Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34613 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34613 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27928/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante protempore;
COGNOME
GROSSI ESPEDITO, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale sono rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente –
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRES 2008.
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 3708/03/2022, depositata il 29 aprile 2022; udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 1° ottobre 2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
– Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale I di Napoli notificava, in data 10 dicembre 2012, alla RAGIONE_SOCIALEr.RAGIONE_SOCIALE, avviso di accertamento n. TF3031004260/2012, con il quale accertava, per l’anno d’imposta 2008, un maggior reddito imponibile di € 1.250.000,00, un valore della produzione netta per € 1.250.000,00 ed un imponibile rilevante ai fini IVA di € 1.850.000,00 da cui emergeva un’imposta di € 370.000,00.
Tale atto impositivo traeva origine da un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, in cui si dava conto della mancata presentazione della dichiarazione per l’anno 2008; della mancata presentazione annuale dei dati IVA per il medesimo p eriodo; dell’omessa istituzione e tenuta dei registri e delle scritture contabili.
Avverso tale avviso di accertamento la società ed i soci RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE proponevano impugnazione mediante ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli in data 15 maggio 2020 (quindi dopo sette anni e cinque mesi dalla notificazione dell’atto), ritualmente notificato a mezzo p.e.c., affermando di essere stati vittime di raggiro da parte di professionista precedentemente incaricato di instaurare la controversia, la cui mancata attivazione aveva determinato la definitività dell’avviso, e richiedendo quindi, in via preliminare, la rimessione in termini per la proposizione del
ricorso ex art. 153 cod. proc. civ., di cui ritenevano sussisterne le condizioni.
Con sentenza n. 1371/13/2021, depositata il 10 febbraio 2021, la C.T.P. adìta dichiarava inammissibile il ricorso, con compensazione delle spese.
Interposto gravame dalla società e dai soci, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 3708/03/2022, pronunciata il 6 aprile 2022 e depositata in segreteria il 29 aprile 2022, rigettava l’appello, condannando gli appellanti alla rifusione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE nonché COGNOME RAGIONE_SOCIALE e COGNOME RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi (ricorso notificato il 18 novembre 2022).
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
In data 9 aprile 2024 il Consigliere delegato ha emesso proposta di definizione anticipata della controversia ex art. 380bis c.p.c., ritenendo manifestamente infondato il primo motivo, ed inammissibile il secondo.
Con istanza depositata il 23 maggio 2024 i ricorrenti hanno chiesto la trattazione e la decisione del ricorso.
Con decreto del 12 giugno 2024 è stata fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 1° ottobre 2024, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 c.p.c.
– Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo i ricorrenti eccepiscono violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n.
472, nonché degli artt. 3 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deducono, in particolare, che, poiché l’omessa tempestiva proposizione del ricorso avverso l’atto impositivo discendeva dalla condotta illecita del consulente infedele (il quale non aveva dato seguito al mandato conferitogli di impugnare l’avviso di acce rtamento), stante la mancanza di colpa dei contribuenti questi avrebbero dovuto essere rimessi in termini per la presentazione dell’impugnazione in esame.
1.2. Con il secondo motivo si eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 83, comma 2, del d.l . 17 marzo 2020, n. 18, conv. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 , e dell’art. 36, comma 1, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv. dalla legge 5 giugno 2020, n. 40, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rilevano, in particolare, i ricorrenti che la C.T.R. aveva ritenuto tardiva l’impugnazione, anche sul presupposto che il ricorso proposto in primo grado era stato notificato il 15 maggio 2020, e quindi, comunque, oltre il termine di sessanta giorni a far data dal 22 gennaio 2020, data in cui essi erano venuti a conoscenza della mancata presentazione del ricorso sulla base del mandato originariamente proposto al professionista infedele; tale motivazione, tuttavia, non teneva conto della normative emergenziale derivante dalla diffusione pandemica del Covid-19, e, in particolare, della sospensione dei termini processuali dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020, applicabile anche alla giurisdizione tributaria.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo è infondato.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, non può andare esente da responsabilità (e quindi non può essere rimesso in termini, ai fini della proposizione del ricorso giurisdizionale) il contribuente responsabile della sua obbligazione tributaria, per l’esclusiva circostanza di avere incaricato un professionista di effettuare determinati adempimenti, che poi non sono stati compiuti, essendo necessario che egli dimostri, al fine di escludere ogni profilo di negligenza, di averne controllato l’effettiva e secuzione, non essendo sufficiente dimostrare, all’uopo, di avere presentato denuncia penale (Cass. 2 marzo 2020, n. 5661; Cass. 20 luglio 2018, n. 19422).
Va rilevato, inoltre, che il contribuente non può considerarsi esente da colpa per il solo fatto di avere incaricato un professionista dei relativi adempimenti, dovendo egli altresì allegare e dimostrare, al fine di escludere ogni profilo di negligenza, di avere svolto atti diretti a controllare la loro effettiva esecuzione, prova nel concreto superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento (Cass. 31 luglio 2024, n. 21560; Cass. 5 luglio 2016, n. 13709).
Conseguentemente, la prova dell’assenza di colpa dei ricorrenti non resta superata a fronte della mera dimostrazione dell’inadempimento del professionista, ma occorre la dimostrazione di avere vigilato sul puntuale adempimento del mandato, prova che, nel caso di specie, la Corte di merito -con accertamento di fatto insindacabile in questa sede -ha ritenuto che non è stata fornita.
Il secondo motivo resta assorbito, stante il carattere dirimente del rigetto del primo motivo.
Il ricorso deve quindi essere rigettato.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare i ricorrenti tenuti al pagamento di un importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Ai sensi dell’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c., i ricorrenti devono essere condannati al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata ex art. 96, comma 3, c.p.c. in € 2.800,00 , nonché al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che viene determinata in € 500,00.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti alla rifusione, in solido tra loro, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte dei ricorrenti, di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido tra loro, in favore dell’Agenzia delle Entrate, dell’ulteriore somma di € 2.800,00, ai sensi dell’ar t. 96, comma 3, c.p.c.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della cassa delle ammende, dell’ulteriore somma di € 500,00 ciascuno, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c.
Così deciso in Roma, il 1° ottobre 2024.