Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8102 Anno 2019
Civile Sent. Sez. 5 Num. 8102 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/03/2019
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28428/2011 R.G. proposto da
Agenzia delle dogane, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione
– intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 79/5/10, depositata il 4 ottobre 2010.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3 ottobre 2018 dal Cons. NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
Udito l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME per l’Agenzia delle dogane che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle dogane emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, quale responsabile solidale, atto di contestazione e irrogazione di sanzioni, per dazi e per Iva all’importazione per l’anno 2003 per merci importate dalla Cina, poiché, in esito alle risultanze dell’attività di mutua assistenz amministrativa con la Repubblica Popolare Cinese, era emerso che le fatture allegate al certificato Form A erano diverse da quelle originali e il valore delle merci (nella specie, calzature e indumenti superiore a quanto dichiarato.
L’Ufficio evidenziava, in particolare, che l’immissione in libera pratica era avvenuta a cura del sig. COGNOME Massimo, spedizioniere doganale professionista, il quale aveva dichiarato – senza tuttavia fornire la relativa procura – di agire in rappresentanza diretta dell’importatore, CCM di Huang Wangbiao, su incarico ricevuto dalla RAGIONE_SOCIALE di cui era dipendente, la quale, a sua volta, aveva ricevuto l’incarico dalla RAGIONE_SOCIALE in rapporti con il suddetto importatore.
La contribuente impugnava l’atto di contestazione deducendo la propria estraneità alla vicenda e la mancata conoscenza delle irregolarità.
La Commissione provinciale tributaria di Pisa accoglieva il ricorso; la sentenza era confermata dal giudice d’appello.
L’Agenzia delle dogane ricorre per cassazione con due motivi. La contribuente è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1717 c.c., 201, 202 CDC, 38 d.P.R. n. 43 del 1973.
Il secondo motivo denuncia insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio.
1.1. L’Agenzia delle dogane lamenta, in sostanza, che la CTR, con erronea applicazione delle norme richiamate, abbia ritenuto la contribuente non coinvolta nell’importazione e, comunque, – con
motivazione apodittica e del tutto insufficiente – che non fosse provata la consapevolezza dell’irregolarità della dichiarazione, essendosi la stessa limitata a fornire della documentazione al doganalista.
2. Le doglianze, da esaminare unitariamente in quanto strettamente e logicamente connesse, sono fondate.
3. Occorre premettere, in primo luogo, che la vicenda in esame resta disciplinata nell’ambito dell’art. 201 CDC, per essere avvenuta l’importazione in base ad una dichiarazione doganale.
L’art. 4, punto 9, CDC, definisce l’obbligazione doganale come l’obbligo di una persona di corrispondere l’importo dei dazi all’importazione applicabili a una determinata merce.
L’immissione in libera pratica, ossia l’atto di introdurre, ne territorio comunitario, merce di provenienza extracomunitaria, rappresenta, dunque, il presupposto dell’obbligazione doganale.
Tale atto, nelle operazioni doganali regolari, è preceduto dalla dichiarazione doganale, che – come anche osservato in dottrina costituisce la manifestazione di volontà dell’importatore (o, comunque, dell’operatore che la presenta) di rendere liberamente commerciabili i beni esteri in un mercato diverso da quello di origine.
La fattispecie è espressamente regolata dall’art. 201 CDC che dispone «l. L’obbligazione doganale all’importazione sorge in seguito: a) all’immissione in libera pratica di una merce soggetta a dazi all’importazione, oppure b) al vincolo di tale merce al regime dell’ammissione temporanea con parziale esonero dai dazi all’importazione.
2. L’obbligazione doganale sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana.
3. Il debitore è il dichiarante. In caso di rappresentanza indiretta è parimenti debitrice la persona per conto della quale è presentata la dichiarazione in dogana.
Quando una dichiarazione in dogana per uno dei regimi di cui al paragrafo 1 è redatta in base a dati che determinano la mancata riscossione, totale o parziale, dei dati dovuti per legge, le persone che hanno fornito detti dati necessari alla stesura della dichiarazione, e che erano o avrebbero dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della loro erroneità, possono parimenti essere considerate debitori conformemente alle vigenti disposizioni nazionali».
L’art. 202 CDC, invece, prevede che l’obbligazione doganale sorge con l’immissione in libera pratica nel territorio comunitario anche nei casi di «introduzione irregolare» e di «sottrazione indebita al controllo doganale».
