Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3273 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3273 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/02/2025
Ires, Irap 2007 -Estinzione della società -Responsabilità residue per i debiti fiscali.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23689/2016 R.G. proposto da Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso Legalcom Telematica, in Roma al INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA -MILANO n. 1344/2016, depositata in data 9/3/2016;
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella camera di consiglio del 26 novembre 2024;
Fatti di causa
Negli anni 2006-2007 venne ristrutturato il debito delle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, gravate da un’esposizione debitoria verso banche per oltre euro 204.000.000.
L’operazione, fondata su un accordo tra il gruppo societario e le banche risalente al 2004, prevedeva che le società del gruppo vendessero i propri cespiti attivi fino a conseguire almeno la somma di euro 144.037.000 da utilizzare per estinguere le esposizioni bancarie e che le banche rinunciassero ai crediti nella misura residua.
In concreto, le banche cedettero i crediti verso il gruppo COGNOME ad un’altra società del gruppo appositamente costituita pochi giorni prima, la RAGIONE_SOCIALE unipersonale, avente quale socio unico NOME COGNOME. La RAGIONE_SOCIALE versò alle banche il prezzo di cessione, pari ad euro 144.037.000, con la liquidità ottenuta dalla vendita, in data 16 ottobre 2006, alla RAGIONE_SOCIALEp.ARAGIONE_SOCIALE, delle partecipazioni detenute in RAGIONE_SOCIALE, società operativa del gruppo.
Tali partecipazioni la RAGIONE_SOCIALE le aveva acquistate da RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE al solo scopo di rivenderle, lo stesso giorno e senza alcun margine, alla RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE poi, acquistò da RAGIONE_SOCIALE che ne deteneva la totalità, il 5% del capitale di RAGIONE_SOCIALE, divenendo socia di quest’ultima.
RAGIONE_SOCIALE, divenuta cessionaria dei crediti delle banche verso le altre società del gruppo, e in particolare verso RAGIONE_SOCIALE, provvide a cedere parte dei crediti residui, vantati verso RAGIONE_SOCIALE, ad altre società del gruppo RAGIONE_SOCIALE. Successivamente, nel 2007, sia RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE che le altre società cessionarie dei crediti rinunciarono ai crediti vantati nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, per oltre 55.500.000 euro.
Le descritte operazioni furono considerate elusive dall’ Agenzia delle Entrate.
Secondo la prospettazione di quest’ultima, se si fosse seguita una strada ‘ortodossa’ , RAGIONE_SOCIALE avrebbe venduto a RAGIONE_SOCIALE le partecipazioni in RAGIONE_SOCIALE, avrebbe versato alle banche l’importo ricavato e le banche avrebbero direttamente rinunciato al credito residuo verso RAGIONE_SOCIALE
Senonché, questa operazione avrebbe fatto emergere a carico di RAGIONE_SOCIALE una sopravvenienza attiva pari all’importo dei crediti rinunciati, da assoggettare a tassazione Ires ai sensi dell’art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986.
Invece, con le operazioni poste in essere, a rinunciare ai crediti verso RAGIONE_SOCIALE furono non le banche, ma una socia di RAGIONE_SOCIALE, con la conseguente applicazione del comma 4 dell’art. 88 Tuir, invece del comma 1, che prevede che non si considerano sopravvenienze attive le rinunce a crediti dei soci verso la società da essi partecipata.
L’elusività dell’operazione sarebbe stata confermata, secondo l’Ufficio, dalla circostanza che sia RAGIONE_SOCIALE che RAGIONE_SOCIALE furono poste in liquidazione appena dopo il compimento dell’operazione complessiva programmata.
Nell’ottobre 2012, l’ufficio inviò a NOME COGNOME e alla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione la richiesta di chiarimenti prevista dall’art. 37 bis d.P.R. n. 600 del 1973.
Poco più di un mese dopo, a cinque anni dall’apertura (il 17/9/2007) della liquidazione volontaria della RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima (come anche RAGIONE_SOCIALE) fu cancellata dal registro delle imprese, con la conseguente estinzione.
L’ufficio, ritenendo non soddisfacenti i chiarimenti resi dalla società, notificò ad essa, entro l’anno dalla cancellazione della società, l’avviso di accertamento con cui recuperò a tassazione per il 2007 la sopravvenienza attiva indebitamente sottratta a tassazione.
