Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11833 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 11833 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/05/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15214/2017 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME ( -) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE).
-ricorrenti- contro
REGIONE PUGLIA, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende.
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.PUGLIA n. 3053/2016, depositata il 07/12/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi i difensori di entrambe le parti.
FATTI DI CAUSA
La controversia concerne l’impugnazione di un atto di contestazione relativo ad ecotassa e sanzioni notificato ad NOME COGNOME ed a NOME COGNOME, per l’attività di discarica abusiva svolta su area di loro proprietà, ubicata in agro di Avetrana, già adibita «cava di calacarenite» di cui si stava procedendo al riempimento mediante scarico e successivo compattamento di rifiuti speciali non pericolosi provenienti dalla demolizione di edifici, scavi stradali e da residui della lavorazione per la produzione di manufatti in cemento dell’attigua fabbrica (RAGIONE_SOCIALE) nella titolarità di NOME COGNOME, figlio dei contribuenti il tutto come accertato, nei verbali del 15/4/2010, dai militari della Guardia di RAGIONE_SOCIALE che, in contraddittorio con NOME COGNOME, quantificarono i rifiuti in Kg. 16.171.200 e conseguentemente in € 242.586,00 (kg. 16.171200 x aliquota pari ad € 0,015) il tributo per lo smaltimento dei rifiuti.
Disposto il sequestro dei beni, veniva avviato procedimento penale (n. 3587/10) dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto all’esito del quale gli imputati venivano assolti, per quanto d’interesse, dal reato di cui all’art. 256, comma 3, d.lgs. n. 142 del 2006 (esercizio di discarica abusiva), con sentenza n. 55/2015, depositata in data 23/2/2015, con la formula «per non aver commesso il fatto.»
L’adita Commissione Tributaria Provinciale di Bari rigettava il ricorso dei contribuenti cui la Regione Puglia aveva richiesto, con l’impugnata ordinanza-
ingiunzione, il pagamento del tributo per lo smaltimento rifiuti (€ 242.568,00), nonché le sanzioni per l’esercizio di attività di discarica abusiva (€ 727.704,00), la mancata registrazione delle operazioni di conferimento in discarica (€ 485.136) e l’omessa dichiarazione (€ 103,00, oltre interessi legali e spese.
Il giudice di primo grado riteneva infondate le deduzioni difensive dei contribuenti e, in particolare, ininfluente la vicenda penale relativa al reato contestato, poi venuto a cadere a seguito di assoluzione, alla luce del principio di autonomia del giudizio tributario.
La decisione veniva confermata, con la sentenza in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Puglia che rigettava l’appello dei contribuenti.
Avverso tale sentenza il COGNOME‘ e la COGNOME propongono ricorso con cinque motivi, illustrati anche con memoria.
Resiste la Regione Puglia con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso lamentano la violazione del principio del ne bis in idem, all’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 4 del Protocollo Aggiuntivo alla CEDU n. 7, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod.proc.civ., avendo la CTR trascurato l’esistenza del giudicato penale di assoluzione, assumendone l’ininfluenza nel contenzioso tributaria, nonostante l’identità sostanziale dei fatti oggetto d’imputazione. In subordine, i contribuenti chiedono di disporre il rinvio pregiudiziale dalla Corte di Giustizia, al fine di accertare se l’art. 50 della Carta di Nizza si estenda o meno a situazioni in cui il soggetto sottoposto a processo penale possa essere chiamato ad affrontare un ulteriore procedimento che, seppure di natura amministrativa, si debba considerare penale secondo i principi Engel elaborati nei precedenti della Corte EDU e, nello specifico, avuto riguardo al regime sanzionatorio, solo nominalmente amministrativo, previsto dall’art. 3, commi 32 e 33 della l. n. 549 del 1995 e quello penale di cui all’art. 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006.