In altri termini, nelle ipotesi contemplate dall’art. 201 CDC la nascita dell’obbligazione è collegata – come per la vicenda in esame – alla dichiarazione doganale, mentre negli altri casi, venendo a mancare l’elemento dichiarativo e l’indicazione della destinazione della merce, opera una presunzione legale di immissione in libera pratica.
3.1. Così determinato l’ambito di riferimento normativo, occorre altresì valutare se e come possa venire in rilievo la posizione dell’RAGIONE_SOCIALE
Va indubbiamente escluso, innanzitutto, che il suo ruolo sia sussumibile nell’ambito della rappresentanza diretta o indiretta, non fosse altro per il fatto che nessuna dichiarazione doganale è stata presentata dalla contribuente.
Il ruolo ricoperto nella complessa operazione di importazione qualificato dalla CTR come di spedizioniere e vettore – è, in realtà, quello di intermediario: la società, sul piano formale, è stata incaricata dalla CCM di importare merci dalla Cina e, poi, ha dato incarico ad un’altra società, e quindi ad uno spedizioniere doganale, di svolgere le operazioni di immissione in libera pratica.
A tal fine, come affermato dalla CTR, «ha fornito al dogana//sta i certificati di origine della merce. I documenti di trasporto, fatture degli esportatori, nonché una apposita perizia giurata dimostrativa della congruità dei prezzi esposti in fattura con quelli in vigore sul mercato».
La fattispecie, dunque, resta sussunta nella previsione del capoverso del comma 3 dell’art. 201 CDC, per cui «Quando una dichiarazione in dogana per uno dei regimi di cui al paragrafo 1 è redatta in base a dati che determinano la mancata riscossione, totale o parziale, dei dati dovuti per legge, le persone che hanno fornito detti dati necessari alla stesura della dichiarazione, e che erano o avrebbero dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della loro erroneità, possono parimenti essere considerate debitori conformemente alle vigenti disposizioni nazionali».
4. Ciò premesso, nel giudizio in questione la CTR ha ritenuto che l’Agenzia delle dogane «non ha provato che Atiesse fosse consapevole di irregolarità nella dichiarazione», aggiungendo che «anzi, i fatti di causa che peraltro non risultano contestati escluderebbero oggettivamente tale consapevolezza» e che «la sentenza 23 settembre 2004 della Corte di Giustizia CEE, al fine della estensione della responsabilità, esclude ogni automatismo, individuando quale presupposto di tale estensione, la consapevolezza del soggetto a una introduzione irregolare. In conclusione, tale consapevolezza non risulta in alcun modo provata, così come non risulta provata la irregolarità, dal momento che la perizia prodotta dalla stessa Atiesse non è oggetto di contestazione alcuna».
5. Così statuendo, la CTR ha, innanzitutto, malamente applicato l’art. 201 CDC: pur partendo dal corretto presupposto che, nella vicenda in esame, veniva in riferimento una introduzione regolare delle merci, mediante dichiarazione doganale, ha poi omesso di considerare che la condotta rilevante – e su cui doveva incentrarsi
la valutazione della consapevolezza della contribuente – era costituita dall’esser stata la dichiarazione stessa redatta in base a dati errati.
Nel richiamare la sentenza della Corte di Giustizia (sentenza 23 settembre 2004, in C-414/02), del resto, neppure ha considerato che nella vicenda lì in esame veniva in rilievo una ipotesi di «introduzione irregolare» e che, dunque, l’applicazione del principio andava commisurato alla diversa ipotesi regolata dall’art. 201 CDC.
È ben vero che gli artt. 201 e 202 CDC forniscono – con riguardo ai comportamenti materiali di coloro che hanno partecipato all’immissione in libera pratica irregolare, indebita o i base a dati errati – una disciplina largamente sovrapponibile, ricollegando la responsabilità alla circostanza che essi sapevano o dovevano sapere «ragionevolmente» o «secondo ragione» dell’irregolarità o dell’erroneità, ma tale valutazione va operata sulla specifica condotta contemplata dalle singole norme.
5.1. Ed invero: la RAGIONE_SOCIALE ha fornito al dogazionalista l’intera documentazione utilizzata per redigere la dichiarazione doganale e, dunque, rispetto a tale condotta andava, in primo luogo, operata la valutazione sulla consapevolezza o meno dell’erroneità.
5.2. Su tale fronte, la motivazione è gravemente omissiva.
Del tutto omessa è, in primo luogo, la considerazione che sul certificato RAGIONE_SOCIALE d’origine della merce risultava la stessa RAGIONE_SOCIALE quale destinatario importatore mentre sulle fatture falsificate era la CCM (v. ai fini del rispetto del principio di autosufficienza via indiretta, l’indicazione a pagg. 10-11, e poi 32, del ricorso de contenuti e del luogo e sede di produzione della documentazione).
