Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23523 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23523 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17215/2017 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato studio legale RAGIONE_SOCIALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 9903/2016, depositata il 30 dicembre 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
–NOME COGNOME ha impugnato innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma l’ avviso di accertamento relativo a IVA 2008 con cui l’ufficio rilevava indebita detrazione dell’IVA su operazioni inesistenti della società RAGIONE_SOCIALE, di diritto svizzero, intervenute con altre società, costituite dal ricorrente, incaricato dalla RAGIONE_SOCIALE medesima come rappresentante fiscale, e accertava a suo carico, come responsabile in solido, un maggior imponibile, nonché IVA indebitamente detratta a seguito del recupero di costi relativi ad acquisiti registrati con fatture per operazioni inesistenti, più sanzioni.
La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 18746/38/15, depositata il 22 settembre 2015, ha respinto il ricorso, ritenendo la responsabilità in solido del ricorrente quale rappresentante fiscale.
-Avverso tale pronuncia, il contribuente proponeva atto di appello.
L’Ufficio resisteva in giudizio.
La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 9903/2016, depositata il 30 dicembre 2016, ha respinto l’appello.
-Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a otto motivi.
L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
Parte ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 53 e dell’art. 57 d.lgs. 546/92, nonché violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. Parte ricorrente evidenzia che la sentenza, dopo aver indicato la composizione del Collegio, il nome delle parti e dei loro difensori, aver provveduto a tratteggiare la parte in fatto con la ricostruzione delle vicende che hanno portato all’emissione dell’atto impugnato, omette quasi del tutto qualsiasi esposizione delle conclusioni a cui è giunta la Commissione tributaria provinciale di Roma con la sentenza di primo grado, cui peraltro rinvia ampiamente nella parte motivazionale, nonché lo svolgimento del processo di secondo grado e delle richieste avanzate dalle parti in sede di appello, nonché l’indicazione dei fatti rilevanti . Pertanto, la pronuncia non permetterebbe di individuare gli elementi in fatto e in diritto che sono stati considerati dalla Commissione tributaria regionale e che sono presupposti alla decisione, impedendo di comprendere l’iter logico seguito per arrivare al rigetto dell’impugnazione e di inquadrare l’oggetto e il thema decidendum del giudizio.
Con il sesto motivo si prospetta la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 1, comma 2, e 36 d.lgs. 546/92, nonché dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c., e 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Si sostiene che il giudice d’appello avrebbe emanato una decisione in palese contrasto con la giurisprudenza di questa Corte in tema di motivazione poiché, oltre ad aver omesso la ricostruzione dei fatti rilevanti di causa, le argomentazioni delle parti nel giudizio di primo grado e le motivazioni della decisione impugnata, la Commissione tributaria regionale avrebbe fatto luogo a una motivazione estremamente
coincisa e del tutto incomprensibile, semplicemente rinviando ad atti di causa, senza alcuna autonoma valutazione e comunque in assenza di una anche sintetica esplicitazione delle ragioni della totale adesione alle tesi dell’Agenzia delle entrate e di rigetto delle tesi avanzate dal ricorrente nel l’ atto di appello.
Con il settimo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 4 c.p.c. e omessa e/o apparente motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n . 4 c.p.c. Parte ricorrente deduce che anche a prescindere dalle lamentate violazioni indicate nei precedenti motivi, si deve rilevare la nullità della sentenza emessa sotto il profilo motivazionale, in quanto la motivazione, anche volendola concedere esistente, nella sostanza risulterebbe del tutto apparente. In particolare nel caso in questione si configurerebbe una palese ipotesi di motivazione apparente.
1.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
In tema di contenuto della sentenza, la concisione della motivazione non può prescindere dall’esistenza di una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione (Cass. n. 29721/2019; Cass. n. 920/2015).
Nella specie, non sussiste alcuna nullità per come denunciata giacché l’esposizione degli elementi riportati in motivazione consente di comprendere il contenuto delle questioni giuridiche oggetto del contendere.
Sotto altro profilo deve escludersi che si sia di fronte a una motivazione apparente, né tantomeno lesiva del ‘ minimo
costituzionale ‘ poiché la Corte non ha semplicemente rinviato alla pronuncia di primo grado – limitandosi a condividerla – ma ha esaminato l’intera questione della responsabilità del rappresentante fiscale residente nel territorio dello Stato per obbligazioni nascenti in capo al soggetto non residente che effettua nel territorio dello Stato operazioni rilevanti ai fini IVA.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (Cass. n. 13248/2020; Cass. n. 17196/2020), che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090/2022).
-Dopo l’esame delle censure relative alla motivazione, va scrutinato il secondo motivo di ricorso riguardante la questione di diritto della responsabilità del rappresentante fiscale ex art. 17, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base della ragione più liquida (Cass. n. 693/2024; Cass. n. 363/2019).