Con il secondo motivo lamentano la violazione degli artt. 654 cod.proc.pen., 116 cod.proc.civ. 24,32,58, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod.proc.civ., avendo la CTR negato la rilevanza del giudicato penale di assoluzione dai reati inerenti l’esercizio di discarica abusiva, omettendo di operare, sulla base delle prove acquisite, l’esatta qualificazione e quantificazione del materiale rinvenuto nell’area ed evocando «una responsabilità oggettiva» dell’utilizzatore o, in sua mancanza, del proprietario, nonostante il proscioglimento dei contribuenti dalle accuse penali.
Con il terzo motivo lamentano la violazione degli artt. 8 e 9, l. r. n. 25 del 1997, 3, commi 31 e 32, l. n. 549 del 1995, 186, d. lgs. n. 152 del 2006, cod.proc.pen., 116 cod.proc.civ. 24, 32, 58, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod.proc.civ., non avendo la CTR considerato che l’esistenza, nella cava dismessa, dei rifiuti costituenti il presupposto del tributo (ecotassa) richiesto con l’ingiunzione, sarebbe da ricollegare ai cumuli di terriccio mistio a roccia frantumata che, come emerge anche dalla perizia tecnica giurata e dalle previsioni del vigente art. 186 d.lgs. n. 152 del 2006, costituirebbero terre e rocce da scavo, tipologicamente escluse dall’ambito di applicazione della parte IV del decreto (Codice dell’Ambiente), risultando non più applicabile la nozione di rifiuto di cui all’art. 2, d.P .R. n. 915 del 1982, pure richiamata dal giudice di appello.
Con il quarto motivo lamentano la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod.proc.civ., avendo la CTR trascurato di considerare che, quand’anche non qualificabili come rocce da scavo, i materiali rinvenuti potrebbero al più essere qualificati come rifiuti speciali misti da costruzione e demolizioni, in quanto tali, soggetti all’aliquota pari allo 0,0065, con una significativa riduzione dell’importo dovuto.
Con il quinto motivo lamentano la violazione degli artt. 132, comma 4, cod.proc.civ. e 118, disp.att. cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod.proc.civ., avendo la CTR ritenuto legittima l’imposizione fiscale, comprese le sanzioni, sia per l’utilizzo del terreno come discarica, sia per la mancata presentazione di regolare denuncia ex art. 3, comma 32, l. n. 549 del 1995, sulla scorta di argomentazioni incomprensibili, ovvero di una motivazione
meramente apparente che evoca una responsabilità dei contribuenti «oggettiva» e «soggettiva», senza affrontare il tema della prova della responsabilità dei proprietari dell’area per la condotta addebitata.
Le prime due censure, scrutinabili congiuntamente, sono infondate.
I contribuenti si dolgono del fatto che il giudice di appello ha ritenuto realizzata una discarica abusiva senza dare rilievo alcuno agli accertamenti compiuti in sede penale ed al divieto del ne bis in idem , stante la sostanziale identità dei fatti oggetto del giudizio penale con quelli oggetto del procedimento sanzionatorio solo nominalmente amministrativo.
La tesi dei ricorrenti va disattesa perché la decisione della CTR non ignora affatto la pronuncia dei giudici penali intervenuta sui fatti oggetto dell’imputazione penale in quanto costituenti reato ed ha motivatamente escluso la dedotta pregiudizialità tra i diversi giudizi.
Si legge nella impugnata sentenza «che vi è quindi una responsabilità penale per il reato ambientale che comporta misure afflittive, quali l’arresto e l’ammenda, ed una responsabilità amministrativo-tributaria che comporta il pagamento del tributo (ecotassa) e della sanzione pecuniaria» e, inoltre, che va escluso che «l’eventuale procedimento penale possa spiegare automaticamente efficacia di giudicato sul processo tributario, essendo fattispecie assolutamente indipendenti sia in relazione ai presupposti sia in relazione agli effetti.»
