d.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata violava l’art. 239 C.d.c., che, nella versione vigente all’epoca dei fatti, prevede che «si può procedere al rimborso o allo sgravio dei dazi all’importazione (…) in situazioni dovute a circostanze che non implicano frode o manifesta negligenza da parte dell’interessato». Nel caso di specie, sia la sentenza impugnata, che l’Amministrazione avevano riconosciuto l’assenza di
frode nel comportamento dell’esponente, implicitamente ravvisando i presupposti per l’applicazione dell’art. 239 C.d.c..
6.1 Il motivo è infondato.
6.2 Ed invero, questa Corte ha precisato, al riguardo, che l’art. 239 del Reg. CEE n. 2913 del 1992, con cui è possibile formulare una domanda di sgravio, costituisce una clausola generale di equità, applicabile in costanza di situazioni particolari ed in assenza di simulazioni e di negligenza manifesta da parte dell’interessato (cfr. Cass., 3 agosto 2023, n. 23661; Cass., 8 febbraio 2019, n. 3739). Sennonché tale ultima condizione manca nel caso di specie, proprio per quanto già chiarito in sentenza con riguardo alla negligenza accertata in capo alla società ricorrente . D’altronde, in materia di rimborso o sgravio dei dazi all’importazione ex art. 239 del Reg. CEE n. 2913 del 1992, è la giurisprudenza unionale ad individuare costantemente, quale presupposto essenziale, l’assenza di negligenza dell’interessato (tra le più recenti cfr. CGUE 3 febbraio 2021, in causa C-92-20; CGUE 25 luglio 2018, in causa C-574-17).
Il settimo mezzo deduce la violazione dell’art. 36, secondo comma, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., motivazione apparente in merito all’eccepita assenza di responsabilità dell’esponente per interruzione del nesso causale. I giudici di secondo grado avevano motivano, a pag. 5 della sentenza impugnata (« l’esistenza del processo penale non interrompe il nesso causale per coloro che non sono chiamati a rispondere del reato di contrabbando e dei reati satellite; sul piano amministrativo la responsabilità nasce come già affermato in precedenza dal mancato esercizio di quella particolare forma di diligenza richiesta a un operatore professionale »), il mancato riconoscimento dell’interruzione del nesso causale facendo riferimento a un’argomentazione contraddittoria, in quanto proprio il procedimento penale nei confronti di un terzo era idoneo a interrompere il nesso
causale  tra  l’evento  dannoso  consistente  nella  pretesa  evasione  di imposta e la condotta del dichiarante.
7.1 Il settimo motivo, che dovrebbe ritenersi assorbito in ragione della ritenuta infondatezza del primo motivo, è comunque infondato, perché, come già rilevato con riferimento al quinto motivo, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa della società ricorrente, la motivazione non è apparente, per aver già chiarito la Commissione tributaria regionale le ragioni per le quali ha ritenuto di addebitare alla società ricorrente una mancanza di diligenza nel compimento dei suoi obblighi al momento della presentazione della dichiarazione di importazione della merce. Più precisamente, la corretta affermazione della responsabilità del CAD, quale rappresentante indiretto, ai fini del pagamento dei dazi doganali , e l’altrettanto corretto riconoscimento della sua negligenza nel compimento RAGIONE_SOCIALE attività doganali, in occasione dell’importazione della merce, sterilizzano ogni ulteriore argomentazione addotta dalla società per sottrarsi al riconoscimento della responsabilità solidale. Nessuna rilevanza può pertanto assumere il promovimento del processo penale nei soli confronti dell’importatore. 8. L’ottavo mezzo deduce la violazione dell’art. 201, 205, Direttiva Iva 112 del 2006, dell’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata aveva illegittimamente esteso l’asserita responsabilità solidale RAGIONE_SOCIALE spedizioniere anche all’Iva all’importazione. Ed invero, come emergeva dalle norme richiamate e dalla giurisprudenza di legittimità e comunitaria, l’eventuale responsabilità solidale RAGIONE_SOCIALE spedizioniere, che agiva in rappresentanza indiretta, riguardava esclusivamente l’obbligazione doganale e non era estensibile all’Iva all’importazione che restava esclusa dall’ambito di applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 43 del 1973.
8.1 Il motivo è fondato.
8.2 Ed invero, tanto premesso in punto di responsabilità del rappresentante indiretto in tema di dazi doganali, a diversa conclusione deve, invece, pervenirsi con riguardo all’IVA all’importazione alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui « L’IVA all’importazione non fa parte dell’obbligazione doganale definita dall’art. 5 del Regolamento UE del 9 ottobre 2013, n. 952 (istitutivo del codice doganale dell’Unione) e, pertanto, del suo mancato pagamento risponde unicamente l’importatore e non anche il suo rappresentante indiretto, in assenza di specifiche ed inequivoche disposizioni nazionali che ne prevedano la responsabilità solidale » (cfr. Cass.. 27 luglio 2022, n. 23526; Cass., 3 agosto 2023, n. 23661).
8.3 Va, al riguardo, precisato che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che « L’art. 201 della direttiva IVA n. 2006/112/CE non opera un rinvio alle disposizioni del codice doganale per quanto riguarda l’obbligo di pagare l’IVA, bensì prevede che tale obbligo incombe alla persona o alle persone designate o riconosciute dallo RAGIONE_SOCIALE membro di importazione (punto 50), lasciando, pertanto, un potere discrezionale agli Stati membri per designare i soggetti debitori di tale imposta, che può ricomprendervi anche il rappresentante indiretto dell’importatore (punti 54 -57) e che, tuttavia, le disposizioni di una direttiva devono «essere attuate con un’efficacia cogente incontestabile, con la specificità, la precisione e la chiarezza necessarie per garantire pienamente la certezza del diritto (punto 26) » (Corte di Giustizia UE, sentenza del 24 ottobre 2013, Commissione/Spagna, C-151/12, EU:C:2013:690). A tal fine « è indispensabile che la situazione giuridica derivante dalle misure nazionali di trasposizione di una direttiva sia sufficientemente precisa e chiara da permettere ai singoli interessati di conoscere l’ampiezza dei loro diritti e obblighi» (Corte di Giustizia UE, sentenza del 14 febbraio 2012, Flachglas Torgau, C-204/09, EU:C:2012:71, punto 60)».
