Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33579 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33579 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11546/2016 R.G. proposto da: NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE I NAPOLI, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA n. 10188/2015 depositata il 16/11/2015. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale della Campania ( hinc: CTR), con la sentenza n. 10188/2015 depositata in data 16/11/2015, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 20401/10/14 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, che aveva accolto il ricorso proposto da NOME NOMECOGNOME in qualità di responsabile per la liquidazione e cancellazione della società RAGIONE_SOCIALE contro l’avviso di accertamento TF3030104632/2013, a titolo di IVA illegittimamente detratta in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti.
La CTR, richiamati i contenuti dell’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 e dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, ha rilevato che nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti -dato per pacifico che i costi effettivamente sostenuti vanno comunque considerati ai fini delle imposte dirette -l’IVA di fatto non versata dalla società interposta è indetraibile, salvo che il contribuente non sia estraneo alla frode e non sia ragionevolmente all’oscuro di quest’ultima.
2.1. La CTR ha poi rilevato che in tutti i casi di operazioni inesistenti (anche solo soggettivamente) a fronte di precise contestazioni dell’amministrazione finanziaria si verifica l’inversione dell’onere della prova, con la conseguenza che è il contribuente a dover provare di non essere stato a conoscenza della frode e di avere esercitato la comune diligenza per accertarsi della reale esistenza delle società cd. cartiere sue fornitrici.
2.2. Nel caso di specie il contribuente non ha contestato la natura di cartiere delle fornitrici RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di primo grado, non è stata fornita, ad avviso della CTR, alcuna prova concreta da parte del contribuente che, in assenza di qualsiasi riscontro documentale, si è limitato a mere affermazioni, in ordine alla cessazione di fatto dell’attività al 31/12/2012 (di cui non è stata prodotta la comunicazione al registro delle imprese), la messa in liquidazione con atto pubblico del 19/02/2013 e l’acquisto di telefon i cellulari a prezzi di mercato (se non superiori), lo svolgimento di indagini sostanziali della concreta esistenza delle società fornitrici. Diversamente, l’Ufficio ha motivato l’accertamento, sia pure sulla stesso contribuente) che, in virtù della loro univocità e molteplicità sono base di prove presuntive (riconosciute valide dallo connotate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza.
La CTR ha rilevato, in particolare, che:
-la successione temporale delle vicende societarie evidenzia un comportamento sospetto attuato subito dopo l’inizio della verifica da parte della Guardia di Finanza. Non troverebbe altra spiegazione l’improvvisa messa in liquidazione della Sofitel asseritamente effettuata con atto pubblico non prodotto e trascritta dopo oltre tre mesi (e quindi non opponibile ai terzi fino al 07/06/2013), con la successiva cancellazione riferita alla data del 03/07/2013;
-il pagamento degli acquisti a mezzo bonifico bancario e la regolare registrazione delle fatture, a parte provare la reale sussistenza di costi, non assume altro rilievo, dato che è frequente, nelle ipotesi di cd. frodi carosello, l’uso di tali mezzi di pagamento, al fine di preordinare un qualche elemento di prova;
-è singolare che RAGIONE_SOCIALE si servisse ‘per puro caso’ di ben tre società cartiere, cioè di soggetti che acquistavano all’estero i telefoni cellulari in esenzione di IVA, per poi immetterli sul mercato nazionale, senza nutrire alcun sospetto sulla natura di tali operazioni, facilmente verificabile mediante un semplice accesso nelle relative sedi, prive di strutture, di beni strumentali e di dipendenti.
La CTR ha infine ritenuto significativa l’assenza di alcun riferimento all’esito del procedimento penale presumibilmente conseguente alla verifica della Guardia di Finanza.
Avverso la sentenza della CTR il sig. COGNOME Giuseppe ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata contestata la violazione dell’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 in relazione all’art. 19 d.lgs. 26/02/1999, n. 46, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. -Assenza di responsabilità del liquidatore in materia di IVA e violazione dell’art. 36 d.lgs. 546 del 1992.
