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Responsabilità del cedente: diligenza e frode IVA

Una società operante nel settore automobilistico si è vista negare l’esenzione IVA per vendite a quattro concessionarie, che avevano presentato dichiarazioni di intento come esportatori abituali. L’amministrazione finanziaria ha ritenuto tali dichiarazioni false. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione di merito, stabilendo un principio fondamentale sulla responsabilità del cedente: la sua diligenza può essere valutata solo dopo che l’amministrazione finanziaria abbia provato in modo concreto la frode o la falsità delle dichiarazioni dell’acquirente. La Corte ha chiarito che non si può presumere la responsabilità del venditore basandosi unicamente su un controllo ritenuto insufficiente, senza prima accertare l’illecito del compratore.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Responsabilità del cedente: quando risponde per le frodi IVA dell’acquirente?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32507 del 2024, ha chiarito un punto cruciale in materia di IVA e operazioni con esportatori abituali, delineando con precisione i confini della responsabilità del cedente. Il principio affermato è fondamentale: prima di poter valutare la diligenza del venditore, è necessario che l’Amministrazione finanziaria provi l’effettiva frode commessa dall’acquirente. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Una nota società del settore automobilistico vendeva veicoli a quattro diverse concessionarie. Queste ultime, per ottenere l’esenzione dall’IVA, presentavano delle dichiarazioni di intento attestanti il loro status di “esportatori abituali”. Di conseguenza, la società venditrice emetteva fatture senza addebitare l’imposta, come previsto dalla normativa.

Successivamente, l’Agenzia delle Entrate contestava queste operazioni, emettendo un avviso di accertamento per recuperare l’IVA non versata. Secondo l’Ufficio, le dichiarazioni di intento erano ideologicamente false e le concessionarie acquirenti non possedevano i requisiti per essere considerate esportatori abituali. I giudici di primo e secondo grado confermavano la pretesa fiscale, ritenendo che la società venditrice avesse tenuto una condotta poco diligente, effettuando un “controllo sommario e insufficiente” sulla reale condizione degli acquirenti.

La Questione Giuridica: Il Principio della Responsabilità del Cedente

Il cuore della controversia risiede nella definizione dei limiti della responsabilità del cedente. In base alla legge, se un acquirente presenta una dichiarazione di intento non veritiera, la responsabilità per l’IVA evasa ricade principalmente su di lui. Tuttavia, la giurisprudenza ha esteso una forma di corresponsabilità anche al venditore, qualora questi non abbia adottato tutte le “misure ragionevoli” per assicurarsi di non partecipare, anche inconsapevolmente, a una frode.

La domanda a cui la Cassazione doveva rispondere era: si può condannare il venditore per mancata diligenza senza che prima sia stata accertata e provata in giudizio la frode dell’acquirente? I giudici di merito avevano risposto affermativamente, ritenendo “assorbente” la valutazione sulla negligenza del venditore.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ribaltato completamente la prospettiva, accogliendo il ricorso della società. I giudici hanno evidenziato un errore logico-giuridico fondamentale nelle sentenze precedenti. La questione della responsabilità del cedente e della sua diligenza diventa rilevante solo in un secondo momento, ovvero dopo che sia stata accertata, anche solo in via indiziaria, la condotta fraudolenta del cessionario (l’acquirente) o la falsità della sua dichiarazione di intento.

In altre parole, l’onere della prova della frode spetta all’Amministrazione finanziaria. Non è possibile, come fatto dai giudici di merito, saltare questo passaggio fondamentale e concentrarsi unicamente sul comportamento del venditore. Affermare che il venditore è responsabile perché non ha controllato abbastanza, senza prima aver dimostrato che c’era effettivamente qualcosa di fraudolento da scoprire, trasforma la sua responsabilità da colposa a una sorta di responsabilità oggettiva, non prevista dalla legge.

La Corte ha stabilito che la valutazione sulla diligenza del venditore (ad esempio, se ha consultato il sistema VIES, se ha fatto verifiche camerali, etc.) deve essere condotta in relazione a specifici “elementi indiziari della frode”. Se questi elementi non vengono prima provati dall’Ufficio, l’indagine sulla condotta del venditore resta “meramente astratta” e giuridicamente errata.

Le Conclusioni

Questa sentenza rafforza le garanzie per le imprese che operano correttamente. La responsabilità del cedente non può essere presunta. L’Amministrazione finanziaria, se intende recuperare l’IVA da un venditore, ha il preciso onere di dimostrare che l’acquirente ha commesso una frode. Solo a quel punto si potrà verificare se il venditore, con la normale diligenza richiesta a un operatore onesto e mediamente esperto, avrebbe potuto o dovuto accorgersi dell’irregolarità. La decisione segna un punto fermo nella ripartizione dell’onere probatorio nelle controversie su operazioni IVA con esportatori abituali, tutelando i fornitori da responsabilità indebite.

Chi è responsabile per l’IVA non versata se un acquirente presenta una dichiarazione di intento falsa?
In linea di principio, la responsabilità ricade esclusivamente sull’acquirente che ha rilasciato la dichiarazione falsa. Il venditore (cedente) può essere considerato corresponsabile solo se viene provato che non ha adottato le ragionevoli misure per evitare di partecipare a un’operazione fraudolenta.

Cosa deve dimostrare l’Amministrazione finanziaria prima di poter contestare l’IVA al venditore?
L’Amministrazione finanziaria deve prima dimostrare l’esistenza della frode da parte dell’acquirente, ovvero provare che la dichiarazione di intento era ideologicamente falsa e che i requisiti per l’esenzione IVA non sussistevano. Senza questa prova, non si può procedere a valutare la diligenza del venditore.

Qual è l’errore commesso dalla Corte di merito secondo la Cassazione?
L’errore è stato quello di ritenere “assorbente” la valutazione sulla condotta negligente del venditore, senza aver prima accertato la frode dell’acquirente. La Cassazione ha chiarito che la questione della responsabilità del venditore è logicamente e giuridicamente subordinata all’accertamento della frode a monte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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