Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19975 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19975 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 18567/2022 R.G. proposto da
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso (PEC: EMAIL;
-ricorrente – contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 575/03/2022, depositata il 18.02.2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’11 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
-La CTP di Mantova accoglieva il ricorso proposto da NOME Alessandro, ex legale rappresentante e poi liquidatore della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, cessata ed estinta in
Oggetto:
Tributi
data 10.10.2016, avverso la cartella di pagamento n. 64 2017 0008003560001, notificata al predetto in qualità di coobbligato in data 9.01.2018 e riguardante il recupero di un credito IVA ritenuto inesistente, in quanto esposto dalla predetta società nella dichiarazione IVA per l’anno 2013, a fronte di una costante situazione debitoria rilevabile dalle scritture contabili per il medesimo anno, e poi indebitamente utilizzato in compensazione nell’anno 2014 ;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l ‘appello proposto da l l’Agenzia delle entrate, rilevando, per quanto qui rileva, che:
-a seguito delle violazioni contestate in sede di verifica, l’Ufficio aveva emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE un avviso di accertamento per l’anno 2013, con il quale aveva accertato una maggiore IVA dovuta con contestuale irrogazione della sanzione per la presentazione di dichiarazione infedele; l’avviso veniva notificato in data 24.03.2017 alla società, nel frattempo estinta per cancellazione avvenuta il 10.10.2016, in persona del legale rappresentante e liquidatore COGNOME NOME, e diveniva definitivo per mancata impugnazione;
-veniva emesso anche un atto di recupero, per l’anno 2014, in relazione al credito IVA inesistente, indebitamente utilizzato in compensazione dalla società nell’anno 2014, con contestuale irrogazione di sanzione ex art. 13, comma 5, primo periodo, del d.lgs. n. 471 del 1997, anche questo notificato alla società, in persona del liquidatore NOMECOGNOME dopo la sua cancellazione, e divenuto definitivo per mancata impugnazione;
successivamente veniva emessa la cartella di pagamento oggetto di impugnazione, finalizzata al recupero del credito IVA fittizio, notificata al COGNOME in qualità di coobbligato;
-la cartella impugnata riguardava l’atto di recupero ormai definitivo e, quindi, poteva essere impugnata solo per vizi propri;
la predetta cartella, notificata a NOME NOME – che conosceva il contenuto anche dell’avviso di recupero non impugnato, tanto da avere incentrato il ricorso solo su quest ‘ultimo , non spendendo una parola sulla cartella esattoriale – non poteva assumere la qualifica di nuovo ed autonomo atto impositivo, avendo acquisito la qualifica di mera intimazione di pagamento degli importi già accertati;
l ‘ art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 non era stato posto alla base dei rilievi formulati dall’Ufficio che, invece, aveva giustificato la notifica della cartella di pagamento al contribuente richiamando l’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 ( ‘ nell’atto di recupero credito notificato alla parte il 24 marzo 2017, era già presente il richiamo normativo all’art. 28, comma 4, D.Lgs. 175/2014, richiamo in base al quale l’ufficio giustificava la notifica all’odierno contribuente ‘ );
-in ogni caso, ‘ qualsivoglia contestazione sul punto, doveva essere eccepita dal contribuente con l’impugnazione dell’atto presupposto ‘;
-l’Ufficio aveva correttamente notificato la cartella impugnata ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973;
il contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati con memoria;
-l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso il contribuente deduce la nullità del procedimento e della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 101 cod. proc. civ., 59, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 546 del 1992 e 27 del d.lgs. n. 137 del 2020, per violazione del diritto di difesa, in quanto le parti non avevano potuto partecipare all’udienza del 24.01.2022, che si era svolta in camera di consiglio, durante il
periodo di vigenza della normativa emanata a seguito dell’emergenza sanitaria da Covid-19, non potendo fruire dei termini a difesa previsti dall’art. 27 cit., essendo stato l’avviso di trattazione notificato solo cinque giorni prima dell’udienza, quando i termini per presentare memorie erano già spirati;
il motivo è infondato;