Non sembra, peraltro, essere stato accertato dalla CTR nulla di diverso da ciò che la Guardia di RAGIONE_SOCIALE, per cognizione diretta, aveva riportato nel p.v.c. circa i presupposti di fatto della responsabilità dei ricorrenti, perché proprietari del terreno nel quale erano stati rinvenuti i rifiuti, secondo le previsioni dell’art. 3, comma 32, l. n. 549 del 1995.
I ricorrenti, dunque, rispondono personalmente, in solido con i soggetti che esercitano l’attività di discarica abusiva o che abbandonano, scaricano effettuano deposito incontrollato di rifiuti, sia del mancato pagamento del tributo, sia delle sanzioni amministrative, in forza della ratio normativa (l. n. 549 del 1995), che afferisce a profili diversi da quello oggetto delle sanzioni penali, le quali colpiscono altri comportamenti antigiuridici, donde la non pertinenza,
per quanto appresso si dirà, del richiamato principio del ne bis in idem (Cass. n. 23441/2016; n. 5581/2023).
Si tratta di decisione basata su documentazione liberamente valutabile a fini probatori dal giudice tributario, indipendentemente dall’esito del procedimento penale a carico del COGNOME conclusosi con l’assoluzione «per non aver commesso il fatto»; era contestato il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, corrispondente all’abrogato art. 51, comma 3, d.lgs. n. 22 del 1997, concernente la realizzazione e gestione di una discarica non autorizzata di rifiuti speciali non pericolosi, per aver continuativamente riversato, all’interno della cava, materiale di risulta di lavorazioni edili.
La giurisprudenza della Corte ha ripetute volte evidenziato che nel contenzioso tributario non opera automaticamente l’efficacia vincolante del giudicato penale, ai sensi dell’art. 654 cod.proc.pen., vigendo le limitazioni probatorie sancite dall’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992, e potendo ivi valere anche le presunzioni, inidonee, invece, a supportare una pronuncia penale di condanna, per cui la sentenza penale costituisce semplice indizio od elemento di prova critica in ordine ai fatti in essa eventualmente accertati sulla base delle prove raccolte nel relativo giudizio, e non rappresenta un accertamento preliminare necessario (tra le altre, Cass. n. 4924/2013).
Esclusa l’incidenza del procedimento penale nel processo tributario e nella procedura amministrativa di accertamento delle infrazioni, comunque, non è impedito al giudice tributario di utilizzare, quale fonte del proprio convincimento, le prove raccolte nel processo penale, purché il suo vaglio critico, nell’esercizio di quel potere-dovere riconosciutogli dall’art. 116 cod.proc.civ., sia svincolato dall’interpretazione e dalla valutazione che ne abbia dato il giudice penale.
La Regione Puglia, con l’ordinanza-ingiunzione impugnata, ha richiesto ai comproprietari dell’area il pagamento di € 242,568,00 a titolo di tributo per lo smaltimento dei rifiuti evaso, nonché di € 727.704,00 a titolo di sanzione per l’attività di discarica abusiva (art. 3, comma 32, l. n. 549 del 1995), di € 485.136,00 a titolo di sanzione per mancata registrazione delle operazioni di conferimento (art. 3, comma 31, l. n. 549 del 1995) e di € 103,00 a titolo di
sanzione per omessa dichiarazione (art. 9, l. r. Puglia n. 5 del 1997, oltre interessi e spese.
L’esaminato tributo speciale è stato istituito dalla l. n. 549 del 1995, con l’obiettivo di ‘ favorire le minore produzione di rifiuti, il recupero dagli stessi di materia prima e di energia, la bonifica di siti contaminati ed il recupero di aree degradate ‘.