1.1. Il ricorrente ha evidenziato che, con il richiamo all’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973, la CTR ha motivato la decisione in violazione e falsa applicazione della norma appena evocata. In particolare, la versione della norma applicabile ratione temporis prevedeva l’onere in capo all’Ufficio di provare il soddisfacimento di crediti di ordine inferiore a quelli erariale, senza aver prima pagato questi ultimi. Fino alle modifiche apportate dall’art. 28, comma 5, d.lgs. 21/11/2014, n. 175 -a decorrere dal 13/12/2014 -l’onere di provare la condotta colpevole dl liquidatore che avesse soddisfatto crediti di ordine
inferiore a quelli tributari o assegnato beni ai soci associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari faceva carico all’ufficio.
1.2. Il ricorrente ha poi rilevato -richiamando Cass., Sez. U, 12/03/2013, n. 6070 -l’efficacia costitutiva della cancellazione della società dal registro delle imprese, avvenuta prima dell’emissione dell’avviso di accertamento e la circostanza che, sin dal 31/12/2012, fosse cessata la relativa attività presso la sede operativa in Napoli, INDIRIZZO come da comunicazione al registro delle imprese. Veniva risolto in anticipo anche il contratto di locazione e solo dopo trenta giorni la Guardia di Finanza ha eseguito l’accesso presso la sede legale. Alla data del 02/05/2013 il ricorrente non poteva, quindi, identificarsi e firmare nessun atto come liquidatore non essendo intervenuta alcuna forma di pubblicità presso il registro delle imprese ed essendoci, tra l’altro, evidente identità tra la figura dell’amministratore unico e del liquidatore. Eccepisce, quindi, l’insussistenza del requisito di certezza e definitività dei crediti erariali sia all’avvio della fase di liquidazione, sia al momento della sua cessa zione, quale ulteriore condizione di applicabilità dell’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973. In assenza di tale requisito il liquidatore non può essere chiamato a rispondere ai sensi della norma appena richiamata che postula il requisito delle definitività del debito verso la società.
1.3. Nell’ambito della contestazione relativa alla falsa applicazione dell’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 va eccepita anche l’assoluta infondatezza e illegittimità della pretesa impositiva alla luce di quanto previsto dall’art. 19 d.lgs. n. 46 del 1999, il quale, prima della modifica ad opera dell’art. 28, comma 7, d.lgs. 21/11/2014, n. 175 prevedeva espressamente, ex multis , che l’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 si applicasse alle sole imposte sui redditi.
Con il secondo motivo di ricorso è stata contestata la violazione dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 unitamente alla violazione del principio dell’onere della prova ex art. 2967 cod. civ., art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 5, cod. proc. civ. -Assenza di carichi pendenti -Violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 cod. proc. civ. e 2967 cod. civ. -Violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 cod. proc. civ. -Omessa valutazione delle prove dedotte e prodotte in CTP -Insufficiente e omessa motivazione della sentenza. Illogicità ed infondatezza dei motivi di fatto e diritto della sentenza.