Con il secondo motivo si prospetta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 17 d.P.R. 633/72 in combinato con l’art. 21 della sesta direttiva 77/388/CEE, così come riprodotto nell’art. 205 della direttiva n. 2006/112/CE, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Secondo quanto prospettato, la sentenza dovrebbe
ritenersi viziata nella parte in cui ha affermato la legittimazione passiva del dott. COGNOME a ricevere l’avviso di accertamento . L ‘art. 17, comma 2, d.P.R. 633/72, nel testo ratione temporis applicabile, anche alla luce di quanto previsto dall’art. 21 della sesta direttiva, prevede che: il rappresentante fiscale deve essere considerato responsabile, in solido con l’operatore non residente, esclusivamente dell’imposta e delle relative sanzioni per inadempimenti relativi ad operazioni alle quali si assume l’obbligo oggettivo di adempiere; ovvero di operazioni nelle quali è sicuramente intervenuto come mandatario (ad esempio non ha registrato una fattura emessa che era in suo possesso, non ha versato un’imposta che risulta dalle liquidazioni periodiche eseguite dallo stesso, non ha corrisposto l’IVA risultante dalla dichiarazione annuale presentata dallo stesso ecc.); non è invece responsabile di un fatto derivante da scelte di gestione strategica effettuate dall’operatore non residente che quindi non è entrato nella sua sfera giuridica e di cui non poteva avere piena conoscenza, anche per l’impossibilità oggettiva di assumere iniziative di controllo sugli obblighi di legge in capo al soggetto rappresentato. Pertanto, il rappresentante fiscale ai fini IVA in Italia è responsabile solidalmente, con il soggetto non residente, esclusivamente per il versamento dell’imposta, e per tutti gli obblighi formali prodro mici e connessi all’imposta (esempio: fatturazione, registrazione, dichiarazione, ecc.) per i quali svolge un’attività. Il COGNOME era solo il rappresentante fiscale della RAGIONE_SOCIALE (quindi non il cessionario/committente) e come tale gli unici obblighi cui era tenuto erano gli adempimenti previsti in tema di fatturazione, registrazione, liquidazione, versamenti e dichiarazione IVA.
2.1. -Il motivo è fondato.
L’art. 17, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, prevede, nel testo in vigore ratione temporis , che «Gli obblighi e i diritti derivanti dalla applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto, relativamente ad operazioni effettuate nel territorio dello Stato da o nei confronti di soggetti non residenti, possono essere adempiuti o esercitati, nei modi ordinari, dagli stessi soggetti direttamente, se identificati ai sensi dell’articolo 35ter, ovvero tramite un loro rappresentante residente nel territorio dello Stato nominato nella forme previste dall’articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 441. Il rappresentante fiscale risponde in solido con il rappresentato relativamente agli obblighi derivanti dall’applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto. La nomina del rappresentante fiscale è comunicata all’altro contraente anteriormente all’effettuazione dell’operazione». Nel successivo comma 5, inoltre, è previsto che «le disposizioni del secondo e del terzo comma non si applicano per le operazioni effettuate da o nei confronti di stabili organizzazioni in Italia di soggetti residenti all’estero».
Ciò è in linea con la stessa funzione attribuita al rappresentante fiscale dalla giurisprudenza comunitaria, la quale ha avuto modo di precisare che il meccanismo della rappresentanza ha unicamente lo scopo di consentire al fisco di avere un interlocutore nazionale quando il soggetto passivo è stabilito all’estero (Corte giust. 19 febbraio 2009, RAGIONE_SOCIALE contro Ministero dell’economia e delle finanze e Agenzia delle entrate , causa C-1/08). Diverso è tuttavia il caso ove il rappresentante fiscale svolga un ruolo economico nelle prestazioni in questione, ma, in tale ipotesi, è in ragione di detto ruolo e non della sua
qualità di rappresentante fiscale che le operazioni da lui effettuate sono imponibili.
Questa Corte da tempo (Cass. n. 8122/2001) ha precisato in argomento che, a differenza del rappresentante fiscale ai fini delle imposte sul reddito, per il quale vige il criterio della intera tassabilità del reddito prodotto in Italia anche nei confronti delle società non residenti e prive di stabile organizzazione (art. 20, 112 e 118, d.P.R. n. 917 del 1986, all’epoca) e che, quindi, assume l’obbligazione tributaria in relazione al complesso dell’attività produttiva di reddito, il rappresentante fiscale ai fini dell’IVA non diviene punto di riferimento di tutte le operazioni effettuate dal mandante estero nel territorio dello Stato, poiché è il soggetto non residente a restare destinatario diretto di qualunque altra norma che non debba transitare attraverso il rappresentante fiscale. Infatti, al rappresentante IVA è attribuita una soggettività passiva che è del tutto parziale, ossia strettamente limitata alle operazioni passive di competenza attribuitegli dal mandante non residente. Non è in linea con tale principio la tesi secondo la quale il rappresentante fiscale contrarrebbe automaticamente tutti i diritti e gli obblighi derivanti in capo al soggetto non residente dal regime legale dell’IVA, in quanto così argomentando si finirebbe con l’identificare tale figura con la stabile organizzazione, ora disciplinata dall’art. 162 TUIR, entità che il regime comunitario uniforme e la disciplina nazionale intendono mantenere distinte. Occorre, quindi, riferirsi al contenuto del mandato per stabilire se al rappresentante legale sia stato o meno conferito l’incarico di esercitare diritti o adempiere obblighi in relazione a determinate operazioni. Da ciò deriva che ai fini della responsabilità del rappresentante fiscale deve sussistere una condotta a questi imputabile, con riguardo alle operazioni contestate, rilevando
anche la mera fattuale ingerenza nel perfezionamento dell’operazione d’importazione e non solo il mero contenuto formale del rapporto di mandato come descritto nelle clausole contrattuali (Cass. n. 1574/2012; Cass. n. 3285/2012; Cass. n. 18759/2014).