Si tratta di un primo decisivo elemento perché sintomatico della partecipazione della stessa società e, dunque, della consapevolezza della erroneità dei dati forniti.
5.3. Ma non solo. Pure omesso è ogni esame sul diretto e rilevante coinvolgimento della società con riguardo alla filiale di Calenzano, il cui titolare (NOME COGNOME) è stato altresì sottoposto a processo penale proprio in relazione ai fatti in giudizio, nonché del rinvenimento presso la sede della filiale stessa di documentazione in bianco e timbri per la falsificazione delle fatture.
5.4. Giova sottolineare, sul punto, che la circostanza che venga in rilievo una persona giuridica e non una persona fisica non ha carattere ostativo poiché, da un lato, «l’articolo 202, paragrafo 3, primo trattino, di tale codice» conclusione pienamente mutuabile per l’art. 201, paragrafo 3 «menziona la «persona» che ha proceduto all’introduzione irregolare, senza precisare se tale persona sia una persona fisica o una persona giuridica. Può quindi essere considerata debitrice dell’obbligazione doganale qualunque «persona» ai sensi della detta disposizione, ossia quella che può essere considerata, con i suoi atti, all’origine dell’irregola introduzione della merce» (Corte di Giustizia, 25 gennaio 2017, RAGIONE_SOCIALE, in C-679/15; in precedenza v. Corte di Giustizia 23 settembre 2004, RAGIONE_SOCIALE, in C-414/02) e, dall’altro, le sanzioni, in forza dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003, son esclusivamente a carico delle persone giuridiche. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5.5. Quanto poi alla riferibilità della condotta del dipendente ai fini della responsabilità della società la già citata decisione RAGIONE_SOCIALE, in C-679/15 ha affermato il principio secondo il quale «una persona giuridica, il cui dipendente, che non è il suo rappresentante legale, è all’origine dell’introduzione irregolare di una merce nel territorio doganale dell’Unione, può essere considerata come debitrice dell’obbligazione doganale sorta da tale introduzione, allorché detto dipendente ha introdotto la merce di cui trattasi rispettando l’ambito dei compiti affidati dal suo dator di lavoro ed eseguendo gli ordini impartiti, a tal fine, da un alt dipendente di quest’ultimo, abilitato a tale riguardo nell’ambito
delle proprie funzioni, e ha così agito nel quadro delle proprie attribuzioni, in nome e per conto del suo datore di lavoro».
Tale principio, in relazione alla fattispecie in esame, va rapportato alle decisioni assunte quanto alla fornitura di dati errat e dunque, a maggior ragione, all’eventuale ruolo e coinvolgimento del contribuente nella preparazione dei dati stessi.
Orbene, le condotte sopra evidenziate appaiono riferibili alla contribuente proprio in relazione all’attività del titolare della fi di Calenzano pacificamente «retta da un institore», ossia da soggetto con la qualifica di dirigente, che, ai sensi dell’art. 220 c.c., è «preposto dal titolare all’esercizio di un’impresa commerciale» o, come nella specie, di una sua filiale, munito di pieni poteri di rappresentanza e in rapporto di diretta dipendenza gerarchica con l’imprenditore, senza figure intermedie.
Anche per tale profilo, dunque, la sentenza è omissiva.
5.6. In tale ambito – e pur sempre ai fini della valutazione della condotta della contribuente – doveva, infine, essere vagliata l’opera prestata dal doganalista COGNOME NOME, ossia se questi aveva operato in regime di rappresentanza diretta o indiretta.
Occorre premettere, invero, che l’art. 201 CDC, nel prevedere esplicitamente la responsabilità del dichiarante indiretto – il quale anzi, è il primo obbligato – mira ad estendere il novero dei debitori dell’obbligazione doganale, sì da assicurarne, con maggiore efficienza, la riscossione; tale del resto, assiste anche la ratio’ previsione della responsabilità delle «altre persone» (v. Corte di Giustizia, sentenza 17 novembre 201:7, A, in C-522/16).
Inoltre, quanto alla ripartizione dell’onere della prova sul carattere della rappresentanza, l’art. 5, comma 5, CDC, nel prevedere che «L’autorità doganale può chiedere a chiunque dichiari di agire in nome o per conto di un’altra persona di fornirle le prove del suo potere di rappresentanza» postula che essa incomba sul dichiarante che spenda una tale qualità e ciò
sull’evidente assunto che la rappresentanza diretta comporta l’esclusione di responsabilità, per cui incombe su colui che la invoca dimostrarla .