L’avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 2495 c.c. e dell’art. 36, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973, fu notificato anche a RAGIONE_SOCIALE, socia al 95% di RAGIONE_SOCIALE, a NOME COGNOME, a NOME COGNOME soci a loro volta di RAGIONE_SOCIALE, a NOME COGNOME (odierno contribuente), NOME COGNOME e NOME COGNOME quali, i primi due, liquidatori di RAGIONE_SOCIALE e, il terzo, consigliere di amministrazione e legale rappresentante della società prima della liquidazione, nonché, in seguito, liquidatore della stessa.
Alla data in cui era stata inviata la richiesta di chiarimenti, liquidatore della RAGIONE_SOCIALE era NOME COGNOME che in data 5/11/2012 cessava dalla carica di liquidatore in favore del COGNOME COGNOME, che procedette al deposito delle risposte di RAGIONE_SOCIALE in data 26/11/2012, e che dopo soli tre giorni cancellò la società dal registro delle imprese (30/11/2012), rendendo impossibile la notificazione dell’avviso di accertamento alla società.
Il contribuente attinto personalmente dalla notifica ex art. 36, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973, impugnò la rettifica dinanzi alla C.T.P. di Milano, che accolse il ricorso.
L’appello dell’Agenzia delle Entrate fu rigettato dalla C.T.R.
Avverso la sentenza d’appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il contribuente, che ha anche depositato una memoria difensiva.
Ragioni della decisione
Deduce il contribuente nel controricorso, ed anche nella memoria difensiva, che la C.T.P., in sentenza, aveva accolto espressamente la censura, formulata nel ricorso di prime cure, secondo la quale l’addebito di una responsabilità ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 avrebbe presupposto la definitività della pretesa tributaria e la sua iscrizione a ruolo.
Sostiene il contribuente che tale capo della sentenza non sarebbe stato oggetto di impugnazione dinanzi alla C.T.R., sicché, recando esso un’autonoma ratio decidendi non contestata in appello dall’Ufficio, il ricorso odierno, nel suo complesso, sarebbe inammissibile.
L’eccezione di inammissibilità del ricorso è infondata.
Deve rilevarsi, infatti, che con il primo motivo di appello avverso la sentenza di primo grado, l’Ufficio ha espressamente censurato il capo della sentenza della C.T.P. in cui si affermava che ‘l’avviso di accertamento…emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e notificato agli ex soci e liquidatori, è atto privo di alcun effetto a causa dell’avvenuta estinzione del soggetto passivo dell’eventuale obbligazione tributaria, eliminando in radice og ni possibilità di prosecuzione dell’azione, considerato che non è più dubitabile che la cancellazione dal registro delle imprese produca l’effetto dell’estinzione irreversibile della società anche in presenza di debiti insoddisfatti o di rapporti non definiti…’ , rivendicando la possibilità giuridica che, qualora la cancellazione, e dunque l’estinzione della società di capitali, intervenga nel corso del procedimento amministrativo di accertamento del maggior imponibile conseguito dalla società, resti comunque salvo il potere dell’amministrazione di far valere la respons abilità dei soggetti indicati nell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973.
Orbene, con il ricorso di primo grado risultano essere stati impugnati due atti: l’avviso di accertamento (l’atto presupposto), con il quale si è esercitata la ripresa fondata sull’elusione asseritamente
commessa dalla società, e l’avviso di accertamento di responsabilità CODICE_FISCALE/2012/3, che ha individuato nell’odierno contribuente uno dei soggetti responsabili per le obbligazioni della società cessata, ai sensi degli artt. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 e 2476 c.c.
Con il citato motivo di appello, l’Ufficio aveva correttamente devoluto alla C.T.R. la questione della possibilità di far valere la responsabilità dell’odierno contribuente, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, anche nel caso in cui la società si sia cancellata nelle more del procedimento volto all’accertamento del maggior imponibile conseguente alla sua condotta asseritamente elusiva.
Ne consegue che, su tale questione, risolta negativamente per l’Ufficio dalla sentenza di primo grado, non si è formato il giudicato interno e che l’odierno ricorso dell’Amministrazione finanziaria è, pertanto, ammissibile.
Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 42, 43 d.P.R. n. 600 del 1973; 2495 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che, per potersi configurare una successione dei soci, amministratori e liquidatori della società cancellata nei debiti fiscali di questa, sarebbe stato necessario che tali debiti fossero stati accertati prima della cancellazione ed estinzione della società.
