Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11097 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11097 Anno 2025
Presidente: PAOLITTO LIBERATO
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16606/2021 R.G., proposto
DA
RAGIONE_SOCIALE NOME, in proprio ed in qualità di erede legittima della defunta COGNOME NOME, rappresentata e difes a dall’AVV_NOTAIO, con studio in RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata presso lo studio legale RAGIONE_SOCIALE in Roma, giusta procura in allegato al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
Comune RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, entrambi con studio in RAGIONE_SOCIALE (presso gli Uffici dell’Avvocatura Comunale), elettivamente domiciliato presso lo studio legale Leone in Roma, giusta procura in calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Campania il 14 dicembre 2020, n. 6163/10/2020;
ICI IMU ACCERTAMENTO EREDE OBBLIGAZIONE PRO QUOTA
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 5 dicembre 2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME, in proprio ed in qualità di erede legittima della defunta NOME COGNOME, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Campania il 14 dicembre 2020, n. 6163/10/2020, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di tre avvisi di accertamento nn. 294237/878, 299422/917 e 303102/1008 per l’ omesso versamento dell’I MU relativa agli anni 2014 e 2015, nonché per l’omesso parziale versamento dell’IMU relativa all’anno 2016 a causa del disconoscimento dell’agevolazione prevista per la concessione in comodato ai parenti in linea retta entro il primo grado, con riguardo alla proprietà di un appartamento sito in RAGIONE_SOCIALE alla INDIRIZZO, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti del Comune di RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di RAGIONE_SOCIALE il 4 luglio 2019, n. 8012/34/2019, con compensazione delle spese giudiziali.
Il giudice di appello ha confermato la decisione di prime cure -che aveva rigettato il ricorso originario della contribuente sul rilievo che: a. l’ente impositore aveva notificato gli avvisi di accertamento presso il domicilio fiscale della contribuente, nella sua qualità di erede legittima della defunta proprietaria dell’immobile , a nulla rilevando che essi risultassero erroneamente intestati alla de cuius, posto che la contribuente si era potuta regolarmente costituire e difendere con la proposizione del ricorso originario; b. nessuna irregolarità era ravvisabile nell ‘esercizio dell’ imposizione, non potendosi
ravvisare alcuno dei presupposti della pure richiesta esenzione dal pagamento del tributo, essendo emerso che la contribuente aveva effettivamente risieduto nel l’immobile di cui trattasi, essendo inserita nello stato di famiglia della de cuius e non potendo considerarsi comodataria della stessa; c. gli eredi erano responsabili in solidum e non pro quota in virtù della dichiarazione resa ex art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; d. gli atti impositivi non recavano l’irrogazione di sanzioni amministrative ex art. 8 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.
Il Comune di RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a sei motivi.
Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 65, commi 2 e 4, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 156 cod. proc. civ., in relazione a ll’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c od. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che gli atti impositivi erano stati correttamente emessi e notificati e che, comunque, la proposizione del ricorso da parte della contribuente aveva sanato ogni eventuale nullità della notifica.
A dire della ricorrente: « La notifica non è stata fatta agli eredi collettivamente ed impersonalmente, bensì alla stessa dante causa, presso il domicilio della figlia sig.ra NOME COGNOME. Ma neanche è stata fatta ai singoli eredi personalmente e nominativamente, nonostante la tempestiva comunicazione ex art. 65 al Comune (allegata al fascicolo della ricorrente e prodotta sin dal giudizio di prime cure) ». Inoltre, posto « che gli eredi avevano regolarmente inviato la comunicazione prescritta dalla norma disciplinata dal comma 2 dell’art. 65 del
D.P.R. 600/73 », « l’avviso, dopo tale dichiarazione, non poteva essere emesso nei confronti del soggetto deceduto, e doveva essere notificato ai singoli eredi, pena l”inefficacia’ della notifica stessa (come testualmente prevede il quarto comma dell’art. 65) ».