Tale conclusione trova poi esplicita conferma nel disposto di cui all’art. 5, comma 4, secondo periodo, CDC, che, in caso di falsus procurator, stabilisce che «la persona che non dichiari di agire a nome o per conto di un terzo o che dichiari di agire a nome o per conto di un terzo senza disporre del potere di rappresentanza è considerata agire a suo nome e per proprio conto».
Ne deriva, quindi, che, in caso di contestazione da parte dell’Ufficio, incombe sul dichiarante provare il conferimento della procura, nella cui mancanza deve ritenersi che abbia agito quale rappresentante indiretto.
5.7. Orbene, con riguardo alla vicenda in esame va rilevato che l’art. 40, secondo comma, d.P.R. n. 43 del 1973, nel testo ratione temporis applicabile, prevedeva che «la rappresentanza diretta, limitatamente alle dichiarazioni in dogana, è riservata agli spedizionieri doganali iscritti nell’albo professionale istituito con legge 22 dicembre 1960, n. 1612, salvo quanto previsto nell’articolo 43», sicché solo il COGNOME poteva operare in rappresentanza diretta e ciò in base ad apposita procura rilasciata direttamente dall’importatore, CCM, mentre nella vicenda in esame è pacifico che quest’ultimo aveva intrattenuto rapporti solo con la RAGIONE_SOCIALE, che, a sua volta, aveva attribuito l’incarico alla RAGIONE_SOCIALE, che ne aveva officiato il COGNOME quale proprio dipendente.
È quindi corretto, sul punto, che alla RAGIONE_SOCIALE non poteva essere attribuita una efficace rappresentanza diretta.
Va rilevato, del resto, che la procura è un atto conferito intuitu personae, sicché il rappresentante non può sostituire altri a sé nell’esecuzione dell’incarico ricevuto, a meno che tale facoltà non gli sia stata espressamente conferita (Cass. n. 15412 del
28/06/2010): ne deriva che l’eventuale conferimento in tali termini (sempreché tale facoltà fosse stata sin dall’inizio prevista ai sensi dell’art. 1717 c.c.) non avrebbe impedito il conferimento di un sub mandato ad uno spedizioniere doganale.
Il conferimento della rappresentanza ad un’altra società (ossia la RAGIONE_SOCIALE, invece, non era, per le medesime ragioni, comunque idoneo ad assicurare la rappresentanza diretta.
L’utilizzo da parte di questa società di un proprio dipendente con la richiesta qualifica, poi, imponeva o l’esistenza di un ulteriore mandato con espressa autorizzazione alla sostituzione ovvero che fosse lo stesso COGNOME ad ottenere dall’importatore una specifica procura, nella specie peraltro assente.
È dunque evidente che, in assenza di una tale specifica procura al doganalista, il complessivo rapporto presentava – in ogni caso caratteri anomali atteso che, attraverso una serie plurima di atti unilaterali, all’ultimo soggetto della catena procedimentale sarebbero state attribuite, nella migliore delle ipotesi, facolt invece precluse ai titolari delle posizioni pregresse.
La peculiarità della situazione, del resto, aveva portato l’ufficio doganale – come ampiamente dedotto dall’Agenzia delle dogane (v. atto di gravame riprodotto per autosufficienza) – a chiedere, ai sensi dell’art. 5, comma 5, CDC, al COGNOME la prova della relativa procura, richiesta rimasta insoddisfatta, questione su cui il giudice regionale omette, anche qui, ogni considerazione limitandosi a osservare – secondo le deduzioni della stessa società – che la CCM era la contribuente, l’Atiesse era il «primo incaricato» e la RAGIONE_SOCIALE era lo «spedizioniere dogana//sta», ossia il «rappresentante» «tramite il dipendente NOME COGNOME.
La CTR, pertanto, anche su tale profilo, non solo evita di considerare i rilievi dell’Ufficio ma neppure coglie l’evident anomalia della vicenda, tanto più significativa attesa la competenza
professionale della società, nel cui oggetto sociale vi era a «l’effettuazione di operazioni doganali».
6. La CTR, dunque, ha errato nell’applicare l’art. 201 CDC, travisandone la fattispecie e omettendo di considerare i presuppo di fatto su cui esaminare la prova della consapevolezza, statuen in termini non lineari, per la sua assenza.
7. In accoglimento del ricorso, la sentenza va cassata co rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diver composizione per un nuovo esame in conformità ai principi esposti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rin anche per le spese, alla CTR della Toscana in diversa composizione Deciso in Roma, il 3 ottobre 2018
Il Presidente