Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33217 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33217 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6264/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE e COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresentano e difendono
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE DIREZIONE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -controricorrente- nonché contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della PUGLIA-SEZ.DIST. FOGGIA n. 2047/2016 depositata il 07/09/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Dalla sentenza in epigrafe si apprende che RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di realizzazione di software e consulenza, sedente in Bottanuco (BG), con ricorso RGR 1591/12 proposto contro RAGIONE_SOCIALE e la DP di Foggia dell’Agenzia delle entrate, impugnava tredici intimazioni di pagamento e relative cartelle.
Con ricorso RGR 1592/12 proposto contro Equitalia Sud, la medesima DP di Foggia e la DP di Milano, impugnava la cartella di pagamento NUMERO_CARTA per ires, iva, sanzioni ed interessi, di complessivi € 1.783.352,29, per l’anno 2005, nonché ruolo straordinario presupposto n. 2011/900014.
Con ricorso RGR 1593/12 proposto contro Equitalia Sud, le medesime DDPP di Foggia e di Milano e l’Ufficio di Lucera, impugnava la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA per iva, sanzioni ed interessi, di complessivi € 794.081,64, per l’anno 2007, nonché ruolo straordinario presupposto n. 2011/250266.
1.1. Espone la sentenza in epigrafe quanto segue:
I prefati atti scaturivano da una segnalazione dell’Agenzia delle Entrate-Direzione Regionale della Puglia all’Ufficio di Manfredonia (competente per l’anno 2006), all’Ufficio di Lucera (competente per l’anno 2007) alla Direzione Regionale della Lombardia (competente per gli anni 2003,2004 e 2005) con la quale veniva reso noto che a carico della società RAGIONE_SOCIALE erano emersi crediti iva fittizi utilizzati per compensare debiti tributari e contributivi. Tale segnalazione veniva
trasmessa anche alla Direzione Regionale del Lazio al fine di controllare la società RAGIONE_SOCIALE costituita in data 14/12/2006 alla quale la società RAGIONE_SOCIALE in data 22/12/06 aveva ceduto un ramo dell’azienda per l’importo di € 100.000,00.
Giova precisare che la società RAGIONE_SOCIALE si era costituita in data 18/07/03, fissando la sede operativa in Cinisello Balsamo (MI) fino al 02/01/07 e operando continui trasferimenti della propria sede legale:
Milano INDIRIZZO fino al 01/08/05
Milano INDIRIZZO fino ai14/0l2/06
San Giovanni Rotondo INDIRIZZO fino al 20/11/07
Roseto Valfortore INDIRIZZO fino al 20/11/07
Dalla data di costituzione e fino al 22/12/06 questa era la compagine societaria:
RAGIONE_SOCIALE con sede a Monza
NOME NOME
RAGIONE_SOCIALE con sede In Lussemburgo
Legali rappresentanti: COGNOME NOME e COGNOME NOME.
In data 22/12/06 la RAGIONE_SOCIALE cedeva l’azienda per € 100.000,00 alla RAGIONE_SOCIALE con sede in Roma, ma con sede operativa coincidente con quella della società cedente in Cinisello Balsamo e con uguale legale rappresentante sig. COGNOME COGNOME Socio Unico della RAGIONE_SOCIALE era la società lussemburghese RAGIONE_SOCIALE
Nella stessa data del 22/12/06 la RAGIONE_SOCIALE a seguito di cessione delle quote della RAGIONE_SOCIALE e di COGNOME NOMECOGNOME diventava socio unico della RAGIONE_SOCIALE.
In data 20/11/07 la RAGIONE_SOCIALE veniva posta in liquidazione nominando liquidatore la sig.ra NOME di MattinataCOGNOME dell’età di 82 anni, deceduta poi in data 13/02/08 .
Ciò premesso, a seguito di controllo sul Mod. Unico della soc. RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2005, la Direzione Provinciale di Milano notificava alla suddetta società l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO con il quale recuperava a tassazione iva per un importo pari ad € 628.000,00 oltre sanzioni ed interessi per l’importo complessivo di € 1.515.614,34 e l’avviso di contestazione n. NUMERO_DOCUMENTO, che venivano notificati al curatore della soc. RAGIONE_SOCIALE che dal 20/11/07 era stata posta in liquidazione. La notifica veniva effettuata in data 24-25 marzo 2011.
Considerata l’entità della pretesa e la gravità delle violazioni contestate, la DRE di Milano, sussistendo pericolo per la riscossione, iscriveva a ruolo le somme dovute ex artt. 11 e 15-bis DPR 602/73.
La cartella di pagamento n. 04320110009178618 di € 1.515.614,34 e le conseguenti intimazioni di pagamento, oggi in esame, venivano notificate alla ‘soc. RAGIONE_SOCIALE e per essa alla RAGIONE_SOCIALE per effetto della cessione del ramo d’azienda avvenuta in data 22/12/06′.
La società ricorrente contestava con riferimento alle intimazioni dì pagamento tutte relative a cartelle notificate tra il 2007 e il 2011 solo ed esclusivamente alla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione per complessivi €11.294.999,66 (e poi notificate da Equitalia alla “RAGIONE_SOCIALE e per essa a seguito della cessione del ramo d’azienda alla RAGIONE_SOCIALE‘), che la pretesa non era azionabile nei propri confronti per vari motivi di diritto e con particolare riferimento all’art. 14 D.Lgs. 472/97 faceva rilevare che ove mai fosse stata accertata una responsabilità della società ricorrente, la stessa doveva essere limitata, nei liniti temporali previsti, al valore della cessione d’azienda pari ad € 100.000,00.
La CTP di Foggia con sentenza n. 78/03/13, accoglieva parzialmente i ricorsi, non ritenendo sussistente la responsabilità della ricorrente RAGIONE_SOCIALE nella sua qualità di cessionaria in relazione alle imposte dovute per l’anno 2007, mentre ne limitava la responsabilità alla somma di € 100.000,00 (pari al prezzo della cessione) in relazione alle imposte dovute per gli anni 2004,2005 e 2006 ai sensi del c. 1 dell’art.14 D. Lgs. 472/97.
Avverso la citata sentenza proponevano distinti appelli l’Agenzia delle Entrate-Direzione Provinciale di Milano iscritto al n. 2662/13 e la Direzione Provinciale di Foggia, iscritto al n. 2637/13.
La Direzione Provinciale di Milano censurava la violazione dell’art. 14 D.Lgs. 472/97 contestando l’applicazione da parte del primo giudice del primo comma che limitava la responsabilità del cessionario al valore della cessione, sul presupposto che I’RAGIONE_SOCIALE non aveva contestato né alla Optimas, né alla RAGIONE_SOCIALE che la cessione era stata effettuata in frode dei creditori.
