Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15459 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15459 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29578/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO, domicilio digitale legale
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE domicilio digitale legale
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 804/2022 depositata il 04/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
NOME COGNOME conveniva in giudizio l’Agenzia delle Entrate chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, indicati come conseguenti all’avviso di accertamento per recupero tributario adottato dall’amministrazione a carico alla s.a.s. di cui il deducente era socio accomandante, e altresì solidamente nei confronti dello stesso, con successiva iscrizione ipotecaria effettuata dall’agente per la riscossione su cespiti del medesimo;
il Tribunale, davanti al quale resisteva l’Agenzia, accoglieva parzialmente la domanda, condannando la convenuta al risarcimento del danno patrimoniale in specie per il ritardo, ritenuto determinato dalla condotta dell’amministrazione, nel rilascio dell’iscrizione di COGNOME nell’Elenco centrale informatizzato di professionisti abilitati al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni fiscali, nonché il ristoro del danno non patrimoniale ai sensi dell’art. 96, cod. proc. civ.;
la Corte di appello riformava in parte la decisione di prime cure con esclusione della seconda posta di danni, osservando, in particolare, che:
-era da disattendere l’eccezione di giudicato preclusivo sollevata dall’Agenzia in relazione a giudizi in specie tributari, sia perché difettava l’attestazione del Cancelliere ai sensi dell’art. 124, disp. att. cod. proc. civ., sia perché nessuna delle pronunce delle Corti tributarie richiamate avevano riguardato il decisivo aspetto dell’illecita estensione dell’avviso di accertamento relativo al debito della RAGIONE_SOCIALE anche al suo socio accomandante quale COGNOME che, invece, rispondeva, a mente dell’art. 2313, cod. proc. civ., nella misura della sua quota, salvo il caso
del mancato versamento della stessa e comunque nei limiti di quella, potendo diversamente i creditori sociali agire nei confronti dei soci accomandanti solo in via surrogatoria e per ottenere utilmente i conferimenti dovuti;
-non era infatti stato dimostrato che COGNOME avesse mancato di effettuare i conferimenti in parola;
-non era stato allegato né dimostrato alcun diverso elemento sulla scusabilità della condotta dell’amministrazione;
-la circostanza del conseguito ritardo nell’iscrizione dell’Elenco centralizzato dei professionisti abilitati, cui era stata correlata la prima voce di danno accordata, non era stata contestata né oggetto di appello;
-la richiesta di danno ex art. 96, cod. proc. civ., era invece da respingere perché l’ipoteca iscritta ex art. 77, d.P.R. n. 602 del 1973, non integrava una delle differenti ipotesi di cui all’art. 2818, cod. civ., ovvero d’ipoteca giudiziale cui la fattispecie dell’affermata responsabilità faceva riferimento;
avverso questa decisione ricorre l’Agenzia delle Entrate articolando due motivi, corredati da memoria;
resiste con controricorso NOME COGNOME che ha proposto, altresì, ricorso incidentale condizionato basato su due motivi.
Rilevato che
con il primo motivo di ricorso principale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2697, cod. civ., 5, d.P.R. n. 917 del 1986, 15, d.P.R. n. 603 del 1973, poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che non era ammissibile duplicare il giudizio sull’illegittimità delle pretese tributarie, devoluto alla relativa giurisdizione, con speculari giudizi civili risarcitori, atteso che, nel caso, gli affermati profili
d’illegittimità, indicati come titolo per la responsabilità aquiliana, si erano esauriti in censure attinenti esclusivamente al rapporto tributario in cui si sarebbe risolta una pretesa condotta amministrativa prevaricatrice, con provvedimenti impugnabili ovvero impugnati senza conclusivo e definitivo esito positivo per il contribuente il quale, in ragione del principio di trasparenza, poteva ben rispondere personalmente dei debiti IRPEF da redditi societari, e, comunque, nei casi di ingerenza gestora ovvero, residualmente, in caso di cancellazione della società stessa;
con il secondo motivo di tale ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2697, cod. civ., 115, 116, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare il difetto di dimostrazione degli effettivi pregiudizi oggetti di risarcimento, tale non essendo il mero ritardo nell’iscrizione nel discusso elenco dei professionisti abilitati al visto di conformità;
con il primo motivo di ricorso incidentale si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 96, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che il Tribunale aveva riconosciuto il danno non ai sensi del terzo comma dell’evocata norma, come ritenuto ultrapetita dal giudice di seconde cure, bensì del primo comma della prescrizione, estensivamente applicabile alla fase amministrativa della condotta dell’ente convenuto, ossia all’emissione indebita di ruoli a carico del deducente, della quale, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, poteva endoprocessualmente conoscere il giudice;
con il secondo motivo di tale ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato ammettendo la produzione di documenti indicati come concernenti il controdedotto giudicato esterno, indicato come rilevabile anche officiosamente e poi escluso, poiché le prove precostituite in questione avevano riguardato anche altro,
e in specie ulteriori atti giudiziali e impositivi provenienti dall’agente per la riscossione, creandosi così un inammissibile precedente.