2.1 Il predetto motivo è infondato.
2.2 Ai sensi dell’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600:
« 1. Gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa. 2. Gli eredi del contribuente devono comunicare all’ufficio delle imposte del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale. La comunicazione può essere presentata direttamente all’ufficio o trasmessa mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si intende fatta nel giorno di spedizione. 3. Tutti i termini pendenti alla data della morte del contribuente o scadenti entro quattro mesi da essa, compresi il termine per la presentazione della dichiarazione e il termine per ricorrere contro l’accertamento, sono prorogati di sei mesi in favore degli eredi. I soggetti incaricati dagli eredi, ai sensi del comma 2 dell’articolo 12, devono trasmettere in via telematica la dichiarazione entro il mese di gennaio dell’anno successivo a quello in cui è scaduto il termine prorogato. 4. La notifica degli atti intestati al dante causa può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione di cui al secondo comma ».
Dunque, l’ obbligo di comunicazione posto a carico degli eredi del contribuente è diretto a consentire agli uffici finanziari di azionare direttamente nei loro confronti le obbligazioni
tributarie, il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa: pertanto, se la comunicazione viene fatta, gli atti impositivi vanno notificati personalmente e nominativamente agli eredi nel domicilio fiscale da costoro comunicato, mentre se la comunicazione non viene fatta, gli uffici possono notificare gli atti intestati al dante causa iure hereditario nell’ultimo domicilio dello stesso e diretti agli eredi collettivamente ed impersonalmente.
Pertanto, l’atto concernente obbligazioni tributarie facenti capo al defunto va notificato agli eredi, in via alternativa:
impersonalmente e collettivamente, nei confronti di tutti gli eredi, nell’ultimo domicilio del dante causa, quando la comunicazione di cui al secondo comma dell’art. 65 non sia stata effettuata;
individualmente e nominativamente, nei confronti del singolo erede, nel proprio domicilio fiscale, in presenza di comunicazione.
2.3 Nella specie, gli avvisi di accertamento erano stati emessi dal Comune di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME ed erano stati a lei indirizzati, come si desume dall ‘ intestazione a « COGNOME NOME c/o RAGIONE_SOCIALE » e dalla consegna risultante dalla relata di notifica a mani di una terza persona qualificatasi come « familiare convivente » (non si comprende se ‘ convivente ‘ della defunta o della domiciliataria di questa), stante l’« assenza » della destinataria ormai deceduta (vedasi la documentazione annessa al fascicolo della ricorrente in sede di legittimità).
2.4 Ora, a fronte dell’orientamento formalistico, secondo cui : « Per l’avviso di accertamento intestato e diretto ad un contribuente deceduto, l’art. 65 del d.P.R. n. 600 del 1973 stabilisce che gli eredi del contribuente hanno l’obbligo di
comunicare il decesso del loro dante causa e il nominativo di tutti gli aventi causa, in modo che gli Uffici finanziari possano azionare direttamente nei confronti degli eredi le obbligazioni tributarie, il cui presupposto si sia verificato anteriormente alla morte del de cuius . Se tale comunicazione è stata eseguita, gli atti impositivi devono essere notificati personalmente e nominativamente agli eredi nel domicilio fiscale da costoro comunicato; se, invece, tale comunicazione non sia stata eseguita, gli atti intestati al dante causa possono essere notificati nell’ultimo domicilio dello stesso, ma devono essere diretti agli eredi collettivamente