2.1. Con tale motivo è stata contestata la violazione dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, unitamente agli artt. 2967 cod. civ. e 32 d.lgs. n. 546 del 1992 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 5, cod. proc. civ., in quanto la CTR, pur richiamando i principi generali comunitari in materia di estraneità alla frode, non ne ha fatto corretta attuazione. I giudici non hanno considerato e valutato le prove addotte e prodotte dal ricorrente in primo grado: si trattava, in particolare, di prove documentali dei quali è stata ritenuta omessa la produzione. In particolare, veniva documentato che il prezzo praticato dalle presunte cartiere era conforme a quello di mercato (come da documentazione relativa ad acquisti eseguiti presso altre aziende), con la conseguenza che l’amministratore della RAGIONE_SOCIALE, all’epoca dell’acquisto non poteva rilevare alcun elemento che potesse indurre, in maniera oggettiva, a ritenere che l’acquisto potesse esser privo di remunerazione per i cedenti e, pertanto, sospetto. Inoltre, per ogni acquisto, non solo venivano fatte le normali indagini formali relative all’esistenza de l soggetto fornitore/cedente, secondo la diligenza imposta dal codice civile (mediante visura estratta dal registro delle imprese e depositata davanti alla CTP), ma anche indagini qualificate, verificando
l’esistenza di una clientela qualificata e di un volume d’affari consistente, con la conseguenza che non poteva esserci alcuna conoscenza della natura soggettivamente inesistente delle cedenti. Tanto più che gli acquisiti della società presso presunte cartiere rappresentano una minima parte degli acquisti effettuati nell’anno di imposta interessato dall’accertamento (5,9% presso RAGIONE_SOCIALE e 1,13% presso RAGIONE_SOCIALE). A fronte della regolarità della fattura l’onere della prova spettava, quindi, all’ufficio, tenuto a provare gli elementi di fatto della frode relativi al cedente e la connivenza da parte del cessionario, anche mediante presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza. L’onere della prova del contribuente è, quindi, soltanto secondario, in quanto subordinato all’adempimento principale dell’onere della prova da parte dell’Ufficio. Mentre quest’ultimo, nel caso di specie, non ha adempiuto al proprio onere probatorio, il contribuente, al contrario, ha assolto al proprio onere probatorio, sebbene subordinato rispetto a quello dell’amministrazione finanziaria.
2.3. In merito all’affermazione della CTR in ordine all’assenza di riferimenti all’esito del procedimento penale presumibilmente conseguente alla verifica della Guardia di Finanza, la parte ricorrente ha rilevato che non risultano carichi pendenti nei suoi confronti.
La controricorrente ha contestato la fondatezza del primo motivo di ricorso, richiamando sia il contenuto dell’art. 2495, secondo comma, cod. civ., sia l’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973, evidenziando che la responsabilità del liquidatore prevista da quest’ultima norma non risi ede sul dolo o sulla colpa, ma deriva da un’obbligazione ex lege, trattandosi di soggetti chiamati a rispondere in proprio in relazione agli elementi obiettivi della sussistenza di attività nel
patrimonio della società in liquidazione e della distrazione di tali attività a fini diversi rispetto al pagamento delle imposte dovute.
3.1. Con riferimento al secondo motivo di ricorso ha evidenziato che, in esito alle indagini, è emerso un articolato meccanismo fraudolento, con la finalità di evasione, secondo un duplice schema. Il primo vedeva la partecipazione di società veicolo che si precostituivano cartolarmente crediti IVA derivanti dalla contabilizzazione di acquisti fittizi di beni e/o servizi, a fronte di quali avvenivano cessioni di beni o servizi (sempre fittizie) che avevano la caratteristica di non essere gravate da imposta, in modo da non erodere (o erodere solo in parte) l’IVA a credito creata fittiziamente. Il secondo schema veniva attivato con la creazione/acquisizione di società che dovevano fungere da mere cartiere, ma che, contrariamente alle classiche cartiere che emettevano fattura e non versavano l’IVA, né presentavano dichiarazione, dovevano essere, a ll’apparenza società fiscalmente irreprensibili.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1 Deve premettersi che questa Corte ha ripetutamente chiarito, con riferimento sia a diverse tipologie di enti collettivi (società di capitali, società di persone, associazioni non riconosciute) che a diverse tipologie di atti (avvisi di accertamento, cartelle di pagamento), che: « Nel processo tributario la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicché non sussistendo possibilità di prosecuzione dell’azione, la sentenza impugnata con ricorso per cassazione deve essere annullata senza rinvio ex art. 382 c.p.c., venendo in rilievo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre, sin dal primo
grado, ad una pronuncia declinatoria di rito. » (Cass., 19 settembre 2019, n. 23365; v. anche Cass., 15 giugno 2018, n. 15844). Nello stesso senso è stato precisato che: « In tema di contenzioso tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicché eliminandosi ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, consegue l’annullamento senza rinvio, ex art. 382 c.p.c., della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, ricorrendo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre da subito ad una pronuncia declinatoria di merito. » (Cass., 23 marzo 2016, n. 5736).