Considerato che
il primo motivo di ricorso principale è in parte inammissibile, in parte infondato;
va sicuramente ribadito che l’assunta illegittimità della condotta della pubblica amministrazione, così come dei suoi concessionari quale l’agente per la riscossione, non comporta ex se la responsabilità risarcitoria della stessa essendo necessario verificare la sussistenza del requisito soggettivo del dolo o della colpa (v. ad esempio, di recente, Cass., 26/09/2024, n. 25755, in tema d’illegittima iscrizione ipotecaria ex art. 77, d.P.R. n. 602 del 1973, senza la preventiva comunicazione, con esclusione della colpa del riscossore in ragione della giurisprudenza di legittimità dell’epoca dei fatti);
in altri termini, responsabilità della p.a., ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., per l’esercizio illegittimo della funzione pubblica, è configurabile qualora si verifichi un evento dannoso che incida su un interesse rilevante per l’ordinamento e che sia eziologicamente connesso a un comportamento della stessa doloso o colposo, non essendo affatto sufficiente la mera illegittimità dell’atto a determinarne di per sé l’ipotizzata illiceità: ne consegue che il criterio d’ imputazione della responsabilità in parola non è correlato alla sola illegittimità del provvedimento, ma ad una più complessa valutazione, estesa all’accertamento dell’elemento soggettivo e della connotazione dell’azione amministrativa come fonte di danno ingiusto (v. Cass., 31/10/2024, n. 23170, e prima Cass., 22/11/2017, n. 27800; cfr., altresì, Cass., 05/06/2020, n. 10814, in cui è riaffermato che, anche nel l’ambito del recupero dei crediti tributari, quale quello in scrutinio, la condotta amministrativa deve svolgersi nei limiti imposti dalla legge e dalla norma primaria del
neminem laedere , per cui è consentito al giudice ordinario adito per il risarcimento del danno – nonostante il divieto di stabilire se il potere discrezionale sia stato opportunamente esercitato -accertare se vi sia stato, da parte dell’amministrazione o del concessionario per la riscossione, un comportamento colposo tale che, in violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la lesione di un diritto soggettivo, ferma restando, per il detto concessionario, l’azione di regresso nei confronti dell’ente impositore per la misura della condotta causalmente e colposamente riferibile allo stesso e alle sue obbligazioni di diligenza; cfr., ancora, Cass., 26/01/2022, n. 2340, e, successivamente, Cass., 08/07/2024, n. 18539);
nella fattispecie, premesso che nel ricorso non si specifica compiutamente il contenuto delle decisioni del giudice tributario indicate come rilevanti e passate in cosa giudicata con attestazioni prodotte in questa sede, la Corte di appello, secondo la difesa erariale, a supporto dell’avallo della responsabilità aquiliana non ha posto alcun elemento ulteriore rispetto all’illegittimità delle iscrizioni a ruolo per debiti sociali anche a carico del socio accomandante;
in buona sostanza la specifica secondo cui non era stata allegata ovvero dimostrata alcuna omissione dei conferimenti e ancora alcuna «scusabilità della condotta dell’amministrazione finanziaria, né in termini di sussistenza di contrasti giudiziari, né tanto meno di incertezza del quadro di riferimento o di complessità della situazione di fatto» (pag. 17 del provvedimento), si tradurrebbe nella dedotta violazione dei principî regolatori del riparto degli oneri probatori e, al contempo, della corretta individuazione dei fatti costitutivi della pretesa risarcitoria;
in questo senso vanno letti i riferimenti dell’Agenzia medesima alla mancata verifica di un’ingerenza gestoria del socio accomandante ovvero, in particolare, al normale riflesso dei
conseguenti maggiori introiti reddituali del medesimo, che parte controricorrente ritiene fatti nuovi e come tali non deducibili per la prima volta in questa sede;
dev’essere osservato, in contrario alla prospettazione della difesa pubblica, che sebbene l’inescusabilità sia fatto costitutivo della responsabilità in questione, come tale da allegare e dimostrare compiutamente dalla parte istante, rimane nell’ipotesi ostativo il rilievo per cui, secondo la Corte di appello, non si era trattato dell’imputazione di debiti personali del socio accomandante, quali quelli per ingerenza gestoria, o per riflesso reddituale IRPEF, o per IVA e IRAP a società secondo l’Avvocatura dello Stato cancellata (pag. 11, nota 1), bensì di un’imputata responsabilità solidale, dunque, per debiti contratti dalla società (cfr. sin dalla pagina n. 2 della sentenza in questa sede impugnata);
così profilata, l’inescusabilità è stata correttamente affermata;
se, diversamente, vi fossero state altre ipotesi fattuali volte a far emergere la natura di debiti non sociali ma personali di COGNOME, le stesse avrebbero dovuto essere allegate e dimostrate, davanti ai giudici di merito, dall’amministrazione, risolvendosi in fatti impeditivi della pretesa risarcitoria quale differentemente delineata;