-l’art. 27 del d.l. n. 137 del 2020 (recante ‘ Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19 ‘), conv . con modificazioni nella l. n. 176 del 2020, prevede che « Fino alla cessazione degli effetti della dichiarazione dello stato di emergenza nazionale da Covid-19, ove sussistano divieti, limiti, impossibilità di circolazione su tutto o parte del territorio nazionale conseguenti al predetto stato di emergenza ovvero altre situazioni di pericolo per l’incolumità pubblica o dei soggetti a vario titolo interessati nel processo tributario, lo svolgimento delle udienze pubbliche e camerali e delle camere di consiglio con collegamento da remoto è autorizzato, secondo la rispettiva competenza, con decreto motivato del presidente della Commissione tributaria provinciale o regionale da comunicarsi almeno cinque giorni prima della data fissata per un’udienza pubblica o una camera di consiglio…. » (comma 1); il successivo comma 2 stabilisce che « In alternativa alla discussione con collegamento da remoto, le controversie fissate per la trattazione in udienza pubblica, passano in decisione sulla base degli atti, salvo che almeno una delle parti non insista per la discussione, con apposita istanza da notificare alle altre parti costituite e da depositare almeno due giorni liberi anteriori alla data fissata per la trattazione. I difensori sono comunque considerati presenti a tutti gli effetti. Nel caso in cui sia chiesta la discussione e non sia possibile procedere mediante collegamento da remoto, si procede mediante
trattazione scritta, con fissazione di un termine non inferiore a dieci giorni prima dell’udienza per deposito di memorie conclusionali e di cinque giorni prima dell’udienza per memorie di replica. Nel caso in cui non sia possibile garantire il rispetto dei termini di cui al periodo precedente, la controversia è rinviata a nuovo ruolo con possibilità di prevedere la trattazione scritta nel rispetto dei medesimi termini. In caso di trattazione scritta le parti sono considerate presenti e i provvedimenti si intendono comunque assunti presso la sede dell’ufficio »;
occorre, quindi, ribadire (Cass. n. 20420 del 2024) che, ‘ Nel processo tributario, la normativa emergenziale di contrasto all’epidemia da Covid-19 consente di sostituire l’udienza pubblica di discussione con il suo svolgimento mediante collegamento da remoto e, in alternativa, prevede la decisione sulla base degli atti, lasciando all’iniziativa della parte la possibilità di insistere per la discussione, che, ove non sia possibile il collegamento da remoto per carenze organizzative all’interno dell’ufficio, può essere sostituita dalla trattazione scritta, da considerarsi equivalente all’udienza. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato nulla la sentenza impugnata, che, pur avendo la parte insistito per l’udienza di discussione, era stata pronunciata allo stato degli atti, senza dare atto dell’impossibilità di procedere al collegamento da remoto e senza neppure concedere i termini per la trattazione scritta)’;
poiché nel ricorso per cassazione non si deduce che il ricorrente aveva presentato apposita istanza per la discussione, notificata alle altre parti costituite e depositata almeno due giorni liberi anteriori alla data fissata per la trattazione, ma si fa leva su una precedente richiesta di trattazione in pubblica udienza, avanzata in sede di controdeduzioni risalenti verosimilmente al 2019 (come si evince dalla data di deposito dell’appello, indicata nell’intestazione della
sentenza impugnata) e, quindi, presentata in epoca antecedente al periodo emergenziale, la CTR aveva correttamente disposto la trattazione dell’udienza scritta sulla base degli atti;
con il secondo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per travisamento della prova nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che la cartella impugnata fosse stata notificata al Cattari in proprio, come soggetto obbligato, e la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente che l’avviso di accertamento su cui si basava il debito della società fosse stato notificato al COGNOME;
con il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, 28, comma 4, della l. n. 175 del 2014 e 2495 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto il COGNOME responsabile per i debiti tributari della società solo perché ne era stato il liquidatore, in assenza dei presupposti di legge, non essendo sufficiente il richiamo, nell’atto di recupero , all’art. 28, comma 4, cit., in quanto la responsabilità del liquidatore ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 ha natura diversa (civilistica) ed autonoma rispetto all’obbligazione tributaria fatta valere con l’avviso di accertamento notificato alla società estinta in persona dell’ex liquidatore; precisa che l’avviso di accertamento relativo all’autonoma responsabilità del liquidatore non era mai stato emesso, visto che quello presupposto era destinato alla società e a questa era stato notificato;
con il quarto motivo denuncia la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto,
da un lato, che la responsabilità del ricorrente fosse di natura tributaria e, dall’altro lato, che fosse di natura civilistica richiamando l’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973;
con il quinto motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2495 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., avendo la CTR ritenuto erroneamente che il COGNOME in quanto liquidatore, avrebbe avuto l’onere di impugnare l’avviso di accertamento; deduce, inoltre, la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui assume che il liquidatore avrebbe avuto l’onere di impugnare la sentenza, pur sapendo e avendone dato atto, che la società era estinta dal 10.10.2016, con conseguente perdita della legittimazione processuale in capo al liquidatore stesso;