Il suo presupposto è il conferimento in discarica dei rifiuti solidi ed il soggetto passivo è il gestore dell’attività di stoccaggio dei rifiuti, che ha l’obbligo di rivalsa nei confronti di chi effettua il predetto conferimento, inoltre, per impedire lo smaltimento in discariche abusive il legislatore ha previsto un sistema preventivo e repressivo che fa leva sull’estensione del presupposto soggettivo anche agli operatori abusivi, tra cui anche l’obbligo di ripristino delle condizioni del sito interessato dalla discarica e persino all’utilizzatore o al proprietario dei terreni su cui insiste la discarica abusiva.
Le condotte contestate nell’impugnata ordinanza-ingiunzione, ad avviso dei ricorrenti, sarebbero riconducibili al medesimo fatto (gestione di discarica non autorizzata) sanzionato penalmente, con l’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventimila euro, dall’art., con conseguente cumulo di sanzioni penali (art. 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006) e di sanzioni amministrative (art. 3, commi 32 e 31, l. n. 549 del 1995).
Osserva il Collegio che il presupposto della responsabilità per il pagamento dell’ecotassa evasa e per le sanzioni amministrative è affatto diverso dall’elemento fattuale delle condotte contemplate dall’art. 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, per le quali è intervenuta, in sede penale, la pronuncia assolutoria, e specificamente legato a fatto proprio del soggetto responsabile.
Ferma, dunque, l’assenza di una acclarata partecipazione nel reato di realizzazione ed esercizio della discarica priva della prescritta autorizzazione, la responsabilità solidale dei proprietari dell’area (o dei titolari di diritti reali o personali di godimento) per il pagamento della ecotassa e delle sanzioni, si fonda, in forza degli accertamenti effettuati in contraddittorio dalla Guardia di RAGIONE_SOCIALE, sull’accertata sussistenza di una condotta dolosa o colposa ad essi imputabile, avuto riguardo al mancato esercizio «di una funzione di protezione
e custodia finalizzata ad evitare che l’area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti» ravvisabile, dunque, «nell’omissione delle cautele e degli accorgimenti che l’ordinaria diligenza suggerisce ai fini di un’efficace custodia.» (così, Cass. Sez. U., n. 4472/2009).
ll più volte richiamato art. 3, comma 32, l. n. 549 del 1995, prevede che ‘l’utilizzatore a qualsiasi titolo o, in mancanza, il proprietario dei terreni sui quali insiste la discarica abusiva, è tenuto in solido agli oneri di bonifica, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento del tributo e delle sanzioni pecuniarie ai sensi della presente legge, ove non dimostri di aver presentato denuncia di discarica abusiva ai competenti organi della regione, prima della constatazione delle violazioni di legge’.
Al sistema di estensione della responsabilità contemplato dal legislatore è possibile sottrarsi dimostrando con la presentazione di apposita ‘denuncia di discarica abusiva ai competenti organi della regione’ (l’art. 2, comma 3, l. r. Puglia n. 5 del 1997 prevede, allo stesso scopo, la presentazione di una ‘denuncia di discarica abusiva alla competente struttura regionale’), la mancanza di colpa, adempimento che non risulta essere stato posto in essere dagli odierni ricorrenti.
La Corte (Cass. n. 5581/2023) anche di recente ha ribadito il principio secondo cui «( i )n materia di tributo speciale per i rifiuti, c.d. ecotassa, il proprietario del terreno risponde in proprio per culpa in vigilando , sia nelle ipotesi di discarica abusiva, sia di deposito incontrollato, e resta esente da responsabilità ove presenti denuncia ai competenti organi della regione, prima della constatazione delle violazioni di legge, effettuata dai funzionari provinciali ai sensi dell’art. 3, comma 33, della l. n. 549 del 1995.»