L’Agenzia argomenta che, se fosse esatto quanto ritenuto dalla C.T.R., le società di capitali sarebbero arbitre delle loro obbligazioni. Se la volontaria messa in liquidazione e cancellazione di una società, deliberate da questa prima della scadenza dei termini di accertamento, comportasse l’impossibilità per l’ufficio di accertare nei termini la verificazione in capo alla società di fatti costitutivi di un debito di imposta maggiore rispetto al dichiarato, ciò equivarrebbe a sostenere
che la società sarebbe in grado di privare unilateralmente l’Ufficio del suo potere di accertamento.
1.1. Il motivo è fondato.
Questa Corte, a sezioni unite, ha chiarito che la responsabilità del liquidatore ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, che trae titolo per fatto proprio ex lege , ha natura civilistica e non tributaria, con la conseguenza che, ai fini della legittimità dell’atto di accertamento emesso nei suoi confronti ai sensi del comma 5 dello stesso art. 36, non costituisce condizione necessaria la preventiva iscrizione a ruolo e che il predetto, col ricorso avverso tale avviso, può contestare, innanzi agli organi della giustizia tributaria, la sussistenza dei presupposti dell’azione intrapresa nei suoi confronti, ivi compreso il debito della società per le imposte (Sez. U-, Sentenza n. 32790 del 27/11/2023, Rv. 669631 – 01).
La responsabilità del liquidatore nei confronti dell’erario, dunque, non è una responsabilità tributaria, bensì una forma speciale di responsabilità civile che viene azionata direttamente da parte dell’amministrazione con un atto di accertamento impugnabile secondo le regole del processo tributario (art. 36, ultimo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973).
Ne consegue che, al fine di far valere tale responsabilità, non è necessario che l’atto impositivo sia notificato alla società prima della sua cancellazione dal registro delle imprese, né che il debito tributario della società sia iscritto a ruolo prima della cancellazione/estinzione di quest’ultima: ciò che rileva è che l’atto di accertamento sia notificato al liquidatore (o ad uno degli altri soggetti civilmente responsabili ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 600 del 1973) entro il termine di decadenza dal potere di accertamento e che sia motivato sia con riferimento ai presupposti e all’entità del debito tributario già facente capo alla società, sia con riferimento ai presupposti oggettivi e
s oggettivi di cui all’art. 36 cit. (qualità rivestita dal soggetto nei cui confronti si fa valere la responsabilità nell’ambito della compagine sociale).
Appare, allora, contraddittoria la sentenza impugnata che, da un lato, afferma che ‘la cancellazione della società dal registro delle imprese non comporta l’estinzione dei crediti e dei debiti, anche fiscali, che non siano stati liquidati’ (cfr. il primo capoverso della parte motiva della sentenza impugnata); dall’altro, afferma che ‘nel caso in questione nessun atto di accertamento era giunto ai liquidatori prima della cancellazione, che fondasse un obbligo di pagamento delle imposte, con la conseguenza che non sussiste una loro responsabilità’ .
In particolare, l’errore di diritto sta nell’affermazione che, ai fini della responsabilità dei liquidatori, sarebbe necessario che l’atto di accertamento (dei maggiori debiti fiscali) ‘giungesse’ ad essi prima della cancellazione.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 36, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per aver affermato che l’Ufficio non avrebbe provato le ragioni per le quali individuava nel contribuente il successore della società, tenuto ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. a rispondere dei debiti f iscali di essa. Secondo la C.T.R., l’Ufficio non avre bbe dedotto che vi erano state ripartizioni di somme a beneficio di soci durante il tempo della liquidazione o nei due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione, o occultamento delle attività sociali.
Deduce l’Agenzia che non sarebbe stata fornita la prova che il contribuente fosse stato esente da colpa con riferimento al mancato soddisfacimento del credito tributario vantato verso la società e che egli avrebbe omesso di rilevare nel bilancio finale di liquidazione una
insussistenza di passivo imponibile con conseguente lesione delle pretese dell’erario.
La rinuncia ai crediti si sarebbe tramutata in una maggiore disponibilità monetaria in capo alla società, che sarebbero state distribuite ledendo le aspettative creditorie del fisco.
Secondo l’Agenzia avrebbe dovuto applicarsi la presunzione di distribuzione degli utili occulti che vige nelle società di capitale a ristretta base, e la C.T.R. non avrebbe tenuto conto delle allegazioni e delle prove prodotte dall’Ufficio a sostegno del f atto che il liquidatore avesse occultamente distribuito beni e attivo societario ai soci.
3. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 36 d.P.R. n. 602 del 1973; 2697 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto che l’art. 36, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973 è una disposizione speciale rispetto all’art. 2495 c.c. La C.T.R. avrebbe dovuto ritenere che l’accertamento di una elusione fiscale commessa dalla società rendeva operante, ai sensi degli artt. 2729 e 2697 c.c., la presunzione che i maggiori imponibili dovuti dalla società non solo fossero sussistenti, ma fossero anche stati occultamente distribuiti ai soci, con conseguente responsabilità personale dell’amministratore e liquidatore ex art. 36, comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1973. L’Agenzia si duole che per sostenere che difettava il presupposto della sua responsabilità, il contribuente avrebbe dovuto provare con dati di fatto specifici che l’imponibile non era stato distribuito né prima né durante la liquidazione. A tal proposito, l’Agenzia ricorda che la rinuncia ai crediti venne deliberata l’1/8/2007, facendo emergere la sopravvenienza attiva, e contestualmente venne deliberata la liquidazione di RAGIONE_SOCIALE, pubblicata nel registro delle imprese il 17/9/2007, sicché il comportamento del contribuente rileverebbe sia in qualità di
amministratore che in qualità di liquidatore. Detta prova liberatoria non sarebbe stata data né offerta dal contribuente.
3.1. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che per la loro stretta connessione possono essere esaminati e decisi congiuntamente, sono fondati per quanto di ragione.
La sentenza impugnata non ricostruisce con un adeguato livello di completezza le vicende della società cancellata.
Innanzitutto, con riferimento all’insistenza, in sede di ricorso, da parte dell’Agenzia delle Entrate sulla elusività del comportamento della società di cui è stato liquidatore l’odierno contribuente, v’è da dire che la sentenza impugnata nulla dice.
Quella dell’elusione, invece, è una questione che avrebbe dovuto essere trattata dalla C.T.R., in quanto ritualmente devoluta in appello da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Le responsabilità degli organi sociali, disciplinate dall’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono state, inoltre, trattate senza isolare con il dovuto grado di specificità la posizione dell’odierno contribuente.
La sentenza impugnata, infatti, tratta promiscuamente della responsabilità degli amministratori e dei liquidatori, circoscrivendo tale responsabilità ai ‘limiti del valore dei beni’ distribuiti, non spiegando i motivi per i quali abbia ritenuto vinta la presunzione di distribuzione degli utili nelle società di capitale a ristretta base partecipativa ( ex multis , Cass., Sez. 5-, Sentenza n. 21158 del 29/07/2024, Rv. 671650 – 01).
L’art. 36 , comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973, fonda la responsabilità dei liquidatori che ‘con le attività della liquidazione’ non pagano le imposte dovute per il periodo della liquidazione e anche per i periodi anteriori se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o agli associati senza avere soddisfatto prima i crediti tributari.
La Corte tributaria di secondo grado, dunque, dovrà specificamente motivare circa il superamento della presunzione di distribuzione di attivo liquidato da parte del liquidatore, e dovrà farlo con specifico riferimento al tempo in cui è sorto il debito tributario da elusione fiscale che l’erario intende ‘far valere’ nei confronti dell’odierno contribuente e all’attivo che a quel tempo la società aveva e alla sorte di quest’ultimo: in altri termini dovrà specificamente accertare che, quando si era insediato il COGNOME come liquidatore della società, non vi fosse più alcun attivo da distribuire ai creditori o ai soci, determinando anche il periodo, precedente alla nomina del COGNOME come liquidatore, in cui, invece, questo attivo era stato distribuito.
Nel compiere questi accertamenti, la Corte tributaria di appello dovrà anche avere cura di specificare i mezzi di prova sui quali si sarà fondato il suo accertamento in fatto.
Nel procedere a nuovo esame, il giudice del rinvio procederà anche ad esaminare la questione dell’esistenza dell’elusione asseritamente compiuta della società cancellata, rimasta assorbita dal rigetto dell’appello in punto di insussistenza dei presupposti dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973.
4. In definitiva, il ricorso è accolto.
La sentenza impugnata è cassata e la causa è rinviata alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, che, in diversa composizione, regolerà anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, per nuovo esame, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, che, in diversa composizione, regolerà anche le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 novembre