Al contrarlo, l’appellante sosteneva applicabili i commi 4 e 5 del citato art. 14, atteso che la responsabilità della cedente è disciplinata dall’art. 2560 cc .
L’appellante Direzione Provinciale di Foggia censurava la sentenza per la mancata estromissione dal giudizio, difetto di giurisdizione per le cartelle relative ai debiti di natura non erariale sulle quali non si era pronunciato il primo giudice, violazione dell’art. 14 D.Lgs. 546/92 .
Si costituiva l’Agenzia delle Entrate-Direzione Regionale della Puglia, in quanto destinataria dell’appello da parte della Direzione Provinciale di Milano, affermando il proprio difetto di legittimazione passiva non essendo stata parte del giudizio di primo grado.
La soc. RAGIONE_SOCIALE resisteva all’appello proposto dalla Direzione provinciale di Foggia, contestando ogni avverso detto e proponendo appello incidentale condizionato.
on riferimento alla violazione dell’art. 14 D. Lgs. 472/97 sosteneva che la responsabilità del cessionario consiste in una coobbligazione solidale del cessionario avente natura parafideiussoria restando estranea a tale responsabilità qualsivoglia natura sanzionatoria .
Dalla natura di responsabilità dipendente, la società sosteneva che l’art. 14 D.Lgs. 472/97 assoggettava la responsabilità del cessionario a precisi limiti sia con riferimento all’importo dei debiti che (alla data del trasferimento) risultano dal certificato che I’A.F. deve rilasciare a richiesta del cessionario, ma in ogni caso la responsabilità non può eccedere il valore dell’azienda o del ramo d’azienda ceduto salvo il disposto del quarto comma i cui non è il caso in quanto il valore dell’azienda ceduta come dichiarato in atti era stato accertato dall’Agenzia delle Entrate di Bergamo e ritenuto congruo per il valore di € 100.000,00.
La società adombrava inoltre la violazione l divieto di nuove eccezioni in appello allorché l’appellante Agenzia riteneva applicabile alla fattispecie il comma quinto dell’art. 14 in questione.
Su tale punto richiamava quanto affermato dal primo giudice “non risulta contestato ad alcuna società che la cessione sia stata attuata in frode dei creditori tributari” o che sia stata contestata “una violazione penalmente rilevante ai sensi dell’ultimo comma del cit. art. 14”.
Contestava ancora l’assunto della cessione in frode al creditori in quanto unicamente basata sul rapporto di parentela (padre/figlio) tra COGNOME Fabrizio e COGNOME NOME o sull’identità del soggetto economico delle due società formalmente distinte, nella persona del COGNOME NOME.
Ferm restando l’infondatezza dell’appello, la società proponeva appello incidentale condizionato riproponendo alcuni dei motivi di ricorso:
illegittimità della sentenza nella parte in cui non aveva dichiarato la nullità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione
nullità e/o improcedibilità dell’azione esecutiva nei confronti della società per carenza di valido titolo esecutivo nei confronti della medesima società e carenza di legittimazione di Equitalia ad azionare qualsivoglia pretesa nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
nullità delle intimazioni di pagamento per mancanza dell’atto presupposto.
Concludeva chiedendo in via principale il rigetto dell’appello dell’Agenzia e in subordine accoglimento dell’appello incidentale con conseguente inefficacia degli atti impugnati.
La società, inoltre, con riferimento all’appello proposto dalla Direzione Provinciale di Milano depositava analoghe controdeduzioni ed identico appello incidentale reiterando le stesse conclusioni.
Con la sentenza in epigrafe, la CTR della Puglia così decideva:
in parziale accoglimento degli appelli riuniti e in parziale riforma dell’impugnata sentenza, dichiara il difetto di giurisdizione per i crediti non aventi natura tributaria, come da motivazione. Dichiara il difetto di legittimazione passiva della sola Direzione Regionale della Puglia. Dichiara illimitata la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE per le imposte concernenti gli anni d’imposta antecedenti la cessione del ramo d’azienda in applicazione del quarto e quinto comma dell’art. 14 D.Lgs. 472/97. Rigetta l’appello l’incidentale della RAGIONE_SOCIALE Condanna la Società al pagamento delle spese di giudizio .
2.1. In motivazione, per quanto di interesse nella presente sede, osservava:
Prima di passare all’esame del terzo motivo di appello, comune a quello contenuto nell’appello proposto dalla Direzione Provinciale di Milano e relativo alla violazione dell’art. 14 D. Lgs. 472/97, giova fare alcune considerazioni.
Come affermato dal primo giudice il petitum della presente controversia è rappresentato dalla eccepita non azionabilità delle pretese sottostanti gli atti impugnati nei confronti del cessionario, per cui tutte le eccezioni analiticamente proposte riconducono la causa petendi a presunti vizi della procedura adottata dall’Agenzia e dal Concessionario della riscossione di domandare l’adempimento dell’obbligazione fiscale al coobbligato solidale dipendente utilizzando solo atti della riscossione, rappresentati nella fattispecie da cartelle di pagamento e intimazioni di pagamento.
Sia il petitum sia la causa petendi così come delineat dal primo giudice e condivisi da questo Collegio, non sono stati contestati dalle parti in causa, per cui in tale ambito si svolgerà l’effetto devolutivo dell’appello.
La Corte di Cassazione, nelle stesse sentenze citate dal precedente giudicante ha sempre legittimato tali comportamenti dell’Ente impositore e/o Concessionario riconoscendo in capo al cessionario il diritto di impugnare gli atti notificati sia sotto il profilo della propria responsabilità, sia in ordine all’an che al quantum della pretesa, per cui in assenza di contestazioni sull’an e sul quantum dell’obbligazione originaria, occorre stabilire la misura della responsabilità del concessionario.
a responsabilità del cessionario è disciplinata compiutamente dall’art. 2560 cc, il quale dispone: .
Tale disciplina civilistica è sufficiente ad escludere ogni responsabilità del cessionario per i debiti sorti successivamente al momento della cessione.
Pertanto merita conferma quanto statuito dalla CTP circa la non sussistenza della responsabilità del cessionario per le imposte concernenti l’anno 2007 e successivi .
Dal punto di vista fiscale il legislatore ha voluto graduare la responsabilità del cessionario in relazione ai debiti tributari, attraverso i vari commi dell’art. 14 del D.Lgs. 546/92 distinguendo in sostanza due ipotesi distinte di cessione: una lecita alla quale corrisponde la limitazione della responsabilità solidale entro i limiti del valore della cessione, regolamentata dai commi 1, 2 e 3; l’altra, in fronde, regolamentata dai commi 4, e 5 che non preved nessun limite di valore.
Pertanto il limite di tale responsabilità a parere del Collegio deve essere valutato soprattutto in base alla condotta tenuta dall’acquirente ovvero valutare se costui ha agito con la dovuta diligenza onde evitare di dover rispondere dei debiti dell’azienda acquistata.
Per quanto concerne il debiti tributari i commi 2 e 3 dell’art.14 così dispongono: .
È pacifico tra le parti che la RAGIONE_SOCIALE non ha provveduto a presentare l’istanza di cui al terzo comma.
Tale negligenza unitamente a tutte le altre circostanze emerse nel corso del giudizio quali:
l’identità degli amministratori delle società cedente e cessionaria
il continuo mutare della sede legale
la cessione del ramo d’azienda al prezzo di € 100.000,00 (non valutato dall’Ufficio) comprensivo di avviamento
il fatto che socio unico della RAGIONE_SOCIALE è una società lussemburghese
la messa in liquidazione della RAGIONE_SOCIALE
la nomina a commissario liquidatore della sig.ra , dell’età di 82 anni, deceduta poi in data 13/02/08
la coincidenza delle sedi operative
l’accertamento relativo all’anno 2005 a carico della Optimas dell’omessa comunicazione dei dati delle dichiarazioni d’intento ricevute ex art. 1 c. 1 lettera c DL 746/83 e relative conseguenze
il mancato pagamento da parte della cedente delle imposte poi liquidate ex art. 36-bis delle quali l’amministratore non poteva non sapere
concorrono a convincere il Collegio che la cessione d’azienda sia parte di una più ampia strategia elusiva messa in essere ai danni del fisco e degli enti previdenziali, per cui, si ritiene legittima l’applicazione del quarto comma dell’art. 14 .
Tale convincimento è corroborato dalla Cassazione che con sentenza n. 5979/14 .
Merita, pertanto di essere riformata l’impugnata sentenza, allorché, pur pronunciando anteriormente alla citata sentenza delia Cassazione n. 5979/14 e basandosi su sentenze di altre CTR, ha ritenuto applicabile alla fattispecie il primo comma dell’art. 14 D. Lgs. 472/97 sul presupposto che l’ente impositore non aveva contestato a nessuna delle due società, la cessione in frode.
Passando all’esame dei motivi d’appello incidentale il Collegio non li ritiene meritevoli di accoglimento, in quanto, in caso di cessione di ramo d’azienda in frode al fisco, la responsabilità del cessionario, per i motivi sopra esposti, diviene illimitata e non beneficia delle limitazioni ordinariamente previste in ordine all’an, al quantum ed al quomodo della pretesa, nella fattispecie inteso nel senso più ampio e, comprendente, quindi, anche il beneficio della preventiva escussione del cedente, con la conseguenza che il cessionario risponde in solido con il cedente, con tutto il suo patrimonio, per tutte le passività fiscali anche se anteriori al triennio del trasferimento ed anche se accertate in epoca successiva alla cessione, senza limitazione al valore dell’azienda ceduta e senza il beneficio della preventiva escussione .
Devono, quindi, ritenersi legittimi i comportamenti dell’Agenzia e del Concessionario di richiedere l’adempimento dell’obbligazione tributaria al coobbligato solidale utilizzando solo atti di riscossione in quanto bilanciata dalla possibilità riconosciuta al cessionario di impugnare gli atti notificati
sia sotto il profilo della propria responsabilità che in ordine all’esistenza e alla misura del debito.
Propone ricorso per cassazione la contribuente, in persona dell’ex liquidatore, essendo ‘medio tempore’ la contribuente fallita, con sei motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, succeduta ad RAGIONE_SOCIALE, a ministero di avvocato del libero foro.
Resiste con controricorso altresì l’Agenzia delle entrate, a ministero dell’Avvocatura Generale dello Stato.
Considerato che:
Preliminarmente deve rilevarsi – a differenza di quanto eccepito dalle controricorrenti -che il ricorso è ammissibile, ancorché presentato dal liquidatore della contribuente.
1.1. Soccorre sul punto il recente insegnamento delle Sezioni unite di questa Suprema Corte, secondo cui, ‘qualora i presupposti di un rapporto tributario si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l’atto impositivo può impugnarlo, ex art. 43 l.f., a condizione che il curatore si sia astenuto dall’impugnazione, assumendo un comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l’abbiano determinato; l’insussistenza di detto stato di inerzia comporta, per il fallito, il difetto della capacità processuale di impugnare l’atto impositivo, vizio suscettibile di essere rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo’ (Sez. U, n. 11287 del 28/04/2023, Rv. 667457 -01).
La dichiarazione di fallimento della contribuente risale al 27 giugno 2016.
A fronte dell’essere stata la sentenza impugnata deliberata il 10 giugno 2016 e depositata il 7 settembre successivo, non consta avere il Curatore del fallimento proposto ricorso per cassazione.
Con il primo motivo si denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 del D.Lgs. 546/1992 in relazione all’art.
360, co. 1, no. 4, CPC, per non essersi dichiarata l’inammissibilità dell’appello della DP Milano e della DP Foggia per estraneità dei motivi di appello alla ‘ratio decidendi’ della sentenza impugnata’.
2.1. ‘ La sentenza no. 78 della CTP Foggia aveva annullato parzialmente gli atti impugnati, rilevando che non era mai stato ‘… contestato ad alcuna società che la cessione stata attuata in frode dei crediti tributari, né che ipotizzabile, allo stato di causa, alcuna avvenuta (presunta) constatazione, nei sei mesi precedenti la cessione, di una violazione penalmente rilevante …’ (pag. 7-Doc. 1). L’appello della DP Milano, invece, con l’unico motivo rubricato ‘Sulla violazione del disposto normativo dell’art. 14 del D.Lgs. 472/1997” (da pag. 6 a pag. 9 -Doc. 2), si era doluta esclusivamente di ciò che il Primo Giudice non avesse rilevato l’esistenza dei presupposti di fatto costituenti una cessione in frode dei crediti tributari ai sensi dell’art. 14, co. 4, D.Lgs. 472/1997’. ‘La DP Foggia, dal canto suo, aveva svolto motivi analoghi a quelli della DP Milano in merito all’esistenza della frode, solamente aggiungendo che nessuna norma prevede la necessità di un autonomo atto di accertamento e contestazione, ben potendo l’Agente della Riscossione accertare la frode direttamente in sede di riscossione La DP Foggia contestava, ancora, la necessità della propria evocazione in giudizio, visto che il perfezionamento della frode si sarebbe verificato successivamente agli atti predisposti dagli Uffici ‘. ‘Sembra, allora, evidente che gli appelli avversari fraintesero la ‘ratio decidendi’ della sentenza di primo grado e, formulando motivi di gravame disancorati dalla sua architettura logica, esorbitarono dai limiti posti dall’art. 53, D.Lgs. 546/1992. Il ragionamento contenuto nella sentenza della CTP, infatti, non si basava (a) né sull’inesistenza sostanziale della frode di cui all’art. 14, c. 4, D.Lgs. 472/1997 (non vi è infatti alcun accertamento negativo dell’esistenza dì una cessione in frode dei creditori) , (b) né sulla mancata emissione di un autonomo atto di
contestazione da emettersi prima dell’inizio dell’attività di riscossione, come ritenuto dalla DP Foggia . Secondo il percorso logico del Collegio di primo grado, invece, l’obbligo di contestazione discende esclusivamente dalla mancata esplicitazione nelle cartelle e nelle intimazioni di pagamento impugnate delle ragioni in fatto (fatti costitutivi della frode) e in diritto (applicabilità nel caso di specie dell’art. 14, co. 4, D.Lgs. 47211997) per le quali la pretesa azionata veniva avanzata illimitatamente nei confronti di RAGIONE_SOCIALE In altre parole, la motivazione della sentenza di primo grado non era il frutto dell’applicazione dell’art. 14, co. 4, D.Lgs. 472/1997 e bensì dell’art. 3, L. 241/1990, degli artt. 7 e 14, L. 212/2000 e dell’obbligo generale di motivazione degli atti tributari gravante sugli enti impositori e sull’Agente della Riscossione’.
2.2. Il motivo -che di per sé soggiace a rilievi di inammissibilità, perché non riproduce per intero la motivazione della sentenza di primo grado onde consentirne un compiuto apprezzamento al cospetto del tenore degli appelli, essi pure citati (quantunque più ampiamente) solo per stralci – è – altresì e comunque – manifestamente infondato.
A fronte della recriminazione, di cui al motivo, di non avere gli appelli agenziali colto l’effettiva ‘ratio decidendi’ della sentenza di primo grado, basandosi questa sul difetto di previa contestazione della frode in sede amministrativa contestato ad alcuna società che la cessione sia stata attuata in frode dei crediti tributari, né che sia ipotizzabile, allo stato di causa, alcuna avvenuta (presunta) constatazione, nei sei mesi precedenti la cessione, di una violazione penalmente rilevante’], v’è da osservare, al contrario, che gli stessi si sono pertinentemente confrontati con il percorso argomentativo della sentenza della CTP, confutandolo sulla base dell’assunto (che, come si dirà ‘amplius’ in seguito, si rivela conforme a diritto)
secondo cui siffatta previa contestazione, rivolta al cessionario, in realtà non è affatto necessaria: talché il ‘thema’ della sussistenza, o meno, della fattispecie della cessione in frode ben può e deve trovare sfogo in sede giurisdizionale, ove la parte pubblica è per l’effetto legittimata a far valere i presupposti della responsabilità senza limiti del cessionario (segnatamente, nella specie, in appello, con pieno effetto devolutivo sul merito della piattaforma indiziaria addotta a sostegno dell’assunto, previa impugnazione della sentenza di primo grado siccome erroneamente, come detto, intesa a valorizzare un preteso ma inesistente vuoto contestativo negli atti attingenti la contribuente).
Un tanto vale di per sé ad escludere la dedotta violazione dell’art. 53 D.Lgs. n. 546 del 1992.
3. Secondo motivo: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 del D.Lgs. no. 427/1997, dell’art. 112 CPC e dell’art. 36, par. 2, no. 3, del D.Lgs. no. 546/1992 in relazione all’art. 360, co. 1, no. 4, CPC, per omessa pronuncia sull’eccezione di novità delle questioni proposte in appello dalla DP Foggia e dalla DP Milano e, conseguentemente, per non essersi dichiarata l’inammissibilità dei relativi motivi’.
3.1. ‘ell’atto di controdeduzioni dell’08.11.2013 relativo all’appello proposto dalla DP Milano, Optimo eccepiva che ‘… il motivo di appello si rivela anzitutto palesemente inammissibile, e come tale dovrà essere senz’altro rigettato. E ciò in quanto, introducendo per la prima volta il tema di una presunta cessione in frode ai creditori, l’Ufficio inserisce nel contenzioso motivazioni dei recuperi diverse ed ulteriori sia rispetto a quelle contenute nelle motivazioni dei vari atti di riscossione, sia rispetto a quanto contestato nell’ambito di tutto il giudizio di primo grado, e dunque si viola il divieto di nuove eccezioni …’ (Pag. 14 -Doc. 4). Optimo sollevava la medesima eccezione nell’atto di controdeduzioni dell’08.11.2013 relativo all’appello proposto dalla DP Foggia (Pag.
29Doc. 5)’. ‘Ritiene, allora, parte ricorrente che la sentenza impugnata abbia errato nel non considerare l’eccezione da sé sollevata e, comunque, nel non dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi in appello proposti dalle DP di Milano e di Foggia, in quanto entrambi richiedevano la riforma della sentenza di primo grado sulla base di contestazioni in fatto e in diritto non contenute negli atti impugnati’.
3.2. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
È inammissibile perché cumulativo, sia in rubrica che nello sviluppo argomentativo, senza identificare le singole censure e raccordarle alle corrispondenti violazioni denunciate, presupponendo per l’effetto un non consentito intervento supplettivo di questa Suprema Corte.
Lo è, inoltre, perché, in violazione dei principi di precisione ed autosufficienza, non riproduce nelle parti rilevanti gli atti processuali di tutte le parti del giudizio in primo grado, rendendo dunque impossibile verificare la protesta di novità del ‘ tema di una presunta cessione in frode ai creditori’ declinata nell”atto di controdeduzioni dell’08.11.2013 relativo all’appello proposto dalla DP Milano’, esso pure riprodotto in sì breve stralcio da non consentire alcune effettiva contestualizzazione: profilo, quest’ultimo, di per sé non formale, sol che si consideri che, di fronte all’asserto della CTR secondo cui ‘la società adombrava’, e dunque non eccepiva, ‘ la violazione l divieto di nuove eccezioni in appello allorché l’appellante Agenzia riteneva applicabile alla fattispecie il comma quinto dell’art. 14 in questione’, il motivo avrebbe dovuto farsi carico di un’esplicita e precisa devoluzione dell’eccezione, in guise pur non sacramentali, ma sufficientemente chiare da fondare sul punto il dovere decisorio della CTR.
È – altresì e comunque -manifestamente infondato.
Valgono le considerazioni già espresse a proposito del motivo precedente, rispetto alle quali pare solo il caso di aggiungere che è lo stesso ricorso a dar atto
-dell’essere il suddetto ‘ tema di una presunta cessione in frode ai creditori’ introdotto in primo grado nientemeno che dalla contribuente ;
-dell’avere la CTP scritto che ‘ … non risulta contestato ad alcuna società che la cessione sia stata attuata in frode dei crediti tributari.
Sotto altro profilo, nel medesimo senso della manifesta infondatezza del motivo, non sfugge che la sentenza impugnata, avuto giust’appunto presente che ‘la società adombrava la violazione al divieto di nuove eccezioni in appello’, ben lungi dal pretermettere la questione di cui al motivo, l’ha invece implicitamente superata, affermando che la CTP aveva errato nel ritenere ‘applicabile alla fattispecie il primo comma dell’art. 14 D. Lgs. 472/97 sul presupposto che l’ente impositore non aveva contestato a nessuna delle due società, la cessione in frode’, atteso che, ‘dal punto di vista fiscale il legislatore ha voluto graduare la responsabilità del cessionario in relazione ai debiti tributari, attraverso i vari commi dell’art. 14 del D.Lgs. /9 ‘: talché, nella (condivisibile, come si vedrà) logica della CTR, la responsabilità del cessionario ex art. 14 D.Lgs. n. 472 del 1997 è unitaria, meramente ‘articolata’ nei vari commi di detto articolo, tra cui, ovviamente, il quarto.
Terzo motivo: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della L. 241/1990 e degli artt. 7 e 14 della L. 212/2000 in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3, CPC, per essersi negato l’obbligo di motivare l’intento frodatorio della cessione del ramo d’azienda e i fatti costituitivi della frode’.
4.1. La sentenza impugnata viola le disposizioni rubricate. ‘Gli atti ricevuti dall’odierna ricorrente e da lei impugnati non erano stati motivati con la specifica contestazione della realizzazione di una cessione in frode dei crediti tributari. Segnatamente, in essi non si chiarisce a) la base giuridica assunta a fondamento della illimitazione della responsabilità del cessionario (ex art. 14, co. 4, del D.Lgs. 472/1997, b) che il debito era sorto in capo al cedente, c) che se ne richiedeva il pagamento, poiché si riteneva l’operazione di cessione del ramo avvenuta in frode dei crediti tributari, e d) quali erano i fatti posti a fondamento della frode medesima’.
4.2. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
È inammissibile a misura che non riproduce specificamente le doglianze rassegnate in primo grado, e reiterate in appello, in modo da dimostrare ‘a monte’ che il difetto motivazionale degli atti notificati alla contribuente fosse dedotto sotto il profilo in sé della mancata indicazione della tipologia di responsabilità attribuitale, con precipuo riguardo a quella conseguente a cessione in frode.
Ed invero (stando al ricorso) gli atti introduttivi dei giudizi recriminavano la ‘nullità degli atti impugnati per’ mera, sia consentito di osservare -‘carenza assoluta di motivazione. Violazione dell’art. 7.1 della L. 212/2000, dell’art. 3.1 della L. 241/1990 e dell’art. 2697.1 CC (pagg. 7-9). Con tale motivo veniva eccepita la carenza di motivazione degli atti e l’impossibilità di comprendere le ragioni della loro notifica alla ricorrente, rilevandosi che nessuna delle cartelle di pagamento ivi indicate era mai stata notificata o in altro modo conosciuta’ .
Relativamente, poi, all’appello incidentale, il ricorso riferisce: ‘Con il primo motivo la sentenza di primo grado veniva censurata
nel capo in cui aveva affermato la correttezza della motivazione della cartella 2005, in quanto da quest’ultima non era dato comprendere su quali presupposti di fatto e ragioni di diritto Equitalia avesse avanzato la sua pretesa nei confronti della ricorrente’ (punto 27, p. 13; punto 33, lett. a), p. 14′.
Ora, nonostante l’eccepito totale difetto motivazionale di tutti gli atti, tale da (asseritamente) non render conto delle ragioni dell’attingimento della contribuente, è proprio quest’ultima, negli atti introduttivi degli originari tre giudizi, a denunciare la nullità dei medesimi ‘per insussistenza della frode di cui all’art. 14, co. 4, D.Lgs. 472/1997’.
Donde emerge un difetto di precisione, oltreché di autosufficienza, del motivo, tanto più spiccato perché (a stretto tenore di ricorso) suggestivo di un’incoerenza dello stesso rispetto alle posizioni difensive assunte nei gradi di merito: ciò che conferma l’anticipata inammissibilità.
Il motivo, ad ogni buon conto, è altresì manifestamente infondato.
La sentenza impugnata, nella parte dedicata allo svolgimento del processo, che tuttavia fa corpo unico con quella specificamente dedicata ai motivi della decisioni, è chiarissima nel rilevare che ‘la cartella dì pagamento n. 04320110009178618 di € 1.515.614,34 e le conseguenti intimazioni di pagamento, oggi in esame, venivano notificate alla ‘soc. RAGIONE_SOCIALE e per essa alla RAGIONE_SOCIALE per effetto della cessione del ramo d’azienda avvenuta in data 22/12/06”.
Tale asserto, ben lungi dall’essere contestato in ricorso, vi trova anzi conferma, leggendovisi che ‘Equitalia Sud provvedeva a notificare i predetti atti indirizzandoli come segue: ‘… Spett.le RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO 71039 Roseto Valfortore e per essa, a seguito della cessione del ramo di azienda del 22/12/2006 alla Soc. RAGIONE_SOCIALE C/09250821007 INDIRIZZO 24040 Bottanuco (BG) …” (punto 7, p. 5).
Ne consegue allora che era ben chiaro alla contribuente il titolo della pretesa azionato nei suoi confronti, tanto che, come ripetutamente detto, ha essa avuto agio di contestare la legittimità degli atti (anche) sotto il profilo della violazione dell’art. 14 D.Lgs. n. 472 del 1997.
Sicché -come ricordato in motivazione da Sez. 5, n. 10377 del 10/01/2022 – ‘la circostanza che, in forza dell’art. 14, cit., è estesa al cessionario la responsabilità solidale nel pagamento, assume rilevanza ai fini della definizione della questione relativa all’obbligo di motivazione della cartella di pagamento’; tuttavia,
è nei confronti del cedente che deve essere svolta l’attività accertativa, essendo questi il soggetto passivo, poiché è nei suoi confronti che si è realizzato il presupposto impositivo, in particolare la cessione del bene, il che implica che è nei confronti del medesimo che deve essere notificato, eventualmente, un avviso di accertamento contenente la motivazione nella quale deve specificamente essere contestata la sussistenza dei presupposti per la pretesa impositiva;
nei confronti del cessionario, non essendo il soggetto passivo, correttamente l’amministrazione finanziaria provvede alla mera iscrizione a ruolo dell’importo non versato dal cedente, in forza della responsabilità solidale configurata dalla previsione di cui all’art. 14, cit.;
quel che dunque rileva, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione della cartella di pagamento allo stesso notificato, è che in essa sia riportata la ragione della pretesa, cioè la estensione, a titolo di responsabilità solidale, della richiesta di pagamento del tributo di cui è soggetto passivo il cedente, potendo, sotto tale profilo, ritenersi assolto l’onere di motivazione mediante il mero riferimento alla previsione di cui all’art. 14, cit. ;
né può valere, pertanto, l’ulteriore profilo relativo alla mancata indicazione delle specifiche ragioni per le quali è identificat quale responsabile in via solidale, posto che tale profilo deriva dalla messa a conoscenza della circostanza che la pretesa è fatta valere proprio in considerazione della estensione nei confronti della cessionaria, in via solidale, della responsabilità già gravante sulla cedente per il pagamento dei debiti tributari.
In buona sostanza, così esplicitandosi, con più precipuo riguardo alla fattispecie oggetto di giudizio, un principio già immanente nella giurisprudenza di legittimità, gli atti della riscossione notificati al cessionario di un’azienda quale debitore solidale del cedente per l’interezza delle pretese formate nei confronti di questi sono correttamente motivati laddove, dall’intestazione degli stessi al cessionario, ovvero da elementi concorrenti, tra cui la notificazione al medesimo diretta, possa evincersi il riferimento alla cessione in sé quale titolo legittimante .
Tale principio, valga rilevare, è coerente con la considerazione che la fonte della responsabilità del cessionario è l’art. 14 D.Lgs. n. 472 del 1997, il quale prevede in capo al medesimo un’unica forma di responsabilità, meramente articolata in funzione delle condizioni di cui ai suoi singoli commi.
Quarto motivo: ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14, co. 1 e 4, del D.Lgs. 472/1997 in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3, CPC, per essersi ritenuta sussistente la frode (e, quindi, applicabile ad Optimo il co. 4 piuttosto che il co. 1 del D.Lgs. 472/19997). In subordine, un profilo di possibile illegittimità costituzionale dell’art. 14, co. 4 del D.Lgs. 472/1997, in relazione art. 3 co. 133, della Legge 662/1996 e dell’art. 76 Cost.’.
5.1. ‘on potranno considerarsi elementi sufficienti per configurare la cessione in frode ai crediti tributari a) la mera cessione dell’azienda o del ramo d’azienda da parte del cedente ovvero la ‘deminutio patrimonii’ del cedente (elemento comune anche alle fattispecie di cui ai co. 1, 2 e 3); b) la mera consapevolezza nel cessionario dell’esistenza dei debiti tributari della cedente (elemento che può sussistere nel caso disciplinato dal co. 1 ed è addirittura un presupposto delle fattispecie di cui ai co. 2 e 3). Affinché la corresponsabilità solidale del cessionario divenga illimitata, è necessaria la presenza di un ‘quid pluris’ oggettivo, vale
a dire, di uno o più fatti, che abbiano avuto come conseguenza di rendere impossibile o più difficoltosa la riscossione tributaria. In tale prospettiva, la sentenza impugnata ha violato il disposto dell’art. 14, co. 4, D.Lgs. 472/1997, laddove ha qualificato come frodatoria la cessione, nonostante da essa non sia conseguito alcun danno per l’azione riscossiva erariale essuna delle controparti, né la sentenza impugnata, hanno a) negato la correttezza del valore attribuito all’azienda ceduta e del prezzo concordato per la cessione, b) ipotizzato la possibilità un maggiore ricavo in sede di esecuzione forzata, c) affermato che il prezzo incassato dalla cedente sarebbe stato occultato od altrimenti sottratto alla riscossione erariale, né d) lamentato azioni riscossive successive alla cessione conclusesi con merito negativo . L’assenza di un danno oggettivamente riconoscibile a carico dell’erario sotto forma di impossibilità o maggior difficoltà della riscossione, impedisce di connotare negativamente gli elementi di fatto che la CTR Puglia ha, invece, a torto ritenuto sufficienti per l’applicazione dell’art. 14, co. 4, del D.Lgs. 42711997. In tal senso, si consideri che a) l’identità di alcuni membri del ‘management’ delle due società non è da sola idonea a dimostrare la volontà di ledere l’interesse erariale, potendo al più giustificare la consapevolezza nella cessionaria dei debiti della cedente; b) i cambi di sede cui fa riferimento la sentenza impugnata (peraltro, tutti anteriori alla cessione e, comunque, sempre in territorio nazionale) hanno interessato la sede legale e non quella operativa: trattasi, pertanto, di modifiche che non potevano avere né hanno avuto effetti sulla riscossione (anche perché non sono mai state lamentate difficoltà in merito alla notifica degli atti di accertamento e riscossione) e che rimangono, pertanto, irrilevanti ; c) il fatto che un socio della cedente sia una società di capitali lussemburghese (dunque, di nazionalità di uno Stato Membro dell’Unione) è sicuramente inidoneo a connotare in senso negativo
l’operato della cedente stessa; sotto questo profilo, il percorso logico della CTR Puglia è puramente e semplicemente discriminatorio ; d) irrilevante è anche la messa in liquidazione di RAGIONE_SOCIALE e la scelta di nominare liquidatore la Sig.ra : questa decisione ha trovato esecuzione ben un anno dopo la cessione e dimostra solo la legittima volontà di interrompere l’attività imprenditoriale della cedente e non già di frodare gli interessi erariali ; e) inconferente è anche la circostanza che cedente e cessionaria abbiano avuto sedi operative coincidenti: ciò era inevitabile, poiché l’azienda principale di entrambe le società era quella oggetto della cessione ; f) del tutto inconferente è, infine, anche il richiamo alle violazioni fiscali asseritamente commesse da RAGIONE_SOCIALE, se non altro, perché si tratta di materia contestata con la cartella 2007, in relazione alla quale la stessa CTR Puglia ha negato alcuna responsabilità a carico dell’odierna ricorrente’.
In subordine, ‘Il D.Lgs. 472/1997 costituisce norma delegata, la cui fonte legittimante è costituita dell’art. 3, co. 133, della Legge 662/1996’. ‘l criterio direttivo -di natura oggettiva e necessariamente da verificarsi ‘ex post’ – del giovamento arrecato al cessionario dell’azienda dalla violazione ascritta al cedente, ovvero degli effetti economici favorevoli prodottisi nel patrimonio del cessionario, previsto dalla norma delegante (lett. c) del co. 133 dell’art. 3 della Legge 662/1996) è del tutto assente dall’architettura della norma delegata (co. 4 dell’art 14 del D.Lgs. 472/1997) ‘.
5.2. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
È inammissibile perché, a dispetto delle solo formalmente denunciate violazioni di legge, è in realtà teso a sollecitare a questa Suprema Corte un nuovo e, per la contribuente, più favorevole giudizio di merito, in spregio di natura e limiti del giudizio di
cassazione come momento di controllo della sola legalità, e quindi legittimità, delle pronunce oggetto di ricorso.
È comunque manifestamente infondato.
Il quadro in fatto accertato dalla CTR descrive in capo alla cedente NOME -a carico della quale ‘erano emersi crediti iva fittizi utilizzati per compensare debiti tributari e contributivi’: circostanza che perspicuamente la CTR ricorda aver costituito fonte di innesco delle indagini altresì condotte nei confronti della contribuente -una condizione di insostenibilità dei carichi fiscali, a fronte di una sostanziale sovrapponibilità alla medesima della cessionaria, per la medesima attività, la medesima compagine amministrativa e la medesima sede operativa: ne consegue che logicamente e coerentemente con le risultanze documentali la CTR -altresì valutata, sia consentito di così dire, la non immediata verificabilità delle compagini sociali per la componente lussemburghese -ha tratto la conclusione dell’essere stata la cessione un mero espediente per consentire ad Optimas di disfarsi dei suddetti carichi. La conferma di tale conclusione si evince dal fatto che -giustamente sottolineato dalla CTR che il corrispettivo della cessione non è mai stato ‘valutato dall’Ufficio’, non potendo dunque la contribuente trarre argomenti a sé favorevoli sul punto -Optimas, di per sé instradata su un binario morto con la designazione a legale rappresentante di una persona anziana, in effetti poco dopo ceduta -‘dal 20/11/07′ (come da sentenza impugnata: ossia meno di un anno dopo la cessione) era stata posta in liquidazione’.
Ed allora trova spazio il principio -già recentemente affermato da questa Suprema Corte, che il Collegio intende espressamente ribadire -a termini del quale, ‘in tema di responsabilità solidale del concessionario di azienda o di un ramo di azienda e di “beneficium excussionis”, la cancellazione della società cedente dal registro delle imprese e la sua conseguente estinzione costituiscono
dimostrazione certa dell’insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione del credito, con conseguente immediata operatività della responsabilità sussidiaria della società cessionaria’ (Sez. 5, n. 7545 del 17/03/2021, Rv. 660850 -02).
Né hanno fondamento i sospetti di illegittimità costituzionale dell’art 14 D.Lgs. n. 472 del 1997 avanzati in subordine nel motivo per eccesso di delega.
L’art 14 D.Lgs. n. 472 del 1997 è stato emesso in attuazione dell’art. 3, comma 133, lett. c), l.n. 662 del 1996, che recita:
Il Governo è delegato ad emanare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni per la revisione organica e il completamento della disciplina delle sanzioni tributarie non penali, con l’osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi:
c) previsione di obbligazione solidale a carico della persona fisica, società o ente, con o senza personalità giuridica, che si giova o sul cui patrimonio si riflettono gli effetti economici della violazione anche con riferimento ai casi di cessione di azienda, trasformazione, fusione, scissione di società o enti; possibilità di accertare tale obbligazione anche al verificarsi della morte dell’autore della violazione e indipendentemente dalla previa irrogazione della sanzione.
Sostiene la contribuente che nell’art. 14 D.Lgs. n. 472 del 1997 non vi sarebbe traccia del criterio del ‘giovamento’ di cui alla previsione di delega.
Così non è.
Vero è che l’art. 14 D.Lgs. n. 472 del 1997 non parla, letteralmente, di ‘giovamento’; ma è anche vero che l’intera sua disciplina è strutturalmente improntata ad ossequiare i criteri di delega – che, in realtà, al ‘giovamento’ affiancano la più comprensiva ‘ricaduta’ sul patrimonio dell’interessato degli ‘effetti economici della violazione’ laddove articola la responsabilità solidale del cessionario in varie guise , a seconda della diligenza e buona fede di questi nell’appurare la consistenza dei
debiti fiscali del cedente, in funzione della determinazione dell’estensione di detta sua responsabilità.
Più precisamente.
È il cessionario che, in una logica di massima trasparenza (comma 3) e comunque di normalità economica (commi 1 e 2), calibrando il corrispettivo della cessione all’entità dei debiti del cedente, accetta di farsene carico, beneficiando di una corrispondente diminuzione del corrispettivo; di contro, a misura che il cessionario, con la sua condotta, abbia reso possibile una ‘frode dei crediti tributari’ (comma 4, che si completa con la presunzione del comma 5), avendo scelto di dismettere l’impiego di alcun criterio di diligenza per porsi in una condizione di illiceità condivisa con il cedente, si vede semplicemente estesi gli ‘effetti economici’ – menzionati dall’art. 3, comma 133, lett. c), l.n. 662 del 1996 di quella medesima ‘violazione’ cui, in uno schema concorsuale (cfr. già Sez. 5, n. 5979 del 14/03/2014, Rv. 630640 -01, in motiv., par. 7.6, p. 17: ‘La ‘ratio legis’ della disposizione del comma 4 appare chiara: il ‘consilium fraudis’ tra cedente e cessionario di azienda è in danno dell’Erario e si attua attraverso il trasferimento della proprietà dei beni aziendali del cedente riducendo in tal modo la garanzia patrimoniale del debitore a soddisfazione dei crediti tributari. Il concorso delle parti contraenti nell’illecito fiscale esclude ogni ragione di tutela del soggetto cessionario (quale parte dell’accordo fraudolento in danno dell’Erario) in ordine al legittimo affidamento sulla situazione debitoria del cedente , con la conseguenza che, venuti meno i limiti previsti nei precedenti commi dell’art. 14, la responsabilità solidale di cui al comma 4 non potrà che essere considerata illimitata ‘) , ha contribuito a dar causa .
Ne consegue che il sospetto di illegittimità costituzionale avanzato nella seconda parte del motivo deve essere disatteso.
Con il quinto motivo si denuncia: ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 CPC e dell’art. 36 del D. Lgs. no. 546/1992, nonché degli artt. 3 della L. 241/1990, 7 e 14 della L. 212/2000 e 12, co. 2, del DPR 602/1973, in relazione all’art. 360, co. 1, no. 4) CPC, per non avere la sentenza impugnata esaminato la doglianza incidentale relativa alla eccepita nullità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione’.