Le Sezioni Unite hanno ulteriormente precisato che, a seguito dell’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio sui generis , in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono (il che sacrificherebbe ingiustamente i diritti dei creditori sociali), ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate . Ne discende che i soci peculiari successori della società, subentrano, altresì, nella legittimazione processuale facente capo all’ente -la cui estinzione è in parte equiparabile alla morte della persona fisica, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ. -in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovverosia a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale (Cass., Sez. U., 12 marzo 2013, nn. 6070, 6071 e 6072).
Dunque, a seguito dell’estinzione della società e della conseguente perdita della capacità processuale, il processo continua nei confronti dei soci, costituendo costoro la giusta parte processuale abilitata, in ragione del fenomeno latamente successorio che si realizza a seguito della cancellazione, ad assumere la veste di legittimo contraddittore nel successivo svolgimento del rapporto processuale, mentre nessuna persistente legittimazione può ravvisarsi in capo al liquidatore, poiché l’art. 2495, comma secondo, cod. civ. consente ai creditori sociali insoddisfatti di agire nei confronti del liquidatore solo se il mancato pagamento è dipeso da questi, in quanto « il liquidatore di una società estinta per cancellazione dal registro delle imprese può ben essere destinatario di una autonoma azione risarcitoria, ma non della pretesa attinente al debito sociale, onde è inammissibile l’impugnazione proposta nei confronti del medesimo con riguardo alla sentenza relativa a quel debito, atteso che la posizione del liquidatore non è quella di successore processuale dell’ente estinto » (Cass., 16 maggio 2012, n. 7676).
4.2 Questa Corte, inoltre, con riguardo all’effetto estintivo delle società (sia di persone che di capitali) derivante dalla cancellazione dal registro delle imprese, ha precisato che il « D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, art. 28, comma 4, in quanto recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa (neppure implicita) né efficacia retroattiva, sicché il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495 c. c., comma 2 -operante nei confronti soltanto dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi -si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (che costituisce il presupposto di tale differimento) sia
presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto D.Lgs., ossia il 13 dicembre 2014, o successivamente » (Cass., 2 aprile 2015, n. 6743 e v. anche, ex multis , Cass., 5 maggio 2017, n. 11100; Cass, 28 settembre 2016, n. 19142).
4.3 Con riferimento specifico alla figura del liquidatore, le Sezioni Unite di questa Corte, di recente, hanno inoltre affermato che « La responsabilità del liquidatore ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, che trae titolo per fatto proprio ex lege, ha natura civilistica e non tributaria, con la conseguenza che, ai fini della legittimità dell’atto di accertamento emesso nei suoi confronti ai sensi del comma 5 dello stesso art. 36, non costituisce condizione necessaria la preventiva iscrizione a ruolo e che il predetto, col ricorso avverso tale avviso, può contestare, innanzi agli organi della giustizia tributaria, la sussistenza dei presupposti dell’azione intrapresa nei suoi confronti, ivi compreso il debito della società per le impost e» (Cass., Sez. U, n. 32790 del 2023).
Le Sezioni Unite, in particolare, hanno precisato che il liquidatore della società è responsabile, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, nei confronti dell’Erario, in proprio e in forma autonoma rispetto all’obbligazione tributaria societaria, trattandosi di responsabilità fondata su un diverso titolo: al mancato pagamento delle imposte dovute dalla società deve aggiungersi la condotta personale del liquidatore che, violando gli obblighi conseguenti alla carica rivestita, ha utilizzato l’attivit à di liquidazione per l’assegnazione di beni ai soci oppure per soddisfare crediti di ordine inferiore a quelli tributari che perciò sono rimasti insoluti. Al distinto titolo e alla stessa diversità di oggetto della responsabilità posta a carico del liquid atore dall’art. 36 citato consegue allora che il debito tributario della società costituisce mero presupposto fattuale di tale responsabilità, rispetto alla quale l’iscrizione a ruolo del credito
fiscale, quale condizione necessaria di esperibilità della relativa azione, non appare giustificabile.
4.4 Tanto premesso, d all’esposizione introduttiva del ricorso risulta che l’avviso di accertamento è stato emesso nei confronti del sig. COGNOME in qualità di responsabile per la liquidazione e cancellazione della società RAGIONE_SOCIALE
A pag. 2 del ricorso si legge che, contro l’avviso di accertamento « proponeva ricorso il ricorrente eccependo le seguenti doglianze: la violazione e falsa applicazione dell’art . 36 del D.P.R. n. 602/73; la falsa applicazione dell’art. 19 d.P.R. n. 633/72 ». Nella sentenza impugnata si legge -nella prima parte della prima pagina che a motivo del ricorso l’odierna parte ricorrente « rilevava che la società RAGIONE_SOCIALE aveva cessato l’attività il 31.12.12, era stata messa in liquidazione il 19.2.13 (registrata presso la CCIA in data 7.6.13) ed era stata cancellata dal registro delle imprese il 3.7.13, sicché nessuna responsabilità era addebitabile al liquidatore ai sensi dell’art. 36 D.P.R. 602/73, dal momento che nessun debito tributario si era reso definitivo al momento della cancellazione.»
4.5. Ciò posto e sulla premessa che al ricorrente, liquidatore di società di capitali cessata, sia stata contestata la responsabilità ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 60 2 del 1973, deve rilevarsi il difetto di specificità della censura formulata, con la quale il ricorrente ha sostanzialmente dedotto che la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto ritenere applicabile la disposizione dell’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 prima della modifica legislativa che, a differenza della nuova formulazione introdotta solo a decorrere dal 13 dicembre 2014, dopo le modifiche apportate dall’art. 28, comma 5, d.lgs. n. 175 del 2014, configurava l’onere di provare la condotta colpevole del liquidatore in capo all’Ufficio . Ed invero, il ricorrente non ha indicato in quale atto abbia proposto le censure relative all’art. 36
d.P.R. n. 602 del 1973 sollevate nella presente sede, né si ricava dalla lettura della sentenza impugnata se e quando abbia proposto la questione relativa alla violazione dell’onere della prova da parte dell’amministrazione finanziaria in relazione alla versione dell’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 anteriore alle modifiche apportate dall’art. 28 d.lgs. 21/11/2014, n. 175, così come non risulta neppure in quale parte del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado sia stata censurata la violazione dell’a rt. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 in relazione alle modifiche che hanno interessato l’art. 19 del d.lgs. 26/02/1999, n. 46 sempre ad opera del d.lgs. n. 175 del 2014.
4.6 Ed invero, da un lato, nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono prospettabili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (Cass., 16 ottobre 2018, n. 25863, in motivazione; Cass., 26 marzo 2012, n. 4787) e dall’altro, la regola della rilevabilità d’ufficio delle questioni, in ogni stato e grado del processo, va coordinata con i principi che governano il sistema delle impugnazioni, nel senso che essa opera solo quando sulle suddette questioni non vi sia stata una statuizione anteriore, mentre, ove questa vi sia stata, i giudici delle fasi successive possono conoscere delle questioni stesse solo se e in quanto esse siano state riproposte con l’impugnazione, posto che altrimenti si forma il giudicato interno che ne preclude ogni ulteriore esame (Cass., 10 ottobre 2019, n. 25493, in motivazione; Cass., 22 settembre 2017, n. 22207; Cass., 18 marzo 2014, n. 6246).
Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
5.1 In proposito, questa Corte ha affermato il principio secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile2017, n. 8758; Cass., 2 agosto 2016, n. 16056; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987).
