Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31647 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31647 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
Ires-cartella pagamentogiudicato
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14379/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende,
-ricorrente -contro
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO, n. 3536/2020, depositata il 16/11/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1° ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate ricorre nei confronti di NOME COGNOME, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe . Con quest’ultima la C.t.r. ha accolto l’appello della contribuente avverso la sentenza della C.t.p. di Roma che aveva rigettato il ricorso spiegato avverso la cartella di pagamento emessa per il recupero di quanto preteso a seguito della sentenza, passata in giudicato, n. 368 del 2012 resa dalla C.t.p. di Roma.
NOME COGNOME, la quale aveva rivestito la qualità di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal registro delle imprese in data 20 dicembre 2005, impugnava la cartella di pagamento emessa nei suoi confronti, e dunque in proprio, assumendo che la sentenza n. 368 del 2012, che ne costituiva il presupposto, si era pronunciata sul ricorso presentato da essa deducente nella qualità di rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE avverso avviso di accertamento emesso nei confronti della società ed avente ad oggetto il pagamento di maggiori imposte. Assumeva, pertanto, che la sentenza riguardava la società e non il liquidatore personalmente.
La C.t.p. rigettava il ricorso rilevando che le eccezioni sollevate dalla contribuente erano coperte dalla sentenza n. 368 del 2012 divenuta definitiva. Evidenziava che i profili attinenti al preteso difetto di legittimazione passiva della ricorrente erano stati esaminati da detta pronuncia e che il credito tributario poteva essere fatto valere nei suoi confronti
La C.t.r., invece, con la sentenza qui gravata, in riforma della sentenza di primo grado, riteneva che la C.t.p. avesse errato nel reputare la ricorrente, quale persona fisica, fosse stata dichiarata responsabile dei crediti portati dalla cartella in quanto la sentenza n. 368 del 2012 riguardava la società; che tanto era provato dal fatto che,
sebbene la C.t.p. avesse fatto considerazioni inconferenti sulla responsabilità in proprio dei liquidatori, aveva affrontato il merito del ricorso proposto dall’ente. A ggiungeva che, di conseguenza, la C.t.p. aveva errato nel ritenere che vi fosse un titolo nei confronti della parte personalmente, sicché la cartella impugnata, emessa nei confronti della persona fisica, era illegittima e priva di effetti.
Considerato che:
Con l’unico motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 24 cod. proc. civ. e dell’art. 2909 cod. civ.
Rileva che, diversamente da quanto sostenuto dalla C.t.r., la sentenza n. 368 del 2012, non impugnata, aveva cristallizzato la responsabilità diretta della ricorrente per i debiti tributari della società; che l’iscrizione a ruolo nei confronti di quest’ultima discendeva da detto accertamento; che, pertanto, il riconoscimento di una responsabilità diretta nella veste di liquidatore avrebbe dovuto essere contestato in sede di impugnazione di detta ultima; che, in assenza di gravame, i debiti tributari della società erano oggetto di legittima riscossione nei confronti della stessa, come esplicitato nella motivazione della cartella.
Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’unico motivo di ricorso sollevata dalla controricorrente.
Quest’ultima assume che la disamina del motivo comporterebbe un accertamento – relativo all’idoneità della sentenza n. 368 del 2012 a costituire il titolo della cartella di pagamento emessa a carico del liquidatore in proprio – precluso in sede di legittimità.
2.1. In via generale, le Sezioni Unite della Corte hanno già da tempo precisato che il giudicato costituisce la regola del caso concreto, con la conseguenza che l’interpretazione dello stesso pone una questione di diritto che il giudice di legittimità è tenuto ad accertare direttamente. L’interpretazione del giudicato deve essere
coerentem ente operata alla stregua dell’ interpretazione delle norme e non di quella degli atti e dei negozi giuridici. Da ciò discende, sempre su un piano di logica e giuridica consequenzialità che – costituendo l’interpretazione del giudicato operata dal Giudice del merito non un apprezzamento di fatto ma, una quaestio iuris – la stessa è sindacabile, in sede di legittimità, non per il mero profilo del vizio di motivazione, ma nella più ampia ottica della violazione di legge (Cass. Sez. U. 25/05/2001, n. 226 e Cass., Sez. U., 28/11/2007 n. 24664).
2.2. Anche con riferimento all’interpretazione della sentenza costituente titolo esecutivo in sede di giudizio di opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi le Sezioni Unite hanno smentito il ruolo di mero presupposto di fatto che il titolo esecutivo svolge in generale nell’esecuzione forzata ; hanno precisato, infatti, che la peculiare natura ed il valore giuridico del giudicato, quale legge del caso concreto, fonda, nell’ipotesi in cui si censuri il provvedimento di merito per la violazione dell’art. 2909 cod. civ., il potere-dovere del giudice di legittimità di interpretare il titolo esecutivo al fine dell’accertamento del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata o della legittimità dell’atto esecutivo. Hanno quindi affermato che, ove risulti denunciata la violazione dell’art. 2909 cod. civ. nei giudizi di opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi con riferimento alla cosa giudicata corrispondente al titolo esecutivo giudiziale, la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di interpretare il titolo esecutivo se il giudicato somministra il diritto sostanziale applicabile per l’accertamento del diritto della parte istante a procedere a esecuzione forzata o per l’accertamento della legittimità degli atti esecutivi (Cass. Sez. U. 21/02/2022, n. 5633).
2.3. Nella fattispecie in esame viene in rilievo l’interpretazione di una sentenza passata in giudicato – alla quale è seguita l’iscrizione a ruolo e l’emissione della cartella nei confronti della odierna
contro
ricorrente – con specifico riferimento alla questione del soggetto ivi individuato come il titolare dell’obbligazione tributaria. E’ questione, pertanto, che, secondo il perimetro tracciato dalle sezioni unite, implica l’individuazione della regola giuridica sottesa al giudicato , al fine di accertare il diritto dell’Agenzia delle entrate a procedere alla riscossione nei confronti della destinataria della cartella; come tale è questione proponibile in sede di legittimità.
Nel merito, il motivo è fondato.
3.1. La sentenza della cui interpretazione si verte – integralmente riportata dall’Agenzi a delle entrate nel suo ricorso per cassazione nella parte espositiva chiariva che la ricorrente aveva ricevuto la notifica dell’atto impositivo sia nella qualità di rappresentante legale della società che di liquidatore e che aveva proposto ricorso nella qualità ed ex liquidatore. Di seguito, nella parte motiva, esponeva che il primo motivo di ricorso verteva «sul fatto che avendo la società cessato di esistere il 20.12.05 a seguito di cancellazione del Registro delle Imprese, la signora COGNOME non doveva essere chiamata a rispondere». Scrutinando il motivo, la C.t.r. affermava che lo stesso non poteva essere accolto in ragione di in quanto previsto dal l’art. 495 cod. civ. ai sensi del quale, dopo la cancellazione della società i creditori non soddisfatti potevano far valere i propri crediti nei confronti anche dei liquidatori. Aggiungeva che, anche ai sensi d all’art. 36 d.P. R. n. 602 del 1973, i liquidatori potevano essere chiamati a rispondere in proprio. Concludeva, pertanto, che «il credito tributario vantato da ll’Ufficio poiché era esistente al 2005 poteva essere fatto valere nei confronti della ricorrente».
3.2. Dal tenore della sentenza, posta a fondamento della cartella impugnata (n. 368 del 2012), risulta inequivocabilmente che la C.t.p. aveva individuato l’oggetto del giudizio nella responsabilità in proprio
del liquidatore ai sensi dell’art. 2495 cod. cv. e dell’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 ed aveva qualificato la domanda proposta dalla ricorrente come domanda in proprio nella sua qualità di ex liquidatore della società. Di seguito, la motivazione è chiarissima nell’affermare la responsabilità in proprio della Kanagaratnam per il credito tributario che scrutinando il secondo motivo riteneva sussistente – in virtù del disposto di cui alle norme citate.
3.3. Del resto, risulta dagli atti che la società si era già estinta dal 2005 e che il giudizio conclusosi con la sentenza n. 368 del 2012 era stato introdotto dalla Kanagaratnam nel 2011; pertanto, a quella data, alcun giudizio avrebbe mai potuto proporsi da soggetto non più esistente ed alcun potere rappresentativo avrebbe potuto spendere la ricorrente. E’ noto, infatti, che la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione, priva la medesima della capacità di stare in giudizio, mentre è connaturato all’effetto estintivo il venir meno del potere di rappresentanza dell’ente estinto in capo al liquidatore (Cass. 31/01/2017, n. 2444)
Pertanto, l’assunto di cui al controricorso – secondo il quale il giudizio innanzi alla C.t.p. vedeva come parte la società e la sentenza n. 368 del 2012 era stata resa nei confronti di quest’ultima – non è giuridicamente condivisibile; resta, piuttosto, corroborata la conclusione opposta, ovvero che la C.t.p. ha qualificato la domanda come proposta dalla parte personalmente e che il giudicato si è formato nei confronti di quest’ultima , la quale, pertanto avrebbe potuto e dovuto proporre impugnazione avverso la sentenza.
3.4. La C.t.r., con la sentenza qui gravata, nel ritenere che la sentenza della C.t.p. so ttesa all’iscrizione a ruolo ed alla cartella non concerneva la persona fisica, bensì la società, ha, pertanto, male interpretato il giudicato.
Deve aggiungersi che restano precluse in questa sede le contestazioni mosse in controricorso relative all’insussistenza dei presupposti di una responsabilità personale della liquidatrice in quanto coperte dal giudicato sotteso alla cartella.
Va, infine, dichiarata inammissibile la questione posta nel controricorso, in via subordinata, con la quale la contribuente assume che l’eventuale responsabilità nella qualità di liquidatore si sarebbe prescritta per decorso del termine decennale in quanto il primo atto interruttivo si sarebbe avuto con la notifica della cartella.
In primo luogo, il giudizio avverso la cartella, per come ricostruito nella sentenza gravata, non ha avuto ad oggetto la questione della prescrizione del credito. Dalla ricostruzione contenta nel ricorso per cassazione dell’Agenzia delle entrate risulta che la contribuente non sollevava la relativa questione. Va rammentato, per altro, che secondo il costante insegnamento di questa Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, la parte che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare gli elementi che diano modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 24/01/2019, n. 2038). Ciò, nel caso di specie, non è accaduto,
In secondo luogo l’assunto si fonda ancora una volta sul presupposto erroneo che la ricorrente, in proprio, fosse estranea al giudizio conclusosi con la sentenza n. 368 del 2012.
In conclusione il ricorso va accolto e, la sentenza va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può
essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto dell’originario ricorso introduttivo.
La particolarità della fattispecie induce a compensare integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito.
Le spese relative a questo giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario il ricorso introduttivo; compensa integralmente tra le parti le spese dei giudizi di merito; condanna la controricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 17.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 1° ottobre 2024.