va dapprima esaminato, per il suo carattere assorbente, il terzo motivo che è fondato;
occorre premettere che nel caso di liquidazione e successiva cancellazione della società dal registro delle imprese, non si realizza alcuna successione del liquidatore nei debiti tributari della società contribuente, con la conseguenza che, una volta che questa sia stata liquidata e cancellata, viene meno il suo potere di rappresentanza dell’ente estinto e dunque la sua legittimazione passiva in ordine all’atto impositivo, potendo egli rispondere soltanto per il titolo autonomo di responsabilità derivante dalla carica rivestita, di natura civilistica, ai sensi degli artt. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 e 2495 cod. civ., di cui il debito tributario della società costituisce mero presupposto ( ex plurimis , Cass. n. 29969 del 2019);
-l’art. 36 , comma 1, cit. non prevede, quindi, alcuna successione o coobbligazione dei liquidatori nei debiti tributari della società, allorché questa sia cancellata dal registro delle imprese (Cass. n. 7327 del
2012; Cass. n. 29969 del 2019, Cass. n. 17020 del 2019 e Cass. n. 15370 del 2020) , ma un’autonoma ipotesi di responsabilità attribuibile ai liquidatori che non abbiano pagato le imposte del periodo della liquidazione o dei periodi antecedenti, salva la prova del pagamento, con le attività di liquidazione, di crediti di rango superiore;
come hanno recentemente ribadito anche le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 32790 del 2023), la responsabilità dei liquidatori (e degli amministratori) di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 è responsabilità propria, ex lege , di natura civilistica e non tributaria per il mancato pagamento delle imposte dovute, con l’ulteriore precisazione che, « in materia di responsabilità del liquidatore ex art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, traente titolo per fatto proprio, ex lege, di natura civilistica e non tributaria, la preventiva iscrizione a ruolo del credito tributario societario non costituisce condizione necessaria per la legittimità dell’atto di accertamento emesso, ai sensi del quinto comma dello stesso art. 36, nei confronti del liquidatore, il quale, in sede di ricorso avverso tale avviso, potrà contestare, innanzi agli organi della giustizia tributaria la sussistenza dei presupposti dell’azione intrapresa nei suoi confronti, ivi compresa la debenza di imposte a carico della società »;
la responsabilità del liquidatore deve essere, tuttavia, accertata dall’Ufficio con atto motivato da notificare ai sensi del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, avverso il quale è ammesso ricorso, secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario ex art. 36, commi 5 e 6, del d.P.R. n. 602 del 1973, e in tale sede il liquidatore potrà esercitare pienamente il proprio diritto di difesa, contestando la sussistenza dei presupposti della propria responsabilità, ivi compresa l’esistenza a carico della società di imposte dovute per il periodo della liquidazione e per quelli anteriori;
-nel giudizio instaurato avverso l’atto motivato con il quale viene contestata la responsabilità del liquidatore ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, quest’ultimo può, quindi, legittimamente opporsi anche alla sussistenza di imposte a carico della società, al fine di escludere l’asserito inadempimento agli obblighi connaturati alla carica dallo stesso ricoperta (Cass. n. 32790 del 2023 cit.);
-ad ulteriore conferma circa l’ampiezza del diritto di difesa del liquidatore al quale viene contestata la responsabilità ai sensi dell’art. 36 cit., va richiamata, sotto un profilo sistematico, la recente decisione della Corte di Giustizia dell’UE (CGUE 27 febbraio 2025, causa C-277/24 -M.B. , punto 56), secondo la quale ‘ il carattere definitivo di una decisione amministrativa non può giustificare una lesione della sostanza stessa dei diritti della difesa. In tal senso, non si può ammettere che, a causa del carattere definitivo delle decisioni adottate in esito a tali procedimenti amministrativi collegati, l’amministrazione finanziaria sia esentata dal far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova, compresi quelli provenienti da detti procedimenti, in base ai quali essa intende prendere una decisione, e che il soggetto passivo di cui trattasi sia così privato del diritto di rimettere in discussione utilmente, nel corso del procedimento di cui è parte, tali constatazioni di fatto e tali qualificazioni giuridiche (v., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2019, RAGIONE_SOCIALE, C-189/18, EU:C:2019:861, punti 47 e 49 )’;
-se l’Amministrazione finanziaria vuole fare valere nei confronti del liquidatore la responsabilità ex art. 36, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973 deve, dunque, attivare nei suoi confronti un autonomo ed originario procedimento amministrativo di accertamento ex art. 36, comma 5, cit. (cfr. per l’analoga responsabilità , a titolo sussidiario, del ex socio, Cass. Sez. U. n. 3625 del 2025); in tal caso può