e impersonalmente e tale notifica sarà efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione predetta. Il rispetto di tale procedimento notificatorio non costituisce dato puramente formale ma, incidendo sul rapporto tributario, perché relativo ad un soggetto non più esistente, è causa di nullità assoluta ed insanabile della notifica e dell’avviso di accertamento » (Cass., Sez. 5^, 7 luglio 2003, n. 10659; Cass., Sez. 5^, 14 febbraio 2007, n. 3225; Cass., Sez. 5^, 22 maggio 2019, n. 13760), la giurisprudenza più recente -in base alla drastica restrizione della casistica relativa alle fattispecie di inesistenza/nullità insanabile della notifica (sulla scia dell’orientamento inaugurato da Cass., Sez. Un., 20 luglio 2016, nn. 14916 e 14917 -in senso analogo: Cass., Sez. 5^, 16 febbraio 2018, n. 3816; Cass., Sez. 5^, 30 novembre 2021, nn. 37391 e 37392; Cass., Sez. 5^, 18 maggio 2022, n. 15906; Cass., Sez. 6^-Trib., 9 settembre 2022, n. 26539; Cass., Sez. Trib., 25 luglio 2023, n. 22274; Cass., Sez. Trib., 15 gennaio 2024, n. 1549) – ha ritenuto che la nullità in questione non sia insanabile e che la costituzione dell’erede, che si difenda anche nel merito, ha efficacia sanante della
nullità derivante dalla violazione dell’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 17 gennaio 2019, n. 1156; Cass., Sez. 5^, 30 ottobre 2020, n. 24047; Cass., Sez. 5^, 15 settembre 2021, n. 24869; Cass., Sez. 5^, 26 novembre 2021, n. 36841; Cass., Sez. 5^, 5 luglio 2022, n. 21184; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2022, n. 21962; Cass., Sez. Trib., 2 febbraio 2023, n. 3209; Cass., Sez. Trib., 22 ottobre 2024, n. 27326).
Peraltro, si è ritenuto (da ultima, sempre in relazione a tributi locali: Cass., Sez. Trib., 1 giugno 2023, n. 15544) che tale comunicazione configura un vero e proprio onere, diretto a consentire agli uffici finanziari di « azionare direttamente nei confronti degli eredi le obbligazioni tributarie, il cui presupposto si sia verificato anteriormente alla morte del de cuius»; laddove, la notificazione impersonale collettiva degli atti intestati al dante causa al domicilio dello stesso, viceversa, sia una mera facoltà dell’amministrazione finanziaria e non un obbligo. Il sistema configura, infatti, un obbligo, nel diverso senso di notifica al domicilio personale del singolo erede, soltanto alla condizione che quest’ultimo abbia provveduto a comunicarlo all’amministrazione finanziaria, ipotesi non ricorrente nel caso in esame. Tale principio trova la sua ragione nell’assunto, da tempo affermato in sede di legittimità, secondo cui la notifica collettiva e impersonale è posta ad esclusiva tutela degli interessi erariali e la comunicazione configura un onere di informazione che, ove non assolto, espone gli eredi alle relative conseguenze dispensando gli uffici finanziari dalla ricerca specifica e individuale di ciascun erede, quale sia il tempo trascorso dall’apertura della successione. Due sono, infatti, i presupposti per la notificazione dell’atto, ai sensi del comma 4 dell’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973,
n. 600 (notifica impersonale e collettiva agli eredi presso il domicilio del de cuius ): a) l’ufficio deve essere a conoscenza del decesso; b) l’ufficio non deve avere conoscenza del domicilio degli eredi. Solo al ricorrere di tali condizioni ricorre la giuridica possibilità di procedere alla notifica impersonale prevista dalla legge. Quanto finora esposto, tuttavia, non toglie che, pur in assenza di questa comunicazione, la notifica possa essere effettuata personalmente al singolo erede coobbligato presso i l suo domicilio, ove l’ufficio ne conosca il domicilio.