Sostanzialmente negli stessi termini si è espressa la giurisprudenza amministrativa che, da ultimo, nell’ambito della annosa questione dell’imposizione dell’obbligo di rimozione dell’ANAS per i rifiuti abbandonati sulle strade, ha ribadito che l’ordine di rimozione di rifiuti previsto può essere indirizzato anche nei confronti del proprietario dell’area, pur non essendo lo stesso l’autore materiale delle condotte di abbandono dei rifiuti, precisando che ‘la norma in questione -qualora vi sia la concreta esposizione al pericolo che su
un bene si realizzi una discarica abusiva di rifiuti anche per i fatti illeciti di soggetti ignoti -attribuisce rilevanza esimente alla diligenza del proprietario, che abbia fatto quanto risulti concretamente esigibile, e impone invece all’amministrazione di disporre le misure ivi previste nei confronti del proprietario che -per trascuratezza, superficialità o anche indifferenza o proprie difficoltà economiche – nulla abbia fatto e non abbia adottato alcuna cautela volta ad evitare che vi sia in concreto l’abbandono dei rifiuti.» (Cons. Stato n. 2171/2021, con richiamo ai precedenti).
Sempre il Consiglio di Stato (sentenza n. 172/2021), in fattispecie di culpa in vigilando riferibile ad una impresa di grandi dimensioni, ha escluso che possa integrare la sussistenza della colpa la richiesta di un impegno di entità tale da essere concretamente inesigibile e da implicare una responsabilità oggettiva che esula dal dovere di custodia di cui all’art. 2051 cod.civ., disposizione che consente sempre la prova liberatoria in presenza di caso fortuito, inteso in senso ampio, comprensivo anche del fatto del terzo, ma ha anche escluso che possa ritenersi inesigibile l’impegno di custodia dell’area richiesto, per l’appunto, ad un’impresa di grandi dimensioni al fine di evitare il sorgere o l’aggravamento di un danno ambientale, ritenendo, quindi, ascrivibile alla stessa un onere di vigilare e di apprestare strumenti utili ad evitare che sull’area di proprietà siano sversati e abbandonati rifiuti in quantità tale da costituire una serie minaccia per la salute pubblica.
Non appare superfluo ricordare che, ai sensi dell’art. 3, l. n. 689 del 1981, la fattispecie soggettiva dell’illecito amministrativo è ricalcata su quella dei reati penali contravvenzionali e che la norma non contempla propriamente un’inversione dell’onere della prova, prescrivendo invece che, ai fini della sussistenza della colpa del trasgressore, è sufficiente che sia dimostrata la consumazione di una condotta (anche omissiva) in violazione di norme specifiche di legge o di precetti generali di comune prudenza, gravando l’incolpato esclusivamente della prova dell’inesigibilità del comportamento volto ad impedire la violazione (Cass. Sez. U., n. 20930/2009).
Nella fattispecie oggetto d’esame non è in discussione l’esimente che esonera da responsabilità il proprietario del terreno che abbia provveduto a
presentare denuncia alle autorità competenti, in quanto i ricorrenti contestano della stessa possibilità giuridica che il proprietario (NOME COGNOME) del terreno ove insiste la discarica abusiva, andato esente dalla sanzione penale prevista per il reato di cui all’art. 252, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, possa essere chiamato a rispondere, unitamente al coniuge (NOME COGNOME), dal competente ente regionale, del mancato pagamento della ecotassa e delle sanzioni per le violazioni previste dall’art. 3, commi 32 e 31, della l. n. 549 del 1995, ivi compresa l’omessa (o infedele) registrazione delle operazioni di conferimento in discarica, per la quale si applica la sanzione amministrativa dal duecento al quattrocento per cento del tributo relativo all’operazione, nonché l’omessa dichiarazione con cui devono essere indicate le quantità depositate in discarica ed i versamenti del tributo dovuti, per la quale è prevista la sanzione da euro 103,29 ad euro 516,46.
