Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32507 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32507 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8312/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 3369/2019, depositata in data 23 agosto 2019;
Udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica dell’11 giugno 2024.
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo di ricorso con assorbimento degli altri.
Uditi l’avv. NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv. dello Stato NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE ha impugnato l’avviso di accertamento n. TMB061V00395/2016, emesso dall’Agenzia delle entrate per il recupero di IVA per l’anno 2011 relativa ad operazioni di cessione effettuate ai sensi dell’art. 8 comma 1 lett. c) del d.P.R. n. 633/1972 a favore di quattro concessionarie (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE) sul presupposto della falsità ideologica delle dichiarazioni di intento presentate da costoro.
Il ricorso della contribuente è stato rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Milano e l’appello proposto è stato respinto dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Lombardia con la sentenza in epigrafe.
I Giudici d’appello hanno ritenuto che la cedente avesse effettuato « un controllo sommario e insufficiente », essendosi limitata ad una verifica camerale e ad un controllo sull’esistenza della partita IVA per operazioni nazionali, senza neppure accedere al servizio controllo partite IVA comunitarie (VIES), tanto più che, avendo affermato di aver intrattenuto rapporti con quegli operatori solo in occasione delle fatture contestate, il dovere di diligenza doveva imporre un controllo più approfondito al fine di accertare lo status di esportatore abituale delle quattro società.
Avverso questa sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi, illustrati con memoria.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 8 e 54 d.P.R. n. 633/1972, dell’art. 164 della direttiva 2006/112/CE nonché dell’art. 2697 c.c. « in relazione alla mancata verifica della prova circa la conoscenza attuale o potenziale della frode asseritamente compiuta dalla propria controparte commerciale» , anche perché era stata omessa ogni valutazione circa la « fittizietà/frode » attribuita ai quattro singoli cessionari a fondamento della pretesa nonostante le contestazioni della contribuente sul punto.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. , violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. nonché del diritto di difesa ex art. 47 della Carta fondamentale dell’Unione europea, per non avere l’Amministrazione messo a disposizione sia della parte sia del giudice di merito tutti gli atti relativi alle presunte frodi dei cessionari.
Con il terzo mezzo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 2697 e 2729 c.c. nonché dell’art. 35 commi 2, lett. e-bis, 7 bis, 15 quater d.P.R. n. 633/1972 laddove la CTR ha attribuito rilevanza presuntiva dell’assenza di buona fede alla verifica sul sistema VIES.
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992 per avere la sentenza omesso di pronunziarsi sulla domanda subordinata di annullamento delle sanzioni tributarie.
Il primo motivo è fondato.
5.1. Va premesso che costituiscono cessioni all’esportazione non imponibili ai fini IVA ex art. 8, comma 1, lett. c), del d.P.R. 633/1972 quelle effettuate da un cedente a favore di soggetto
esportatore abituale, purché corredate da dichiarazione di intento redatta dal cessionario sotto la propria responsabilità; secondo l’art. 1, comma 1, lett. c) del d.l. 29.12.1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla l. 27.2.1984, n. 17, tale dichiarazione deve essere consegnata o spedita al fornitore o prestatore, ovvero presentata in dogana, prima dell’effettuazione della operazione e, nella prima ipotesi, il cedente o prestatore deve comunicare all’Agenzia delle entrate, esclusivamente per via telematica entro il giorno 16 del mese successivo, i dati contenuti nella dichiarazione ricevuta. L’art. 7, comma 3, ultimo periodo del d.lgs. 18.12.1997, n. 471 prevede che qualora la dichiarazione sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dell’omesso pagamento del tributo rispondono esclusivamente i cessionari, i committenti e gli importatori che hanno rilasciato la dichiarazione stessa. Tale regola della imputazione della responsabilità in via esclusiva al cessionario è stata modificata dal successivo art. 1, comma 384 della l. 30.12.2004, n. 311, secondo cui « Chiunque omette di inviare, nei termini previsti, la comunicazione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo, del decreto -legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, introdotto dal comma 381, o la invia con dati incompleti o inesatti, è responsabile in solido con il soggetto acquirente dell’imposta evasa correlata all’infedeltà della dichiarazione ricevuta ».