La peculiarità del caso di specie è che la notifica è stata ritirata a mani proprie dalla ricorrente erede presso il domicilio della de cuius . Dunque, con la consegna a mani proprie si deve ritenere che la notificazione abbia raggiunto il suo scopo, come previsto dall’art. 156 cod. proc. civ., in quanto l’erede è stato posto in condizione di impugnare tempestivamente gli avvisi di accertamento. Si deve concludere, pertanto, che con la notifica degli atti impositivi all’erede, odierno ricorrente, dallo stesso ricevuta a mani proprie, la ratio del citato art. 65, sopra ricordata, volta ad agevolare gli interessi erariali è stata del tutto soddisfatta. Pertanto, si può ribadire il principio di diritto per cui, in ipotesi di decesso del contribuente, ove gli eredi non abbiano assolto all’onere di comunicazione del proprio domicilio, ai sensi dell’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, la circostanza che la notifica non sia stata fatta impersonalmente e collettivamente agli eredi -modalità non integrante un diritto di questi ultimi, in quanto posta a tutela ed agevolazione dell’ente impositore – non costituisce elemento che può inficiare di validità il procedimento notificatorio, qualora l’ente stesso abbia notificato l’atto a mani proprie ad uno di essi (in termini: Cass., Sez. Trib., 1 giugno 2023, n. 15544).
2.5 Nella specie, quindi, posto che la dichiarazione degli eredi ex art. 65, comma 2, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, era stata regolarmente comunicata all’amministrazione finanziaria, al di là dell’effettiva conoscenza della morte sopravvenuta della destinataria degli atti impositivi, la sentenza impugnata si è uniformata a tale orientamento, sul presupposto che l’ ente impositore aveva notificato gli avvisi di accertamento per gli anni di riferimento presso il domicilio fiscale dell ‘appellante , nella sua qualità di erede legittima, a nulla rilevando l’intestazione erronea dei predetti avvisi alla de cuius ormai deceduta al momento della notifica, posto che l ‘ appellante si era potuta regolarmente difendere nel merito con la proposizione del ricorso per l’impugnazione degli avvisi di accertamento.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 65, comma 1, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 112 c od. proc. c iv, in relazione all’a rt. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunciarsi sull’« eccezione sollevata dalla ricorrente nei gradi di merito, secondo la quale ove mai si dovessero ritenere validi gli atti emessi, ed efficaci le notifiche degli stessi, il Comune avrebbe potuto chiedere a cia scun erede il pagamento dell’IMU in relazione alla propria quota ereditaria e mai per l’int ero ».
A dire della ricorrente: « (…) la CTR afferma che in forza dell’art. 65 primo comma, gli eredi sono obbligati in solido. L’applicazione di tale norma però è errata perché la stessa si riferisce alle imposte sui redditi, come risulta evidente dal titolo del DPR 600/73 in cui la norma stessa è inserita: ‘Dispo sizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.’ Né la CTR indica in forza di quale disposizione il citato art. 65
dovrebbe essere applicato anche ai tributi locali . È pur vero che, in linea di principio, le norme di cui al DPR 600/73 vengono considerate come un paradigma di riferimento per le procedure di accertamento di tutti i tributi, tuttavia, l’art. 65, primo comma contiene una norma che non è di natura procedurale, bensì di carattere sostanziale. Stabilisce infatti, un vincolo di solidarietà tra gli eredi per le obbligazioni tributarie del dante causa in materia di imposte sui redditi. Ne deriva che, in mancanza di un espresso rinvio a tale disposizione, il vincolo della solidarietà non si può estendere ad altri tributi».
3.1 Il predetto motivo è fondato.
3.2 Invero, l ‘art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è applicabile soltanto alle imposte dirette, mentre per l’IMU non vi un’espressa deroga al principio generale della ripartizione pro quota tra i coeredi del debito del de cuius . Per cui, in tema di responsabilità per i debiti ereditari tributari, in mancanza di norme speciali che vi deroghino, si applica la disciplina comune di cui agli artt. 752 e 1295 cod. civ., in base alla quale gli eredi rispondono dei debiti in proporzione delle loro rispettive quote ereditarie (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 22 ottobre 2014, n. 22426; Cass., Sez. 5^, 21 settembre 2016, n. 18451; Cass., Sez. 6^-5, 27 dicembre 2017, n. 30966; Cass., Sez. 5^, 22 marzo 2022, n. 9186; Cass., Sez. Trib., 17 luglio 2023, nn. 20553, 20557 e 20585).