I ricorrenti fanno riferimento all’art. 50 della Carta di Nizza ed alla necessità di assicurare un livello di tutela rispettoso del principio del ne bis in idem , ovvero non inferiore a quello garantito dall’art. 4, prot. n. 7, CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
Ad avviso del Collegio, va tenuto conto del fatto che nel presente giudizio è in discussione – soltanto – la responsabilità per il mancato pagamento di una obbligazione tributaria (c.d. ecotassa) e delle correlate sanzioni amministrative, solidalmente gravanti sui predetti coniugi, in quanto proprietari del terreno de quo e per non avere gli stessi fatto denuncia della discarica abusiva, né dimostrato altra causa di esclusione della responsabilità.
Le argomentazioni difensive non convincono, riguardo al recupero dell’ecotassa evasa, perché non sembra pertinente fare richiamo alle problematiche proprie delle sanzioni, mentre riguardo alle sanzioni amministrative in senso tecnico, delle quali si è anche lamentata la elevata misura edittale, perché va nuovamente evidenziato che si tratta di sanzioni irrogate per condotte violative di specifiche disposizioni (extrapenali), contemplanti prescrizioni ed adempimenti che concorrono alla effettiva realizzazione della tutela degli interessi ambientali che ha ispirato l’istituzione della ecotassa, consentendo controlli e verifiche.
Guardando, quindi, alle ragioni ed agli interessi sottesi al richiamato quadro normativo, neppure appare concludente discorrere – astrattamente sulla compatibilità del sistema sanzionatorio amministrativo nazionale con le garanzie del ne bis in idem , questione quest’ultima riferibile al c.d. doppio binario (amministrativo e penale) che assiste anche l’imposizione tributaria.
Alla luce dei principi di cui alla nota sentenza Grande Stevens della Corte Edu del 4/3/2014, non v’è sovrapponibilità tra i fatti oggetto dei due diversi procedimenti considerati nella fattispecie in esame, nel senso che non si può parlare di ‘medesimo fatto storico’, per cui quand’anche se ne possa affermare la natura sostanzialmente penale in base ai noti criteri elaborati a partire dalla sentenza Engel dell’8/6/1976, comunque, non ne i ricorrenti non ne trarrebbero vantaggio sotto il profilo delle garanzie del ne bis in idem e del giusto processo.
Neppure appare univocamente dimostrata la dedotta sussistenza di una afflittività così spinta delle sanzioni da farle trasmodare dall’ambito amministrativo a quello penale, sempre facendo applicazione dei criteri Engel che sono alternativi e non cumulativi, atteso che, quanto all’afflittività, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che «la relativa valutazione non può essere svolta in termini totalmente astratti, ma va necessariamente rapportata al contesto normativo nel quale la disposizione sanzionatoria si inserisce» ed in tale prospettiva, non sembra potersi dubitare del fatto che, nella normativa ambientale la rilevanza degli interessi protetti sia a livello costituzionale, che unionale, spieghi le ragioni del sistema sanzionatorio adottato dal legislatore e, sul punto, è mancato una adeguato e convincente approfondimento da parte dei ricorrenti che si sono limitati ad una generica critica della legge nazionale (Cass. 16517/2020, che richiama Cass. n. 8046/2019).
Né tantomeno merita accoglimento la richiesta dei ricorrenti di rinvio pregiudiziale alla Corte UE, ai sensi dell’art. 267 TFUE, in quanto, alla stregua di tutte le precedenti considerazioni, non risulta che la decisione da adottare presupponga un dubbio interpretativo circa l’interpretazione del diritto dell’Unione o la validità di atti e provvedimenti adottati dalle istituzioni, organi o organismi dell’Unione, limitandosi piuttosto a censurare direttamente
l’incompatibilità con il diritto dell’Unione delle conseguenze di fatto derivanti dall’interpretazione della legge di diritto interno.
