Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21563 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21563 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
Oggetto: ASD -responsabilità rappresentante
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31777/2019 R.G. proposto da:
NOME COGNOME quale coobbligato di RAGIONE_SOCIALE ASD, rappresentato e difeso da se stesso ex art. 86 c.p.c., quindi da ll’ avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL e PECEMAIL con domicilio eletto in Roma INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL
-ricorrente – contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell ‘ EmiliaRomagna n. 1666/14/2018 depositata in data 18/06/2018, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 26/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
A seguito di attività di verifica fiscale nei confronti di nove associazioni sportive dilettantistiche operanti nel settore della pallamano, ritenute tutte riconducibili a un unico centro di interessi, l’Amministrazione finanziaria contestava alla GYMNASIUM HANDBALL JUNIOR CLUB ASD la decadenza dei benefici di cui alla L. n. 398 del 1991 dalla quale derivava la rideterminazione del reddito d’impresa, il recupero dell’iva e l’ ulteriore connessa contestazione a Tedesco Giorgio quale obbligato in solido dei conseguenti maggiori tributi interessi e sanzioni accettati a carico della ASD di cui si è detto;
l’avviso di accertamento ai fini IRES, IRAP e IVA 2008 di cui al presente giudizio era quindi impugnato di fronte al giudice di primo grado che accoglieva il ricorso;
appellava l’Ufficio;
con la sentenza gravata di fronte a questa Corte la commissione tributaria regionale ha accolto l’impugnazione dell’Agenzia delle entrate;
ricorre NOME NOMECOGNOME nella veste di coobbligato solidale della ridetta ASD con otto motivi di doglianza che illustra con memoria;
resiste con controricorso l’Amministrazione Finanziaria;
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del decreto legge 78 del 2010,
dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 156 e seguenti del codice di rito; il contribuente lamenta l’erroneità della pronuncia impugnata per aver mancato di ritenere inesistente l’atto di accertamento c.d. ‘impoesattivo’ qui impugnato in quanto lo stesso è stato spedito al destinatario direttamente dall’Ufficio finanziario con plico raccomandato con avviso di ricevimento senza formale intermediazione tramite l’organo notificatorio;
il motivo è privo di fondamento;
-questa Corte ha chiarito (Cass.
Sez. 5, Ordinanza n. 9395 del 08/04/2024) che l’ invalidità della notificazione di un atto “impoesattivo” (ex art. 29 d.l. n. 78 del 2010, conv. con modif. dalla l. n. 122 del 2010) determina soltanto una preclusione all’efficacia dell’atto ai fini riscossivi, ma non esclude la sua esistenza, né la possibilità di una rinnovazione della notifica, ferma restando la sanatoria del vizio, secondo le regole generali, se risulta in maniera inequivoca la piena conoscenza dell’atto da parte del contribuente, entro il termine di decadenza per l’esercizio del potere dell’Amministrazione finanziaria. Invero, l’istituto della sanatoria del vizio per il raggiungimento dello scopo, disciplinato all’art. 156, terzo comma, c.p.c., trova applicazione generale anche in materia tributaria senza distinzione, in tema di notificazione, tra atti impositivi ed atti esattivi. L’istituto si applica infatti a proposito della notificazione dell’avviso di accertamento, atto impositivo (cfr., tra le altre, Cass. sez. T, 19.5.2018, n. 11043; Cass. sez. T, 21.9.2016, n. 18480) e, del pari, in relazione alla notificazione della cartella di pagamento, atto esattivo (cfr., tra le altre, Cass. sez. VI-V, 5.3.2019, n. 6417; Cass. sez. T, 30.10.2018, n. 27561). Non sussiste alcuna ragione, pertanto, la quale induca a ritenere che l’atto impoesattivo, il quale cumula la funzione impositiva con quella esattiva, debba seguire una diversa disciplina;
– il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 12 comma 7 della Legge n. 212/2000 in relazione alla verifica fiscale generale, con accesso alla sede della asd relativa all’anno d’imposta 2008, ai precedenti ai successivi»; secondo il contribuente la CTR ha errato non ritenere invalido l’atto impugnato alla luce del diritto di difesa violato per non essere stato garantito il generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale conseguente ad accessi ispezioni e verifiche effettuati nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente previste dalla norma in oggetto; il motivo è privo di fondamento;
