Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6897 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6897 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso n. 15346/2024 proposto da:
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
Curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, nella persona del curatore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL, giusta procura rilasciata su foglio separato della quale è stata estratta copia informatica per immagine allegata al presente atto ex art. 83, comma 3, c.p.c.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della CALABRIA, n. 665/2024, depositata in data 4 marzo 2024 e notificata in data 6 maggio 2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale, in sede di rinvio disposto da questa Corte, giusta ordinanza n. 13305 del 15 maggio 2023, ha accolto l’appello principale della Curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, e, in riforma della sentenza impugnata, ha annullato l’avviso di pagamento n. 30733/RU , rigettando l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle Dogane , sulla base delle seguenti argomentazioni:
-) la Suprema Corte, con l’ordinanza n. 13305 del 2023, aveva cassato con rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 3198 del 2019, affermando il seguente principio: « In tema di accise, nel caso in cui un soggetto titolare di deposito fiscale effettui una cessione intermedia fittizia ad altro soggetto solo formalmente titolare di deposito fiscale, ma in realtà privo di concreta organizzazione, l’obbligazione di pagamento dell’imposta sorge in capo al primo cedente in via diretta per il fatto di doversi a lui imputare l’immissione in consumo, a condizione che il medesimo sapesse o, secondo criteri di diligenza professionale, fosse nelle condizioni di poter sapere dell’irregolarità nella circolazione dei prodotti »;
-) nel p.v.c. posto a base dell’atto impugnato , si riferisce nella sentenza impugnata, si leggeva che: la ditta COGNOME NOME, nel periodo interessato dalle indagini, gestiva due depositi commerciali di gasolio agricolo, tra cui quello di Spezzano della Sila (Cs); a conclusioni delle indagini era emerso che quest’ultimo deposito era, di fatto, gestito da NOME NOME, il quale aveva «reclutato» COGNOME NOME
allo scopo di farlo apparire qual responsabile del citato deposito; proseguiva il p.v.c. indicando le verifiche (in particolare quella relativa all’assenza di intestazione di mezzi di traporto di prodotti petroliferi ) che avevano consentito di accertare l’impossibilità della Ditta COGNOME di procedere alla vendita di grosse quantità di gasolio e concludeva che gli elementi raccolti, che disattendevano nettamente le risultanze contabili, sostanzialmente erano caratterizzati dalla totale fittizietà dei rapporti commerciali documentati e contabilizzati a cura della RAGIONE_SOCIALE per le forniture di gasolio agricolo destinate alla ditta riconducibile ad COGNOME NOME; l ‘emissione di documenti falsi era servita a camuffare cessioni di gasolio destinato ad impieghi agevolati, a soggetti che, verosimilmente, non potevano avere accesso a questo tipo di agevolazione; il prodotto petrolifero interessato dalle fittizie forniture in argomento non era stato realmente destinato ad usi agevolati d’accisa ; a tal proposito era eloquente l’affermazione rilasciata da NOME COGNOME in data 29 novembre 2011 durante le dichiarazioni spontanee rese da persona sottoposta ad indagine (« Posso affermare che tutto il gasolio agricolo destinato sulla carta alle ditte COGNOME e COGNOME non é stato destinato agli agricoltori che ne avevano diritto »);
-) tali circostanze, sulle quali l’appellata aveva fondato l’atto impugnato, erano insufficienti a provare che l’appellante sapesse o, secondo criteri di diligenza professionale, fosse nelle condizioni di poter sapere dell’irregolarità nella circolazione dei prodotti ; la Guardia di Finanza, infatti, dopo aver verificato la regolare emissione e tenuta da parte dell’appellante della documentazione relativa alla cessione del gasolio agricolo, aveva sostenuto che tale documentazione era « servita a camuffare cessioni di gasolio destinato ad impieghi agevolati, a soggetti che, verosimilmente, non potevano avere accesso a questo tipo di agevolazion e», senza fornire alcun indizio a suffragio di tale conclusione; né, al riguardo, poteva ritenersi utile la dichiarazione di
NOME NOME, perché tale dichiarazione era idonea a provare soltanto il fatto che il gasolio, dopo essere stato regolarmente consegnato dall’appellante alla Ditta COGNOME, era stato destinato ad agricoltori che non ne avevano diritto;
-) sulla base di questi elementi, e considerato che la Ditta COGNOME risultava, comunque, titolare del deposito di gasolio di Spezzano della Sila, non poteva ritenersi provato il fatto che l’appellante fosse in grado di conoscere dell’eventuale attività fraudolenta posta in essere dalla Ditta COGNOME; conclusione questa che trovava conferma anche nella richiesta di archiviazione del procedimento penale a carico dell’appellante, sorto dagli stessi fatti, dove risulta va che l’attività dell’indagato si era « esaurita nella consegna del carburante a trasportatori incaricati dall’acquirente, con emissione dei documenti di accompagnamento e con destinatario un soggetto autorizzato; l’eventuale fraudolenta diversa destinazione della merce è vicenda che non vede pe r nulla implicato l’indagato ».