I ricorrenti, con la terza censura, contestano la sotto altro profilo la decisione di appello in quanto la CTR avrebbe erroneamente utilizzato la nozione di rifiuto di cui all’art. 2, d.P.R. n. 915 del 1982, nonostante la sua intervenuta abrogazione, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006 (art. 264), atteso che il riferimento all’evoluzione normativa della disciplina in esame, come si legge nella sentenza medesima, appare oggetto di una «digressione di ordine esplicativo, necessaria ad inquadrare la presente controversia in uno specifico contesto normativo che disciplina la materia dei rifiuti» e non ha inciso, nella sostanza, sulla correttezza della decisione, che ha escluso l’applicazione della disciplina «con tratti di marcata specialità» delle rocce e terre da scavo (Cass. n. 7951/2021).
Va, al riguardo, ricordato come non vi sia stata soluzione di continuità tra il d.lgs. n. 22 del 1997 (Decreto Ronchi), nel quale si inserisce la disciplina del d.P.R. n. 915 del 1982, ed il d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente), per cui la nozione di rifiuto, come quello di discarica, cui il giudice di appello ha fatto riferimento non è dissimile, ai fini qui considerati, da quello di cui all’art. 183, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006 (‘qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi’).
La sentenza del giudice di appello appare corretta essendo stata esclusa la possibilità di qualificare come rocce e terre da scavo i materiali rinvenuti, nel sito per cui è causa, dai militari della Guardia RAGIONE_SOCIALE, in sede di sopralluogo, trattandosi di risultanze probatorie evidentemente non superate dalla perizia giurata, che dimostrano trattarsi di «rifiuti costituiti da materiali da demolizione per la produzione di manufatti in cemento e l’indagata non era provvista di alcuna autorizzazione per la raccolta di tali rifiuti.»
A fronte di tale valutazione del materiale probatorio, appare del tutto inammissibile la richiesta alla Corte di legittimità di una revisione del convincimento espresso dai giudici di merito – ancorché prospettata come violazione di legge – ovvero di una nuova pronuncia sul fatto accertato
giudizialmente, in quanto profilo censorio estraneo ai limiti ed alle finalità del giudizio di cassazione.
L’art. 3, comma 32, l. n. 549 del 1995, come già ricordato, «prevede l’applicazione dell’ecotassa al proprietario dei terreni ove questi non abbia denunciato lo scarico abusivo agli organi regionali, a guisa che la responsabilità dominicale viene a configurarsi nei termini soggettivi della culpa in vigilando» (Cass. n. 105472017).
Il giudice di appello ha ritenuto integrata la fattispecie contestata, con giudizio del tutto coerente con la normativa applicata e con le prove raccolte, in quanto NOME COGNOME e NOME COGNOME sono i proprietari del terreno in Avetrana, non ne hanno impedito l’utilizzo come «discarica o deposito incontrollato di rifiuti speciali» e neppure hanno «presentato agli organi della Regione la denuncia di discarica di rifiuti non autorizzata», in relazione all’art. 3, comma 32 ultima parte, l. n. 549 del 1995, per essere esonerati dalla responsabilità.
La Corte (Cass. n. 5581/2023) ha avuto modo di precisare che, alla luce delle esigenze di tutela ambientale sottese alla normativa esaminata, «risulta inconferente ogni discorso in ordine alla differenza tra “esercizio di discarica abusiva” e “attività di abbandono di rifiuti”. Tale distinzione, infatti, se può avere una rilevanza ove si tratti di definire e determinare le diverse sanzioni penali che colpiscono i comportamenti che integrano l’una o l’altra 4 fattispecie, non ha altrettanta rilevanza ai fini tributari in forza della ratio normativa sopra enunciata (in tal senso Cass. n. 23441 del 2016, cit.).»
I contribuenti, ad ogni buon conto, impugnano sotto l’apparenza di una censura per violazione di legge un giudizio di fatto che, per quanto già detto, non è rivisitabile in questa sede, tanto più ove si consideri che laddove fosse stato chiesto un controllo della motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n.5. cod.proc.civ., la relativa censura avrebbe incontrato le preclusioni derivanti dalla «doppia conforme» (art. 360 , comma quarto , cod,proc.civ.).