esso presuppone che nei fatti vi sia stato accesso da parte di verificatori presso i locali nella disponibilità del contribuente; tale circostanza deve escludersi alla luce del contenuto del PVC in atti, (all. 9) datato 3 marzo 2011, dal quale si evince a pag. 5 che i verificatori hanno in realtà tentato di procedere ad accesso presso la sede della RAGIONE_SOCIALE contribuente sita in Bologna, INDIRIZZO ma non hanno potuto materialmente porre in esecuzione tale accesso poiché nessuno e nulla hanno ivi reperito; ne consegue che nessun pregiudizio al diritto di difesa si è verificato, dal momento che la ASD sottoposta a controllo non ha materialmente subito l’ingresso dei verificatori nei locali nella propria disponibilità per non essere stati gli stessi neppure materialmente reperiti dal personale operante; e tuttavia il principio presuppone che un’attività accertativa presso i locali in cui il contribuente esercita la propria attività sia effettivamente avvenuta. Nel caso di specie è incontestabile che l’accesso, pur disposto, non si è mai realizzato, così che alcuna intromissione nella sfera privata del contribuente si è verificata, con l’effetto che l’accertamento si è tradotto in concreto in una modalità “a tavolino” (Cass. n. 6098/2023);
il terzo motivo di ricorso censura la pronuncia gravata per violazione e falsa applicazione ancora dell’art. 12 c. 7 della L. n. 212 del 2000 in relazione ai tributi armonizzati, vale a dire all’iva oggetto di recupero con l’atto di accertamento impugnato, alla luce del mancato esame da parte del giudice di merito della c.d. ‘prova di resistenza’; il ricorrente lamenta in sintesi il mancato perfezionamento del contraddittorio endoprocedimentale;
il motivo è infondato;
si desume infatti dalla lettura della pronuncia impugnata penultimo periodo di pag. 5 – come in realtà ‘… il contraddittorio si è instaurato mediante risposta ai quesiti e al deposito di documenti richiesti ‘; pertanto nessuna violazione del diritto di difesa risulta in concreto sussistente, avendo avuto luogo il prescritto confronto tra contribuente e Ufficio;
il quarto motivo di ricorso lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ancora in relazione all’art. 12 c. 7 della L. n. 212 del 2000; secondo il ricorrente la sentenza impugnata ha mancato di considerare il fatto che l’attività di controllo, quale verifica a carattere generale, ha comportato anche l’ accesso ai locali della ASD;
il motivo è infondato;
in realtà dalla lettura della sentenza impugnata, come già si è riportato in precedenza, si evince come il profilo di fatto relativo all’avere gli operanti acceduto ai locali in argomento è stato oggetto di esame da parte della Commissione tributaria regionale emilianaromagnola, la quale ne riferisce espressamente l’esame, affermando che « Nel caso in esame non si è avuto accesso ai locali delle associazioni verificate », e il conseguente esito ai fini della decisione proprio nel penultimo periodo della motivazione a pag. 5 del provvedimento impugnato;
il quinto motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la motivazione apparente e contraddittoria espressa dalla pronuncia gravata in relazione alla autonomia delle singole ASD sottoposte a controllo;
il motivo è infondato;
in realtà la considerazione – peraltro di puro fatto – relativa all’essere le ASD sottoposte a controllo, ben nove di numero, tutte sottoposte a un unico centro di interessi, essendo la loro costituzione finalizzata esclusivamente ad eludere il limite di fatturato (euro 250.000) risulta non solo presa in esame dal giudice di merito, ma anche opportunamente collocata nella motivazione della sentenza impugnata, costituendo premessa logica e fattuale del tutto armonica con le conclusioni espresse alla luce delle risultanze processuali;