Nella specie deve essere ritenuta inammissibile la censura nella parte in cui contesta l’omessa valutazione delle prove, l’insufficiente e omessa motivazione della sentenza, l’illogicità e l’infondatezza dei motivi di fatto e di diritto della sentenza. L’omessa valutazione delle prove può , difatti, essere veicolata solo nei limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., profilo evocato dalla ricorrente nell’intitolazione del motivo di ricorso, ma non per contestare l’omesso esame di un fatt o decisivo, ma bensì la valutazione delle prove da parte del giudice di seconde cure, cui viene addebitato di non aver sufficientemente valutato le prove documentali prodotte dalla parte ricorrente (visure delle asserite società cartiere e fatture relative alle operazioni di acquisto da altre società a prezzi similari a quelli praticate nelle operazioni per le quali è stata disconosciuta la detrazione dell’IVA) .
Secondo questa Corte: « In tema di sindacato di legittimità, l’errore percettivo del giudice di merito su un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, può essere fatto valere, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (e nei ristretti limiti di tale disposizione) qualora l’errore consista nell’omesso esame del predetto fatto (e non anche quando si traduca
nella mera insufficienza o contraddittorietà della motivazione), sempre che non ricorra l’ipotesi della cd. “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c. » (Cass., 21/12/2022, n. 37382).
5.2 Nel caso in esame si legge nella sentenza impugnata che: « La giurisprudenza sia della Suprema Corte di Cassazione che della Corte di Giustizia Europea, citata dall’Ufficio, è prevalente nel ritenere che in tutti casi di operazioni inesistenti (anche solo soggettivamente) a fronte di precise contestazioni da parte dell’A.F. si verifichi l’inversione di tale onere, sicché graverebbe sul contribuente provare di non essere stato a conoscenza della frode e di avere esercitato la comune diligenza per accertarsi della reale esistenza delle società c.d. cartiere sue fornitrici. Premesso che il contribuente non ha contestato la natura di cartiere delle sue fornitrici RAGIONE_SOCIALE, COGNOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, va rilevato che -contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice-, nessuna prova concreta è stata fornita al riguardo dal COGNOME, che si è limitato a mere affermazioni, tali dovendosi ritenere, -in assenza di qualsivoglia riscontro documentale -, sia la cessazione di fatto dell’attività il 31.12.12 (la cui asserita comunicazione al registro delle imprese non è stata prodotta), sia la messa in liquidazione della società con atto pubblico del 19.2.13, sia l’acquisto dei telefoni cellulari ai prezzi di mercato (se non superiori), sia ancora l’aver svolto indagini sostanziali della concreta esistenza delle suddette società fornitrici.»
La CTR ha poi ritenuto che l’ufficio avesse sufficientemente motivato l’accertamento, sia pure sulla base di prove presuntive che ha ritenuto essere state riconosciute valide dallo stesso contribuente, richiamando la pag. 10 del ricorso (v. ultima pagina della sentenza impugnata) -facendo riferimento sia alle vicende societarie della
società (con l’improvvisa messa in liquidazione della società successivamente subito dopo l’inizio della verifica della Guardia di Finanza e la cancellazione avvenuta in data 03/07/2013), la circostanza che la società RAGIONE_SOCIALE si sia servita di ben tre cartiere. Non ha invece ritenuto che il pagamento degli acquisti a mezzo bonifico bancario avesse rilievo, trattandosi di pratica ricorrente nelle cd. frodi carosello, al fine di preordinare qualche elemento di prova in ordine all’effettività delle operazioni. Tali valutazioni sono conformi al l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale: « In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi. » (Cass., 20/04/2018, n. 9851).
Inoltre, la CTR si è attenuta al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, «in tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione
finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (Cass. n. 24471 del 2022). » (Cass., 12/07/2023, n. 19889).
6. Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell ‘Agenzia controricorrente liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell ‘Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 24/10/2024.