notificare al liquidatore anche una cartella di pagamento, in luogo di un avviso di accertamento, purché l’atto notificato sia specificatamente motivato in relazione alla ragione giuridica e al presupposto fattuale della pretesa per la prima volta azionata (al riguardo, cfr. Cass. n. 21026 del 2024, secondo cui, in tema di obblighi e responsabilità degli amministratori, dei liquidatori e dei soci di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, l’avviso di accertamento assolve l’obbligo generale di motivazione e l’espressa previsione di cui al quinto comma dello stesso articolo, quando l’Amministrazione individua la specifica fattispecie di responsabilità, nell’ambito di quelle tipicamente previste, alla quale intende fare riferimento ed esplicita la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della medesima, come previsti dai commi 1, 2 e 3 del citato art. 36; in linea, Cass. n. 16811 del 2025, punto 17);
– ora, nel caso in esame, non si comprende se l’Agenzia abbia fatto valere la responsabilità del liquidatore ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, posto che dalla sentenza impugnata si evince che la cartella di pagamento era stata notificata al COGNOME in qualità di coobbligato ‘; in seguito viene precisato, tuttavia, che ‘ il primo giudice, nell’accogliere il ricorso del contribuente, non ha tenuto conto di profili applicativi di una norma, nello specifico l’art. 36 del D.P.R. 602/1973, mai citata in atti e mai posta a base dei rilievi formulati dall’ufficio ‘, che il contribuente ‘ ha contestato la violazione dell’art. 36 del D.P.R. 602/1973 mediante l’asserito richiamo di una disposizione, ossia il comma 4 dell’art. 28 del D.Lgs. 175/2014 in luogo del comma 5 dello stesso testo normativo, già presente nella parte motiva dell’atto di recupero ‘, nel quale ‘ era già presente il richiamo normativo dall’art. 28, comma 4, D.Lgs. 175/2014, richiamo in base al quale l’ufficio giustificava la notifica all’odierno contribuente ‘ e che ‘ qualsivoglia contestazione sul punto, doveva
essere eccepita dal contribuente con l’impugnazione dell’atto presupposto ‘; la CTR afferma poi che ‘ Il comportamento dell’ufficio è corretto in quanto l’atto stesso è stato notificato ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. 600/1973 ‘ e alla fine specifica che ‘Ogg etto delle contestazioni erariali sono le irregolarità commesse relativamente alla liquidazione e al pagamento dell’IVA dovuta per l’anno 2013, dichiarazione presentata il 27 febbraio 2014 e il successivo utilizzo di un credito IVA fittizio come emerso dall’attività ispettiva condotta dalla Guardia di Finanza e i cui esiti sono stati comunicati allo stesso COGNOME con PVC notificato il 17 dicembre 2014. In sostanza, la previsione normativa, avente chiara natura civilistica, ha introdotto una presunzione legale circa l’autore della violazione, individuato in colui che ha compiuto o sottoscritto gli atti illegittimi’;
non è chiaro, pertanto, se la cartella di pagamento sia stata notificata all’ex liquidatore ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 o in qualità di coobbligato, a seguito dell’atto impositivo notificato alla società estinta, contestando al Cattari direttamente l’obbligazione tributaria accertata nei confronti della società;
la CTR non si è attenuta ai principi sopra richiamati, avendo ritenuto che fosse preclusa al ricorrente, nel giudizio instaurato avverso detta cartella di pagamento, la contestazione di censure riguardanti il merito della pretesa, senza verificare se vi fosse un atto motivato con il quale l’Ufficio avrebbe potuto azionare nei confronti del liquidatore della società ormai estinta eventuali responsabilità per l’attività da lui svolta;
-occorre considerare, peraltro, che prima della modifica dell’art. 19 del d.lgs. n. 46 del 1999 (che limitava l’applicazione dell’art. 36 alle imposte sui redditi), ad opera del d.lgs. n. 175 del 2014 (in vigore dal 13.12.2014), l ‘autonoma responsabilità del liquidatore era limitata al mancato versamento delle ‘imposte dovute’ dalla società e degli
interessi, non riguardando l’IVA e l’IRAP, in relazione alla disciplina ratione temporis vigente (Cass. n. 15378 del 2020; Cass. n. 19008 del 2020) e non potendosi comunque includere le sanzioni eventualmente irrogate nei confronti della società (Cass. n. 9170 del 2024);
il giudice di rinvio dovrà altresì verificare se, in relazione al periodo in cui è stata effettuata l’attività di compensazione del credito IVA, fosse applicabile o meno la nuova disciplina normativa introdotta con il d.lgs. n. 175 del 2014;
-l’accoglimento del terzo motivo determina l’assorbimento delle restanti censure;
in conclusione, va accolto il terzo motivo di ricorso, rigettato il primo e assorbiti gli altri; la sentenza va cassata con riguardo al motivo accolto, con rinvio per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Giustizia tributaria territorialmente competente, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata, con riferimento al motivo accolto, e rinvia anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11 marzo 2025.