5.2. Va sottolineato che la responsabilità del cedente per una compartecipazione all’operazione fraudolenta risponde ad una esigenza più generale, poiché la lotta contro la frode, l’evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA (da ultimo, Corte giust. 8 maggio 2019, causa C -712/17, EN.SA., punto 31). Pertanto, « la non imponibilità ai fini IVA è subordinata alla dichiarazione scritta di responsabilità del cessionario sulla destinazione del bene fuori del
territorio comunitario ed al possesso dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dall’art. 8 d.P.R. 633 del 1972, mentre la stessa viene meno ove si accerti che i beni non siano stati effettivamente esportati e che tale dichiarazione sia ideologicamente falsa, con la conseguenza che il cedente deve assolvere successivamente l’imposta su tali beni, salvo che risulti provato che egli abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurarsi che la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode» (Cass. n. 12751 del 2011; Cass. n. 7389 del 2012; Cass. n. 176 del 2015; Cass. n. 19896 del 2016). Il cedente, quindi, deve comunque dimostrare l’assenza di un proprio coinvolgimento nell’attività fraudolenta, ossia di non essere stato a conoscenza dell’assenza delle condizioni legali per l’applicazione di detto regime di esenzione o di non essersene potuto rendere conto, pur avendo adottato tutte le ragionevoli misure in proprio potere (Cass. n. 14979 del 2020; Cass. n. 9586 del 2019).
5.3. Nel caso in esame non vi è stata alcuna verifica in ordine alla frode realizzata dai cessionari e alla falsità ideologica delle dichiarazioni di intento. La CTR ha del tutto trascurato questo profilo sebbene, come emerge dalla stessa sentenza impugnata, la ricorrente avesse affermato « che non poteva essere disconosciuta la qualifica di esportatori abituali alle quattro concessionarie » e anche in appello avesse insistito sul fatto che l’ Agenzia non aveva « offerto nessuna prova a conforto della tesi della mancata esportazione nell’anno 2011 delle autovetture da parte dei cessionari ».
5.4. La CTR ha ritenuto « assorbente, in forza del criterio della c.d. ragione più liquida », la mancata prova da parte della ricorrente dell’ «assenza di un proprio coinvolgimento nell’attività fraudolenta, ossia di non essere stato a conoscenza dell’assenza delle condizioni legali per l’applicazione del regime di non imponibilità o di non essersene potuto rendere conto pur avendo adottato tutte le
ragionevoli misure in suo potere». E’ evidente l’errore logicogiuridico in cui è caduto il giudice d’appello, posto che una questione di responsabilità del cedente si pone in quanto sia accertata, anche in via indiziaria, la condotta fraudolenta del cessionario o la falsità ideologica della dichiarazione di intento. La stessa affermazione della responsabilità del cedente resta meramente astratta, perché la verifica circa l’ adozione da parte del cedente di tutte le misure ragionevoli in suo potere, « al fine di assicurarsi che la cessione non lo conducesse a partecipare alla frode »(Cass. n. 12751 del 2011), va condotta sulla base della concreta vicenda e delle circostanze di volta in volta presenti (CGUE, 22 ottobre 2015, Ppuh , C-277/14) e in relazione agli elementi indiziari della frode. Valgono principi analoghi a quelli in tema di esclusione del diritto di detrazione in capo al cessionario, secondo i quali si deve verificare se il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un dubbio sull’esistenza della frode ovvero « a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto » (CGUE, 6 dicembre 2012, Bonik , C-285/11; CGUE, Ppuh , cit., par. 50), tenendo conto degli « indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione.. » (Cass. n. 9851 del 2018).
6. Il secondo motivo è inammissibile e comunque infondato.
6.1. Con questo motivo si censura non tanto la sentenza quanto l’attività dell’Ufficio che, comunque, per ammissione dello stesso ricorrente (v. pag. 19 del ricorso), aveva prodotto gli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei cessionari. Si lamenta che l’Agenzia non abbia fornito ulteriori informazioni (esistenza d i un contenzioso tributario in relazione a quegli atti, eventuali procedimenti penali e loro esito, ecc.) ma la doglianza resta generica, non indicandosi precisi profili di violazione dei principi
unionali, espressi in particolare nella sentenza della Corte di giustizia, 16 ottobre 2019 C-189/18, COGNOME, la quale non esclude « in linea di principio » l’utilizzabilità di atti dell’Amministrazione che accertano l’esistenza di una frode relativa all’IVA commessa da terzi.
