Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15360 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15360 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
Avv. Acc. IRES -IRAP -IVA ed altro 2013
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12408/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio di costoro sito in INDIRIZZO Roma.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege .
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 6968/2019, depositata in data 19 settembre 2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE esercente attività di ‘Allevamento RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, Produzione di Latte’, l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO ai fini IRES, IRAP E IVA, per l’anno di imposta 2013, disconoscendo la natura mutualistica della Cooperativa agricola e negando le relative agevolazioni fiscali. La contribuente proponeva anche istanza di accertamento con adesione che sortiva esito negativo.
Avverso l’avviso di accertamento, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Salerno, si costituiva l’Agenzia delle Entrate che chiedeva la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Salerno con sentenza n. 4698/2017 rigettava il ricorso ritenendo la legittimità dell’accertamento.
Contro tale sentenza proponeva appello dinanzi alla C.t.r. della Campania il contribuente; l’Ufficio si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Con sentenza n. 6968/2019, depositata in data 19 settembre 2019, la C.t.r. adita rigettava l’appello con conferma delle statuizioni della sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Campania, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo e l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 14 aprile 2025.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e 132, primo comma, n. 4 e 112 cod. proc. civ. (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ)», il contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha confermato la sentenza di prime cure omettendo di esplicitare l’iter logico giuridico seguito per
addivenire alla decisione e sottraendosi al dovere di valutare le doglianze mosse dalle parti alla sentenza di primo grado.
Il motivo è infondato.
2.1. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, dalle norme di cui agli artt. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. stesso codice, è desumibile il principio secondo il quale la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto, determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. 03/01/2022, n. 6758). Questo principio, in forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (comprese le sue disposizioni di attuazione) contenuto nell’art. 1, comma secondo, del d.lgs. 546/1992, è applicabile anche al rito tributario (Cass. n. 13990 del 2003; Cass. n. 9745 del 2017). Va osservato, inoltre, che a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un.
8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022).
2.2. La sentenza in esame, non solo presenta le indicazioni richieste, contenendo lo svolgimento del processo e i fatti essenziali di causa, ma ha comunque una ratio decidendi chiaramente intellegibile, sicché la sua motivazione si colloca ben sopra la soglia del minimo costituzionale ex art. 111 cost. comma 6.
Invero, l’assunto secondo cui la sentenza è fondata su motivazione apparente è smentita dal passaggio motivazionale dal quale si evince che la C.t.r. campana ha approfondito la questione fondamentale devoluta alla sua cognizione ovvero la mancata dimostrazione da parte della contribuente che non era assolutamente nelle condizioni di poter vigilare sull’operato del proprio consulente esterno e quindi di poter ovviare alle sue mancanze, pronunciandosi su di essa sulla base di apprezzamento in fatto, riguardo alla idoneità di quanto addotto al fine di andare esente da qualsivoglia responsabilità sul piano sanzionatorio per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, demandato in via esclusiva ai giudici del merito.
2.3. Costituisce giurisprudenza pacifica (cfr. per tutte Cass. 20/07/2018, n. 19422) il principio secondo cui, in tema di sanzioni per le violazioni di disposizioni tributarie, la prova dell’assenza di colpa grava, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, sul contribuente, il quale, dunque, risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato della relativa trasmissione telematica ove non dimostri di aver vigilato sullo stesso, nonché il comportamento fraudolento del medesimo professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento, mediante la falsificazione di modelli F24 ovvero di altre modalità di difficile riconoscibilità da parte del mandante. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto che il contribuente non avesse assolto a tale onere
probatorio, essendosi limitato a presentare una denuncia nei confronti del commercialista, senza neppure allegare le modalità con le quali avrebbe celato il proprio comportamento fraudolento).
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 14 aprile 2025