8.4 Ancor più di recente, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che « L’articolo 77, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione, deve essere interpretato nel senso che, in base a tale sola disposizione, il rappresentante doganale indiretto è debitore unicamente dei dazi doganali dovuti per le merci che ha dichiarato in dogana e non anche dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione per le stesse merci. L’articolo 201 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che non può essere riconosciuta la responsabilità del rapprese ntante doganale indiretto per il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione, in solido con l’importatore, in assenza di disposizioni nazionali che lo designino o lo riconoscano, in modo esplicito e inequivocabile, come debitore di tale imposta» (Corte di Giustizia UE, sentenza del 12 maggio 2022, causa C-714-20, richiamata anche dalla società ricorrente).
8.5 Questa Corte ha, quindi, correttamente rilevato, con ciò superando il precedente orientamento ( secondo cui del pagamento dell’IVA all’importazione risponde non soltanto l’importatore, ma anche solidalmente il suo rappresentante indiretto, che abbia presentato la dichiarazione doganale, stante la previsione di cui all’art. 201, par. 3, CDC, dovendo tale obbligazione ricomprendersi tra gli oneri doganali, ancorché non sia classificabile come “diritto di confine”), sicché deve essere accertata e riscossa nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo, ossia il fatto dell’importazione, Cass., 27 aprile 2021, n. 11029; Cass., 4 dicembre 2019, n. 31611; Cass., 18 aprile 2018, n. 9455 ) che « In questo contesto l’interpretazione fino ad oggi sostenuta dalla Corte si pone in contrasto con la menzionata decisione della Corte di giustizia in quanto, una volta venuto meno il richiamo all’art. 77, § 3, CDU (già art. 201, § 3, CDC), nell’ordinamento interno non esiste
una disposizione che indichi, in maniera sufficientemente chiara e precisa, che il rappresentante indiretto doganale debba rispondere anche dell’IVA all’importazione», non esistendo nell’ordinamento interno una norma che preveda «in modo esplicito e inequivocabile» la responsabilità del rappresentante doganale indiretto per il pagamento dell’IVA all’importazione in solido con la persona che gli ha conferito un mandato (punto 63 della citata sentenza della CGUE). Una tale disposizione, infatti, «non è rinvenibile: a) negli artt. 34 e 38 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, non facendo parte l’IVA all’importazione dell’obbligazione doganale, come più sopra si è già evidenziato; b) nell’art. 3, secondo comma, del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, («I dazi, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione ed all’esportazione previsti dai regolamenti comunitari sono accertati, liquidati e riscossi secondo le disposizioni dei regolamenti stessi nonché, ove questi rinviino alla disciplina dei singoli Stati membri o comunque non provvedano, secondo le norme del testo unico RAGIONE_SOCIALE disposizioni legislative in materia doganale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e RAGIONE_SOCIALE altre leggi in materia doganale»), che contiene una disposizione concernente unicamente le modalità di riscossione e non anche la responsabilità di specifici soggetti; c) negli artt. 1 e 70, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che, ugualmente, attengono alla riscossione dell’imposta e non individuano il soggetto responsabile del pagamento; d) nell’articolo 2, primo comma, del d.l. 29 dicembre 1983, n. 746, conv. con modif. nella l. 27 febbraio 1984, n. 17, che attiene alla omessa o falsa dichiarazione di intenti in caso di cessione ad esportatore abituale ed è, quindi, inapplicabile alla fattispecie, non coinvolgendo, in ogni caso, specificamente, il rappresentante indiretto dell’importatore » (cfr. Cass., 27 luglio 2022, n. 23526, in motivazione).
8.6 Deve, dunque, essere ribadito il principio di diritto, condiviso da questo  Collegio,  secondo  cui  « L’IVA  all’importazione  non  fa  parte
dell’obbligazione doganale definita dall’art. 5 del Regolamento UE del 9 ottobre 2013, n. 952 (istitutivo del codice doganale dell’Unione) e, pertanto, del suo mancato pagamento risponde unicamente l’importatore e non anche il suo rappresentante indiretto, in assenza di specifiche ed inequivoche disposizioni nazionali che ne prevedano la responsabilità solidale » (Cass., 27 luglio 2022, n. 23526, citata).