3.3 Per cui, la sentenza impugnata non si è uniformata a tale principio, avendo diversamente ritenuto che: « Quanto al mancato riconoscimento della responsabilità solo pro quota per il debito ereditario derivante dal mancato assolvimento del tributo in esame, vale la pena evidenziare che in deroga alla cd. responsabilità ‘ pro quota ‘ o “parziaria” l’articolo 65 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 prevede che per le obbligazioni di
carattere tributari gli eredi sono responsabili in solido e non per quota ereditaria, attribuendo in sostanza all’erario la facoltà di richiedere a ciascuno di essi di onorare l’intero debito del de cuius».
4. Con il terzo motivo, si denunciano, al contempo, violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di valutare la prova relativa alla presentazione della comunicazione ex art. 65, comma 2, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, giacché « né il giudice di prime cure, né quello d’appello ne hanno tenuto conto ai fini delle conseguenze da trarsi per le modalità della notifica degli atti relativi ai debiti tributari del de cuius» e, in particolare, « il giudice di appello ha omesso di valutare gli effetti di tale comunicazione dalla quale derivava l’obbligo del Comune di procedere alla notifica personale e nominativa, a tutti gli eredi, degli atti impositivi il cui presupposto è maturato in capo al dante causa », laddove « dalla lettura della sentenza impugnata, si evince chiaramente che i giudici di appello hanno considerato valido l’atto e efficace la sua notifica, senza mai menzionare la comunicazione depositata dalla ricorrente »; nonché violazione del l’art. 102 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di rilevare che « la notifica non è stata fatta in nessuna delle modalità prevista dal legislatore, né agli eredi collettivamente e impersonalmente, né agli eredi in quanto tali », laddove, secondo la ricorrente: « Questa anomalia comporta che nessuno degli eredi, tranne la ricorrente, ha potuto costituirsi in giudizio. Ciò significa che se le notifiche fatte soltanto alla sig.ra NOME COGNOME devono intendersi equipollenti di quelle fatta a ciascun erede,
personalmente e nominativamente, ovvero a tutti gli eredi collettivamente, allora si deve concludere che il giudizio riguarda tutti gli eredi ed il giudice del merito avrebbe dovuto prendere atto del litisconsorzio necessario e disporre l’integrazione del contraddittorio ex officio».
Il predetto motivo è assorbito dall’esame del primo motivo e dall’accoglimento del secondo motivo, risultandone superfluo ed ultroneo lo scrutinio in questa sede.
Con il quarto motivo, si denuncia (verosimilmente) violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato deciso l’appello dal giudice di secondo grado con motivazione carente o apparente in ordine alla spettanza dell’esenzione per la concessione in comodato dell’immobile a favore di parente in linea retta di primo grado.
5.1 Il predetto motivo è infondato.
5.2 L ‘art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sulla falsariga dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (nel testo modificato dall’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69), rispetto alla cui violazione la censura può considerarsi implicitamente formulata in base al tenore espositivo del mezzo, dispone che la sentenza: « (…) deve contenere: (…) 4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; (…) ».
5.3 Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza impugnata, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro
logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6^-5, 15 aprile 2021, n. 9975; Cass., Sez. Trib., 20 dicembre 2022, n. 37344; Cass., Sez. Trib., 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. Trib., 9 aprile 2024, n. 9446).
Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di ‘ motivazione apparente ‘, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del ‘ minimo costituzionale ‘ richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6^-5, 24 febbraio 2022, n. 6184; Cass., Sez. Trib, 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. Trib., 9 aprile 2024, n. 9446).
In particolare, poi, il vizio di motivazione contraddittoria è rinvenibile soltanto in presenza di un contrasto insanabile ed inconciliabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata, che non consenta la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 17 agosto 2020, n. 17196; Cass., Sez. 6^-5, 14 aprile 2021, n. 9761; Cass., Sez. 5^, 26 novembre 2021, n. 36831; Cass., Sez. 6^-5, 14 dicembre 2021, n. 39885; Cass., Sez. 5^, 27 aprile 2022, nn. 13214, 13215 e 13220; Cass., Sez. Trib., 23 agosto 2023, n. 25079; Cass., Sez. Trib., 2 settembre 2024, n. 23530).