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
La Curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1995, per avere il giudice della riassunzione gravato l’Amministrazione finanziaria dell’onere di provare la conoscenza o la conoscibilità, da parte della C.RAGIONE_SOCIALE, della interposizione fittizia posta in atto dal NOME COGNOME, mentre, l’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1995, prevedeva una presunzione legale a carico del titolare del deposito fiscale cedente. La decisione resa dalla Corte territoriale in
sede di rinvio violava il riparto dell’onere della prova, ed in particolare l’onere della prova a carico dell’Amministrazione, avendo gravato l’Amministrazione finanziaria dell’onere di provare la conoscenza o la conoscibilità, da parte della C.RAGIONE_SOCIALE della interposizione fittizia posta in atto dal NOME COGNOME, mentre, da un lato, l’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1995, prevedeva una presunzione legale a carico del titolare del deposito fiscale cedente e, dall’altro, l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 13305 del 2023 non disponeva espressamente che la prova della conoscenza o conoscibilità della frode fosse a carico dell’Amministrazione finanziaria. Di contro, a fronte del complesso quadro indiziario fornito dall’Amministrazione finanziaria, la società contribuente aveva l’onere di dimostrare la propria buona fede, cioè che, nella specifica situazione accertata nella fase delle indagini, i comportamenti posti in essere integrassero l’ordinaria diligenza richiesta ad un operatore commerciale accorto. Pertanto, la Corte territoriale, nel motivare la sentenza impugnata con l’affermazione secondo cui le circostanze addotte dall’Amministrazione finanziaria erano insufficienti a provare che l’appellante sapesse o, secondo criteri di diligenza professionale, fosse nelle condizioni di poter sapere dell’irregolarità nella circolazione dei prodotti, aveva fatto malgoverno dell’art. 2697 c.c. in relazione alla presunzione legale di cui all’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1995.
2. Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., per avere la Corte territoriale escluso dalla valutazione gli innumerevoli indizi gravi, precisi e concordanti, che deponevano a favore della conoscibilità, mediante l’uso della diligenza professionale, da parte della C.RAGIONE_SOCIALE, della fittizietà dell’interposizione del deposito commerciale del Rossignuolo: l’elevata sproporzione tra le capacità di stoccaggio del deposito della ditta e le quantità di gasolio agricolo acquistato; le risorse finanziarie e patrimoniali del Rossignuolo
palesemente insufficienti rispetto all’onerosità delle transazioni commerciali documentate, tanto che lo stesso non possedeva neppure un conto corrente; l’impossibilità del COGNOME di poter procedere alla vendita di grosse quantità di gasolio agricolo poiché la stessa non risultava intestataria di alcun mezzo per il trasporto di prodotti petroliferi, né risultava averli in disponibilità; la completa inoperatività del deposito commerciale del COGNOME attestata dall’attività di videosorveglianza della Guardia di Finanza. Inoltre, l’Ufficio, nel corso del giudizio, aveva evidenziato che la RAGIONE_SOCIALE non aveva mai avuto rapporti con la ditta COGNOME pur formalmente cedendogli ingenti quantitativi di gasolio e aveva avuto rapporti solo con tale COGNOME NOME. I giudici di secondo grado, dunque, avevano estrapolato talune risultanze isolandole dal complessivo contesto indiziario grave, preciso e concordante fornito dall’Amministrazione finanziaria, peraltro già ritenuto idoneo a fondare la pretesa tributaria dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 31878 del 2024 ( recte: 2022), in relazione alla quale la stessa Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, con sentenze nn. 1824 del 2024 e 1825 del 2024, depositate il 2 luglio 2024, aveva confermato in riassunzione la pretesa tributaria dell’Agenzia delle Entrate scaturente dagli stessi identici fatti e circostanze che erano stati oggetto di attenzione da parte della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria nella sentenza n. 665 del 2024 in cui era stata invece parte l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Osserva il Collegio che la Corte di Giustizia, con sentenza del 7 settembre 2023, resa nella causa C323/22, successiva all’ordinanza di rinvio di questa Corte del 15 maggio 2023, n. 13305, ha affermato che « L’articolo 14, paragrafo 1, primo periodo, della direttiva 92/12/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa, dev’essere interpretato nel senso che l’abbuono
d’imposta ivi previsto non si applica al depositario, responsabile del pagamento dell’imposta, in caso di svincolo dal regime sospensivo dovuto a un atto illecito, nemmeno qualora il depositario sia totalmente estraneo a tale atto illecito, imputabile esclusivamente a un terzo, e nutra un legittimo affidamento nella regolarità della circolazione del prodotto in regime di sospensione di imposta » e che, in tema di giudizio di rinvio, rientrano nell’ambito dello ius superveniens , che travalica il principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento, anche i mutamenti normativi prodotti dalle sentenze della Corte di Giustizia UE, che hanno efficacia immediata nell’ordinamento nazionale (Cass., 26 agosto 2022, n. 25414; Cass., 12 settembre 2014, n. 19301).
E’, dunque, opportuno che il presente ricorso sia trattato in pubblica udienza, stante le questioni di natura nomofilattica che devono essere esaminate, avuto particolare riguardo alla natura della responsabilità fiscale del depositario di prodotti in regime di sospensione di accisa alla luce della sentenza della Corte di Giustizia UE, 7 settembre 2023, causa C-323/22.
P.Q.M.
La Corte rinvia a nuovo ruolo, ai fini della fissazione in pubblica udienza.
Così deciso in Roma, in data 25 febbraio 2025.