6.2. I l diritto del contribuente all’accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato riguarda quelle che possano essere utili alla sua difesa (CGUE, Glencore, cit., punto 54), ed è la stessa giurisprudenza eurounitaria ad affermare che il rispetto del diritto di difesa non costituisce una prerogativa assoluta, ma può essere assoggettato a restrizioni, in particolare in ambito tributario (CGUE 9 novembre 2017, Ispas , C-298/16, punto 35), ove occorre tutelare ulteriori interessi, come la vita privata di terzi e la stessa efficacia dell’azione repressiva, interessi meritevoli di tutela e che possano essere pregiudicati dall’accesso indiscriminato. E’ stato, quindi, affermato che « il principio del rispetto dei diritti della difesa, in un procedimento amministrativo non impone quindi all’amministrazione finanziaria un obbligo generale di fornire un accesso integrale al fascicolo di cui dispone, ma esige che il soggetto passivo abbia la possibilità di ricevere, a sua richiesta, le informazioni e i documenti contenuti nel fascicolo amministrativo e presi in considerazione da tale amministrazione ai fini dell’adozione della sua decisione » (CGUE, Glencore , cit., punto 56).
6.3. In tal senso è anche la giurisprudenza di questa Corte, che ha di recente ribadito come, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il diritto di accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato può essere esercitato solo se, e nella misura in cui, sia strumentale all’esercizio del diritto di difesa, che può dirsi violato ove il contribuente illustri come ed in che termini la tempestiva ostensione degli elementi di fatto a lui favorevoli, e non contenuti negli atti impositivi
impugnati, avrebbe potuto influenzare l’esito dell’accertamento nei propri confronti (Cass. n. 36852 del 2022; Cass. n. 34044 del 2023).
6.4. Sotto questo profilo, va altresì considerato, a mente dello stesso diritto eurounitario, che il parametro di riferimento è costituito dal principio di effettività -in forza del quale le modalità procedurali interne « non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione » -, principio che, tuttavia, come ribadito dalla Corte di Giustizia, « non esige che una decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi. Infatti, una violazione dei diritti della difesa determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso » (CGUE, 4 giugno 2020 , SC C.F. SRL , C – 430/19, punti 35 e 37). Ciò si verifica ove il contribuente illustri come e in che termini, in mancanza di detta irregolarità e della conseguente compressione del diritto di difesa, il procedimento amministrativo, nel caso in cui il diritto di difesa fosse stato rispettato, sarebbe potuto giungere a un risultato diverso (cd. « prova di resistenza », v. CGUE, 3 luglio 2014, Kamino , C-129/13 e C-130/13, punti 78 e 79; Corte giust., 10 ottobre 2009, NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE , C-141/08, punto 94; Corte giust., 10 settembre 2013, M.G. e N.R. , C-383/13, punto 38; Corte giust., 26 settembre 2013, Texdata Software , C418/11, punto 84).
6.5. La violazione del diritto di accesso alla documentazione non offerta tempestivamente in comunicazione dall’Ufficio, in quanto strumentale all’esercizio del diritto di difesa (ad es., in relazione agli elementi favorevoli al contribuente che non siano stati immediatamente resi noti), sussiste, pertanto, ove il
tempestivo accesso a tali documenti e la loro valorizzazione in sede amministrativa avrebbe comportato un diverso esito nell’atto impositivo. Parte ricorrente lamenta la violazione del diritto di difesa rispetto a informazioni relative ai terzi cessionari ma in alcun modo deduce o articola come l’ostensione di ulteriori elementi avrebbe potuto condurre ad un esito diverso del procedimento né indica quali ragioni avrebbe potuto in concreto far valere in quel caso. In altri termini, la «lamentata violazione è dedotta solo in sé e per sé, neppure deducendo ulteriori elementi suscettibili di una diversa, anche solo potenziale, considerazione del merito dell’accertamento» (Cass. n. 20964 del 2021), da ciò, dunque, il rigetto della censura.
Conclusivamente, va accolto il primo motivo, rigettato il secondo, mentre gli altri restano assorbiti; la sentenza va cassata di conseguenza e la causa deve essere rinviata al giudice del merito.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo e assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, l’ 11/06/2024.