5.4 Nella specie, tuttavia, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia -in parte qua – insufficiente, inconcludente o incoerente sul piano della logica giuridica, giacché essa contiene una sufficiente -per quanto succinta – illustrazione delle ragioni sottese al diniego dell’esenzione, laddove si argomenta che: « Del pari, alcuna irregolarità si ravvisa nella imposizione, non potendosi ravvisare alcuno dei presupposti della pure richiesta esenzione dal pagamento del tributo, emergendo dagli atti che la appellante ha effettivamente risieduto nel cespite di cui trattasi, essendo regolarmente inserita nello stato di famiglia della de cuius e non mera comodataria dello stesso ».
In altri termini, la coabitazione della figlia con la de cuius -insieme ad altri familiari nel medesimo stato di famiglia, secondo l’accertamento in fatto del giudice di appello -escludeva a monte i presupposti per l’invocata esenzione. Difatti, requisito imprescindibile dell’agevolazione prevista dall’art. 8, comma 12, del regolamento comunale IMU in vigore ratione temporis [« 12. A decorrere dall’anno di imposta 2014, sono equiparate alle abitazioni principali le unità immobiliari concesse in comodato (regolarmente registrato) dal soggetto passivo dell’imposta a parenti in linea retta entro il primo grado (genitori, figli) che la utilizzano a titolo di abitazione principale, risultante dalla residenza anagrafica, purché il nucleo familiare del comodatario abbia un ISEE non superiore a € 15.000 annui »] era la concessione del godimento esclusivo dell’immobile ad un soggetto qualificato dalla stretta relazione di parentela in linea retta con il concedente, ma tale condizione non può ravvisarsi nella coabitazione del presunto comodatario con il concedente (ed altri familiari). Aggiungasi che, secondo la stessa prospettazione della ricorrente, « il cespite tassato è
stato dato in comodato alla signora NOME, sorella della odierna ricorrente, NOME, per cui la residenza di questa è del tutto irrilevante ».
Su tale premessa, quindi, la sentenza impugnata ha correttamente motivato in diritto il diniego dell’esenzione, che non poteva spettare alla ricorrente in base alla sola fissazione della residenza anagrafica nell’immobile concesso in comodato ad un terzo.
Con il quinto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modifiche ed integrazioni, in relazione all’art. 3 60, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stati erroneamente esclusi dal giudice di secondo grado « i benefici richiesti sul rilievo che la comodataria risiedeva effettivamente nell’immobile di cui trattasi ».
Il predetto motivo è assorbito dal rigetto del quarto motivo, rendendosene superfluo ed ultroneo lo scrutinio in questa sede. 7. Con il sesto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 58 del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 112 e 116 cod. proc. civ., in relazione al l’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la spettanza dell’agevolazione potesse escludersi in base ad « atti » non meglio specificati e, nel caso di riferimento ai documenti prodotti dall’ente impositore nel giudizio di prime cure, che essi fossero utilizzabili per la decisione, in quanto « si tratta di documenti inutilizzabili perché tardivamente prodotti in primo grado e non più depositati, né richiamati in appello dall’Agenzia [ recte : dal Comune]».