8.7 Ciò posto, premesso che nel caso in esame, l’RAGIONE_SOCIALE ha richiesto alla società ricorrente, in qualità di rappresentante indiretto dell’importatore (società RAGIONE_SOCIALE) il pagamento sia del maggiore dazio, che dell’Iva all’import azione, la sentenza impugnata non ha correttamente applicato i principi suesposti avuto riguardo al pagamento dell’Iva all’importazione. Ed invero, i giudici di secondo grado hanno affermato la sussistenza della responsabilità solidale anche in relazione a ll’Iva, richiamando, peraltro, l’orientamento di questa Corte , secondo cui del pagamento dell’Iva rispondeva in via solidale sia l’importatore, che il suo rappresentante indiretto, che, per quanto rilevato, deve ritenersi superato (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
9. Il nono mezzo deduce la violazione dell’art. 36, secondo comma, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., motivazione apparente in merito all’eccepita errata metodologia di calcolo del valore doganale della merce. La sentenza presentava una motivazione apparente in merito all’eccepita errata metodologia di calcolo del valore doganale della merce, essendosi l’Ufficio limitato a sommare al valore dichiarato le somme corrisposte dall’importatore per una serie di servizi prestati da diverse società cinesi alla società italiana. Ed invero, i giudici di secondo grado, a pag. 5 della sentenza impugnata (« E’ stato contestato che nel ricostruire il reale valore della merce importata la dogana avrebbe inserito tra i costi che andavano ricompresi in detto valore oltre quelli indicati negli artt. 28-32 c.d.c. anche quello relativo alla
ricerca sul territorio cinese di aziende aventi le capacità produttive organizzative; la Dogana ha sottolineato come esaminando la tabella riportata a pag. 22 del provvedimento in cui sono elencati i costi aggiunti al valore dichiarato non vi è l’inserimento della voce contestata») avevano motivato esclusivamente in merito a una RAGIONE_SOCIALE diverse voci (ricerca nel territorio cinese di aziende – commissioni di acquisto) che l’Ufficio aveva aggiunto al valore di transazione regolarmente dichiarato all’importazione, peraltro a detta degli stessi non ricompresa nel valore doganale rettificato, e non agli altri elementi di costo addizionati dall’Ufficio (controllo qualità, realizzazione disegni e stampi, ecc.), come previsto dall’art. 32, par. 1, C.d.c. che disponeva che dovevano essere aggiunti al valore in dogana (prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate): «a) i) commissioni e spese di mediazione, escluse le commissioni di acquisto (…) b) ii) utensili, matrici, stampi e oggetti similari utilizzati per la produzione RAGIONE_SOCIALE merci importate (…) iv) lavori di ingegneria, di studio, d’arte e di design, piani e schizzi, eseguiti in un Paese non membro della comunità e necessari per produrre le merci importate».
9.1 Il motivo è inammissibile ed anche infondato.
9.2 In disparte il rilievo che il vizio dedotto non può consistere in un apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza RAGIONE_SOCIALE prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511), nel caso in esame, la censura si appalesa aspecifica, poiché non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato, che, lungi dal non considerare l’argomentazione difensiva della società appellante, l’ha, invece, esaminata, affermando che, contrariamente a quanto asserito dalla società ricorrente, la voce
contestata («ricerca sul territorio cinese di aziende aventi le capacità produttive organizzative») non era stata inserita ai fini della ricostruzione del reale valore della merce importata, come emergeva esaminando la tabella riportata a pag. 22 del provvedimento (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
9.3 Il motivo è anche infondato, perchè la sentenza impugnata ha, per quanto  esposto,  motivato  secondo  il  prudente  apprezzamento  RAGIONE_SOCIALE concrete circostanze acquisite al processo e nell’esercizio del potere giurisdizionale tipicamente attribuito al giudice del merito, che, come già detto, non è suscettibile di valutazione in sede di legittimità.
Il decimo mezzo deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in ordine all’eccepita violazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. Nel corso dei giudizi di merito, la società ricorrente aveva lamentato il difetto di prova del provvedimento impugnato, giacché l’Ufficio, per rideterminare il valore dichiarato, si era limitato a «dividere il totale costi per servizi che erano da attribuire al valore RAGIONE_SOCIALE merci in dogana ai sensi dell’art. 32 c.d.c. per il numero di calzature importate», negli anni 2010-2013. E invero, soltanto l’esame dettagliato dei contratti stipulati dall’importatore con i soggetti cinesi, fornitori dei servizi, avrebbe permesso di individuare correttamente le prestazioni correlate alle importazioni RAGIONE_SOCIALE merci de quibus, da sommare al valore doganale, mentre l’Ufficio, al posto di suddividere tali prestazioni di servizi per tutte le calzature importate nel triennio 2010-2013, avrebbe dovuto individuare a quale tipologia di merce le singole fatture di servizi fossero riconducibili, con la conseguenza che, il prezzo RAGIONE_SOCIALE fatture per la creazione dei modelli e per la realizzazione dei prototipi e degli stampi non poteva essere addebitato indistintamente a tutte le calzature importate nel triennio.
10.1 Il motivo è inammissibile, sia perché del tutto generico, nella sua concreta prospettazione, sia per difetto di specificità, non indicando lo specifico contenuto della eccezione sollevata (violazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione ai criteri utilizzati per la rideterminazione del valore della merce) nel giudizio di primo grado e in quello di secondo grado, sia, infine, perché anche in questo caso con la censura formulata si tenta inammissibilmente di riportare dinanzi al giudice di legittimità questioni attinenti al merito.
10.2 Deve, infatti, ribadirsi che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. anche Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404).
11. L’undicesimo mezzo deduce la violazione dell’art. 232 del Reg. CEE del 12 ottobre 1992, n. 2913, vigente ratione temporis, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata era errata, nella parte in cui aveva affermato che gli interessi di mora decorrevano dal momento in cui la merce era stata introdotta in Italia, perché in quel momento doveva avvenire l’esatto pagamento dei tributi. L’Ufficio era legittimato a riscuotere gli interessi di mora esclusivamente per il periodo successivo alla
contabilizzazione dell’obbligazione doganale o, al più tardi, dal decimo giorno successivo alla notifica dei provvedimenti impugnati.
11.1 Il motivo è infondato.
11.2 Ed invero questa Corte ha affermato che « In materia di tributi doganali, gli interessi moratori dovuti per tardivo pagamento imputabile al soggetto passivo (che, nella specie, aveva erroneamente indicato nella bolletta d’importazione il valore RAGIONE_SOCIALE merci) decorrono dal momento  in  cui si verifica il presupposto dell’obbligazione tributaria, costituito, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, dalla ‘destinazione al consumo’ RAGIONE_SOCIALE merci » (Cass., 17 ottobre 1997, n. 10184).