Tale conclusione è confermata anche dalla giurisprudenza di questa Corte, resa in fattispecie diversa ma con esiti significativamente analoghi quanto alla responsabilità del rappresentante fiscale, profilo qui oggetto di interesse, (Cass. n. 20589/2020) secondo la quale in tema di società non residenti, ove la società operi tramite una stabile organizzazione, questa costituisce l’unico centro di imputazione fiscale delle operazioni ad essa riferibili, sicché la nomina di un rappresentante fiscale è inesistente o inefficace, con la conseguenza che per le operazioni effettuate dalla suddetta stabile organizzazione non sussiste la eventuale responsabilità solidale del (pur nominato) rappresentante fiscale. Analogamente, ad altri fini, si ritiene che il rappresentante fiscale ai fini dell’IVA all’importazione, oltre a essere coobbligato per gli obblighi derivanti dall’applicazione delle norme ex art. 17, comma 2, d.P.R. 633 del 1972, possa rispondere in solido con il rappresentato anche per il pagamento dell’imposta doganale, sempre che risulti essersi oggettivamente ingerito nel perfezionamento dell’operazione di importazione, atteso che, a norma dell’art. 201, comma 3, del Regolamento CEE 2193/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992, quando una dichiarazione è resa in base a dati che determinano la mancata riscossione totale o parziale dei dazi dovuti per legge, le persone che hanno fornito i dati necessari alla stesura della dichiarazione e che erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza della loro erroneità possono essere parimenti considerati debitori conformemente alle
vigenti disposizioni doganali, e che, in linea con la regolamentazione comunitaria, l’art. 38 del d.P.R. 43 del 1972 vincola all’obbligazione tributaria tutti coloro comunque ingeritisi nell’operazione (in argomento si veda quanto stabilito da Cass. n. 3285/2012).
In tema di IVA, il rappresentante fiscale ex art. 17, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, avendo una soggettività passiva parziale, limitata alle sole operazioni passive specificamente attribuitegli dal mandante non residente (in nome e per conto del quale agisce), è dunque solidamente responsabile con quest’ultimo, non per la mera esistenza del rapporto di mandato, ma per aver effettivamente posto in essere operazioni irregolari nell’interesse del soggetto rappresentato, la cui prova si desume dall’ingerenza attiva del rappresentante, indipendentemente e anche in violazione degli obblighi del mandato, nelle operazioni contra legem perfezionate direttamente dal mandante non residente, non essendo invece sufficiente la mera conoscenza o conoscibilità dell’esistenza di tali operazioni (Cass. n. 591/2024; Cass. n. 18759/2014).
Nel caso di specie non vi è stata alcuna indagine compiuta sull’effettiva partecipazione alle operazioni ritenute irregolari e la responsabilità del ricorrente in solido con il debitore d’imposta di tutte le operazioni poste in essere dalla società estera viene fatta discendere dal sol fatto di essere stato nominato rappresentante fiscale residente.
In sede di riesame, il giudice del rinvio dovrà altresì verificare il rilievo del giudicato penale dedotto in sede di memoria.
-L’accoglimento del secondo motivo determina l’assorbimento dei restanti (Con il terzo motivo si prospetta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto. Illegittimità dell’art. 17, comma 2, d.P.R. 633/72 (testo in vigore sino al
31.12.2009) in contrasto con l’art. 21 della VI direttiva comunitaria 77/388/CEE, così come ripreso dall’art. 205 della direttiva di rifusione n. 2006/112/CE in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia (violazione dell’art. 112 del c.p.c.), in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. ; con il quinto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, d.lgs. 546/92 e dell’art. 167 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; con l’ottavo motivo si deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia (violazione dell’art. 112 del c.p.c.), in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. ).
-La sentenza impugnata dev’essere perciò cassata in relazione al motivo accolto e, per l’effetto, va disposto il rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente anche per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo, rigetta il primo, il sesto e il settimo, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione