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Responsabilità doganale per dati falsi: chi paga?

Una società intermediaria in un’operazione di importazione è stata ritenuta soggetta alla responsabilità doganale per dazi e IVA non versati, a causa di dati falsi forniti per la dichiarazione. La Corte di Cassazione, con la sentenza 8103/2019, ha annullato la decisione dei giudici di merito, affermando che la responsabilità si estende a chi fornisce informazioni per la dichiarazione doganale se “avrebbe dovuto ragionevolmente sapere” della loro erroneità. I giudici hanno sottolineato che la presenza di gravi anomalie documentali e il coinvolgimento diretto di una filiale della società erano indizi sufficienti che i giudici precedenti avevano erroneamente ignorato.

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Pubblicato il 25 luglio 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

La Responsabilità Doganale dell’Intermediario per Dati Falsi

Nelle complesse catene logistiche internazionali, la corretta gestione delle procedure di importazione è fondamentale. Ma cosa accade quando i documenti forniti per la dichiarazione doganale contengono dati falsi? La responsabilità doganale ricade solo su chi materialmente presenta la dichiarazione o si estende anche agli altri soggetti della filiera? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8103 del 2019, offre chiarimenti cruciali, delineando un principio di corresponsabilità basato non sulla prova di una frode conclamata, ma sulla “ragionevole conoscibilità” dell’irregolarità.

Il Contesto: Una Complessa Operazione di Importazione

Il caso trae origine da un’operazione di importazione di merci dalla Cina. A seguito di controlli, l’Agenzia delle Dogane accertava che il valore dichiarato per la merce (calzature e indumenti) era notevolmente inferiore a quello reale. Le fatture allegate alla dichiarazione doganale erano state falsificate.

La catena degli incarichi era particolarmente articolata: una società intermediaria aveva dato mandato a un’altra società, la quale a sua volta si era avvalsa di un proprio dipendente, spedizioniere doganale, per le operazioni di sdoganamento. L’Agenzia delle Dogane aveva quindi emesso un avviso di accertamento non solo nei confronti dell’importatore formale, ma anche della società intermediaria, ritenendola corresponsabile in solido.

Nei primi due gradi di giudizio, i giudici tributari avevano dato ragione alla società, escludendo la sua responsabilità poiché non era stata provata la sua “consapevolezza” della frode. La questione è quindi approdata in Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte: Ribaltamento e Rinvio

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Dogane, cassando con rinvio la sentenza impugnata. I giudici hanno ritenuto che la Corte territoriale avesse errato nell’interpretare e applicare le norme comunitarie e nazionali in materia.

L’Errore del Giudice di Merito sulla Responsabilità Doganale

Il punto centrale della decisione è l’applicazione dell’art. 201 del Codice Doganale Comunitario. Questa norma stabilisce che, quando una dichiarazione si basa su dati errati che causano una mancata riscossione dei dazi, possono essere considerati debitori anche “le persone che hanno fornito detti dati necessari alla stesura della dichiarazione, e che erano o avrebbero dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della loro erroneità”.

I giudici di merito avevano richiesto una prova della “piena consapevolezza”, un requisito più stringente e non previsto dalla norma, che si accontenta di un criterio di ragionevole diligenza.

Gli Elementi Ignorati: La Consapevolezza “Ragionevole”

La Cassazione ha evidenziato come i giudici precedenti avessero omesso di valutare elementi di fatto decisivi che avrebbero dovuto far sorgere, in un operatore professionale, almeno il sospetto di un’irregolarità:

1. Anomalie Documentali: Sul certificato di origine della merce compariva come destinataria la stessa società intermediaria, mentre sulle fatture (poi rivelatesi false) figurava un altro soggetto. Questa palese discrepanza avrebbe dovuto allertare l’intermediario.
2. Coinvolgimento Diretto: Le indagini avevano fatto emergere il coinvolgimento di una filiale della società, gestita da un institore, dove erano stati rinvenuti timbri e documenti in bianco usati per la falsificazione.
3. Catena degli Incarichi: La complessa e anomala catena di sub-mandati, in assenza di una procura diretta allo spedizioniere, configurava un’operazione opaca, dove la responsabilità non poteva semplicemente essere scaricata sull’ultimo anello della catena.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base di una rigorosa interpretazione del quadro normativo. La responsabilità doganale, in casi di dichiarazioni regolari ma basate su dati errati (art. 201 CDC), non richiede la prova di un dolo specifico. È sufficiente che l’operatore che fornisce i dati abbia agito con negligenza, non accorgendosi di irregolarità che un professionista del settore avrebbe dovuto notare.

Il ruolo di un soggetto non è definito solo dal nome formale che si dà (vettore, spedizioniere), ma dalla sua funzione sostanziale nell’operazione. In questo caso, la società intermediaria, fornendo la documentazione e attivando la catena logistica, ha svolto un ruolo causale nella presentazione della dichiarazione errata.

Inoltre, la Corte ha ribadito che la responsabilità di una persona giuridica può sorgere anche per l’operato dei suoi dipendenti e dirigenti (come l’institore della filiale), quando questi agiscono nell’ambito delle loro funzioni. Infine, la mancanza di una procura scritta e diretta per la rappresentanza in dogana fa ricadere la responsabilità non solo sullo spedizioniere (come rappresentante indiretto) ma anche sul soggetto che gli ha conferito l’incarico.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza rappresenta un importante monito per tutte le aziende che partecipano a operazioni di import/export, anche solo come intermediari. La responsabilità doganale non è un rischio che riguarda solo l’importatore finale o lo spedizioniere. Ogni attore della filiera ha un dovere di diligenza e controllo sulla documentazione che tratta. Ignorare segnali di allarme e anomalie evidenti può portare a essere considerati debitori in solido per dazi, IVA e sanzioni, anche in assenza di un coinvolgimento diretto nella frode. Le aziende devono quindi implementare procedure di controllo interno (due diligence) rigorose per verificare la coerenza e la veridicità dei documenti commerciali e doganali, specialmente in catene di fornitura complesse.

Chi è responsabile se la dichiarazione doganale si basa su dati falsi?
Non solo il dichiarante, ma anche le persone che hanno fornito i dati necessari alla stesura della dichiarazione, se sapevano o “avrebbero dovuto ragionevolmente sapere” che tali dati erano errati. La responsabilità non richiede la prova di una frode consapevole, ma può sorgere anche da negligenza.

Un’azienda intermediaria può essere ritenuta responsabile per le irregolarità nell’importazione, anche se non ha presentato direttamente la dichiarazione in dogana?
Sì. Se l’azienda ha fornito la documentazione poi utilizzata per la dichiarazione, la sua responsabilità doganale sorge se avrebbe dovuto ragionevolmente accorgersi delle irregolarità, ad esempio a causa di palesi anomalie nei documenti o per via del coinvolgimento diretto di una propria filiale.

Cosa succede se uno spedizioniere agisce senza una procura diretta dell’importatore finale?
Se lo spedizioniere non può provare di avere una procura per la rappresentanza diretta, si presume che agisca in rappresentanza indiretta. Questo significa che sia lo spedizioniere (che agisce in nome proprio) sia la persona per conto della quale agisce (l’importatore o l’intermediario che ha dato l’incarico) sono considerati debitori dell’obbligazione doganale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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