-infatti il giudice dell’appello ha valorizzato -non rileva se correttamente o meno – tale elemento collegandolo, con chiaro ragionamento logico immune da vizi, con la successiva circostanza di fatto secondo la quale ‘… L’unica associazione ad avere visibilità esterna era, infatti, la RAGIONE_SOCIALE che risultava iscritta a campionati mentre le restanti 8 associazioni erano in posizione ancillare non avendo una struttura organizzativa propria ‘ (sentenza impugnata, pag. 1 primo capoverso); la circostanza che parte ricorrente assume trascurata quindi risulta debitamente esaminata, analiticamente valutata e collocata in un contesto motivazionale che nel suo complesso si colloca al di sopra del c.d. ‘minimo costituzionale’ (Cass. Sez. Un. sent. n. 8053 del 2014) rendendo comprensibile l’iter logico giuridico seguito dal giudice per divenire a decisione;
-tali considerazioni non sono invero scalfite neppure dalle osservazioni proposte in memoria, dal momento che la pronuncia impugnata, in concreto, non si rivela né apodittica nelle sue
affermazioni, né generica nelle considerazioni di fatto e di diritto sulle quali ha basato il proprio decisum;
il sesto motivo di impugnazione si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 26 della L. n. 133 del 1999 in relazione all’art. 19 del d. Lgs. n. 158 del 2015, per avere la CTR erroneamente dichiarata la ASD decaduta dai benefici fiscali in argomento in forza di una disposizione non più in vigore;
il motivo è inammissibile;
-sostiene il contribuente che il giudice territoriale avrebbe erroneamente dichiarato la decadenza di cui si è detto alla luce della violazione dell’obbligo della tracciabilità previsto dall’art. 25 c. 5 della L. n. 133 del 1999, il quale in realtà nella versione in vigore ratione temporis prevedeva una mera sanzione amministrativa e non la decadenza del contribuente dai benefici tributari;
ebbene, così formulata la censura risulta priva di collegamento con la reale ratio decidendi della sentenza gravata;
invero, la CTR ha ritenuto decaduta la ASD dai ridetti benefici -ritenendo in concreto difettosi in fatto i requisiti previsti per legge -in quanto è risultato ampiamente dimostrato da parte dell’Ufficio che ‘ le ASD avessero superato il limite di 250.000,00 in ragione degli elementi acquisiti e consistenti nella riconducibilità di tutte le associazioni al medesimo gruppo di persone che ne gestivano i conti correnti, nell’esercizio dell’attività sportiva e nell’ambito della pallamano ed infine nella documentazione, di cui si dà atto nell’atto di appello ‘ ; quindi, secondo il giudice del merito ‘ l’unica ASD ad avere rilevanza esterna era la BOLOGNA RAGIONE_SOCIALE . Tutte le altre, benché formalmente costituite, avevano un ruolo ‘ancillare’ rispetto alla Bologna United Handball;
la sostanziale inesistenza, nei fatti, di tali soggetti -tra i quali la ASD della quale il Tedesco è risultato obbligato in solido -come
ritenuta provata dalla CTR è la ratio decidendi della sentenza impugnata, il contenuto della quale non risulta attinto dal motivo in argomento, che si appunta sulla tracciabilità dei pagamenti, che non costituisce però la sola circostanza di fatto idonea a dimostrare l’inesistenza di cui sopra;
il profilo relativo alle violazioni in materia di tracciabilità, quindi, costituisce solo uno degli elementi rilevanti, secondo la CTR, in ordine alla prova della fittizietà delle ASD; la mancata censura da parte del ricorrente delle ulteriori considerazioni poste alla base della motivazione rende quindi la ratio decidendi idonea a sostenere, nelle restanti sue parti, la decisione;
la doglianza presentata risulta così inammissibile poiché si appunta su questioni del tutto estranee all’ordito motivazionale fornito dalla corte distrettuale senza muovere invece alcuna critica alla ratio decidendi posta a base della decisione impugnata (“In tema di ricorso per cassazione è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata”, così anche Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017). Più precisamente secondo la giurisprudenza di questa Corte il motivo d’impugnazione è rappresentato dal l’ enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata; queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le
ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’ inammissibilità ai sensi dell’ art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (Sez. 3, Sentenza 14/3/2017 n. 6496; Sez. 3, Sentenza n. 17330 del 31/08/2015, Rv. 636872; Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564, tutte citate in motivazione da Cass. n. 8755/2018);