11.3 In particolare, è stato osservato che, « In materia di tributi doganali e con riferimento agli interessi dovuti per il tardivo pagamento dei relativi importi, la disposizione dell’art. 86 del T.u. 23 gennaio 1973 n. 43, che ne prevede il computo per semestri solari compiuti a partire dal semestre successivo a quello in cui il credito è divenuto esigibile assume quest’ultima espressione (“in cui il credito è divenuto esigibile”) come equipollente a quella (“l’obbligazione sorge”) contenuta nel precedente art. 36 e che in applicazione di tale normativa, i suddetti interessi decorrono dal momento in cui si verifica il presupposto dell’obbligazione tributaria, costituito, ai sensi del citato art. 36, dalla “destinazione al consumo” (rispettivamente) entro o fuori il territorio doganale (a seconda che si tratti di merci straniere importate ovvero nazionali esportate da o per paesi extracomunitari); destinazione che si intende a sua volta verificata con la dichiarazione di importazione (o di esportazione) definitiva, ai sensi del comma 2 del medesimo art. 36; inoltre, il fondamento del debito di detti interessi è collegato al ritardo nel pagamento dei diritti doganali dovuti ed in tale ritardo sta la colpa del debitore e non nel motivo che lo ha determinato ed in ordine ad essa vale la presunzione sancita dall’art. 1218 cod. civ.,
che  fa  salva  la  causa  non  imputabile »  (Cass.,  17  ottobre  1997,  n. 10184, in motivazione).
11.4 Più di recente, è stato evidenziato, sotto altro profilo, qui tuttavia parimenti rilevante, che « In tema di tributi doganali, il termine triennale di prescrizione fissato all’amministrazione per il recupero “a posteriori” dei dazi all’importazione o all’esportazione, in caso di mancata contabilizzazione all’atto dell’operazione (nella specie, non essendo intervenuta alcuna liquidazione nelle bollette per essere la merce esentata dal pagamento del dazio), decorre dalla data di “esigibilità” dei diritti, secondo la previsione dell’art. 84 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, vale a dire dal giorno di effettuazione dell’operazione (qui, di importazione), che segna il verificarsi di tutti gli elementi costitutivi della pretesa tributaria, rappresentando l’evento certo ed obbiettivo della nascita dell’obbligazione doganale, che coincide con la destinazione al consumo nel territorio comunitario a seguito RAGIONE_SOCIALE svincolo della merce (art. 36), e non dalla data di determinazione finale del tributo, al pari di altre ipotesi di differimento della liquidazione e riscossione, nelle quali il presupposto dell’obbligazione è sempre individuato nella importazione della merce e non nella determinazione finale del tributo (nella specie, il giudice di merito aveva, invece, ritenuto che il momento di “esigibilità” dei diritti coincidesse con la rettifica dell’accertamento) » (Cass., 6 settembre 2006, n. 19193).
11.5 La sentenza impugnata è conforme ai principi esposti, avendo affermato che gli interessi di mora decorrevano dal momento dell’introduzione della merce in Italia, momento che individuava anche l’esatto pagamento dei tributi (cfr. 6 della sentenza impugnata), ciò per come stabilito dall’art. 86 del d.P.R. n. 43 del 1973, che dispone, al primo comma, che: « Per il ritardato pagamento dei diritti doganali e di tutti gli altri tributi che si riscuotono in dogana si applica un interesse pari al tasso stabilito per il pagamento differito dei diritti doganali, di
cui all’articolo 79, maggiorato di quattro punti. L’interesse si computa per mesi compiuti a decorrere dalla data in cui il credito è divenuto esigibile »; peraltro, la Corte di giustizia, nella sentenza del 31 marzo 2011, resa nella causa C-546/09, ha affermato, in linea con i principi sopra esposti, che la riscossione degli interessi di mora è subordinata all’assenza di pagamento dell’importo dei dazi entro il termine stabilito e che non si può procedere a siffatta riscossione quando il debitore dell’obbligazione doganale l’abbia assolta nel termine che gli è stato concesso; gli interessi di mora perseguono la finalità di ovviare alle conseguenze derivanti dal superamento del termine di pagamento e, in particolare, di evitare che il debitore dell’obbligazione doganale tragga indebitamente vantaggio dalla circostanza che gli importi dovuti in forza di tale obbligazione rimangono a sua disposizione oltre il termine fissato per il pagamento; considerato poi che le disposizioni comunitarie prevedono che il pagamento dell’obbligazione doganale, entro cinque giorni dalla scadenza, autorizza le autorità doganali a rinunciare alla riscossione degli interessi di mora, anche il calcolo di questi ultimi deve necessariamente avere come punto di partenza tale scadenza; secondo il codice doganale (articolo 232, n. 1, lett. b), pertanto, gli interessi di mora possono essere riscossi soltanto per il periodo successivo alla scadenza del termine di pagamento dell’obbligazione doganale, dato che tale articolo non è volto né a prevenire le perdite finanziarie subite dalle autorità doganali né a compensare i vantaggi a favore degli operatori derivanti dai ritardi verificatisi, a causa del comportamento di questi ultimi, nella contabilizzazione dell’obbligazione doganale e nella fissazione dell’importo o del debitore di tale obbligazione.
Il dodicesimo mezzo deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in ordine all’eccepita violazione degli artt. 5, primo comma,  6, 10 e 11, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. La società ricorrente,
nel corso del giudizio di merito di primo grado e di secondo grado, aveva eccepito la violazione degli artt. 5, primo comma, 6, 10 e 11, del decreto legislativo n. 472 del 1997, relativi alla mancanza dell’elemento soggettivo RAGIONE_SOCIALE sanzioni, ma il giudice non si era pronunciato su tale motivo. Nel caso di specie, la condotta della società ricorrente era stata rispettosa RAGIONE_SOCIALE regole di diligenza e correttezza professionale e per ogni operazione doganale aveva depositato tutta la documentazione necessaria per effettuare l’importazione. La società ricorrente, in assoluta buona fede, aveva dichiarato il valore del prodotto fornito dall’importatore e attestato dalla fattura di vendita, né avrebbe potuto fare altrimenti, pur ispirata alle più rigorose regole di diligenza, posto che soltanto approfondite indagini di polizia giudiziaria avrebbero potuto rivelare la presunta incongruenza nel valore dichiarato.
12.1 Il motivo è inammissibile.
12.2 Innanzi tutto, alla mera affermazione relativa al mancato esame dell’eccepita violazione degli artt. 5, primo comma, 6, 10 e 11 del decreto legislativo n 472 del 1998, relativi alla mancanza dell’elemento soggettivo RAGIONE_SOCIALE sanzioni, alla quale non fa riferimento il giudice di appello, non si associa alcun riferimento al contenuto della eccepita violazione, inteso a consentire a questa Corte una verifica ≪ prima facie ≫ , della fondatezza della doglianza, non essendo sufficiente, al riguardo, l’indicazione della pagine del ricorso di primo grado (pag. 39) e RAGIONE_SOCIALE controdeduzioni in appello (pag. 36) (cfr. Cass., 8 giugno 2016, n. 11738; Cass., 4 luglio 2014, n. 15367; Cass., 4 marzo 2013, n. 5344).
12.3 E ciò anche in conformità al principio statuito, di recente,  dalle Sezioni Unite della Corte secondo cui « Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. -quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28
ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno RAGIONE_SOCIALE censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito » (Cass., Sez. U., 18 marzo 2022, n. 8950).
12.4 La trascrizione , nell’odierno ricorso, RAGIONE_SOCIALE specifico contenuto dell’eccepita violazione degli artt. 5, primo comma, 6, 10 e 11 del decreto legislativo n. 472 del 1997, sarebbe stato necessaria anche alla luce di quanto si legge, a pag. 2 della sentenza impugnata (illegittima sospensione dell’irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni; assenza di una norma che prevede il principio di solidarietà RAGIONE_SOCIALE spedizioniere per le sanzioni; violazione del principio di proporzionalità; applicazione dell’art. 12 del decreto leg islativo n. 472 del 1997 ) e a pag. 6 della sentenza impugnata ( illegittima sospensione dell’irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni; violazione del principio di proporzionalità; applicazione dell’art. 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997 ), dove vengono specificamente indicate le censure formulate dalla società ricorrente sull’atto di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni, come sopra riportate, ma non quella della violazione degli artt. 5, primo comma, 6, 10 e 11 del decreto legislativo n. 472 del 1997.
12.5 Il motivo è anche infondato, perché l’appello dell’ Ufficio era indirizzato proprio a criticare la sentenza del giudice di primo grado sulla pretesa insussistenza dell’elemento soggettivo, anche solo nel senso della contestazione di una condotta colposa. Quanto poi alla sentenza, in conseguenza e come già ripetutamente chiarito, in essa il giudice d’appello si è ampiamente soffermato sulla responsabilità del CAD per condotta negligente. L’elemento soggettivo è stato , dunque, preventivamente esaminato e la pronuncia sulle sanzioni ha investito tutti gli elementi relativi alla loro applicabilità.
12.6 Deve richiamarsi, in proposito, l’orientamento di questa Corte secondo cui « ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia » (Cass., 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass., 26 novembre 2013, n. 26397; Cass., 18 giugno 2018, n. 15936).
Il tredicesimo mezzo deduce la violazione del principio di proporzionalità e dell’art. 7, quarto comma, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. Nel caso di specie, l’Ufficio, ovvero il Giudice avrebbero dovuto applicare l’art. 7, quarto comma, del decreto legislativo n. 472 del 1997, a norma del quale «qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo». E invero, l’applicazione della norma di cui all’art. 303 TULD aveva determinato, con evidente sproporzione nell’applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni, l’irrogazione di una sanzione di euro 247.206,00 per 8 bollette di importazione, giacché per le restanti 7 l’Amministrazione stessa si era ritenuta decaduta dal potere di irrogare le sanzioni, a fronte di maggiori diritti pretesi per euro 133.188,01 per 14 bollette di importazione.
13.1
Il motivo è fondato.
13.2 La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha più volte affermato, con  un principio che si applica anche al diritto doganale, in quanto materia armonizzata (cfr. Regolamento (UE) n. 952/2013 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013), che le sanzioni non devono eccedere quanto necessario per conseguire gli obiettivi di garantire l’esatta riscossione dell’IVA all’importazione e di evitare l’evasione ( cfr. Corte di Giustizia sentenze 8 maggio 2008, RAGIONE_SOCIALE, C-95/07 e C-96/07, punti da 65 a 67; 12 luglio 2012, RAGIONE_SOCIALE, C-284/11, punto 67) ed ha anche precisato che, nella determinazione della misura della sanzione irrogabile, laddove vi sia un’entità percentuale fissata per la maggiorazione e l’impossibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni caso di specie, non è escluso che tale modalità di determinazione dell’importo della sanzione, e dunque la parte corrispondente della medesima, possa rivelarsi sproporzionata (Corte di Giustizia, sentenza 19 luglio 2012, Rēdlihs, C -263/11, punto 52; sentenza Equoland cit., para 45).
13.3. In applicazione di tali principi, questa Sezione ha già fatto ricorso alla disapplicazione del regime sanzionatorio per contrasto con il principio di proporzionalità, affermando, ad esempio, in materia d’IVA, che la sanzione prevista dall’art. 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, applicabile all’importatore che si sia avvalso del sistema di sospensione del versamento dell’imposta all’importazione senza immettere materialmente la merce nel deposito fiscale, deve essere disapplicata per contrarietà al diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte di Giustizia, ove ecceda, in ragione della percentuale fissata per la maggiorazione e dell’impossibilità di graduarne la misura alle circostanze concrete, il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione ed evitare l’evasione, atteso che, tenuto conto della natura formale della violazione, potrebbero costituire un’adeguata sanzione anche i soli interessi moratori (Cass., 8 settembre 2015, n. 17814) e, più di recente, ha statuito il seguente principio di diritto: « La disposizione dell’art. 303, comma 3, lett. e), del d.P.R. n. 43 del 1973 (TULD), come sostituito dall’art. 11 del d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012, nel determinare la
sanzione per il diritto di confine non dichiarato in un importo minimo fisso di 30.000 euro senza la possibilità di adeguamento della sanzione stessa alle circostanze specifiche del singolo caso, eccede il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e per evitare l’evasione di un dazio doganale non versato in misura superiore a 4.000 euro, ma inferiore a 5.000 euro, e, pertanto, va disapplicata in quanto contraria al diritto dell’Unione europea, nell’interpretazione data dalla Corte di giustizia » (cfr. Cass., 13 luglio 2023, n. 20058).
13.4 Nella stessa direzione, è stato precisato che la sanzione prevista dall’art. 303 del d.P.R. n. 43 del 1973 è eccessiva ed irrispettosa dei principi dell’Unione europea in tema di proporzionalità RAGIONE_SOCIALE sanzioni e non consente di potere contenere la sanzione adeguandola alla specificità del caso di specie, senza oltretutto poter tenere in considerazione l’atteggiamento collaborativo della società contribuente; inoltre, la circostanza che effettivamente l’art. 303 del d.P.R. n. 43 del 1973 preveda la possibilità di gradare la sanzione non considera però la rigidità della sanzione minima, che non può scendere sotto i 30mila euro per il solo fatto che il dazio doganale non versato sia pari o superiore a soli 4mila euro. Dunque, n tema di dazi doganali, le sanzioni irrogate devono essere proporzionate alla violazione commessa. Ed invero, il principio di proporzionalità rappresenta un criterio di portata generale che permette di bilanciare interessi contrapposti: esso è un canone di giustizia che consente di misurare e limitare l’arbitrarietà del potere esercitato da parte dell’Amministrazione finanziaria, sicché l’azione amministrativa, anche sanzionatoria, deve essere adeguata e congrua (Cass., 11 maggio 2022, n. 14908).
13.5 Anche la Corte Costituzionale, di recente, ha affermato (dopo avere dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, primo periodo e dell’art. 13, comma 1, del decreto legislativo n. 471/1997, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione) che:
-)  il vulnus ai principi di proporzionalità e ragionevolezza nella misura RAGIONE_SOCIALE sanzioni che ne potrebbe discendere può essere evitato con la facoltà del giudice tributario di ridurle «a una misura proporzionata e ragionevole», fino al dimezzamento, ex art. 7, comma 4, del decreto legislativo n. 472 del 1997;
-) la risposta sanzionatoria non può trascurare di considerare il comportamento del contribuente che, da un lato, abbia tempestivamente presentato la propria dichiarazione, di fatto rendendosi visibile e facilmente intercettabile dal sistema dei controlli fiscali e, dall’altro, sebbene con ritardo rispetto alle scadenze legali, ma comunque prima di ricevere gli avvisi di accertamento, abbia interamente versato le imposte e, in evenienze tali, occorre che il comma 4 dell’art. 7 del decreto legislativo n. 472 del 1997 non venga letto atomisticamente, ma in rapporto con il comma 1 della medesima disposizione, poiché in questi termini il perimetro di applicazione del comma 4 viene dilatato, considerando, tra le circostanze – non più necessariamente «eccezionali» – che possono determinare la riduzione fino al dimezzamento della sanzione, quanto indicato nel comma 1 di tale articolo, e in particolare la condotta dell’agente e l’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione RAGIONE_SOCIALE conseguenze;
-) al fine di ricondurre le sanzioni in concreto irrogate entro limiti di proporzionalità  e  ragionevolezza,  l’Amministrazione  finanziaria  e  i giudici  devono  tenere  conto  RAGIONE_SOCIALE  potenzialità  offerte  dall’art.  7  del decreto legislativo n. 472 del 1997 che, se interpretato in correlazione con  l’art.  3  della  Costituzione,  costituisce  una  opportuna  valvola  di decompressione del sistema sanzionatorio;
-) il comma 4 dell’art. 7 non va letto atomisticamente, ma in rapporto con il comma 1, con la conseguenza che, per la riduzione della sanzione fino alla metà non rileva la sola sproporzione tra sanzione e tributo, ma assumono diretta rilevanza anche la condotta dell’agente e l’opera da
lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione RAGIONE_SOCIALE conseguenze (Corte Costituzionale, 17 marzo 2023, n. 46).
13.6 Il motivo va pertanto accolto e la sentenza va cassata sul punto, dovendo il giudice d’appello, in sede di rinvio, operare l’accertamento in fatto diretto alla ponderazione della sanzione in concreto applicabile, secondo  il  dettato  normativo di  cui  all’art. 7,  quarto  comma,  del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.
Il quattordicesimo mezzo deduce la violazione dell’art. 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. Nel caso di specie, la società ricorrente era stata costretta, impugnando sia l’atto di rettifica che quello di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni, a versare un doppio contributo unificato (500 euro per il provvedimento impositivo e addirittura 1.500,00 per l’atto di irrogazione sanzioni). Qualora, invece, la Dogana avesse irrogato le sanzioni con l’avviso di rettifica, il valore della causa sarebbe stato unicamente quello relativo ai tributi, in quanto ai sensi dell’art. 12, comma 5, del decreto legislativo n. 546 del 1992, «per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e RAGIONE_SOCIALE eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste» e il contributo da corrispondere sarebbe stato inferiore rispetto a quello concretamente versato dal ricorrente.
14.1 Il motivo è infondato.
14.2 La  Commissione tributaria regionale correttamente ha ritenuto infondata la dedotta violazione dell’art. 17 del decreto legislativo n 472 del 1997, dovendosi richiamare la giurisprudenza di questa Corte che ha  affermato  che  « Le  sanzioni  amministrative  collegate  al  tributo  e quelle  accessorie  possono  essere  irrogate  unitamente  all’avviso  di accertamento ex art. 16 del decreto legislativo  n. 472 del 1997 o con distinto ed autonomo atto ai sensi del successivo art. 17 del decreto
legislativo n. 472 del 1997, purché tale atto sia emesso contestualmente al menzionato avviso, come si ricava anche dall’ultima parte della disposizione da ultimo citata, che prevede che tale atto sia ‘ motivato a pena di nullità ‘ » (Cass., 27 ottobre 2021, n. 30398).
14.3 Ed invero, premesso che il procedimento per irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni e il procedimento di accertamento del tributo sono del tutto autonomi (Cass., 25 maggio 2015, n. 10778) e sono soggetti, pertanto, ad una disciplina del tutto differente e non sovrapponibile (Cass., 30 settembre 2020, n. 20864), le sanzioni amministrative e quelle accessorie possono essere irrogate «unitamente» all’avviso di accertamento, a norma dell’art. 16 del decreto legislativo n. 472 del 1997, ovvero con distinto ed autonomo atto di irrogazione, a norma dell’art. 17 del decreto legislativo citato (cfr. Cass. 29 dicembre 20167, n. 27315), come è pacificamente avvenuto nel caso di specie, dove dapprima era stato notificato l’atto di rettifica e dopo l’atto di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni.
15. Il quindicesimo mezzo deduce la violazione dell’art. 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata era errata nella parte in cui aveva applicato al caso di specie il primo comma dell’art. 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997, in luogo della corretta disposizione ossia l’art. 12, secondo comma, del decreto legislativo n. 472 del 1997, che disciplinava l’istituto della continuazione anche alle ipotesi di violazioni sostanziali, ritenendo che tale istituto trovava applicazione esclusivamente per le violazioni formali. Nel caso in esame, trovava applicazione l’istituto del cumulo giuridico, che costituiva per l’operatore la garanzia di un trattamento sanzionatorio più favorevole in presenza di una pluralità di violazioni anche sostanziali (commesse in un’unica dichiarazione doganale ovvero con diverse dichiarazioni doganali). Il regime del cumulo giuridico trovava sicura applicazione anche nel caso in cui venivano
presentate  più  dichiarazioni  doganali.  Peraltro,  un’applicazione limitata di tale regime determinava profili di incompatibilità comunitaria dell’art. 303 T.u.l.d. con il principio di proporzionalità a causa dell’elevato importo RAGIONE_SOCIALE sanzioni astrattamente irrogabili.
15.1 Il motivo è infondato.
15.2 Questa Corte, con riguardo alla materia doganale e alle sanzioni irrogate per plurime infedeli dichiarazioni doganali dell’importatore in ordine al valore della merce indicato nelle bollette, ha affermato che, premessa l’estensibilità della disciplina di cui all’art. 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997 alle violazioni doganali, il concorso materiale omogeneo assume rilevanza, ai fini dell’applicazione dell’istituto della continuazione, solo ove si tratti di più violazioni di carattere formale e non invece nel caso di ripetute violazioni di carattere sostanziale che hanno dato luogo all’emissione di atti di irrogazione di sanzioni, distinti per ciascuna RAGIONE_SOCIALE violazioni (Cass., 29 gennaio 2020, n. 1974).
15.3 La Corte ha ritenuto, inoltre, che « Nei casi di violazione del limite del 5% tra quanto dichiarato e quanto accertato, ex art. 303, 3° comma, T.u.l.d., si applica una sanzione in via progressiva a seconda della gravità riscontrata, dovendosi riferire tale limite alla singola dichiarazione o, nel caso di dichiarazione cumulativa per plurime partite di merci, in conformità al diritto unionale, all’insieme RAGIONE_SOCIALE singole partite di merci contenute nell’ambito dell’unica dichiarazione, mentre, sotto il profilo sanzionatorio, si avranno tante violazioni per quante sono le partite che hanno concorso a determinare l’eccedenza così configurandosi un concorso formale omogeneo con conseguente applicabilità del cumulo giuridico di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 472 del 1997» (Cass., 12 novembre 2020, n. 25509).
15.4 Con specifico riferimento, poi, all ‘art. 12 , comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, che prevede il regime del cumulo giuridico anche  nei  rapporti  di  progressione  nell’illecito,  ha  rilevato  che,  a differenza della disciplina penalistica,  la  norma  non  prevede  la
ricorrenza  del  medesimo  disegno  tipico  della  continuazione  di  reati, privilegiando, invece, il profilo oggettivo della vicenda, in quanto l’idea di  disegno  criminoso  o  semplicemente  di  disegno  parrebbe,  infatti, presupporre un elemento soggettivo riconducibile alla nozione di dolo, non necessario per la punibilità con sanzione amministrativa (Cass., 18 giugno 2020, n. 11833; Cass., 22 maggio 2019, n. 13742; Cass., 17 maggio 2019, n. 13329).
15.5 Inoltre, è stato precisato che la progressione di cui a ll’art. 12 , comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997 deve essere distinta da quella prevista dal l’art. 12 , comma 5, del decreto legislativo n. 472 del 1997 (che prevede l’applicabilità del cumulo giuridico per le violazioni della stessa indole commesse in plurimi periodi di imposta), in quanto, mentre il rapporto di progressione inerisce le ipotesi in cui le ripetute condotte illecite si concentrano comunque in un unico periodo d’imposta, il comma 5 ha ad oggetto gli illeciti della stessa indole ripetutamente compiuti in relazione al medesimo tributo, ma in più periodi d’imposta (Cass., 19 novembre 2019 , n. 29966).
15.6 Questa Corte, poi, in tema di interpretazione di cosa debba intendersi per «violazioni della stessa indole», ha ritenuto che tale locuzione assume una veste di natura oggettiva e ha precisato che « ai fini dell’applicazione dell’art. 12, 5° comma, d.lgs. n. 472 del 1997, il quale reca un precetto autonomo rispetto alle altre previsioni di favore contenute nella stessa disposizione, è indispensabile, non già che le singole violazioni siano legate da un nesso di progressione, bensì che si tratti di violazioni della stessa indole, per tali dovendosi intendere, ai sensi dell’art. 7 RAGIONE_SOCIALE stesso decreto, le violazioni RAGIONE_SOCIALE medesime disposizioni e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono e dei motivi che le determinano o per le modalità dell’azione, presentato profili di sostanziale identità » (Cass., 17 novembre 2021, n. 34868).
15.7 La Corte di Cassazione ha così ritenuto applicabile l’art. 12, comma 5, del decreto legislativo n. 472 del 1997, con contestuale riconoscimento del cumulo giuridico, « ai casi di omessa o ritardata trasmissione di più dichiarazioni fiscali da parte dell’intermediario o di chi presta assistenza fiscale » (Cass., 19 ottobre 2017, n. 24649) e costituisce orientamento ormai consolidato quello per cui « l’omessa presentazione della dichiarazione per più periodi, fino al regolare adempimento, oltre a comportare l’applicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni per ciascuna annualità, non osta all’applicazione del regime della continuazione previsto dall’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997, atteso che tali condotte si traducono nel reiterato ostacolo alla determinazione dell’imponibile ed alla liquidazione dell’imposta con riferimento allo stesso tributo, e sono, per tale ragione, tra loro oggettivamente e strettamente collegate » (Cass., 8 aprile 2022, n. 11432; Cass., 30 giugno 2021, n. 18447; Cass., 18 giugno 2020, n. 11831).
15.8 Il regime previsto dall’art. 12, comma 5, del decreto legislativo n. 472 del 2997, è stato ritenuto, invece, non applicabile alla materia doganale, perché la norma postula che le violazioni siano state commesse in periodi di imposta diversi, nozione questa estranea alla materia doganale, senza che ad essa possa ritenersi equivalente il compimento RAGIONE_SOCIALE singole operazioni d’importazione o esportazione (Cass., 8 aprile 2022, n. 11473; Cass., 21 ottobre 2020, n. 22999; Cass. civ., 21 settembre 2020, n. 19633; Cass., 6 giugno 2019, n. 15346).
15.9 Ancora la giurisprudenza di legittimità, con riguardo ai principi generali inerenti le sanzioni amministrative, ha affermato che « quando siano  poste  in  essere  più  condotte  che  realizzano  la  medesima violazione, l’unificazione ai fini dell’applicazione della sanzione, secondo il criterio del cumulo giuridico, presuppone l’unicità dell’azione od omissione produttiva della pluralità di violazioni, non operando nel
caso di condotte distinte, sebbene collegate sul piano della identità di una stessa intenzione plurioffensiva » (Cass., 22 giugno 2022, n. 20129) e che « il presupposto applicativo della progressione sanzionatoria di cui all’art. 12, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, è costituito dall’unicità finalistica della condotta per l’intrinseco ed oggettivo legame tra le varie violazioni commesse, idonee, in via progressiva, continua e collegata, ad incidere sulla determinazione dell’imponibile o sul tributo » (Cass., 4 agosto 2022, n. 24302).
15.10 Ciò posto, i giudici di secondo grado hanno fatto corretta applicazione dei principi esposti, in quanto hanno affermato, a pag. 6 della sentenza impugnata, che si era di fronte ad autonome infrazioni sostanziali regolarmente sanzionabili e non già a plurime violazioni formali od a un concorso formale di illeciti; nel caso in esame, dunque, ogni singola dichiarazione ha realizzato di per sé una compiuta violazione, con la conseguenza che non può riconoscersi il cumulo giuridico RAGIONE_SOCIALE sanzioni, previsto dall’art. 12 , primo comma, del decreto legislativo n. 472 del 1997, perché, per la predetta previsione di legge, quello che rileva è la commissione di molteplici violazioni formali, ovvero violazioni che, oltre a non incidere sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tribu to, non pregiudicano l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziari a; nemmeno, per quanto rilevato sopra, è possibile ricondurre la fattispecie in esame alla previsione dell’art. 12, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, mancando il vincolo della progressione tra violazioni sostanziali, ovvero l’unicità finalistica della condotta per l’intrinseco ed oggettivo legame tra le varie violazioni commesse, idonee, in via progressiva, continua e collegata, ad incidere sulla determinazione dell’imponibile o sul tributo; né, infine, è applicabile l’art. 12, comma 5, del decreto legislativo n 472 del 1997, che presuppone che le violazioni siano state commesse in periodi di
imposta  diversi,  nozione  questa  estranea  alla  materia  doganale, integrando,  invece,  la  fattispecie  in  esame    autonome  violazioni  di natura sostanziale, commesse con distinte dichiarazioni doganali, nel corso di plurimi anni.
Per quanto esposto, vanno accolti l ‘ottavo e il tredicesimo motivo e  rigettati  i  restanti  motivi;  la  sentenza  impugnata  va  cassata,  in relazione ai motivi accolti, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria  di  secondo  grado  della  Toscana,  in  diversa  composizione, anche per la determinazione RAGIONE_SOCIALE spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie l’ottavo e il tredicesimo motivo e rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per la determinazione RAGIONE_SOCIALE spese di legittimità.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2023.