6.1. ‘Nella sentenza impugnata, la CTR ha trascurato di considerare che l’odierna ricorrente aveva eccepito nel giudizio di gravame di avere avuto cognizione delle pretese tributarie avanzate dall’Ufficio soltanto al momento della notifica delle tredici intimazioni di pagamento e delle due cartelle, avvenuta in data 16.03.2012, non preceduta – come invece avrebbe dovuto – dalla notifica di avvisi di accertamento o di rettifica, ovvero di atti di irrigazione di sanzioni’. ‘ In particolare, la CTR di Foggia ha trascurato di considerare che, con riferimento alla cartella 2005 a) non era stato allegato l’avviso di accertamento no. T9D030800677/2011 ivi menzionato, contenente le ragioni del debito di RAGIONE_SOCIALE. Invero, tale avviso di accertamento non era stato né previamente notificato né sintetizzato nei suoi elementi essenziali ovvero in altro modo reso conoscibile dalla ricorrente; b) non erano stati esplicitati i pur menzionati fatti gravi che avevano condotto all’iscrizione a ruolo straordinaria (fatti tutt’ora ignoti); c) non vi era alcuna indicazione delle ragioni in fatto e in diritto, per cui sarebbe stato superato il limite quantitativo (il prezzo di 100.000 Euro pagato per l’acquisto dell’azienda) ed il beneficio di previa escussione del patrimonio di RAGIONE_SOCIALE previsti dall’art. 14, co. 1, D.Lgs. 472/1997 sarebbe venuto meno. Parimenti, con riferimento alle intimazioni di pagamento, il Giudice del gravame ha
mancato di prendere in considerazione a) l’insussistenza di qualsiasi spiegazione circa le ragioni fondanti la pretesa fiscale avanzata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE; b) l’assenza di indicazioni in ordine ad eventuali avvisi di accertamento emessi nei confronti di RAGIONE_SOCIALE; c) la mancata allegazione delle cartelle di pagamento prodromiche menzionate negli avvisi di intimazione; d) l’insussistenza di indicazione delle ragioni per cui le intimazioni di pagamento erano state notificate all’odierna ricorrente ; e) l’omessa indicazione delle ragioni in fatto e in diritto, per cui erano sarebbe stato superato il limite quantitativo e sarebbe venuto meno il beneficio di previa escussione del patrimonio di RAGIONE_SOCIALE, previsti dall’art. 14, co. 1, D.Lgs. 472/1997. A tal proposito, l’odierna ricorrente aveva altresì precisato nel grado ‘a quo’ che la laconica formula contenuta negli atti impugnati (‘… RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e per essa, a seguito della cessione del ramo d’azienda del22.12.2006, RAGIONE_SOCIALE …’) nulla di più rappresentava che una assertiva chiamata a responsabilità.
6.2. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
È inammissibile in quanto cumulativo e viepiù contraddittorio, non essendo evidentemente configurabili né affezioni della motivazione né violazioni di legge in caso di omessa pronuncia.
Il motivo è comunque manifestamente infondato.
Valgono le considerazioni già illustrate a proposito del terzo motivo, che qui si richiamano, sembrando opportuna soltanto aggiungere che la CTR, dopo aver fatto espressamente menzione, nella parte dedicata allo svolgimento del processo, del motivo d’appello incidentale della contribuente (‘ la società proponeva appello incidentale condizionato riproponendo illegittimità della sentenza nella parte in cui non aveva dichiarato la nullità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione’), altrettanto espressamente, e motivatamente, lo confuta,
affermando: ‘Passando all’esame dei motivi d’appello incidentale il Collegio non li ritiene meritevoli di accoglimento, in quanto, in caso di cessione di ramo d’azienda in frode al fisco, la responsabilità del cessionario, per i motivi sopra esposti, diviene illimitata , con la conseguenza che il cessionario risponde in solido con il cedente per tutte le passività fiscali anche se anteriori al triennio del trasferimento ed anche se accertate in epoca successiva alla cessione’.
In sostanza -secondo la CTR, che si allinea agli insegnamenti di questa S.C. -la responsabilità solidale del cessionario trova fonte -e giustificazione motivazionale negli atti direttigli (cfr. Sez. 5, n. 10377 del 2022, cit.) -nel fatto in sé della cessione. Donde la CTR ha fornito una giustificazione effettiva ed altresì adeguata alla questione agitata dalla contribuente.
Sesto motivo: ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 25, co. 2, 49 e 50, DPR 602/1973 e dell’art. 21, co. 1, D.Lgs. 546/1992 in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3, CPC, per avere la sentenza impugnata omesso di annullare le intimazioni di pagamento in assenza di notifica di apposita cartella di pagamento ad Optimo, come prospettato nel gravame incidentale’.
7.1. ”odierna ricorrente aveva eccepito con autonomo motivo incidentale, che nessun ruolo e nessuna cartella di pagamento erano stati formati direttamente a proprio carico, o comunque a sé notificati’. ‘a questione non è di mera forma, ed è invece di centrale rilievo nella presente causa, atteso che la (eventuale) obbligazione della ricorrente ai sensi dell’art. 14, co. 4, del D.Lgs no. 472/1997 andrebbe comunque ricostruita in termini di obbligazione solidale dipendente, non essendo Optimo incontestabilmente l’aut della violazione fiscale sanzionata, in quanto chiamata a rispondere del pagamento di imposte solamente per effetto della intervenuta cessione dell’azienda. L’Amministrazione avrebbe, allora, dovuto procedere
all’accertamento ed alla formazione del titolo esecutivo in modo autonomo per ogni singolo coobbligato. In ogni caso, anche se si volesse accedere alla tesi ‘quod non’ – secondo la quale non sarebbe necessaria la formazione di un autonomo ruolo per il coobbigato solidale, risulterebbe comunque violato l’art. 25 del DPR 602/1973 che, nell’individuare due macro-categorie di debitori tributari, principale e coobbligato solidale dipendente, impone che la cartella debba essere notificata ad ambedue qualora l’Agente della Riscossione intenda procedere esecutivamente anche nei confronti del secondo ‘.
7.2. Il motivo è manifestamente infondato.
Valga richiamare nuovamente Sez. 5, n. 10377 del 2022, cit., l’insegnamento della quale, valido quanto al rapporto cartella -pregresso avviso di accertamento, è all’evidenza estensibile, per identità di ‘ratio’, altresì quanto al rapporto intimazione di pagamento -atti pregressi.
Aggiungasi -giusta, ad es., Sez. 5, n. 26480 del 20/11/2020, Rv. 659507 -02 – che ‘l’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997 prevede la responsabilità solidale del cessionario d’azienda per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni dovute dal cedente, distinguendo l’ipotesi della cessione lecita, in cui la responsabilità del cessionario è sussidiaria e limitata (commi da 1 a 3), dalla cessione in frode al fisco, in cui la responsabilità è paritaria e illimitata (comma 4); in nessuno dei due casi, tuttavia, l’avviso di accertamento diretto al cedente deve essere notificato anche al cessionario, in mancanza di espressa deroga al principio generale, desumibile dall’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui l’avviso di accertamento è notificato al contribuente e non agli altri soggetti che, a vario titolo, possano essere tenuti al pagamento dell’imposta accertata’.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese di lite, liquidate in euro 31.000, oltre spese prenotate a debito.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle entrate -Riscossione le spese di lite, liquidate in euro 31.000, oltre esborsi per euro 200, contributo forfettario pari al 15% ed accessori, se ed in quanto dovuti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 9 ottobre 2024.