di qui l’inammissibilità del motivo;
il settimo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al non superamento del plafond di euro 250.000,00 e della regolarità rispetto delle norme del regime forfettario ex legge n. 398 del 1991; – secondo parte ricorrente il giudice di merito ha assunto senza alcuna prova che la ASD abbia superato per l’anno di imposta 2007 il plafond in oggetto;
il motivo è evidentemente inammissibile;
esso in concreto sollecita questa Corte a un nuovo esame delle risultanze di merito, operazione non concessa in questa sede di legittimità; né può sostenersi che tale fatto storico non sia stato preso in esame, poiché il profilo relativo al superamento del plafond in argomento formato oggetto dell’analisi della pronuncia impugnata;
l’ottavo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 38 c.c., per avere la CTR felsinea erroneamente ritenuto provata la concreta ingerenza nell’attività gestoria della ASD da parte del ricorrente;
il motivo è infondato;
in primo luogo, quanto al denunciato mancato esame del fatto storico, la sentenza gravata ha esaminato anche tale profilo, come si evince dalla motivazione della stessa;
in secondo luogo, si sostiene nel motivo in esame la inidoneità della circostanza di fatto, consistente nell’avere NOME COGNOME rivestito la qualifica di delegato del Presidente ad operare sul conto corrente della ASD, a far ritenere che lo stesso abbia concorso a decisioni volte alla creazione di rapporti obbligatori per l’associazione;
tale affermazione non è corretta in diritto;
va ricordato che secondo la giurisprudenza pacifica di questa Corte (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25650 del 15/10/2018; Cass.
Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 4747 del 24/02/2020; Cass.
Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 36470 del 13/12/2022); in tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto che abbia dato luogo alla creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi: peraltro, l’operatività di tale principio in materia tributaria non esclude che per i debiti d’imposta, che sorgono non su base negoziale ma derivano “ex lege” dal verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la gestione complessiva dell’associazione nel periodo di relativa investitura;
orbene, ritiene la Corte essere indubbio che l ‘operare sul conto corrente in forza di delega da parte del Presidente, costituisce atto di gestione dell’associazione, i cui rapporti obbligatori sono attuati e adempiuti proprio in forza principalmente, se non esclusivamente,
della movimentazione di tale conto corrente, per mezzo del quale si provvede generalmente appunto al pagamento dei debiti e all’incasso dei crediti, poiché tali operazioni costituiscono atti di gestione tipici, ordinari e ricorrenti;
tutto ciò a meno che il delegato di cui si è detto non operi come mero esecutore di ordini del Presidente, per essere del tutto sprovvisto di autonomia, circostanza questa riguardo alla quale l’onere di darne prova grava sul contribuente che la invoca a proprio favore ma che nel caso di specie è mancata del tutto non essendo stata la questione nemmeno dedotta;
in tal senso si è espressa questa Corte di recente (Cass. n. 20028 del 18/07/2025) enunciando nel citato precedente il principio di diritto, che qui il Collegio condivide e ribadisce, secondo il quale «la facoltà di disporre liberamente dei conti correnti intestati ad un’associazione non riconosciuta implica la presunzione, in capo al soggetto che opera su detti conti, di avere agito in nome e per conto dell’ente ai fini della responsabilità prevista dall ‘art. 38 cod. civ. Grava, pertanto, su tale soggetto la prova che non vi sia stata ingerenza nella gestione e, in particolare, di avere agito in esecuzione di un incarico, specifico e vincolato, ricevuto dal rappresentante di diritto o di fatto dell’associ azione»;
in conclusione, quindi, il ricorso va rigettato;
le spese processuali sono liquidate secondo la soccombenza;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di parte controricorrente che liquida in euro 5.800,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei
contribuenti ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2025.