I ricorrenti lamentano, con la quarta -subordinata -censura, l’omesso esame della domanda, riproposta in appello, diretta alla riduzione del tributo e,
segnatamente, delle sanzioni, invocando l’ applicazione di una più favorevole aliquota (art. 9, comma 2, l. r. n. 25 del 2007).
Orbene, l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, si risolve nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ed integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, vizio che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360, n. 3, cod.proc.civ., o del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, cod.proc.civ., bensì attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo , ovverosia della violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod.proc.civ. (Cass. n. 29952/2022).
Ciò detto, secondo questa Corte (Cass. n. 24155/2017), «ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.»
Orbene, il giudice d’appello, nel confermare la decisione di primo grado che aveva rigettato tutte le domande dei contribuenti, ha logicamente pronunciato nei limiti della domanda e su tutta la domanda, escludendo la rilevanza decisioria dei dati ricavabili dalla perizia giurata, che sono valutabili alla stregua di argomentazioni difensive di parte, e al contrario valorizzando quanto riportato nel verbale di sequestro (trascritto a pag. 4 del ricorso per cassazione), il quale recita «sul posto veniva constatato direttamente lo sversamento dei rifiuti, identificati nella categoria di rifiuti speciali non tossici della seguente tipologia: materiali di risulta e materiale cementizio proveniente dalla demolizione di edifici, piastrelle materiale ferroso, tubi in plastica, residui
lavorazione manto stradale e scarti di lavorazione dell’attività di produzione di manufatti in cemento.»
D’altro canto, non è senza rilievo il fatto che ai contribuenti sia stata addebitata anche la omessa tenuta dei registri di carico e scarico (art. 190, d.lgs. n. 152 del 2006) e le relative annotazioni servono per individuare il flusso dei rifiuti gestiti, non soltanto al fine di determinare la base imponibile del tributo ma anche al fine di effettuare controlli e verifiche.
La decisione, pertanto, si è uniformata al consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale «( … ) tutto ciò che è conferito in discarica si presume rifiuto sottoposto al tributo previsto dall’art. 3, commi 24 e 53 della l. n. 549 del 1995, sicché grava sulla parte che invoca una diversa natura dei materiali conferiti al fine di ottenere l’esenzione o l’imposizione agevolata l’onere di provare la effettiva natura degli stessi (Cass. n. 13120/2016; n. 30711/2011).» (Cass. n. 10295/2019).
La Corte ha, altresì, affermato che «( … ) l’impostazione normativa della “ecotassa”, finalizzata a favorire la minore produzione di rifiuti ed il recupero della materia prima e dell’energia in essi contenute, fa presumere che tutto ciò che è conferito in discarica sia rifiuto, mentre costituisce eccezione ritenere che materiali, pur conferiti in discarica, possano non considerarsi rifiuti, o che possano considerarsi rifiuti ma meritevoli di un più favorevole regime fiscale, con la conseguenza che grava sulla parte che invoca una diversa natura dei materiali, come anche il loro eventuale riutilizzo, uno specifico onere probatorio al riguardo, al fine di ottenere l’esenzione dal tributo o l’imposizione agevolata (Cass. n. 30711/2011).» (Cass. n. 8268/2018).
I ricorrenti lamentano, con la quinta censura, la mera apparenza della motivazione in punto di responsabilità dei contribuenti, ma la critica appare, per tutte le ragioni innanzi esposte, palesemente infondata avendo la CTR indicato gli elementi di fatto e di diritto su cui si basa la decisione e, quindi, restando preclusa alla Corte una diversa ricostruzione e valutazione dei fatti rispetto a quella operata dal giudice del merito che si risolverebbe, ancora una volta, in una inammissibile istanza di revisione delle sue valutazioni e dei suoi convincimenti.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole nella misura complessiva di € 9.500,00 per compensi, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 24 aprile 2024.