Come la ricorrente aveva già eccepito con l’atto di appello (alle pagine 3 e 4, che sono state riprodotte in ricorso), « la
costituzione in giudizio del Comune di RAGIONE_SOCIALE nel ricorso di primo grado è avvenuta ben oltre i termini stabiliti dalla legge, precisamente il giorno stesso dell’udienza con contestuale deposito di documenti e per questo motivo la ricorrente ne ha contestato la oggettiva tardività, come risulta agli atti di causa, in particolare dal verbale di udienza. Si contesta, pertanto, la sentenza impugnata anche per la irregolarità del contraddittorio di primo grado, contraddittorio svoltosi in palese violazione del diritto di difesa della contribuente, contraddittorio che le ha precluso la possibilità di replicare per iscritto e di depositare ulteriore documentazione, che si era resa necessaria per contrastare gli scritti e i documenti prodotti da controparte, e si evidenzia, altresì, che, nonostante ciò, la Commissione Tributaria di primo grado non ha ritenuto di menzionare nella sentenza tale fatto e, soprattutto, nella parte motiva della sentenza impugnata non viene ben chiarito e, comunque, non si riscontra assolutamente come la Commissione Tributaria di primo grado sia potuta addivenire alle conclusioni raggiunte nonostante la costituzione della parte resistente fosse tardiva e le sue eccezioni e controdeduzioni (con i relativi documenti allegati) non potevano in alcun modo essere prese in considerazione dal Collegio, come affermato da cospicua e costante giurisprudenza ».
7.1 Il predetto motivo è infondato.
7.2 Secondo la motivazione in parte qua della sentenza impugnata: « Quanto alla preliminare eccezione relativa alla tardiva costituzione nel primo grado di giudizio del Comune di RAGIONE_SOCIALE, con la relativa decadenza dalla possibilità di controdedurre in relazione alla contestazione della parte ricorrente, giova ricordare che la S.C. (cfr. Cass. Sent. Nr. 14638/2019) ha avuto modo di (ri)affermare il principio
secondo il quale ‘ … la tardività della· costituzione in giudizio del resistente – disciplinata dall’art. 23 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, richiamato, per il giudizio di appello, dall’art. 54 – non comporta, sia in base alle norme indicate, sia alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di procedura civile (alle quali rinvia l’art. 1 del citato d.lgs.), alcun tipo di nullità, stanti la mancata previsione di simile sanzione ed il principio di tassatività delle relative cause, ex art. 156 cod. proc. civ., ma determina soltanto la decadenza dalla facoltà di chiedere e svolgere attività processuali eventualmente precluse» (Cass. n. 21212 del 5/11/2004; n. 21059 del 8/10/2007; n. 4712 del 25/2/2013) … ‘ . Nel caso di specie alcuna delle facoltà espressamente precluse al convenuto tardivamente costituitosi è stata contestata dall’appellante, che si è limitata a ribadire la doglianza senza trame alcuna specifica conseguenza in punto di inutilizzabilità delle difese o della documentazione prodotta». Inoltre, quanto agli ‘ atti ‘ imprecisati (a dire della ricorrente), il giudice di appello fa espressa menzione dello stato di famiglia della de cuius , in cui la contribuente era compresa.
7.3 Si rammenta, in proposito, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di contenzioso tributario, la costituzione in giudizio della parte resistente deve avvenire, ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, sicché, qualora tali difese non siano state concretamente esercitate, nessun altro pregiudizio può derivare al resistente, al quale va riconosciuto il diritto di negare i fatti costitutivi della pretesa attrice, di contestare l’applicabilità delle norme di diritto invocate, nonché di produrre documenti ai sensi degli
artt. 24 e 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass., Sez. 5^, 30 gennaio 2019, n. 2585; Cass., Sez. 5^, 30 settembre 2021, n. 26507; Cass., Sez. Trib., 13 aprile 2023, n. 9934; Cass., Sez. Trib., 16 maggio 2024, n. 13698).
Per cui, nonostante la tardiva costituzione, la documentazione prodotta dall’ente impositore per difendere la legittimità degli atti impositivi è pienamente utilizzabile ai fini della decisione. 8. In conclusione, valutandosi la fondatezza del secondo motivo e l’infondatezza dei restanti motivi, alla stregua delle suesposte argomentazioni, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania (ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a ), della legge 31 agosto 2022, n. 130), in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, il quarto ed il sesto motivo, assorbiti il terzo ed il quinto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 5 dicembre