né l’amministrazione indica quando avrebbe anche solo allegato specificatamente tutto ciò;
il secondo motivo di ricorso principale è invece fondato;
la Corte territoriale ha confermato la liquidazione del danno patrimoniale, equitativamente liquidato, specificamente correlato alla ritardata iscrizione del ricorrente nell’elenco dei professionisti abilitati al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni fiscali, senza indicare, però, quale concreto pregiudizio materiale,
nell’ambito di tale categoria presa in esame, fosse stato allegato e dimostrato;
la posposizione temporale dell’iscrizione in parola afferiva infatti all’evento di danno cagionato dall’indicata condotta illecita della pubblica amministrazione, cui si potevano correlare, in tesi e tipicamente, perdite da mancati introiti professionali, ma tale ultimo danno-conseguenza non si evince sia stato accertato anche, se del caso, in via presuntiva, non potendo affermarsi la sussistenza di un danno propriamente in re ipsa (Cass., Sez. U., 15/11/2022, n. 33645, pagg. 13 e seguenti), né sopperire all’evidenziata carenza assertiva e probatoria attorea con una liquidazione equitativa, che presuppone il già intervenuto accertamento dell’effettivo pregiudizio e la sua difficoltà di quantificazione, senza che questa possa essere lo schermo per eludere gli oneri dell’istante (cfr., utilmente, di recente, Cass., 17/12/2024, n. 32946);
il primo motivo di ricorso incidentale è in parte inammissibile, in parte infondato;
in primo luogo, la censura non dimostra che vi sia stata una statuizione espressa del Tribunale ai sensi del primo comma dell’art. 96, cod. proc. civ., e non del terzo comma della medesima norma, ciò non emergendo dall’inciso sul punto riportato (a pag. 5 del controricorso e a pag. 19 del ricorso incidentale), e non essendovi pertanto alcun giudicato interno ostativo alla qualificazione della domanda in seconde cure, secondo il sindacato proprio del giudice di merito, rispetto al quale non si deduce specificatamente un vizio motivazionale nella suddetta ricostruzione della pretesa quale svolta (cfr. Cass., 22/09/2023, n. 27181);
in secondo luogo, si richiama la nomofilachia di questa Corte però afferente alle ipotesi di parte vittoriosa e pronuncia ritenuta non a caso fattispecie tipicamente endoprocessuale in tutte le
ipotesi ex art. 96, cod. proc. civ., come tale non deducibile al di fuori del processo -nel caso tributario -in cui sia stata posta in essere la condotta della controparte illecitamente volta ad affermare, anche e infine in quella sede, una pretesa priva di fondamento (Cass., 10/10/2019, n. 25416, pag. 7; cfr., inoltre, Cass., 09/12/2019, n. 32029, in cui è ribadito che la domanda di risarcimento danni ex art. 96, primo e secondo comma, cod. proc. civ., dev ‘ essere formulata necessariamente nel giudizio che si assume temerariamente iniziato o contrastato, non potendo essere proposta in via autonoma, riguardando un’attività processuale che come tale va valutata nel giudizio presupposto da parte del medesimo giudice, anche per esigenze di economia processuale e comunque per evitare pronunce contraddittorie nei due giudizi; cfr., poi, Cass., 15/05/2023, n. 13244, che fa salve solo ipotesi d’ impossibilità di fatto, qualora la vittima, al momento del compimento della temeraria iniziativa processuale, non aveva patito alcun danno né poteva ragionevolmente prevedere di subirne in seguito, ovvero un’impossibilità di diritto, qualora sussistano preclusioni di carattere processuale);
è vero che nella fattispecie ci si riferisce alla ‘fase amministrativa’ precedente l’impugnazione davanti al giudice tributario, ma questa seconda seguiva comunque alla prima, quale sede processuale necessitata per reagire alla pretesa svolta e, dunque, volta a valutarne la complessiva abusività ai fini ritenuti in parola;
la censura, dunque, dev’essere disattesa sia perché non contrasta idoneamente la ricostruzione e qualificazione della domanda data dalla Corte distrettuale, sia perché, per altro verso, lo fa, nel quadro della critica vincolata propria del giudizio cassatorio, invocando ricostruzioni erroneamente inconferenti;
il secondo motivo di ricorso incidentale è inammissibile;
la censura fa riferimento a documenti di cui non illustra specificatamente contenuto e incidenza sui contenuti decisori, limitandosi a sostenere di voler infatti evitare ‘inammissibile precedente’;
è stato pertanto violato il principio di specificità di cui all’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., ratione temporis applicabile (Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469), e comunque difetta la dimostrazione della decisiva concludenza della deduzione quale svolta;
spese al giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso principale, accoglie il secondo, rigetta il ricorso incidentale, cassa in relazione la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Firenze perché, in diversa composizione, pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24/03/2025.